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ENCICLOPEDIA
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http://www.archive.org/details/dellamedicinadiaOOcels
ENCICLOPEDIA
DELLE
SCIENZE MEDICHE
DI
AL1BERT, BARBIEB, BAYLE, BAUDELOQUE, BOUSQUET, BRACHET, BRICHETEAU, CAPURON,
CAYENTOU, CAYOL, CLARION, CLOQUET, COTTEBEAU, DOUBLÉ, FUSTER, GERDY,
GIBERT, GUERARD, LAEHNEC, LENORMAND, LISFRANC, MALLE, MARTINET, FARENT-
DUCHATELET, PELLETAN, RECAMIER, SERRES, AUGUSTO THILLAYE, YELPEAU, Y1REY
DI M. G. LEVI
SETTIMA DIVISIONE
COLLEZIONE DEGLI AUTORI CLASSICI
CELSO
VENEZIA
CO' TIPI DELL' ED. GIUSEPPE ÀNTONELLI
PREGIATO DELLA MEDAGLIA 1)' ORO
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DELLA MEDICINA
DI
AULO CORNELIO CELSO
LIBRI OTTO
DI G. A. DEL CHIAPPA
PROFESSORE DI MEDICINA PRATICA
E MEMBRO DELLA FACOLTÀ' MEDICA JSELl' J. R. OHIV. DI PAVIA
VENEZIA
DALLA TIP. DI GIUSEPPE 4NTONELLI
PHBUIATO CON MIìDAGLlA D1 ORO
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PREFAZIONE
DEL VOLGARIZZATORE
L' . .' .
opera rli Aulo Cornelio Celso intorno alla medicina, la sola delle molliplici
dettate sopra svariati argomenti da questo antico sapiente che sia giunta insino a
noi, non ha bisogno di commendazioni e di elogi. Dappoiché essa apparve nel mondo
riscosse gli applausi non che i voti dei letterati e dei medici. La maravigliosa
castità dello stile, la inimitabile purgatezza della lingua, e le sane, isquisite e pere-
grine cognizioni su tutte quante le parti della salutifera arte onde va piena, la ren-
derono, siccome la renderanno in ogni tempo, un libro classico dei più estimali.
L1 Italia, che vanta volgarizzamenti famosi dei più nominati scrittori del Lazio, non
aveva una traduzione di sì esimio scrittore, se si toglie quella oggimai rarissima
deir abate Chiari da Pisa. E questa sua traduzione fu pubblicata qui in due vo-
lumi nel 1747, presso Domenico Occhi. Ma questo Chiari non era dell"* arte \ e
quantunque fossene mezzanamente inslruito, siccome appare, tuttavolta non se gli
appartiene quella intera fede che naturalmente accordare si deve a coloro i quali stu-
diano e professano per instituto di vita la scienza medica stessa. Il volgarizzamento
suo non è manchevole di fedeltà -, ma se altri vi ricerca V eleganza, il nitore, la ve-
nustà celsiana, rimane a gran pezza ingannato. Comunque però sia la cosa, il suo
libro- è oggimai esausto intanto che a gran ventura appena potrebbesi rinvenire in
commercio. Oltre di che egli ebbe elaborata la sua fatica sull1 esemplare dato dal-
1 Almelovenio ; e tutti sanno che il testo celsiano ha sofferto da quel tempo in poi,
cioè da un secolo e più a questa parte, notevolissimi cangiamenti per le dotte e com-
mcndevoli fatiche del Krause, del Yalaslio, del Volpi, del Morgagni e principal-
mente del Targa. Abbiamo imperlatilo Còstimato pregia dell1 opera quello di tiare
B
all' Italia di questo sublime scrittore del secol d'oro una novella versione diligente
e pura e limata quanto per noi è stato possibile, ed oltracciò in nitida ed elegante
edizione. In Francia i signori Ratier e Fouquier, chiarissimi medici parigini, ne
hanno data novellamente una uscita alla luce co"1 celebri tipi del Didot in Parigi
nel 1824. E questa è purgata e leggiadra; ma alla maniera della loro lingua e del
nazionale costume è una traslazione assai libera e larga. Si conviene però dire che
in cotal guisa hanno questi dotti interpreti spessamente comentato il testo, che in
alcuni luoghi è oscuro sì che involge in alquanta dubbiezza ed oscurità chi legge.
Ma la Francia aveaue già altro volgarizzamento del valente dottor Enrico Ninnili
medico del conte di Clermont principe del sangue, e pubblicalo da lui nelP an-
no 1753. E questo incolpabile, anzi laudevole pel lato delf esattezza, facea desi-
derare pur esso V aurea purità ed il natio candore del latino maestro. Noi abbiamo
tenuta una diversa via. Abbiamo amato meglio di stare fedelmente attaccati alla
frase dell'autore ogni qual volta che essa si offria piana ed agevole ; e piegandoci
alla natura della nostra lingua, ci siamo studiati di seguire più davvicino che ne è
stato permesso, il periodare celsiano. Siamo nulladimeno in questa sentenza di non
aver lasciato oscuro verun passo, per oscuro ch'esso sia neir originale, ed abbiamo
studiosamente ischiariti e, per così dire, compiuti alcuni tratti che vi si trovano mal
compiuti e dubbi.
Questo lavoro avvegnaché piccola cosa ella sia, è costato alla mia poca suih-
cienza gravissima e lunga fatica. Imperocché posso far certo chichessia che intor-
no ad esso ho sudato più e più anni. Mi posi mano nel 1807, e l'ebbi fornito
nel 1 8 1 9, dandovi opera in que' piccoli avanzi di tempo che mi concedeva T eser-
cizio dell' arte ed alcun' altra occupazione. Se esso poi non è riuscito di quella
squisitezza e sì terso e polito come cotanto autor richiedea, e come io a lutto poter
ini studiava, non si tu già per difetto di diligenza, che forse soverchia ve ne ado-
bi rara, ma il d1 ingegno e di gusto. Il perchè potrassi a me ottimamente applicare
il limoso dello oraziano in vittimi dlicU CldJM* fugC^ si card arte. Qualunque
1-.., sia questa mia Litica, l'accolga il pubblico con lieta fronte, ponendo melile
allo inlendimenlo mio, «he quello si fa di accendere negli animi della gioventù
tCraU ali1 aite medica V amore e Io studio degli antichi modelle e massima-
mente drir immollai Cornelio Celio.
A. CORN. CELS1
DELLA MEDICINA
DE MEDICINA
P R £ F A T I O
DI AULO CORiN. CELSO
PREFAZIONE.
u.
t alimenta sanis corporibus agrieul-
tura, sic sanitatem aegris medicina promiltit.
Haec nusquarn qaidem non est : siqnidem
etiam imperitissimae gentes herbas aliaquc
prompta in auxilium vulnerum morborumque
noverunt. Verumtamen apnd Graecos aliquan-
to magis, quam in ceteris nationibus, exculla
est : ac ne apud hos quidem a prima origi-
ne, sed paucis ante nos seculis ; ulpole cum
vetustissimus auctor JEsculapius celebre tur.
Qui, quoniam adhuc rudem et vulgarem liane
scien tiara paulo sub fili us exeoluit, in deorum
numerum receptus est. llujus deinde duo filii,
Podalirius et Machaon, bello Trojano ducem
Agamemnonem secuti, non mediocrem opera
commilitonibus suis allulerunl. Quos tamen
Homerus non in pestilentia, neque in variis
generibus morborum aliquid attulisse auxilii,
sed vulneribus tanlummodo t'erro et medica-
mculis mederi solilos esse proposuit. Ex quo
apparcl, has parles medicinae solas ab bis esse
lenlatas, easque esse veluslissimas. Eodemqoe
auclorc disci potcsl, morbos luin ad iras deo-
ìiuii immorlalium relalos esse, et ab iisdem
opcrn potei lolitam. Verique simile est, inter
nulla auxilia adversae. valctudinis, plerumque
laiiM i) eam bonam contigisse ob boaos mores,
quo, aeque desidia, neque luxuria vitiarant.
Siquidem haec 'Ina corpora, priui in Giaccia,
deinde apud nos afìlixerunl. Ideoque /nulli
plex isia medicina, neque olim, neque apud
aliai gentes necessaria, vix aliquos ex nobis
ad lenectutis principia perducit. Ergo etiam
Oiccome ai sani corpi somministra gli
alimenti V agricoltura, così agi1 infermi sanità
la medicina. Essa è in ogni luogo. Anche le
genti idiotissime conoscono semplici, ed altre
cose efficaci ed ovvie a cura delle ferite e delle
infermila. Più che altri però la coltivarono i
Greci, né essi pure nel principio loro, ma po-
chi secoli innanzi a noi, dappoiché é celebralo
Esculapio pel più vetusto autore. Ed egli per
avere tanto o quanto più sottilmente coltivala
quest1 arte, insino allora volgarissima e rozza,
riguardato fu qual nume. Due figliuoli suoi,
Podalirio e Macaone, clic seguirono il duce A-
gamennone alla guerra di Troja, prestarono
segnalati servigi ai loro commilitoni : per al-
tro ne rapporta Omero che non si travaglik-
rono essi nella pestilenza, o in altre infermità,
ma ehe trattarono soltanto le ferite col iérro e
coi medicamenti ; dal che si argomenta aver
loro usala questa sola parte di medicina, e
questa essere la più antica. Apprendiamo inol-
tre dallo stesso autore come a quei tempi .si
eoslumasse riferire le infermità allo sdegno
degli Dei immortali, e da essi implorarsi l'op-
portuno ajulo ; ma e1 par verisimile che la sa-
nità, a malgrado i tenui soccorsi conila le ma-
la! tic, si eonservasse per usalo buona in virtù
de' buoni Costumi non per anehe guasti dal-
l'intemperanza e dall'ozio. Questi due vizi
prima in Grecia, poscia fra noi, tirarono ad-
dosso ai nostri corpi una turba di mali; ond'è
che questa complicata medicina non neeeisa-
ria un tempo, siccome non lo è presso altre
j O PREFAZIONE
post eos, de quibus reluli, nulli clari viri me- genti, pochi tra noi ne lascia attingere la so-
dicinam exercueruntj donec majore studio glia della vecchiezza. Ninno pertanto di nome
litlcrarum disciplina agitari coepit, quae ut chiaro appresso i nominati, si consacrò ali1 e-
ajaimo praecipue omnium necessaria, sic cor- sercizio della medicina, persino a che non si
pori inimica est. Primoque medendi scientia, rivolse l'animo con più fervido amore alle let-
Bapientiae pars habebatur, ut et morborum tenne speculazioni, le quali quanto sono gio-
curatio, et rerum natante contemplatio sub vevoli e care air animo d'ognuno, altrettanto
iisdem auctoribus nacta sit : scilicet iis hanc al corpo mimiche ed infeste. Sulle prime ai ri-
maxime requirentibus, qui corporum suorum sguardava la medicina siccome un ramo della
robora quieta cogitatone, nocturnaque vigilia sapienza, così che la cura delle infermità e la
minuerant [deoque multos ei sapieutiae prò- contemplazione della natura riconobbero ime-
fessoribus perilos ejus fuifse accepimus j eia- desimi autori; massimamente che di quella ne
rissimo* vero ex Iis Pythagoram, el Empedo- abbisognavano coloro i quali aveano con Pia-
eleni, el Democritum. Hujus autem, ut qui- tensò studiare, e col vegliar continuo infralito
dam Bredideruntfdiscipulus Hippocratés Cous, il naturai vigore del loro corpo. 11 perchè molti
primus quidem ex omnibus memoria dignis, tra i sapienti, siccome bassi dalle memorie aii-
ub studio sapienliae disciplinam haUC separa- tiche, furono versali in medicina, fra i quali ri-
vit virel arte et focundia injùgnis. Post quem portarono le prime lodi Pitagora, Empedocle e
Diocles Carystius, dein*^ Praxagoraset Chry- Democrito. Ippoerate di Coo, discepolo diqne-
aippus, inni Herppnilus et Erasistratns sic ar- st' ultimo siccome credesi per alcuni, inerite-
lem |;,mi gnsrcuerunt, ut etiam in diversas vole sopra ogh* altro di ricordanza, sommo
curandi via* procesterint. Usdemque tempori- artista e sommo scrittore, partì la medicina
bas in tre* partes medicina diducta esti ut dallo sin. Ilo della sapienza. Appresso Dioele
una esset, quae vieta; altera, quae medica- Caristio, poi Prassagora e Crisippo, indi Ero-
mentis; terlia, quae ni. uni mc.lt i «tur. l'ri- filo ed Krasistrato tennero nella pratica diver-
iii.iin «T<a/T>fT/x>iV, lecundam $awax.iuTtxvv, se guise di medicaio. Attorno a1 medesimi lem--
li i ii. un %fit(kttvf^#ajry Graeci nominarunt Ejos pi divisa fu la medicina in tre parti; Pana che
rateai quae vieta morbos curet, longe claris- sana le malattie eoi vitto, V altra coi medica-
timi aoctores etiam altioi quaedam agitare co- menti, colla mimo la terza. Chiamano i Greci
,, ,tj. i, rum quoque naturae libi oogi itionem dietetica la prima, farmaceutica la seconda,
^ inda ii uni. tamquam une ea, trunca < t orbi- chirurgica la terza, Più rinomati degli altri i
li, medi* in » esset Poti quos Serapion, primui professori della dietetica estimarono, stretti a
ommiiiii. mhilli.MM srationa lem disciplinam per- pia altamente discorrere certe cose, a sène-
tinere ad m iirinaoL profi in ara tantum cetsaria anche la contemplazione della Datura
«i experùnentii eam posuit. Quem spollouius, delle cose, sembrando loro senza di essa manca
et Gian ias, et aliqoaato post Heraclides ta- ed oscura la medicina. Dietro a loro Serapione
rentinus, <i ..di quoque non mediocres viri Innanzi ogni altro apertamente dichiarò nulla
secati, ex ip i profi ione se i/tmtsfnutff ap- aver che (are questa speculativa disciplina eolr
peueveruot. Sic ut iluai parta ea quoque, l'arte del medicare, e la ripose tutta nella pra-
quae vieta carat, medicina divisa < it, aliis tica è nella osservasi ». à^ollouio e Glaucia,
rationalem srtem, aliis uram tantum cibi via- e poco dopo il tarantino Eraclide, <<l altri qua-
dkantibos: nullo raro qutdquam post eoa, lineati maestri .ili tennero dietro facendosi,
qui apra comprehensi itante, dì i loro stessi principi, denominare empi
f|U"<l J-ii- \ . i. | .1 1 . i . - . medendi riei. Cosi pure in due parti divisa fu la diete-
rattonem < a magna parte mutavit. Ex eujui tica licina, i itenendola altri come arte ipe-
..,, Qoper ipse quoque eulativa, altri, all' opposto, .come tutta pratica
ouaedamifl enectale deflexlt.Etperbo qui- <• iperimentale ; oè alcuno si ritrovò, dopo j
PREFAZIONE II
dem maxime viros salutaris isla nobis profes- menzionati, che vi facesse alcuno notevole
sio increvit. cangiamento, persino a che Asclepiade non
rinnovò in gran parte il modo del medicare.
Temisone istesso, non ha molto, uno dei suoi
seguaci, alcuna modificazione pure v'intro-
dusse negli ultimi suoi anni. Ecco per quali
distinti uomini principalmente crebbe e fiorì
questa all' uraan genere salutifera professione.
Quoniam autem ex tribus medicinae par- Ma come la più ardua, cosi la più illustre
tibns, ut difficillima, sic etiam clarissima est fra le tre parti della medicina quella essendo
ea, quae morbis medetur, ante omnia de hac che cura le malattie, devesi di essa parlare in-
dicendum est. Et quia prima in eo dissensio nanzi alle altre. E poiché la massima discre-
est, quod alii sibi experimentorum tantum- panza sta nel sostenere ch'altri fanno necessa-
modo notitiam necessariam esse contendunt ; ria solo 1' esperienza, laddove per altri si esti-
alii, nisi corporum rerumque ratione cora- ma non essere sufficiente la pratica senza la
perta, non satis potentem usum esse propo- cognizione dei*corpi e delle cose, parmi do-
nunt: indicandum est, quae maxime ex u tra- versi indicare i capi principali intorno a che
que parte dicantur, quo facilius nostra quo- si quistiona da ambe le parti, onde vi si possa
que opinio interponi possit. Igitur ii, qui ra- più di leggieri interporre anche la nostra opi-
tionalem medicinam profitentur, haec neces- nione. Quelli pertanto che professano la medi-
saria esse proponunt : abditarum et morbos cina speculativa, giudicano necessarie le se-
continentium causarum notitiam, deinde evi- guenti cose: la cognizione delle cagioni occul-
dentium, post haec etiam naturalium actio- te e di quelle che costituiscono le malattie;
nura, novissime partium interiorum. Àbditas poscia la notizia delle manifeste ; quindi delle
causas vocant, in quibus requiritur, ex qui- funzioni naturali ; ultimamente delle parti in-
fetta principiis nostra corpora sint, quid secun- terne. Per cagioni occulte intendono quelle in
dam, quid adversam valetudinem faciat. Ne- che si ricerca di quai principi constino i nostri
que enim credunt, posse eum scire, quomodo corpi ; onde derivi la sanila, onde la malattia,
morbos curare conveniat, qui, unde hi sint, Perocché non si possono persuadere che chi
ignoret. Neque esse dubium, quin alia cura- ignora le cagioni loro, sappia adattarvi una
tione opus sit, si ex quatuor principiis vel su- conveniente medicatura. Ed è più che certo
perans aliquod vel deficiens adversam va- che se per V eccesso, o difetto di alcuno dei
letudinem creat ; ut quidam ex sapientiae quattro principi si venga ad ingenerare la mal-
professoribus dixerunt : alia, si in humidis sania, siccome immaginarono alcuni sapienti,
omne vitium est; ut Herophilo visum est: sarà d' uopo di una speciale cura ; di un' altra
alia , si in spiritu ; ut Hippocrali : alia , si se ne furono cagione gli umori secondo Erofi-
sanguis in eas venas, quae spiritui accom- lo ; di un1 altra se il vapore secondo Ippocra-
modatae sunt, transfunditur, et infiamma- te; di un' altra se il sangue trasfondendosi in
tioncrn, qaaxn Graeci (pXzyuovm nòminant, quelle vene che destinate sono allo spirilo, ec-
excitat, eaque tnflammatio lalem motum ef- cila queirinfiammazionc, della dai GvvciJIem-
ficil, ([iialis in febre est; ut llerasistrato pia- mone, donde poi nasce la febbre ; e questa è
euii : alia, si manantia corpuscula, per invisi- dottrina di Erasistrato ; d'altra, secondo quel-
bilia foramina substinendo, iter claudunt ; ut Ukdi Asclepiade, se i discorrenti corpicciuoli
a\sclepiades contendit. Eum vero recto cura- soffermandosi fra gl'invisibili meati, la via ne
Iuiuiii, quem prima origo caussaenon fefelle- oppilano. Curerà a dovere, dicono essi, chi a-
rit. Neque vero infìtianlUr, experimenta quo- *rà attinta la primiera cagione. Né eseludono
que esse necessaria, sed ne ad haec quidem gli esperimenti, anzi gli ritengono per neces-
,2 » ASF AZIO N 1
aditalo fieri potaiase, nisìab ftliqùa ratione, sari, ma sostengono non potersi usare, ne re-
contendunt. Nani enim quilibet antiquiores golarc dal medico senza qualche raziocinio.
Tiro* aeirris inculcasse ; sed cogitasse, quid Imperocché i vecchi medici non ordinarono
tossirne convenire! ; et id usa explorasse, quo già ai loro infermi qualsisia cosa alla ventura,
ante conjectura aliqua duxisset. Neque inter- ma meditarono quello che più gli convenisse,
esse, an mine jam pleraque esplorata sint, e misero a prova ciò che aveano in prima de-
si a Consilio tamen eoeperunt. Et id qui- dotto con alcuna probabilità di discorso. E
dem in mullis ila se habere. Sacpe vero ctiani non rileva che i rimedj sieno ora in gran par-
nova incidere genera morborum, in quibus te sperimentali, se però presero la prima mos-
aihil adhoc asoi òstenderk ; ut ideo neoessa- sa dal ragionamento. E questo è ciò che in-
riùm à\ animadrertere, nude ea coeperint ; tcrviene nei più dei corpi. Sogliono anche oc-
sin-j quo mino mortsdium reperire possi!, cor correre nuove genie di mali, nei quali nulla
hoc, quam illu, polius utatur. Et ob haec qui- per anco ne abbia insegnalo la pratica ; e per
dem in obscuro positaa eaosas persequuntur. questo necessario sia considerare la loro pro-
Ex ideate* w ro eoa appellant, io quibus quae~ venienza, senza di che dìodo al mondo po-
llini, initium morbi ralor attulerit, an fri- trebbe ritrovare il perchè si faccia uso di que-
gus ; lumes, an salielas, et quac similia sunt. sto anzi che di quel rimedio. E per questi mo-
Occursurum enim \ ilio dieunt eum, qui ori- tivi si ricercano le cagioni nascoste. Chiamano
ginem non ignoraril. Naturales vero corporis poi evidenti quelle nelle quali indagasi se la
acliones appellant, per quas spiritum iraliimus malattia nacque per caldo, o per freddo ; per
et emittimoi ; cibom potionemqoe et assumi- fame o per sazietà ed altre cose di questa t'aita.
mot Ct concoquinius : itemque, per quas ea- Imperocché andrà facilmente incontro al malt
dem haec ia omnea membrorom partea dige- colui, dicono essi, che ne abbia attinta Torigi-
runlur. 1 uni requirunt etiam, (piare venne ne. Chiamano poi naturali azioni quelle per
noftrae modo anbmittant se, modo attollaot; cui a1 inapira ed espira Paria; si prende e si
(ju.ic Lilio somni. qnae ratio tigiliae sii : line digerisce cibo e bevanda, e quella altresì onde
quorum notitia, ncmiiicm pulanl \el occhi- le medesime cose si assimilano in tutte. le parli
rere, rei mederi morbis, inter haec nascenti- del corpo. Ricercano ancora perchè le nostre
boa, posse. £s quibosqui maxime pertinere eneorasi abbassino, ora a? innalzino ; quale
.1 rem coneoetìo videtar, buie potissimom sia laragiooe del sonno, qoale della reglia,
nisiiiiini ; ri .In..' alii Itasistrnto, ieri ribum senza la cui scienza aaaeriscono non potersi da
in \, altre i osti aduni : alti, Plutonico Praxa- ninno né ovviare alle malattie perturbanti
disciputo, putrescere ; alti oredont Hip- queate ranstont, o curarle. Fra le quali aero-
■ i. per i dorem cibot coneoqni: acce- orandogli la digestione la più importante, di
duntque Asclepiadea semun, qui omnia i^ia qneata ranno gran contai ed altri dietro ad E-
ranaetsup proponuut:nihilenim raaiatrato opinano triturarsi il cibo nelventri-
. intani mairi i ini. si. ni asMini- culo; alili dietro a l'iislouico scolare di l'ras-
pta est, in corpus orane diduci hi haec qui- aagora, putrefarvisi ; altri ad Ippocrate acoo-
• I. ni inter eoa parum Constant : iUud vero con- standosi a iettano ehe il cilx> si concuoce
renit, alium dandum cibum laborantibus, si pei lo calore, ai quali ai aggiungono i seguaci
hoc ; altum, si tllud verum est Ni i Ieri- di Aaclepiade che rigettano tatto queste aicco-
tnr iui.us, «-lini quaereodom eaae, qui (acillime me opinioni \.wm- ed insulse, asserendo nulla
Ieri poasit] i putrì cit, eum, in quo boi <\ cuocerai, ma si spartirsi la materia cosi
pediussimom «si; m « ■ i. >i «. quii, eum, cruda come presa in per tutto il corpo Ma
• i i maxime calorem movet: ii oihilei hia i Intorno a queste «ose si accordano fra
[uaerertdnm, li mini concoquitur, ea ro- loro j io questo -oli. mio convengono, altro e-
. 1 1. quas molimi manent, qualia as- timento doversi dare agl'informi, se e vero
snrapta sunt. Eademque ratione, cum spiritus
giavis est, cum somnus aut vigilia urget ,
cum mederi posse arbitrantur, qui prius illa
ipsa, qualiter eveniant , perceperit. Praeter
haec, cum in interioribus partibus et do-
lores et morborum varia genera nascuntur,
nemiuem putant bis adhibere posse remedia,
qui ipsas ignoret. Necessarium ergo esse inci-
dere corpora mortuorum, eorumque viscera
alque intestina scrutari ; ìongeque optime fe-
cisse Heropbilum et Erasistratum, qui nocen-
tes homines, a regibus ex carcere acceptos,
vivos inciderint considerarintque, etiamnum
spiritu remanente, ea quae naturae ante clau-
sisset, eorumque positum, colorem, figurarci,
magnitudinem, ordinem, duritiem, mollitiem,
laevorem, contactum ; processus deinde et sin-
gulorum recessus, et sive quis inseritur alteri,
sive quid partem alterius in se recipit. Neque
enim, cum dolor intus incidit, scire, quid do-
leat, euro, qui qua parte quodque viscus in-
teslinumve sit, non cognoverit : neque curari
id, quod aegrum est, posse ab eo, qui, quid
sit, ignoret. Et cum per vulnus alicujus visce-
ra patefacta sunt, eum, qui sanae cujusque
colorem partis ignoret, nescire quid integrum,
quid corruptum ; ila ne succurrere quidem
posse corruptis. Aptiusque extrinsecus impo-
ni remedia, compertis inleriorum et sedibus et
figuris, cognitaque eorura magnitudine : si-
milesque omnia, quae posila sunt, raliones ha-
bere. Neque esse crudele, sicut plerique pro-
ponunt, hominum nocentium, et borum quo-
que paucorum suppliciis remedia populis in-
nocentibus saeculorum omnium quaeri.
I -nidi ii, qui se ìfjnrtipixout al) expc
riiviEio 1 1. 1 3
questo, altro se è vero quello. Perocché se en-
tro si tritura, d'uopo è rinvenirlo, tale che
facilmente si trituri ; se imputridisce, tale che
ciò faccia il più presto ; se lo concuoce il calo-
re, tale che desti calore ; ma ove niuna dige-
stione abbia luogo, a niuna di queste cose si
deve por mente, ed usare di quegli alimenti che
si conservano in gran parte tali quali si prese-
ro. Per la medesima ragione quando è affan-
noso il respiro, o che il sonno o la veglia op-
primono, opinano potere curare tai mali co-
lui solamente che abbia penetrato di qual mo-
do queste funzioni si compiano. Oltredichè
insorgendo nelle parti interiori e doglie ed al-
tre maniere di mali, nessuno potrà ( così la
pensano ) adoprarvi i convenienti rimedi, se
non le conosce. 11 perchè, secondo loro, neces-
saria è la sezione dei cadaveri ond' iscrutarne
le viscere e le interiora ; e grandissima lode
essersi acquistata Erofìlo ed Erasistrato, ai
quali sendo stati dai re consegnati dalle car-
ceri uomini malvagi, gli dissecarono vivi, e
contemplarono entro di essi ancora palpitanti
quegli organi cui natura celava innanzi; la
posizione loro, il colore, la forma, la grandez-
za, la disposizione, la durezza, la mollezza, la
levigatezza, il contatto ; di poi il procedere ed
il rientrare di ciascuno ; e quale s'inserisca in
un altro ; ovvero quale in sé riceve porzione
d'un altro. Non può sapersi insorgendo entro
noi un dolore in quale parte abbia sede, se
non si sa a quale regione del corpo apparten-
ga quel viscere, o quell'interiore; né curare
il membro infermo si potrà da chi ignora co-
sa esso sia. E quando per ferita sono allo sco-
perto i visceri a qualcuno, non si può sapere
cosa è intatto o corrotto, e così non potersi
prestare sussidio a ciò che è corrotto. E più
convenevolmente, saputasi la sede e figura
delle interiori parti e loro grandezza, si ap-
plicheranno all'esterno i rimedi: e ragioni
consimili ritrovarsi per tutte le cose dette. Né
essere crudele siccome i più gridano, co' sup-
plizi di uomini rei, e di questi anche pochi,
andare cercando rimedi agl'innumerevoli buo-
ni di tulli i secoli.
Coloro, all' opposto, che dalla esperienza
1 \ PREl-AZION'F.
rènda nominant, evidente» quideni causa», si nomano empirici, come riconoscono par
ut necessarias, amplecluntur ; obscnrarum ve- necessarie le cagioni manifeste, cosi dichiara-
re causarum et naturalium actionura quac- no A lutl° superflua h indagine delle oscure
stionem ideo supervacuam esse contendimi, c dcllc "Plurali funzioni, per essere la natura
quoniam non comprehensibilis natura sii. Non incomprensibile. E che cosi sia risulla dalla
posse vero comprehendi, patere ex corum, discordia di chi va disputando di queste biso-
gni de bis disputarono discordia ; cum deista £nc^ mentre di ciò non si va d'accordo né tra
re, u-que inter sapientiae professore», neque i medioi ne ha » sapienti. Ora perchè vorrà
intcr ipsos medico» conveniat. Cur enim pò- allri P^stere Fede più presto ad Ippocrate che
tini aliquis Hippocrati credat, quam Herophi- ad Profilo ? e perdio a questi anzi che ad A-
!.. ? cur hnic potius, quam Asclepiadi t Si ra- sclepiade? Se si vogliono considerare le ragie-
tionis sequi velit, omnium posse videri non UÌ-> e' pajono tulle probabili; se le cure da
improbabile*; si curationes, ab omnibus bis tulli risanati si sono infermi. Perciò né a ra-
eegros perductos esse ad sanitatem : ita ncque gionamenti si deve prestare fede,nè ali'autorir
disputarono ncque auctoritati cujusquam fi- la di chicchessia. Ollredichè se il sottile ragio-
dem derogali oportuisse. Etiam sapientiae sin- nare facesse i medici, grandissimi medici sa-
diosos maximos medicos esse, si raliocinatio rebbono gli studiosi della sapienza; ma a que-
ho tacerei : mine illis v.rba superesse, deesse sii mentre sovrabbondano le parole, manca
medeadi scientiam. Difterie quoque prò nato- r »*** del medicare. Differire poi la medicina
ralocorum, genera medicinae ; et alind opus anche secondo i luoghi: altra richiedersi a
esse Romae, alind in £gipto, aliud in Gal- Roma, altra in Egitto, altra nelle Gallie. Che
li... Quod si morboseaecaussae faccrcnt, quac se quelle cagioni che sono ovunque le slesse
ubique eaedem essent, remedia quoque nbique generassero le malattie, si vorrebbero in ogni
eadem esse debuisse. Saepe etiam caussas ap- luogo anche i medesimi rimedi. Spesse volte
I . ntputa lippitudinis, vumeris; neque ancora riconoscersi la cagione come di un mal
ex bis patere medicinam. Quod li scientiam d'occhi, d'una ferita, e tuttavia da questa
hanc sub jicii it evideni caussa, multo mi- non farai chiara la medicina. Ora M la palese
nus eam posse labjcere, quae in dubio est cagione non soccorre a quest' arte, tanto rac-
Com igitnr Illa incerta, incomprehensibilis no il potrà fare quella che si giace nel dubbio,
sii. i certii potiui el exploratii petendum esse Essendo impertanto questa incerta ed incotti-
praesidium, id est, iis, quae experientia in ipsi» prensibile, ragione vuole che si cerchi il rime*
curationibus docuerit ; licul in ceteris omni- dio piuttosto da cose «erte e iperimentate,
boi artibus. Nano ne agricolam quidera ani vale a dire da ciò che V esperienza e la prati-
gnbernatorem dispulatione, sed'usu fieri, àc (;| c'insegnò siccome in tutte le altre arti.
mbil iatai cogiUtionei ad medicinam perline- L'agricoltore ed il nocchiero non si formano
t quoque diaci, quod qui diversa de hii coi ragionamenti, ma sì colla pratica. E che
.,:,!. ad «Min. In,, l.m.ni sanilalrm ho- queste sperul../i..iii limi abbiali-, nulla che ffc-
mines perduxerint. Id enim fa isse, quia non re coli' arte medica, li deduce anche dal vede-
abob is causi», neque i naturalibus actio- re ugualmente risanali gli infermi da quegl i-
nibus, quae apud eoi divenne erant, led ab itesit che diversamente opinavano. 11 che con-
expecimenus, proni cuiquen ponderante me- seguirono col ri ^-"<- le cure loro non già <la
drudi vii. trexcrioL Ne inter initis quidam cs ioni lite o dalle naturali funzioni,
aibui de li" I un « ise medici- intorno ■ i be nutrivano idee fra loro contra-
l ib esperimenti*. Egrorum enim rie | masìdalla esperienza secondo che ivea
ie medicis eranl alioi propler avidità- loro mostrato. Né la medicina fu ne eomin-
tem primii diebus protinui cibum issum ciamenti sn..i dedotta da cosina tte quistioni,
pici ii i pimi . ibstinuiue ; le ma dalla pratica. Impe bè alcuni infermi
PREFAZIONE
i5
valumque magis eorum morborum esse, qui
abstinuerant. Itemque alios in ipsa febre ali-
quid edisse, alios paulo ante eam, alios post
remissionem ejus : optime deinde iis cessisse,
qui post finem febris id fecerant. Eademque
ratione alios inter principia protinus usus es-
se cibo pleniore, alios exiguo ; gravioresque
eos factos, qui se implerant. Haec similiaque
eum quotidie inciderent, diligentes bomines
notasse, quae plerumque melius responde-
rent : deinde aegrotantibus ea praecipere coe-
pisse. Sic medicinam ortam, subinde aliorum
salale, aliorum iuleritu, perniciosa discer-
neutem a salutaribus. Repertis deinde jam re-
mediis, homines de rationibus eorum disserere
coepisse : nec post rationem, medicinam esse
inventam ; sed post inventam medicinam, ra-
tionem esse quaesitam. Requirere etiam, ratio
idem doceat quod experientia, an aliud : si
idem, supervacua esse ; si aliud, etiam contra-
riali!. Primo lamen remedia exploranda sum-
ma cura fuisse, mine vero jam explorala esse)
neque aut nova genera morborum reperiri,
aut novam desiderari medicinam. Quod si jam
incida t mali genus aliquod ignotum, non ideo
lamen fore medico de rebus cogilandum ob-
scuris : sed eum protinus visurum, cui mor-
bo id proximum sit ; tentaturumque remedia
similia illis, quae vicino malo saepe succurre-
rint, et per ejus similitudinem opem repertu-
rum. Neque enim se dicere, Consilio medicum
non egere, et irrationale animai liane artem
posse praestare ; sed has latentium rerum
conjecluras ad rem non pertinere ; quia non
inlersit, quid morbum faciat, sed qui tollat ;
neque ad rem pertineat, quomodo, sed quid
optime digeratur : sive hac de causa concoclio
iiiciflal, sive de illa, et sive concoclio sii illa,
sive tantum digestio. Neque quaerendum esse
quomodo spirernus, sed quid gravem tardum-
que spiritimi expediat: neque quid venasmo-
veat, sed (juid quaeque motua genera signili-
cent. Ifaee autem cognosci experimentis. Et
in omnibus ejusmodi cogitationibus in utram-
que partem disseri posse : itaque ìngenium et
fecundiam vincere; morboa autem non elo-
qucntLa,scd remedii.s curari. Quae si quis e bu-
che si ritrovarono senza medici, presero subi-
tamente ai primi dì alimento ; altri per la ri-
pugnanza se ne astennero; e si vide più solle-
vato il male di coloro che aveano fatto asti-
nenza. Ugualmente altri mangiarono nel cor-
so della febbre, altri poco appresso, altri do-
po la remissione di essa, ed essersi ritrovati ot-
timamente quelli che il fecero cessala la feb-
bre. Per la stessa ragione altri al principio
mangiarono assai, altri poco, e vieppiù si ag-
gravarono quelli che si erano riempiuti. Que-
ste e simiglianti cose tutto dì occorrendo, uo-
mini pieni di diligenza tennero conto di ciò
che per usato meglio corrispondeva, indi si
fecero a prescriverlo agi' infermi loro. Così la
medicina che distingue le cose perniciose dal-
le salubri , si nacque mano a mano colla
guarigione degli uni, e colla morie degli altri»
Rinvenuti che furono i rimedi, si principiò a
ragionare del modo del loro agire; che la me-
dicina non fu ritrovala dopo le teoriche, ma
ritrovata quella, si andò dietro a queste. Si
conviene oltrecciò investigare se la teorica
quello ne insegni, che l'esperienza, o se altro;
se lo stesso, sarebbe superflua ; se altro anche
contraria. Al primo però dovettero i rimedi
essere messi al cimento con estrema cautela,
ma oggimai sono provati ; né s1 incontrano
nuove infermità, né si desiderano nuovi rime-
di. Che se mai avvenga alcuno insino a qui
sconosciuto malore, non si dovrà per certo
speculare dal medico intorno a cose recondi-
te, ma vedere tosto a qual altra infermila si
approssimi, e ricorrere a quegl' islessi rimedi
che con vantaggio si adoprano nella vicina
malattia ; così dalla sua somiglianza si ritrae
l1 opportuno sussidio. Essi non dicono non a-
vere il medico d1 uopo di prudenza e di sen-
no, e che un animale irragionevole possa mi-
nistrare quest' arte ; ma queste fantastiche
dottrine di cose occulte non risguardano l'og-
getto dell'arte, perocché nulla monta ciò che
cccila la malattia, ma ciò che la cessa ; né im-
porta al proposito nostro «li qual modo si di-
gerisca, ma (nial cibo meglio si digerisce; o se
la concozione si faccia per questo o (pici mez-
zo ; ovvero se sia questa veramente una con-
iCì PREFAZIONE
guis usu discreta bene norit, hunc aliquanto
majorem mediconi futurum, quain si sine usu
linguam suam exeoluerit. Atque ea quidem,
de quibus est dictura, supervacua esse tantum-
modo ; id vero, quod restat, eliatn crudele :
rivorum honiinum alvum atque praecordia
• incidi, et salutis humanae praesidem artera,
non solum peslem alieni, sedhancetiara atro-
eissimam inferre ; cum praesertirn ex iis, quae
tanta violenlia quaerantur, alia non possint
oranino cognosci, alia possint etiam sine sce-
1, re. Nam colorem, laevorem, molliliem, du-
ritiem, similiaque omnia, non esse talia, inci-
so corpore, qualia integro faerint : qua cum,
corporibus inviolati*, haec tamen metu, do-
lore, inedia, eruditale, lassitudine, mille aliis
niediocribus affeclibus saepe mutentur ; inul-
to magia verisimile est, interiora "quibus ma-
jor mollilies, lux ipsa nova gravis sit, sub gra-
vissimis vulneribus, et ipsa trucidatione inu-
t.ui. Ncque quidqumm esse stultius, quam qua-
le quidque vivo homiue est, tale eiistimarc
esse morienle. immo jam mortilo. Nam ule-
run) quidem, qui minai ad rem pertincat, spa-
rante homiue pome didnci: simiilatquc vera
serrani ad praecordia accessit, el discissum
transTertom teptum sii, quod membrana qua*
dam superiores partes ab infcrioribus didu-
rii (Jiàpta-yua Gr.in i rocant) hominem pro-
lànas anima m emittore: ita mortili demnm
praecordia et vi^ :m omne in contpeetnm la-
trorin uiiis medici darì neoeaaeetl tale, quale
mortai sii, non quale > i \ i fruì ; itaque conse-
qui medi, ina ut hominem crudeliler jugulel ;
DonataeSat, qoalii vivi riaoera babeamus. Si
1 1 1 11 • I tamen sii, quod adnnc ipirante hominc
eonapectni subjiciatur, id saepecatumofièrre
enrantibua. Interdum eoim gladialorem in ale-
ni, rei militi in in .i< le, rei \ iatoi « ■ .i lati o-
nibui e» eptttm ic « nmei ai i, ni ejua interior
■liqna pari apei iatur, el in -ili" alii : ita a dem,
positura, ordinerà, figuram, limitiaque alia
prodentem medi* um. non caedem,
aitatemi moli( otem ; idque per miaei i •
< ordiam dia ere, qnod alii dira « rodi libile t o-
gnoverint. Oh haec, ne mortoorura quidem
lacci itiom ni neeei u ian esac : nane, etti non
cozione. o semplicemente una digestione. N«
si vuol investigare di quale maniera noi respi-
riamo ; ma come si può riparare ad un respi-
ro affannoso e difficile ; né come si muovano
le arterie, ma cosa ne indichi il vario loro mo-
vimento. E queste cose chi altri le mostra se
non l1 esperienza ? Ma in tutte queste specula-
zioni v1 è a dire per ogni verso ; per la qua!
cosa addiviene che V acume dell1 ingegno e la
forza del dire prevalgano. Le infermità però
si curano coi rimedi, non già coli1 eloquenza.
Ed altri che conoscesse per pratica questi ri-
medi perfettamente, ancorché mal dotto nel
dire, sarebbe sicuramente migliore medico di
colui ebe senza pratica andasse ornato di
grande eloquenza. Le cose onde sin qui si è
parlato non sono che superflue, ma ciò che
ne viene, è per sopraggiunta crudele : sparare
i vhi uomini squarciando loro e petto e ven-
tre, e Parte della sanitade altrui riguardalri-
ce convertirla in micidiale nimica non solo,
ma in tiranna berissima, tanto più che di
quelle cose che con tanta efferatezza si cerca-
no, altre non si possono in nessun modo co-
noscere, ed altre si possono anche senza atroci-
tà. Poiché il colore, la lassezza, la mollizie, la
durezza, e altre somiglianti cose non sono,
sparato il corpo, quali si furono nello intatto;
perocché se pure inviolati i corpi, si alterano
per lo spavento, dolore, inedia, indigestione,
spossatezza e nulle altri tenui affetti, troppo
più rerisimile c^li é che le viscere dotate di
maggiore delicatezza, e .i cui la stessa luce è
nuo\.i, si mutino SOttO le telile gra\issime. e
lo stesso ti ucid.iMienlo. \è COM più stolta Sa-
riari del credere che i. ili siano le parti orga-
niche Del moribondo, anzi nel ^i.i estinto,
quali sono nel rivo. Il refltre che •• meno ra-
hii.iliilc. sì può eziandio, vivente la persona,
aprire; ma tosto che il ferro tocca i precordi,
e elle taglia quel d I |SC] umeii I o e die .i gUUM di
sipario divide le parti superiori dalle inferiori
( chiamato dai Greci afra/ramata ) I uomo su-
bitamente spirai di tal gotta avviene di ne-
i. ili . In si olii. imi .i-li ocelli del micidi.ilr.
medico i precordi elevieeere nello stato in
coi sono nel morto, non quali furono nel rivtfc
PREFAZIONE
crudeli*, tamen foeda sit ; cum aliter pleraquc
in mortuis se habeant : quantum vero in vi-
vis cognosci potest, ipsa curatio ostendat.
Cum haec per multa volumina, perque
magnae conlenlionis disputationes a medicis
saepe traclala sint atque traclentur ; subji-
ciendum est, quae proxima vero videri pos-
sint. Ea neque addicta altcrutri opinioni sunt,
ncque ah utraque nimium abhorrenlia; media
quodammodo inter diversas sententias : quod
in plurimis conlentionibus deprehendere licet,
sine ambilione verum scrutanlibus, ut in hac
ipsa re. Naro quae demuro caussae, vel secun-
dam valetudinem praestent, vel morbos exci-
tent; quomodo spirilus, aut cibus, vel traha-
tur, vel digeralur, ne sapieniiae quidem pro-
fessores scienlia coinprehendunl, sed conje-
etura persequuntur. Cujus autem rei non est
certa nolilia, ejus opinio certuni reperire re-
medium non potest. Verumque est, ad ipsam
curandi rationem niliil plus conferre, quam
experientiam. Quamquam igitur multa sint,
ad ipsas arles proprie non perlincntia, lameu
cas adjuvant, excilando artificis ingenium ;
ilaque ista quoque nalurae rerum contempla-
tio.quamvis non faciat medicum, aptiorem
tamen medicinae reddit. Verique simile est,
et Hippocrntem, el Erasislratum, el quicumi
que alii, non conienti u Ines el ulcera agitare,
Celso,
Ottiene pertanto di uccidere trucemente un
uomo, non di sapere di qual modo da noi vivi
si abbiano le interiora. Se pure v' ha alcuna
parte che si possa osservare ancora spirante
1' uomo, T accidente lo olire non di rado ai
medicanti. Imperocché talvolta un gladiatore
nell'arena, un soldato in battaglia, od un vian-
dante assalilo dai ladri, rimane sì fattamente
ferito che alcuna interior parte gli limane al-
lo scoperto, ed in altro allra. Così il prudente
medico che si travaglia per la salute, non per
l'eccidio altrui, riconoscerà la sede, la posizio-
ne, l'ordine, la figura ed altrettali cose ; impa-
rando per via d'atti pietosi ciò che altri avi a
torse appreso mercè d' un' orrida immanità.
Per queste ragioni non riconoscono necessario
neppure lo sparare cadaveri, il che ancorché
non crudele, è tuttavia laida cosa, essendo al-
trimenti nei morti il più delle loro parti ; e
quanto si può conoscere nei vivi, la pratica
islessa il fa vedere.
Ora di queste controversie andandone
attorno pieni i volumi, ed essendo state spesso
agitate e agitandosi tuttavia con grande calo-
re dai medici, imporla al proposito nostro il
dichiarare quali cose paiono più vicine al ve-
ro. Non v'ha dubbio essere quelle che non so-
no ligie ne all'una né all'altra dottrina, né
che troppo si discostano dall' una e dall'altra,
ma che si stanno quasi in mezzo alle contrarie
sentenze, mezzo che in molte liti lice tenersi
da quelli i quali a mente libera vanno licer
cando il vero, siccome in questa quislione.
Conciossiachè quali siano infine le cagioni on-
de si mantiene la sanità, e si generano le ma-
lattie; come si faccia il respiro e la digestione,
non si comprende positivamente neppure d:<
quei che professano sapienza, ma le vanno es-
si con jet turando. E di che non si ha cognizio-
ne certa, non si può dalla supposizione di quel-
lo dedurne un sicuro rimedio. Vere però m <
che la pratica più d'ogni altra cosa conferisce
alla cura delle; malattie, ancorché dunque
molle cose non appartengano propriamente
alle stesse; arti, le soccorrono tuttavìa risve-
gliando l'ingegno dell'artista. 11 perchè an-
che lajconteriiplazione della natura, quantun-
3
, 3 P E E f A 7. I 0 N 1.
rerum quoque naturam ex alitila parte scrii- que non costituisca il medico, il renile non
tuta -u..t. non ideo qoidem medicos fuisse, però più atto alla medicina : ed è similissimo
verum ideo quoque majores medicos extitis- al vero che Ippocrate, Erasiatrato e qualsivo-
se. Kalioue vero opus est ipsi medicinae, etsì glia altro, infastiditi di versare ognora fra pia-
nini inler obseuras caussas, ncque inler natu- glie e l'ebbri, si sono in qualche parte ancora
rales actiones, tamen saepe. Est enim haec ars consacrati allo studio della natura, e così non
conjecturalis, ncque respondet ei plerumquc solo furono medici, ma perciò stesso ancora
non solum conjectura, sed etiam expcricntia. medici eccellentissimi. Ma la medicina ricerca
Et intridimi non febris.non cibus, non somnus il ragionamento, sebbene non sopra le oscure
snbsequetur, sicul assuevit. Rarius, sed ali- cagioni, o le naturali azioni, ma in molli e
qii. nido morbus quoque ipse novus est : quem molli incontri. Mentrechè è dessa arte conjet-
non incidere, manifeste falsimi est ; cimi aeta- turale, a cui non corrisponde sovente neppur
te nostra quaedam ex naturalibus partibus L'esperienza, non che la congettura. Talvolta
carne prolapsa et arente, intra paucas horas non viene la febbre, non il sonno, non V ap-
expiraverit ; sic ut nobilissimi medici ncque pelilo siccome portava l'uso. E alcuna Tolta,
eenus mali, ncque remedium invenerint. Quos comechè raramente, la malattia istessa è nuo-
eo niliil tentasse judico.quia nerao in splendida va ; e falso è al tutto che ciò non intervenga ;
persona periclitarì conjectura sua voluerit; ne essendo ai nostri tempi spirala una donna m-
.,( cidisse, nisi servasset. videretur : veri tamen fra poche ore, alla quale uscita delle parli na-
simfle est, potoiate aliquid cogitine, detraete turali carne arida tanto che rinomatissimi me-
lali vi recundia, et fortasse responsurum fuisse dici non potettero scoprire nò il male né il ri-
i«|. quod aliquis t'^set expertut. Ad quod medi- medio, lo però estimo che non abbiano tentar
cinae genus, ncque semper similitudo aliquid lo nulla per non avere niuno voluto mettere
conferì ; el si quando conferì, tamen id ìpsum ;t cimento la propria fama in persona di allo
rationale est,intermulta similia genera etmor- affare, ond' e' non paresse sé averla uccisa
Immuni, ti reme. li- .rum. © gitare, quo polissi- qualora non l'avesse salva; ma verisimile è
munì raedicamentum sit utendum. Cam igitur che si sarebbe potuto ( cacciato via simile ri-
talis res incidit, medicus aliquid oportel in- spetto) ideare alcuna medicatura, e forse a-
rCniat,quod non ubique fortasse, ted saepiui vrebbe corrisposto ciò che qualcuno afesse
tamen edam respondeat Petet autem novnm messo alla prova. Alla quale medica dottrina
quoque consttium, non ab rebus latentibui neppure sempre vi eonferieoe le somiglianza,
, imn dubiae el incertae soni), sed ..1. us, <• posto che \i conferisca, quel pensare istcsso
,,,,.„. esplorar] possunt, id est, evidentibus a quale rimedio debbasi principalmente rioor-
cautsis, Interesl enim. fatigatio morbum, an pere in meno e tanti rassomiglienti mali e ri-
riti^ .,,, frigna, an i ilor, an rigili -■ an hmes medi, è esso medesimo uni;, faccenda di resio»
■ ,,, dbl finique abundantia, an ime..:- cinio.Ogiri quel voli., adunque accada .... ce*
perantia libidinia. Keque ignorare lune- opor- so tak si conviene die il medie ritrovi alcun
,((. quae ri! aegri natura: hnmidnm magia, rimedio, che ac sempre, le più nate pero
ralidi nervi, an ri corrisponda. Riceverà poi [a novella indica-
1:ifÌ!lni< hi .,„„. , k. , , v, i,i. .do. ,n ...- sione curative non da cose Utenti, lequalidi
,,,,,. com* '. rehemens esse soleat, loreimturedoi>bteiMioeiiicerte,madaquet
Rnlevis;bi bngai quod iavitae re le che si p no indagare, intendo dalle cee>
.„,„. an quietum; cura ic evidenti. Imperò molto rileva il sapereao
I,IX1I. m cura frugalitate. El lo- ....... si- la malattia la genero la fatica, o la sete, il fred-
mUibuequi indi d >va i ilio duoen do o il i dorè, la \> glia, la Dune o I ecceeaodel
I Q risnehaecquidc pvaeteriri mangiare e del bere, o la sfrenata tenere Si
■ .,„ ,„ nullam i ontrov< i lem re* ipiani deve sapere inoltre !.. eomnkirione del malato)
v n e r \
Nam et Erasislratus non ex bis fieri raorbos
dixit ; quoniam et alii, et iidem alia post ista
non febricitarent : et quidam medici seculi
nostri, sub auctore, ut ipsi videri volimi, The-
misone, eontendunt, nullius causae notitiam
quidquam ad curationes pertinere, satisque
esse, quaedam communia morborum intueri.
Siquidem horum tria genera esse, unum ad-
striclum, allerumfluens, lerlium mixtum. Nam
modo parum excernere aegros, modo nimium ;
modo alia parte parum, alia nimium. Haec au-
tem genera morborum, modo acuta esse, mo-
do longa ; et modo increscere, modo con-
sistere, modo minui. Cognito igitur eo, quod
ex bis est, si corpus adstrictum est, digeren-
dum esse ; si profluvio laboral, continendum ;
si mixtum vitium habet, occurrendum subin-
de vehementiori malo. Et ali ter aculis morbis
medendum, aliter vetustis ; aliter increscenti-
bus, ali ter subsislentibus, aliter jam ad sani-
tà tem inclinatis. Horum observationem medi-
cinam esse : quam ita finiunt, ut quasi viam
quamdam, quam ijlÌQoSov Graeci nominant,
eorumque, quae in morbis communia sunt,
con tempia tricem esse contendant. Ac neque
ralionalibus se, neque experimenta tantum
speclantibus adnumerari volunt: cum ab illis
eo nomine dissentianl, quod in conjeclura re-
rum latenjium noluntesse medicinam: ab his
eo, quod parum arlis esse in observatione ex-
perimcnlorum credunt. Quod ad Erasistratum
perline!, primum ipsu evidentia ejus opinioni
repugnat; quia raro, nisi post horum aliquid,
morbus venit. Deinde non sequilur, ut, quod
alium non afficit, aut eumdem alias, id ne al-
teri quidem, aut eidem tempore alio noceat.
Possunt enim quaedam subesse corpori, vel
ex infirmi tate ejus, vel ex aliquo affectu, quae
vel in alio non sunt, vel in hoc alius non fue-
runt, .eaque per se non tanta, ut concilent
mori. uni, lamcn obnoxium magis aliis injuriis
corpus efficiant. Quod si contemplationem re-
rum oaturae, quam temere medici sibi vindi-
cauL, satis comprehendisset, etiam illud scis-
let, mini omniuo ob unam caussam fieri, sci i<!
prò < ;ni^s;t apprehendi, quod contulisse pluri-
mum yidelur. Potesl autem id, duna solum
Z I O N E I q
se il suo corpo è più secco che umido ; se tor-
te o debole; se spesse volte ammalalo ; e se le
sue malattie sogliono essere miti o gravi, bre-
vi o lunghe; quale vita abbia menata laborio-
sa o quieta, lauta o frugale ; da queste ed altre
somiglianti cose bisogna spesse fiate cavare u-
n a nuova indicazione curativa. Ma né pur que-
ste si vogliono risguardare come tali da non
dare luogo a nessuna dubbiezza. Perchè an-
che Erasistrato opinò non ingenerarsi la in-
fermità daniuna di queste cose, mentre gli al-
tri e i medesimi non andrebbero dopo questo
incontro alla malatlia. E certi medici del tem-
po nostro dietro a Temisone, siccom^essi fanno
credere, sostengono che la cognizione della
cagione non rileva punto alla medicina, e che
basta mirare nella malattia a certi accidenti
comuni. E questi gli riducono a tre, allo stret-
to, al lasso, al misto. Perocché i maiali ora po-
co, ora troppo secernono ; ora poco da una
parte, ora troppo dall1 altra. Queste malattie
poi quando sono corte, quando lunghe; quan-
do crescono, quando decrescono, quando fanno
sosta. Conosciuto adunque a quale di queste
classi appartenga, se il corpo è stretto, si con-
vien rilasciarlo ; se rilasciato, astringerlo ; se
patisce entrambi i vizi, provvedere di mano in
mano al male più gagliardo. Di un modo si
curano i mali acuti, d'un altro i lunghi; d'un
altro i crescenti; d1 un altro gli stazionari;
d'un altro infine i già declinanti. La conside-
razione di queste cose costituisce la loro me-
dicina, la quale viene definita certa quale re-
gola, detta grecamente metodo, cui vogliono
osservatrice di quelle cose che sono comuni
nelle malattie. Essi rifiutano e d1 essere anno-
verati tra i razionali, e tra gli empirici ; da
quelli discordano, perciocché non vogliono
che la medicina consista nella speculazione di
oggetti reconditi ; da questi perché ritengono
esservi poca arte nella osservazione pratica.
L'opinione poi d1 Erasistrato é troppo aper-
tamente erronea, perocché raramente insor-
gono, se non appresso qualcuna di queste co-
se, le malattie. Non ne seguila quindi che ciò
che non opera sopra Aduno, o sopra il mede-
simo individuo allra volta, non nuoca ad un
rnt r a | i o n e
, i. non movere, quod junctum slìis maxime altro, od allo stesso in altro tempo. Può avere
movet. Accedi! <u\ haec quod ih- ipse quidem un corpo sofferto certi cangiamenti o per de-
Erasistratus, qui transfusos in arlerias sangui- bolezza, o per alcuna indisposizione che un
ne febrem fieri ilici t, idqne trimis lepido cor- altro, o queir istesso in altro tempo non ebbe,
pure incidere, reperii, eur ex duobus aeque né questi sì forti da eccitare una malattia, suf-
repletis, alter in morbum inciderei, alter omni fidenti però a rendere la persona più atta a
periculo vacarci; qnod quotidie tieii appa- risentire l1 azione delle cose nocive. Che se e-
rel.Lx quo disci polesl, ut vera sii illa trans- gli fosse stalo bastantemente versato nella
fusio, tamen illam non per se cmn plenum scienza della natura, la cui contemplazione a
corpus ol fieri, sed coni borimi àfiquid acces- sé appropriano giustamente i medici, non a-
jfcrit, v rebbe ignorato nulla farsi per una sola cagio-
ne, ma prendersi per cagione ciò che v'ebbe
precipua parte. Ed avviene che una cosa sola
non muova, ma sì muovi allorché si congiu-
gne ad altre. Oltre alle quali cose lo slesso E-
rasistrato che sostenne provocarsi la febbre
per la trasfusione del sangue nelle arterie, il
che, secondo lui, interviene, allorché trovasi il
còrpo soverchiamente ripieno, non seppe Spie-
gare come di due corpi egualmente ripieni,
Fano infermi, l' altro vada scevro da ogni pe-
ricolo ; la qua! cosa si osserva giornalmente
accadere. Dal che s'impara, posto che vera sia
quella trasfusione, non succedere questa di
per sé, quando il corpo sia pieno, ma quando
vi cospira qualcuna delle altre cagioni.
1 In ■mivinis vero acniuli. si perpetua, I seguaci poi di Temisone, se stanno saldi
promittunt, habent, magisétiara, qnam ne' prrncipj che professano, sono ancora più
ulli, rationales sunt. Ncque stoini, >i quia non razionali degli altri. Se mai qualcuuo non ab-
omnii tenet, quae ralionalis aiins proba L, prò- braccia tutte queste massime che siegue altro
tinus alio novo nomine artis indiget ; limo- medico razionale, non pei questo si dovrà
■ I ». qu "I pi innini esi. non memoi iae ioli, led contrassegnarlo tosto con un nuovo vocabolo
« ili- mi quoque àusistiL Sin, qnod vera prò- d* arte; quando (cosa principalissima), e1 non
i.\i\ ull.i perpetua praeoepU medici- si affidi alla sola memoria, ma ;il raziocinio
nalii ii i i r. i[.ii. idem sunt, qnod ii. quoi ex- ancora. Che se poi ( cosa che più s* appressa al
|.< rimenta sola roatiaenl : eo magia, «pioni. un V(Tn ) |a medicina non ammette assolutamen-
il aliquem morbus, an fu !< rit, qui- te principj stabili e generali, essi sono pari a
musvidet: quid autem quelli coi la sola iperienza 'scorge, tanto più
compri i uni corpus resolva i, quid solutum te- che qualsivoglia, ancorché al lutto imperito,
ratione tracium est, ràtionalis esl può rio icere se il male è di costrizione) o
i ul < i. <|<n te ra lionate in negat, di rilascia lezza. Se poi ciò che capace è di ri-
tmai exp rii ilta, empiricus. lasciare un corpo indurito, o di ristrìgnerlo se
■ l 'imi m i i . .11 h ni. m- - rilasciato,' è ricavato dalla teorica, razionale è
iliciua intra usum i quid il medico: te dall' esperienza, empirico; sic
m come di necessità i iconosccre devesi chi niega
: i bussi circumspiciunt , hi d'essere razionale. Di lai modo il conoscimen
' ..l'in, i , illims ' : non phi ni ira \ pel metodico < osa tutta
PREFAZIONE
Nani et ii, qui pecoribus ac jumentis meden-
tur, cum propria cujasque ex mulis animali-
bus nosse non possint, communibus tantum-
modo insistunt : el exterae genles, cum subti-
em medicinae rationem non noverili t, com-
munia tantum videnl : et qui ampia valetudi-
naria nutriunt, quia singulis suraraa cura con-
sulere non sustinent, ad communia ista con-
fugiunt. Neque, hercules, istud antiqui medi-
dici nescierunt, sed his contenti non fuerunt.
Ergo autem vetustissimus auctor Hippocrales
dixit, mederi oportere, et communia, et pro-
pria intuentem. Ac ne isti quidem ipsi intra
suam professionem consistere ullo modo pos-
sunt : siquidem et compressorum et fluentium
morborum genera diversa sunt; faciliusque
id in iis, quae fluunt, inspici potest. Aliud est
enim sanguinem , aliud bilem , aliud cibum
vomere ; aliud dejectionibus, aliud tormini-
bus, laborare ; aliud sudore digeri, aliud tabe
consumi. Atque in partes quoque liumor e-
rumpit , ut oculos , auresque ; quo pericu-
lo nullum humanum membrum vacat. Nihil
autem horum sic ut aliud cura tur. Ita proti-
nus in his a communi fluenlis morbi con-
templatione ad propriam medicina descendit.
Atque in hac quoque rursus alia proprie latis
nolitia saepe necessaria est ; quia non eadem
omnibus, etiam in similibus casibus, opilulan-
tur. Siquidem cerlae quaedam res sunt, quae
in pluribus ventrem aut adstringunt, aut re-
solvunt : inveniuntur tamen, in quibus aliler
atque in ceteris, idem eveniat. In his ergo
communium inspectio contraria est, proprio-
rum tantum salutari*. Et caussae quoque aesti-
matio saepe morbum solvit. Ergo etiam inge-
niosissimus seculi nostri medicus, quem nu-
per vidimus, Cassius, febricitanti cuidam, et
magna siti affecto, cum post ebrietà tem eum
premi coepisse cognosset, aquam frigidam in-
gessi*. Qua illa epola, cum vini vini nascen-
do fregisset, protinus febrem somno et sudo-
re discussit. Quodauxilium medicus opportu-
ne providit, non ex eo, quod aut adsli iclum
corpus erat, aut fluebal ; sed ex caussa, quae
ante praecesseral. Eslque eliani proprium ;ili-
qni.l d loci el tempori!, i.siis quoque aucto-
speculativa, il medicare poi tutta pratica e
sperimentale. Né cosa niuna aggiugnesi per
lui alle massime degli empirici, ma ne viene
tolta : perocché questi a molte cose vanno ri-
guardando, i metodici solo le più facili, e non
più oltre delle volgari. Coloro pure che cura-
no gli armenti e le bestie, non potendo da mu-
ti animali conoscere le proprie di ciascuno, si
limitano a considerare le comuni; e le stranie
genti non possedendo una raffinata dottrina,
soltanto scorgono le comuni : e quei che han-
no un gran numero di malati, poiché non gli
è conceduto di vegliare a ciascun infermo con
quella esattezza estrema che si richiede, rifug-
gono a queste generalità. Né questo precetto
ignorarono glj antichi medici, ma a queste co-
se non ristrinsero le vedute loro. Quindi an-
che F antichissimo Ippocrate insegnò doversi
da chi medica valutare e le cose comuni e le
proprie ancora. Ma né i metodici pure posso-
no star saldi ognora nei loro principi, mentre
diverse sono le malattie di costrizione e di ri-
lasciamento ; e più facilmente si può ricono-
scerne il carattere in quelle di quest1 ultima
qualità. Perocché altra cosa è vomitare san-
gue, altra bile, altra cibo ; altra é patire flusso
di ventre, altra dolori ; altro stemprarsi in su-
dore ; altro consumarsi in tabe. Oltre di che
anche gli umori fanno impeto in alcuna parte,
come negli occhi o negli orecchi, dal che non
ne va immune nessun membro del corpo.
Ninna di queste affezioni si cura, come si cu-
rerebbe un"1 altra, dal che ne seguita che la
medicina in queste malattie, lasciata la comu-
ne contemplazione di un male di rilascialez/a,
trapassa ad una propria. Ma in questa un'al-
tra cognizione propria è sovente necessaria,
ed é che non a tutti eziandio in simili casi gio-
vano le medesime cose ; v1 ha, per allo d'esem-
pio, certe sostanze, le quali nelle più persone o
costipano, o sciolgono il ventre : si ritrovanti
ciò nonostante individui nei quali questo al-
trimenti avviene di quel che avvenga in altri.
In queste adunque la considerazione delle co-
muni é contrari;!, utile soltanto V ispezione
delle proprie. E talvolta la giusta valutazione
della causa sciolse la malattia. Così Cassio, me-
r n F. F A Z I 0 N E
ribos : qui cum disputant, quemadmodum
sauia hominibus agcudum sit, praecipiunt ut
gravibns aut locis aut temporibus magia vite-
tur frigna, aestus, satietas, labor, libido ; ma-
giaque ut conquieseat iisdem locis aut tempo-
ribus, si quis gravitatelo corporis sentit ; ac
neque vomilu stomacbum, neque purgatone
al v UDO sollicitct. Quae vera quidem sunt, a
communibus tamen ad quaedam propria de-
scendnnL Nìsi persuadere nobis volunt, sanis
quidem considerandum esse, quod coelum,
(juo.l tempus anni vii : aegrisyero non esse:
qnibua tanto magia omnia obserTatio necessa-
i i.i est, qauanto magia obnoxia ofienaia infirmi -
t.i> est Quia etiam morborum id iisdem homi-
nibus aliae atqne aliae proprietatea sunt; et
qui aecundia aliquando frustra curatua est,
contrarila saepe restituitili-. Plurimaque in
dando cibo discrimina reperiuntur : e\ quibus
con leni us uno ero. Nani fa meni facilius ado-
losccns, quam puer ; facilius in denso coelo,
«inani io tenni ; facilius lucine, quam aeatate ;
facilina nno cibo, qnam prandio quoque as-
auetua; facilina inexerci tatua, quam exercita-
tua homo mstinet Saepe autem in co magia
necessaria cibi featinatio est, qui minus ine-
diara tolerat ( M> quae conjicio, eum, qui pro-
pria non novit, communia tantum intueri de-
bere : • - 1 1 1 1 1 • { i ■ • -. qui noaae propria poteat, illa
quidem non oportere negligere, sed liis quo-
que Lnaittere. [deocjue, cnm per acientia sit,
Qtiliorem tamen medicum eaae amicum, quam
extranenm. Igitur, ni ad propotitnm menm
i, rationalem quidem puto medicina m
:. bei e : inatrui rero al> < \ identibna caus-
iia ; obtcnria omnibna, non .1 cogitali ì ar-
hih 1 . ed ib ipsa arte rejectia, Incida «• au-
t, mi \ ÌTornm corpoi a. et crudele, el inpen a-
< unni est : mortuorum . diacentibna neceaaa-
1 nini. Vini positura el 01 dinera nosse debenl :
qoac cadaveri un lius. qnam vivusel rulnera-
1 1 1 ^ homo, 1 epi acsentant Sed el 1 etera, quae
modo in \ ivi 1 ("issimi, in i|^is cu-
rationibti - 1 nlneratorum paulo tarditi I
aliquanto mitius nana ipae monslrabit. Ile>
pi opo ili . pi inmiii <lii .un. qui ma Imodnra
sanos ng< 1 • . ,n\. ni ti : tura nd « a trnnsiho,
dico valentissimo dei nostri dì, da noi non ha
gran tempo veduto, fece avvallare di molta
acqua fredda ad un febbricitante assetato ;
dappoiché conobbe essergli sopraggiunte il
male in seguito alla ubbriaehezza. E bevuta
che la ebbe col diluire che fece il vino, la feb-
bre si dileguò con sonno e con sudore. Que-
sto soccorso non lo argomentò opportuno
dalla costrizione, o dal rilasciamento del corpo,
ana dalla cagione che ne era preceduta. V1 ha
in questi autori pure alcuna considerazione
propria pel tempo e pel luogo, mentre trat-
tando del modo onde si vogliono governare i
sani, prescrivono doversi evitare ne1 luoghi e
tempi malsani il freddo, il caldo, la sazietà, la
fatica e la libidine ; e che in que1 tempi e luo-
ghi, più tempo riposi chi risente alcuna indi-
sposizione di corpo, e si astenga dal vomito e
dalla purga. Questi' ammonizioni sono in vero
giustissime : dalle comuni però scendono alla
considerazione di alcune proprie, se puri; non
vogliono darsi ad intendere doversi dai sani
por mente al cielo ed alla stagione, e non dagli
infermi, ai quali tanto più necessaria è una di-
ligente osservanza, quanto più lo slato morbi-
no© espone ' uomo a risentir ogni ofiè&B. Sen-
za che varj e disparati sono i caratteri delle
malattie; e alcuno che fu curato infruttuosa-
mente co1 più convenienti rimedi, spessamente
risana cogli oppoaiti. Molte differenze pure
B'incontrano nel ministrare gli alimenti; tra le
quali mi contenterò di una sola. Più «li leggie-
ri aoatiene la lame un giovane che un fanciul-
lo, più ni aria mossa che in sodile, più di ver-
no che di siale, pio chi «• uaato ad un pasto che
chi a due. più la peraona inesercitata « l>« la e-
Bercitela. Quindi più sollecita ai conviene l'arar
ministratione del mangiare a chi men lolle**
l'inedia. Per le quali cose io penso che chi non
conobbe le propi ie, doi rà considerare almeno
I,. ,,, n, uni. e i hi potè conoscere le proprie non
dovrà tra» tirar quelle, ma L'occhio recare an-
, he a queste. E per< io 1 parità di sapere, mi-
gliore i deve i itenere il medico amico che l e-
ilraneo. adunque per ritornare al nostro pro-
posito, giudico che la medicina debba eaaere
bba prender lume dalle ca-
P R E F AZ I O N E 23
quae ad morbos curationesque eorum perline- gioni evidenti; tutte rigettate le oscure non
dalla mente dell'artista, ma dall'arte. Super-
flua poi e crudele cosa incidere i corpi dei vi-
vi ; dei morti necessario agi1 imparanti. Deb-
bano essi conoscere la posizione e l'ordine
delle parti ; cose che meglio ci si rappresenta-
no dai cadaveri che non dall' uomo vivo e fe-
rito. Le altre poi che pur nei vivi si possono
conoscere, le mostrerà la pratica nella cura
istessa dei feriti, un poco più tardi invero, ma
in modo alquanto più umano. Premesse que-
ste nozioni dirò primamente come si devo-
no regolare i sani, di poi passerò a quelle co-
se che risguardano le infermità e loro cura.
«$*©»©«©#■
'LIBEIl PR1MUS
— *&$<C**#|.—
CAI».
— Quemadmodum sanos agere
conveniat.
Gap.
— Metodo di vita de» li uomini
robusti.
Sanus homo, qui et bene valet, et suae
spontis est, nullis obligare se legibus debet ;
■e neque iatralipta egere. liunc oporiet va-
riuni habere vilac genus ; modo ruri esse, mo-
do in urbe, saepiusque in agro ; navigare, ve-
li, ni. quiescere interdum, sed frequentala se
exercere : siquidem ignavia corpus hebetat,
labor firmai ; illa maturam seneetutem, lue
longam adolesoenliam reddit Prodesl etiam
interdum balneo, interdnm aquia frigidi* mi;
modo un lii. modo id ipsnm negligere; nul-
lum cibi genus fugere, quo populus ulalur;
interdnm in convictu esse, interdum ab eo se
1 tir. there ; modo plus justo, modo non am-
plini assumere ; bis die potius qnam semel ci-
l)Uin capere, et semper (piani plurimuni, duiu-
mo io lume concoquat. Sed ut hujus generis
exercitaiiones cibique necessari] sunl ; sic a-
tldei'ni snpervacui. Nam et intermissns pro-
pter csTÌlea aliquas necessitates ordo exercita-
lionii corpus amigit; et ea corpora, quae mo-
ri eorum repleta, sun! celerrimc el senescunt,
et aegrotant.
De Concubiti*.
Concubilui v.ro ne. pie nimia coneupi-
icendna, ncque nimk pertimescendus csi : r.i-
rus, corpus < \< ii. it ; frequent, solvit. làmi ,m-
iciii frequens non numero sii, sed natura, ra-
lione aetatii el oorporis, nàn licei, eum non
inutìlem esse, quem corporis neque langnor
neque dolor sequitur. Idem interòiu pejoi i si.
lutioi noi in : il.* i. uni ii. ii ncque illum cibus,
neque hunc curo vigilia laboi statini sequitur.
Il.i. i in rnis servanosi suul ; cavendumquei ne
ni eeunda valetudine adversa< praesidia con-
QtUI
L1 uomo sano e libero di se, non si deve
assoggettare a regola veruna, né servirsi del
medico, né dell1 alipta (i). Convien che tenga
questo varialo tenor di vita : essere ora in
villa, ora in città, ma più spesso alla campa-
gna : navigare, cacciare, stare alcuna volta in
riposo, ma più spesso esercitarsi, perocché l'i-
nerzia rilascia il corpo, la fatica il rinforza :
quella accelera la vecchiaja, questa prolunga
la giovanezza. Giova pigliare ora bagni caldi,
ora freddi : ora ugnersi, ora no : non essere
alieno da qualsivoglia cibo di comune uso tra
il popolo : (piando sedersi ai banchetti, quan-
do ischivarli ; quando cibarsi più, quando non
più del convenevole ; mangiare due volte al dì
piuttosto che una, e sempre in copia, purché
si digerisca. Questa maniera di esercilainento
e <il»o quanto è giovevole, altrettanto perico-
losa e quella degli atleti. Perocché rotto pel-
le bisogne civili L'ordine degli esercizii, il cor-
po in patisce, e quelli che alfuso loro sono nu-
tricati e presto invecchiano, e di leggieri in-
fermano.
Commercio con donne.
Il concubilo poi non devesì ne sover-
chio cercare, ne soverchio temere : rado inci-
ta il corpo, frequente il rilascia. Ha la fre-
quenza non dovendosi misurarcela] numero,
ma si d.dla n. ilui. i e ragione dell'età e del
corpo, si può arguire non essere dannoso
quello che non e seguito ne da dolore né da
spossatezza. Parimenti più cattivo e di di, mi-
gliore di notte : Salvo per alleo se dopo quello
si prenda alcun ristoro, e dopo questo si semi-
si i.i veglia < l.i fatica. Queste cose voglionsi
.. i \ ire d.n sani, e guardarsi dall' osare in sa-
nità i presidi riserbati conila le malattie.
I m sub le malattia i on fri
-ioni, un/i"ii
,1 .Il
Itili COS4 < •!« i ih
DDLLA MEDICINA
gap. ii. — Quae imbeciìlis servando, sint. Cap. il.
25
Precauzioni che usar devono
le persone dilicate.
At imbeciìlis (quo in numero magna pars
urbanorum, omnesque pene cupidi litlerarum
sunl) observatio major necessaria est : ut quod
vel corporis, vel loci, vel studii ratio detraili!.,
cura restituat. Ex bis igitur, qui bene con-
coxit, mane tnto surget ; qui parum, quicsce-
re debet, et, si mane surgendi necessilas fue-
ril, redormire : qui non concoxit, ex loto con-
quiescere, ac neque labori se, neque exereita-
tioni, neque nego ti is credere. Qui erudirai sine
praecordiorum dolore ructat, is ex intervallo
aquam l'rigidam bibere, et se iiihilominus con-
tinere. Habitare vero editicio lucido, perfla-
tum aestivum, bibernum soìem babenle ; ca-
vere meridianum solem, matulinimi et vesper-
tinum iVigns ; itemque auras fluminum atque
slagnorum : minimeque, nubilo coelo, soli a-
perienti se committere, ne modo frigus, modo
calor moveat: quae res maxime gravedines de-
stillationesque concitai. Magis vero gravibus
locis ista serranda sunt, in quibus etiara pesti-
lentiam faci un t. Scire aule ni licct integrimi
corpus esse, cum quo lidie mane urina alba,
dein rida est : illud concoquere, boc concoxis-
se significai. Ubi experrectus est aliquis, pau-
lum intermillere : deinde, nisi biems est, fo-
dere os multa aqua frigida debet. Longis die-
bus meridiari potius ante cibimi ; sin minus,
posi eum : per hiemem potissimum totis no-
clibus conquiescere. Sin lucnbrandum est, non
post cibum id facere, sed post concoctionem.
Quelli interdiu vel domestica, vel civilia offi-
cia lenuerunt, buie lempus alicpiod servan-
dum curalioni corporis sui est. Prima aulem
ejus cura li o esercita tio est, quae semper ante-
cedere cibum debel : in co qui minus labora-
vit et bene concoxit, amplior ; in eo, qui la Li—
gatus est, et minus concoxit, remissior. Com-
mode vero exercent, clara lectio, arma, pila,
cursus, ambula tio : atcpie haec non ulique
jilaua , commodior est; si quidem melius
ascensus quoque et descensus, cum quadam
varie tate corpus moveat, nisi tamen id per-
quam imbecillirai est. Melior autezn est sub
divo, qu;iin in porticu ; melior, si capul pati-
tur, in sole, quam in umbra : melior in um-
bra, quam parietes aut viridia efficiunt. quam
quae tecto subest, melior ree la, (pumi fiexuo-
•a. Exercitalionis autem plerumque finis esse
debet sudor. ani certe Lassitudo quae citta
fatigationera sii : ìdque ìpsum, modo minus,
modo magis faciendum est. Ae ne bis quidem,
athletarum exemplo, vel certa esse lex, vel im-
modicus labor debet'. Exercitalionem recte
sequitur. modo unctio, vel in sole, vel ad
i'_MK in ; modo balneum, sed conclavi quam
maxime el alto el lucido ci spalioso. l'.\ bis
neutrum semper litri oporlel ; sed ae
Celso.
Ma ai deboli ( i quali sogliono essere per
lo più gli abitatori della città e gli amatori
delle lettere ) si richiede attenzione maggiore,
affinchè ridoni loro la cura ciò che gli tolse la
circostanza del corpo, del luogo e dello stu-
dio. Adunque quando alcuno di questi digerì
bene, a suo prò si leverà di buon mattino :
chi digerì poco, deve riposare, e se fu astretto
a levarsi per tempo, tornare a dormire : chi
non digerì, riposare interamente, né darsi al
lavoro, agli esercizi, agli affari. Chi ha rutti
per crudezza senza dolor dei precordi, bere a
riprese acqua fresca, e starsene tuttavia in ri-
poso. Alloggiare poi in casa chiara, ventilala
di state, soleggiala di verno ; schifare il sole
del meriggio, il fresco della mattina e della se-
ra ; e del pari le arie dei fiumi e degli slagni :
ed a cielo nuvoloso non esporsi alle spere del
sole, onde non si desti ora caldo, ora freddo,
cosa che più d' ogn' altra eccita raffreddori e
flussioni. Queste regole si devono maggiormen-
te osservare nei luoghi insalubri, nei quali in-
sorge anche la peste. Bisogna poi sapere che
si è sani, allorché V orina ogni dì al mattino è
bianca, poi rossastra : la prima indica farsi, la
seconda essersi fatta la digestione. Quando al-
tri è svegliato, soprastia alquanto : poscia se
non è di verno deve sciacquarsi la bocca con
molla acqua fresca. Ai lunghi dì fare la meri-
diana piuttosto prima di mangiare, se no, do-
po ; durante il verno più che in altra stagione
riposare le notti intere. E se mai si deve appli-
care, non farlo dopo il mangiare, ma fatta la
digestione. Chi fra il dì è occupalo in civili e
domestiche faccende, dovrà riservare alcuno
spazio di tempo alla cura del suo corpo. E
questa sta principalmente nell'esercizio che
vuoisi fare innanzi pranzo : più forte da chi
men lavorò e ben digerì, e più rimesso da chi
è stanco, e mal digerì. Utili esereizii sono il
declamare, l'armeggiare, il giuocare alla pal-
la, la corsa, il passeggio : e questo è bene che
non sia piano, perocché nell' ascendere e di-
scendere si agita piacevolmente il corpo, ove
però non sia di troppo debole. Meglio poi a
ciclo aperto che sotto -por tico : meglio se il ca-
po il comporta, al sole che all' ombra ; meglio
all'ombra di un muro o di piante che a quel*
10 di un tetto ; meglio rei lo clic non tortuoso.
11 sudore, od almeno eerta lassezza che non
giunga allo Spossamento, deve essere il termine
dell' esercizio: e si vuol anche in questo varia-
re facendone ora più, ora meno. Ma nò pur di
queste cose sull'esempio degli atleti ce ne fa-
lcino una legge fissa, od una fatica in sopporta
bile. All'esercizio si fa utilmente succedere o-
ra l'unzione al sole, od al fuoco : ora il bagno,
ma in iin.i stanza ben alla, chiara ed ampia
CELSO
jtius allerutriim prò corporis natura. Post
naec paulum conquiescere opus est. Ubi ad
cibum ventus est, numquam atilis est nimia
satielas ; saepe inutiiis minia abstiuentia : si
<jiia intemperaatia subest, lutior in potione,
*mi. un in esca. < -il »us a salsamentis, oleribus,
similibusque rebas melius incipit : timi caro
assuineuda est, quaeassaoptima, aul elixaest.
Coadita omnia duabus de causis inutilia sunt;
quooiam el plus propter dulcediuem assumi-
lur. el quod modo par est, (amen aegrius con-
cr. Secunda mensa bono stomacbo ni-
bil nocet, m i 1 1 1 1 >t« ilio coacessiU Si quis ita-
que hoc parimi valet, palinulas, pomaque, et
similia melius primo cibo assumit. l'osi mul-
tas potiones, quae aliquantum sitim excesse-
runt. ti il 1 1 1 edendum est: posi satielatem, m-
ndum. i bi ex pietas esl aliquis, (acilius
;nii. si quidqoid assumpsit, potione a-
frigìdae includit, tum paulisper invi-
gilai, deiade bene dormii. Si quis iaterdia se
implevit, posi cibum oeqae (rigori, ncque ae-
stui, neque labori se debet committere : ne-
qneenim tam beile baec inani corpore, quara
repleto nocent. Si quibus de causis In ima ine-
dia est, labor oinnis vitandus esl.
Non v'è bisogne di far sempre queste due co-
se, ma spesso alternare siccome più richiede
r indole del corpo. Dopo queste si vuole star
un poco in riposo. E venendo al mangiare,
utile non è mai una ripienezza soverchia :
dannosa spesso un1 eccessiva astinenza : e se
mai s'incorre nella intemperanza, questa men
pericolosa è nel bere che nel mangiare. Si loda
cominciare il pasto dai salumi, erbaggi e simili
cose: si passa alla carne che è buona si alles-
sata che arrostita. Le vivande condite sono
pericolose per «ine ragioni; e perché essendo
appetitose se ne mangia di più, e quando pu-
re se ne mangi misuratamente, si smaltiscono
male. 11 pospasto non offende uno stomaco
t'oiic, ma in un debile s'inacidisce. Se vi sarà
imperiamo chi lo abbia debole, meglio farà
prendere a principio dattili, trulla e simiglian-
ti cose. Dopo aver bevuto piò che non richie-
derà la sete, non si deve mangiare; e dopo una
salollan/.a, slare senza far nulla, k quando si è
soddisfalli del cibo, si digerisce questo facil-
mente soprabbevendovi acqua fresca, poi mi
pocolino vegliando, ultimamente dormendo a
grand1 agio. Chi fra il giorno mangiò molto,
non deve dopo esporsi, uè a freddo, né a caldo,
ne a fatiche: queste cose non sì facilmente
nuoeono al corpo voto come al pieno. Se si
debba per qualsivoglia cagione digiunare con-
vien ristaisi da Ogni fatica.
c\iv in. — Observationes qnnednm, prout C.w\ in. — dicane precauzioni relative a
rei novae incidunt, et corporum genera, nuovi uccidenti, a/le differenze dì te/n-
gt sexus% ci aetaitSf et tempora anni sunt. peramento sesso, età, e stagioni del-
l' anno.
Atqu u 1' ice quidem paene perpetua sint.
Quasdam autem observauones desideranl et
Dovae m genera, el sexus, el
el tempoi un neque ex salu-
mi, ncque ei 0 ra v i in salu-
brem trausitus salii tntus est. i.\ salubri in
I i . i.i bieme. ex gì ai i in «mn. qui
■ '■ 1 1 ansire melius est.
■ . me nimi a sali, ii
■ ti idonea <■ I : peri-
i >. in. I. el qui bis die cibum
i onsuetudinera .
mit. i lubitum <>-
olio siil.iiiis labor. sine
lira qnis inni. in- aliquid
1 hnném
la boi em I l pucr vel -«••!«• \ .
su itinet. A tque ideo
quoque nini ilii non esl : quia
potei! ii quando
' os aliquis laboi a \ il. BUI y\ limilo
pili qi: un i] I ue> il. buie
jejunu lum i
» - 1 1 . * ri a OS .ohm uni ol. \ . I ... i il i * t ' i - . • il filli
••■ u b itm fai
Tutti questi sono precetti «piasi generali.
Ala celie nuove incidenze ed il temperamento
delle persone, il sesso. Tela e la stagione ri-
cercano alcune particolari osservanze. None
a fidarsi passare da InOgO salubre al malsano,
ne da malsano al salubre. Meglio è trasferirsi
dal salubre alf insalubre al principio di pri-
mavera ; e dal malsano a quello che è sano al-
1* entrare della state. .Né dopo lungo digiuno
buona è una simulala pienezza, ne un gran
ian dopo eccessiva lame, arrischia an-
che «Ili eonira I' uso temperatameli le mangia
una 0 due volte il di. Ne meli si può altri im-
punemente pittare d'un tratto ali1 inerzia do-
ra faticare; né da grand1 inerzia ad una
vita laboriosissima. Volendo adunque alni
cambiari) tenore di vita, \i i dovrà assuefare
. poco. I n fanciullo, od wìì \ ecchio so-
piti i e\ ..Imeni.- la I ili. :i di uno che
il .il \i lia a siiel ilio. |. per questo non è Vali
i la \ ila li Oppo o/in sa. pei ■>(, he i può,
qu indi i itretti alla fatica. Tut-
• qualcuno non abituato, la i oi ò o più
elle non suoli- anche P assuefallo. ion\Ìen clie
u ma , principalmente s< ha bocci
Della medicina
«Inni tantummodo jejunio est, scd eliam in
posterum diera pcrmanendum ; nisi cito id
quies sustulit. Quod si factum est, surgere
oportet, et lente paululum ambulare. Àt si
somni necessilas non fuit, quia modice magis
aliquis la boravi t, tamen ingredi aliquid eo-
dem modo debet. Communia deinde omnibus
sunt post fatigalionem. cibum sumpturis, ubi
paulum ambulavcrunt, si balneum non est,
calido loco, vel in sole, vel ad igneni ungi, at-
que sudare ; si est, ante omnia in Tepidario
sedere; deinde, ubi paulum conquieverunt ,
latrare et descendere in solium ; tum multo
eleo ungi, leniterque perfricari ; ilerum in
solium descendere : post haec, os aqua calida
fovere, deinde frigida. Balneum his fcrvens
idoneum non est. Ergo si n imi uni alieni fa-
llirà to paene febris est, buie abunde est, lo-
co tepido dimittere se inguibus tenus in a-
cpiam calida m, cui paulum olei si t adjectum ;
deinde totani quidem corpus, maxime tamen
eas parles, quae in aqua fuerunt, leni ter per-
f ricare ex oleo, cui vinum et paulum contriti
salis sit adjectum. Post haec, omnibus faliga-
tis aptum est, cibimi sumere, eoque hunùdo
uti ; aqua, vel certe diluta potione esse con-
tentos ; maximeque ea, quae moveat urinam.
Illud quoque nosse oportet, quod ex labore
sodanti frigida potio perniciosissima est; atque
eliam, cura sudor se remisit, itinere fatigatis
imi I ili s. A balneo quoque venientibus Asele-
piades "inulilem eam judicavit : quod in iis
vcrum est, quibus alvus facile, nec tato, re-
solvitur, quique facile inhorrescunt : perpe-
tuimi in omnibus non est, cura potius natu-
rale sii, potione aestaantem stomachimi refri-
gerar!. Quod ita praecipio, ut tamen fa tea r,
ne ex hae quidem causa sudali adhuc frigi-
dono hibendum esse. Solet ctiam prodesse,
posi varium cibum, frequentesque dilutas po-
tiones, vornilus, et postero die longa quies,
deinde modica exercilatio. Si assidua fatigatio
urgel, invicem modo aqua, modo vinum bi-
bendum esl , raroque balneo utendura. Le-
\. il pie lassitudincm eliam laboris mutatio :
eumque. quem novura genus (ejusdera) labo-
ris pressiti id. quod in consuetudine est refi-
ll. Fatigato quotidianum cubile tutissimum
est Lassai eniiii quod contra consuetudine!»
se u molle, seu durum esl.
Proprie quaedara ad euro pertinent, qui
ambulando fatigatur. Hunc reficil in ipso quo-
que itinere frequens frictio ; posi iter, pi unum
•edile, deinde uiiclio: tum calida aqua in bal-
neo magis superiore! pai ics, quam inferiore»,
amara, o gli occhi offuscati, od il ventre scon-
volto, fa questo caso non solo deve dormire a
digiuno, ma rimanervi anche il susseguente
dì, tranne che il riposo non abbia dileguato
ogn1 incomodo. Il che fatto convien levarsi, e
lento lento passeggiare un poco. Se poi non
v1 è bisogno di dormire per essersi affaticato
moderatamente farà tuttavia alcuna di queste
cose, siccome è detto. Comuni regole poi per
quelli che devono mangiare dopo la fatica,
passeggialo che abbiano un poco, uguersi e
sudare, se pronto non è il bagno, in luogo
caldo, o al sole, o al fuoco : e se è, sedere im-
prima nel tepidario, dipoi riposatosi un poco
entrare, e calarsi nel piano del bagno: unger-
si poscia con molt1 olio e soavemente strofinar-
si : scendere finalmente nel bagno; dopo le
quali cose sciacquarsi la bocca con acqua cal-
da, poi con fredda. Il bagno troppo caldo non
è buono per questi. Se qualcuno adunque per
eccesso di fatica, si trova aver quasi la febbre,
basterà che egli ad ambiente tepido s'immer-
ga fino agi1 inguini in acqua calda, a cui sia
stato unito alquanto olio; dipoi tutto il corpo,
sovrattutto quelle parli almeno che stettero
nell'acqua, si devono stropicciare con olio mi-
sto a vino, e un pò1 di sale pesto. Olire questo
chi è stanco perla fatica deve mangiare cose
umettanti, e bere acqua, od almeno una be-
vanda diluta, e tale soprattutto che provochi
le orine. Bisogna sapere ancora come a chi è
sudante per la fatica, perniciosissimo sia il be-
re freddo, né buono pure, a coloro che sono
spossati dal viaggio, ancorché il sudore siasi
attutato. Asclepiade lo giudicò anche pregiu-
dicievole a quelli che escono del bagno : il elu-
si verifica in coloro, ai quali si scioglie facil-
mente il ventre, e ciò non senza pericolo; e in
quei che soffrono leggiermente il ribrezzo :
ma non è in tutti costante, essendo anzi natu-
rai cosa rinfrescare con bevanda uno stornato
riscaldato. Il che per altro io avvertiva senza
discostarmi dalla massima che non si debba
bevere freddo da chi è in sudore. Suole giova-
re anche il vomilo dopo un variato pranzo e
dopo molto vino adacquato ; e il susseguente
dì lungo riposo, appresso di che un moderato
esercizio. Se ne stringe un continuo lavoro si
vuol bere alternativamente accpia e vino, e far
di rado il bagno. Il eambiar lavoro allevia pur
la stanchezza : e chi infastidilo è da uno nuo-
vo, ritrova conforto in quello al (piale è usa-
to. A chi è stanco giocondissimo è il giorna-
liero lelto : malagiato al contrario un letto in-
solito perchè quello che è fuori d1 usanza, ne
reca noja, sia esso molle 0 duro.
Alcuni particolari precetti v'ha per chi si
slanca camminando. Le fregagioni frequenti il
ristorano in viaggio : dopo di esso pinna sieda,
poi si unga ; quindi fomenti nel bagno cali!»
le parli inferiori più che le superiori : chi si è
foveat. Si quis vero exuslus in sole est, huiciii
balneum prolinus eundum, pcrfundendumque
oleo corpus et caput; deinde m solium bene ca-
Lklura descendendum est : tara multa aqua per
caput ìnfundenda, prius ealida, deinde frìgida.
Ai ci. (|iii perrrixit, opus est in balneo pri-
iiitim involuto sedere, donec insudet ; tana
ungi ; deinde lavari : cibum modicum, potio-
nes meracas assumere. Is vero, qui navigavi!,
et nausea pressus est, si multam bilem evo-
rauit, vel abstiaere cibo dcbet, vel paulum ali-
(juid assumere: si pitaitam acid. un efifudit,
atique sumere cibum, sedassueto leviorem :
vomita nausea fuit, vcl abslinere. vel
post cibum vomere. Qui vero loto die, vel in
vehiculo, vel in spectaculis sedit, buie nihil
Iiim; sed lente arabulandum esl, lenta
quoque in balneo moia, dein «orna exigua
prodesse consueverunt. Si quis in baine' ae-
stuat, reficil hunc ore excepturo, et in co re-
tentura acetam : si id non est, eodem modo
frigida aqua assuropta.
iute omnia auleni norit qniqnc nalu-
r.cii sui corporis : quoniam alii graciles, alii
obesi sunt; alii cali. li. alii frigidiores; alii
hunti Ji. .ilii sieri, alios adstricta, alios resolu-
la alvus exercet : raro quisquam non aliquam
1 coi poris imbecillara babet. I enuis
vero homo se implere debet, plenus exlenua-
_ rare, frigidus cali E
madens ficcare, siccus madefacere: itemque
.1 1 n lini firmare is. cui fusa ; solvere i-, cui ad-
stricta esl ; succurrendumque lemper parti
maxime laboranti est.
abbrustolato al sole, deve tosto andare in ba-
gno, e spargere (Folio il capo e il corpo: di
poi scendere in ben caldo solio : in appresso
aspergere il capo di molt' acqua prima calda,
poi fredda. Ma chi patì freddo, convien che
prima ben coperto, sieda nel bagno fino a che
sudi ; poi si unga, in seguito si lavi : mangi
temperatamente, e beva vino puro. Chi na\ igo,
ed è preso da nausea se rigettò molta bile, deve
od astenersi dal cibo, 0 prenderne poco: se ei
rimise pituita acida, sì prenda cibo, ma più
leggiere del solito : se ebbe nausea senza vo-
mito n astenersi, 0 vomitare dopo aver man-
giato. Chi tutta la giornata o stette in calesse,
od agli spettacoli non deve correre, ma lenta-
mente passeggiare : gli potranno anche far
prò una hrieve dimora in bagno, di poi una
cena tingale. Chi si sente eccessivamente scal-
dato dal bagno, troverà ristoro nel porsi in
bocca delibacelo, e ritenervelo: e in suo di-
tetto può supplire allo stesso uso l1 acqua
fredda.
Ma cosa importantissima è che ciascuno
conosca il suo temperamento : perocché chi è
calilo, chi freddo : chi umido, ehi secco : ehi
slitico, chi sciolto : e ordinariamente ciascun
uomo ha alcuna parte del suo corpo debile. Il
colpo magro si COnvien ingrassarlo, estenuare.
il grasso, rinfrescare il caldo, riscaldare il
freddo, essi. .are Tumido, umettare il secco :
cosi pure stringer L'alvo, se sciolto, scioglier-
lo se stretto, e sempre .nere sollecitudine di
sovvenire alle parli più affette.
De causis quae implent corpus.
Implel autem corpus modica exercilatio,
ilior quies, onclio, ci si posi prandium
est, balneum, contraete alvus, modicum fri-
•_n> hienie. soiiiniis ci plenus ci non nimis
loii- 11 s. moli,' cubile, animi securitas, assuntola
bos et poliones maxime dulcia ci pin-
gitia, cibus et frequentior et quanta! pienis-
simo! 1 ■ (l'i.
Ingrassanti.
Ingrassa \\n moderalo esercizio, un pro-
lungato riposo, L'unzione, e dopo pranzo il
bagno; il ventre contratto, un diserei.» fred-
do di verno, un dormir pieno, ma non troppo
lungo, un letto molle, la Liberta dell1 animo, il
mangiare e bere robe dolci e pingui, e il man-
gi ire spesso, e tanto .pianto se ne può smal-
tire.
JJc hit gitile citriunint corpus.
I.vlrnuat corpus aqua (alida, si quis in
1 ani rlescendil. ma, i.tque li sai m t ; in jeju-
no I ilni uni. inureni sol el omnia calor, .ina.
vigilia, som un s nim in ni vel brevii vellongus;
■ in. ieri 1 i hieme, dm un < u
dia ambili. ilio , omnisque
\. lui,,. ,ii'.. vomitai, d. ■j.-< 1
ienx l die •• uumplae, el
10 j. pino 1.1 1
Indili. 11. .iI.Iik la.
Cui nuanlia posuerim vo-
railura ci il. |. . ti. uiem. .!.- bis q |ue pi opi ie
luat. l j« 1 lum essi th /ut le-
Diina^rantt.
Dimagra il bagno d'acqua calda, mag-
giormente se salala, il bagnarsi a di gì uno : il
e sole e il caldo ,V ..-ni specie : le • me
dell" ani,.... la Veglia, il dormire o troppo
breve, 0 troppo lungo: dormir di state sul
suolo, dì verno sopra .Imo letto : il correre, il
I e molto, < quali ivoglia t"i te < eres-
ilo, il vomito, il h i esso, le cose •>. ide ed .msic-
una volta al di, ed il bei e abituai
incnie a digiuno vino non troppo freddo.
avendo io posi,, ira gli estenuanti il ro-
mita ■ m dire alcuna i
pai in olare. Mj è noto esteri ilato d romito
piade vomitum in eo volaraine, quoti de tuen-
(l,i salutate composuit, video : neque reprehen-
do, si offensus eorum est consuetudine, qui
quotidie ejiciendo vorandi facilita tem mo-
liuntur. Paulo etiara longins processiti idem
purga tiones quoque eodera volumine expulit.
El sunt me perniciosae, si nimis valenlibus
medicamentis fìunt. Sed hacc tamen submo-
venda esse non est perpetuum ; qui corporura
temporuroque ratio polest ea facere necessa-
ria, dum et modo, el non nisi cura opus est,
adhibeantur. Ergo ille quoque ipse, si quid
jam eorruptum esset, expelli debere confes-
sila est : ita non ex toto res conderananda est.
Sed esse ejus etiam plures caussae possunt ;
in ea quaedam paulo subtilior observalio
adhibenda.
DELLA MEDICINA 2Q
rigettato da Asclepiade in quel suo volume
sulla conservazione della salute, né presumo
riprenderlo, se ei rimase offeso dal costume
di quelli che col vomitare cotidiano si procac-
ciano il mezzo di banchettare. Ma troppo in-
nanzi recò la cosa, escludendo anche le pur-
gazioni. Certo che e1 sono perniciose, se si
provocano con medicinali soverchiamente for-
ti. Che si debbano però onninamente esclude-
re, non può essere precetto costante, perocché
le qualità dei corpi e dei tempi le possono
rendere necessarie, purché si usino a modera-
zione, e nei casi in cui sono indicate. Conven-
ne pur egli stesso adunque doversi espellere le
materie corrotte. Laonde non si vogliono con-
dannare assolutamente ; ma possono ancora
essere richieste da più altre cagioni, e nelP u-
so loro vuoisi grandissima cautela.
De vomì tu.
Vomilus ulilior est hieme, quam aesta-
te : nani tura et pituitae plus, et capitis gra-
vitas major subest. Inutilis est gracilibus, et
imbecillirai stomachimi habentibus ; utilis ple-
nis et biliosis omnibus, si vel nimiuni se re-
plerunt, vel parum concoxerunt. Nam, sive
plus est, quam quod concoqui possit, perieli-
tari ne corrumpatur, non oporlet : sive cor-
ruptum est, nihil commodius est, quam id,
qua via primum expelli potest, ejicere. Itaque,
uhi amari ructus cura dolore et gravitate prae-
cordiorum sunt, ad hunc protinus confugien-
<lum est. Idem prodest ei, cui pectus aestua t,
et fiequens saliva, vel nausea est; aut sonant
aures, aut madent oculi, aut os amarura est :
simili terque ei, qui vel coelum, vel locum rau-
tat ; iisque, quibus, si per plures dies non vo-
lli uerunl , dolor praecordia infestat. Neque
ignoro tnter haec praecipi quietem : quae non
siiu per contingere polest agendi necessitateli!
habentibus; nec in omnibus idem facit. Ita-
que istud luxuriae caussa fieri non oportere
confiteor; interdirai valetudinis caussa recte
fieri, experìmentis credo: cimi eo tamen ne
quis qui valere et senescere volet, hoc quoli-
dianum habeat. Qui vomere post cibimi vo-
let, >i ex facili jaeit, aquam tantum tiepidam
ante debet assumere ; si difficilius, aquae ?el
salis. vel raellis paulum adjicere. At qui ma-
il'- vomitami est, ante bibere mulsum, vel
byssopum, aut esse radiculam debet; deinde
aquam tepidam, al supra scriptum est, bibe-
re. Celerà, quae antiqui medici praeceperunt,
stomachum omnia ìnfestant. Post Vomitum,
si stomachus infirmua est, paulum cibi, sed
hujus idonei, gustahdum, el aquae frigidae
cyathi tres bibendi suni ; nisi tamen vomilus
fcuces exasperavit. Qui vomuit, si mane; id
fecit, ambulare debet. turn ungi, deinde coe-
nare: si post eoenam, postero die la Vari, et
Vomito.
Il vomito fa meglio di verno che di state
perocché allora si soffre maggior gravezza di
capo, e sovrabbonda la pituita. Dannoso è ai
gracili e ai deboli di stomaco : proficuo ai
grassi e biliosi sia che troppo si siano riem-
piuti, o abbiano mal digerito. Perchè o si è
mangiato più di quello si possa smaltire, non
conviene rischiare che si corrompa : oppure
non avvi più comodo mezzo, se già è corrotto,
che rigettarlo da quella strada per la quale si
può espellere prima. Pertanto quando si ab-
biano rutti con dolore e gravezza ai precordi,
vuoisi immantinente rifuggire al vomito. Gio-
va pure a chi ha riscaldato il petto, e molla
saliva o nausea : o a chi ha tinnito alle orec-
chie, o la gr inflazione d1 ocelli, o bocca amara :
e similmente a chi mula cielo e luogo ; e a co-
loro i quali sentono se per più dì non vomi-
tarono, alcun dolore ai precordi. E non mi è
ignolo venir prescritto tra queste cose il ripo-
so : ma questo non sempre si può mettere in
pratica da chi è stretto a fare : né adopera in
tulli lo slesso. Convengo impertanto che non
si debba vomitare per cagione d1 intemperan-
za, e scorto dall' esperienza, avviso, farsi tal-
volta ottimamente per motivo di salute ; con
questo però elie ehi brama star sano, e, invec-
chiare non lo abbia in giornaliera usanza. Chi
vuol rigettare dopo aver mangialo, prenda, se
il la agevolmente, semplice acqua calda; ovve-
ro salata o mellita se difficilmente. Ma chi
vuol recere al mattino, bisogna che prima beva
mulso, o decozione d1 issopo, o mangi radice :
ciò fallo avvallare acqua lepida, siccome è
dello disopra. Tulle le altre cose prescritte
dagli antichi medici guastano lo stomaco. Se
dopo il vomito lo stomaco è languido, fa d'uo-
po gustare un poco d'alimento, ma confacen-
te, e bere tre bicchieri d' acqua fresca salvo-
che il vomito non abbia inasprite le fauci. So
ii) balneo sodare. Buie proximus cibus me-
diocris utilior est ; isijue esse debet cura pane
hesterno, vino .insterò meraco, et carne assa,
cibisqoe omnibus quam siccissimis. Qui vo-
mere bis in mense vult, melius consulet, si hi-
duo continuarit, qnam si post quinlumdcci-
iniini diera vomueril ; nisi haee mora gravì-
lalem necton faeiet.
De dejcctionihus.
De jectio antera medicamento quoque pc-
tenda est, obi center suppressus parum red-
• lii. ex eoqne inflationes, caligines, capitis do-
aliaque snperìoris parlis mala increscunt.
Quid filini in ter haec adjuvare possnnl quies
el inedia, per quac Illa maxime eveniunl ?
Qui dejiceri volet, primnm cibis vinisque
otatnr iis qnae boe praeslenl : dein si parum
illa protìeient. aloen sumat. Sci purga tiones
quoque, ut interdum neoessariae sunt, sic,
obi frequentes sunt, perìculum aflèrunt ( as-
suescit enim non ali corpus ) ; cum omnibus
morbis obnoxia maxime infirmi tas sit.
De lùs quae caìefaciunt^ et refrigerane
corpus.
Calefacil autem unclio, aqua salsa, ma-
gisque si «alida est, omnia salsa, amara, car-
nosa, si posi (iliimi est, balneum. \iniim au-
sterum. Refrigerai in jejuno el balneum, el
lomnus, nisi niinis (ongUS est, et omnia aei-
da ; aqua quam frigidissima ; oleum si aqua
mix. tur.
i. s o
chi vomitò, il [ecc. la mattina, deve passeggia-
re, poi ugnerai, indi cenare : se dopo cena, il
seguente dì lavarsi, e sudare nel bagno. A
questi è buono che P alimento che prende ap-
presso sia in mezzana quantità, e questo con-
sista in pane di un dì, vino puro austero e
carne arrostita, e eibi tulli asciuttissimi. Cbi
vuol recere due volte al mese, meglio farà vo-
mitando per due dì, anzi (die dopo il quindi-
cesimo, tranne in questo mezzo non ne nasca
oppressione del petto.
/'//
rgagioni.
Anche il secesso bisogna provocarlo eoi
medicamenti, «dioiche evacuandosi poco, ne
insorgono flatuosità, abbagliamenti, dolori di
capo e altri incomodi alla regione superiore.
("osa possono mai giovare a questi accidenti
l'astinenza e il riposo i (piali soglionanzi pro-
durli? Chi vuol andare di corpo, deve prima
usare cibi e vini alti a questo intento, poi se
questi operano poco, ricorra all'aloe. Ma an-
che le purghe, se come tal fiata si rendono
necessarie, così se frequenti sono pericolose.
Si accostuma il corpo a non nutrirsi, e la de-
bolezza ne espone a tutti i mali.
Riscaldanti e refrigeranti.
Riscalda l'unzione, l'acqua salala e più
se calda, tulle le robe salse, amare, carnose : il
b. nino pigliato dopo il cibo e il vino austero.
Rinfrescano il bagno a digiuno e il dormire
ma non troppo lungamente : tulle le (ose aci-
de, l'acqua freddissima mista air olio.
/)>■ hii OUOé ìitimidant, et sircant.
Bumidura autem corpus efficil labor ma-
jor, qu ino ex i onsuetudine, frequens balneum,
cibus plenior, multa polio : posi haec ambu-
la tio, el vigilia i per se quoque ambula tio mul-
ta .1 rehemens, el matutinae exercitationi,
non protinui i tbus adiectus: ea genera i
qnae reniunl ex Uh is frigidis el pluviis, el ir-
rigui*. Contri liccal modica exerci la tio, fa-
me*, onctio sine aqua, calor, solmodicus, 1 1 i-
• jiu. exercitationi statina subjectus, el is
« i H ,i i j • ■ - 1 1 locù veniens.
Umettanti e disseccatiti .
I niella il colpo il la l 'naie meno dell'usa-
lo : lo s|iesv> bagnarsi, il mangiar mollo, e
molili bere : appresso queste cose il passeggio
e l.i veglia : per sé solo anche il mollo e fot te
camminare : e lo stare alcun tempo senza man-
giare dopo I esercìzio della mallina : ulliina-
111 ente quegli alimenti che provengono «la luo-
ghi freddi, piovosi ed acquatici, all'incontro
prosciuga lo smoderato esen fzio, la fame, I ""
/ione senza acqua, il caldo. I ardente iole,
l' acqua fredda, >' mangiare subito fatto eser-
cizio, e cose venute
d.i luoghi e d.li e .hi mi li
lh>. hit 01104 ah um adstringuni et
uni,
Astringenti e rilassanti il ventre
\I\uiii ailatringit labor, sedile, creta li-
'_'nl ii i >. corpori illita, cibus imminutu i < \ < -
i i Mi i uro pi ua ab eo, qui
[uè adhibita, nisi
i itipa d ventre la fatica, lo stare seduto,
la creta dei pignattai impiastrata sul venti i .
bis solei ; l.i diminuzione d< I cibo, e questo pr n mia
i um cibi volta da « hi è abitualo a due I.. bevan ! i
DELLA MEDICINA
quis quantum assumpturus est, cepit; post ci-
bimi quies. Conlra solvit acuta ambulatio at-
ipie esca, raotus qui post cibimi est, subinde'
poliones cibo immixtae. lllud quoque scire
oportet, quod ventrem vomitus solutum com-
primit, compressum solvit : itemque compri-
xiiit is vomitus, qui statini post cibuui est ;
solvit is, qui tarde supervenit.
De aetatum varietale.
Quod ad aetates vero pertinet, inediam
facillime sustinent mediae aetates, minus ju-
aciìcs , minime pueri et senectute confecti.
Quo minus fert facile quisque, eo saepius de-
bet cibum assumere ; maximeque eo eget, qui
inerescit. Calida lavaLio et pueris et senibus
apta est. Vinum dilutius pueris, senibus me-
racius, neutri aetati, quae inflalionis movent.
Juventini minus, quae assumant, et quomodo
curentur, interest. Quibus juvenibus fluxit
alvus, plerumque in senectute contrahitur :
*] 1 1 ibus in adolescenlia fuil. adslricla, saepe in
senectute solvitur. Melior est autem ut juvene
fusior, in sene adstrictior.
De varietale temporum.
Tempus quoque anni considerare opor-
tet. Hieme plus esse convenit ; minus, sed me-
racius bibere ; multo pane uli, carne potius
clixa, modice oleribus ; semel die cibum ca-
pere, Disi si nimis venter adstrictus est. Si
prandet aliquis, utilius est exiguum aliquid,
el ipsum siecum sine calne, sine potione su-
mere. Eo tempore anni calidis omnibus po-
tius utendum est, vel calorem movenlibus.
Venus tum non aeque perniciosa est. At vere
paulum cibo demendum, adjiciendumque po-
tioni, sed dilutius tamen bibendum est; ma-
gi* carne utendum magia oleribus; transeun-
dum paulatim ad assa ab elixis. Venus eo
tempore anni tutissima est.
De diaeta ciborum polionumgue.
'ite vero et potione et cibo saepius
corpus egei : ideo prandere quoque comodum
est Ko tempore aptissima sunl et caio et
olus ; polio quam dilulissima, ni et silini tol-
l.il, nec corpus incedani ; frigida lavalio, caio
assa, frigidi cibi, vel qui refrigerent. Ut sae-
pius autem cibo utendum, sic exiguo est.
Autumnalls diaeta.
Per aatumnum vero, propter coeli tarie-
i iiciii. perkulum maximum est. ltaque neque
3i
sa ed usata soltanto fra il pasto ; il riposo dopo
mangiato. Scioglie ali1 incontro, l1 aumentato
esercizio e il cibo ; il molo che si fa appresso
il desinare ; il bere tratto tratto mangiando.
Vuoisi pur sapere che il vomito ristringe il
ventre se sciolto ; lo scioglie se costipalo :
ugualmente lo ristringe quel vomito che suc-
cede immediatamente al mangiare; lo scioglie
quello che sopravviene tardo.
Differenze d'età.
Rispetto all' età, quelle di mezzo sosten-
gono agevolmente la fame, meno i giovani,
niente i ragazzi e i vecchi. Quanto meno altri
facilmente la sopporta, tanto più spesso deve
cibarsi, e principalmente chi è tuttavia sul
crescere. Le calde bevande proprissime sono
ai ragazzi, e ai vecchi. A questi vino puro, a
quegli annacquato ; a niuni cose flatulenti.
Meno riguardi sj richiedono ai giovani sia nel
mangiare, sia nelle altre cose. Quelli che da
giovani ebbero sciolto il ventre, per lo più lo
hanno costipato da vecchi : e quelli che lo eb-
bero costipato da giovani, sogliono patire
scioltezza da vecchi. Meglio è averlo sciolto in
gioventù, costipato in vecchiezza.
Varie stagioni.
Bisogna aver riguardo anche alle stagio-
ni. Di verno si deve mangiare di più : bere me-
no ma puro : usar molto pane, carne piuttosto
allessa, moderatamente erbaggi : fare, se non è
soverchiamente costipato il corpo, un solo pa-
sto al dì ; chi pranza, meglio è che mangi po-
co, e questo asciutto senza carne e senza be-
vanda. In questa stagione si deve prendere tut-
to caldo, od almeno cose che eccitino calore.
La venere allora non è tanto contraria. Alla
primavera si convien diminuire alquanto il
mangiare, aumentare il bere, ma più inna-
cquato : usare in maggior copia carne ed er-
baggi : e a poco a poco ritrarsi dalle cose al-
lessate alle arrostite. La venere è a questo tem-
po dell1 anno scevra d1 ogni pericolo.
Dieta di estate.
])i siale si ha bisogno di più spesso man-
giare, e bere : perciò utile è pranzar pur anco.
Àdattatissimi a questa stagione sono gli erbag-
gi eia carne: la bevanda temperatissima, allin-
eile tolga la sete senza incalorire il Corpo : le
fredde lavande, la carne allessa, i cibi freddi o
rinfrescativi. Come si deve mangiare spesso,
così poco.
Dieta in autunno.
In autunno poi pei cambiamenti dell' aria
si corre grave pericolo. Non si esca né spoglia-
32 CELSO
sme veste, ncque sine calceamentis prodiri
oportet, praecipueque diebas frigidioribus,
neque sub divo aocte dormire, aut certe bene
operili. Cibo vero jam paulo pleniore uli li-
cei ; minus sed meracius bibere. Poma nocere
quidam putant, quae Lmmodicae loto die ple-
rumque sic assumuntur, ne qaid ei densiore
cibo remittatur : ita non baec, sed consum-
matio omnium nooet. Ex quibus in nullo ta-
men mino», quam in bis noxae est. Sed bis
uli non saepius, «inaia alio cibo eonvenit. C -
nique nliquid densiori cibo, cnm bie accedit,
irium esl demi, Neque aestate vero, nc-
que autumuo ulilis Venus est : tolerabilior
lumen per autumnum : estate in totani, si fie-
ri potest, abstinendum est.
Cw. iv. — De his qui caput infirmimi est.
Proximnm est, ut de iisdicam, qui par-
tc-. aliquas corporis imbecillas babent. Cui ca-
put infirmimi est, is, si bene ooncoxerit, leni-
i. i perf ricare id mane manibus suis debet;
numquam id, si fieri potest, veste velare; -"1
cntera tonderi; utileque lunani vitare, maxi-
meque ante ipsum lunae solisque concursura ;
sed nusquam posi cibum. Si cui capilli sunt,
quotidie pi etere i mnltum ambulare, sed, si li-
cet, neque sub tecto, neque in sole : utique au-
i. in vitare solis ardorem, maximeque post ci-
bum '•! \iiiimi: potius ungi,'quam lavari; num-
quam «id fiammam ungi, interdum ad pru-
iiiiin. Si in balneura venit, sub veste primum
paulum in Tepidario insudare, ibi ungi, tum
transire in calidarium ; ubi sudaril in solium
ii [escendere, sed multa calida aqua per
caput se totura perfundere, tum tepida, dein-
de frigida : diutiusque ea caput, quam cete-
ptes perfundere : deinde id aliquam-
diu perfricare ; novissime detergere el ungere»
Capiti niliil aeque prodest atque aqua frigida:
Uaque, is. cui boc infirmimi est. per aeslatem
id ben di quotidie debet aliquam-
diu lubjicere. Semper autem, etiam si sine
! unctus «si. neque totura corpus n fri-
sa itinel . capul tamen aqua frigida
perfund ri Sed i um cetei as parles al tingi
nubi, ih imi ii i e i,|. ne ad cervices aqua de-
al ; i aniqur. ne quid oculis, aliisvc par-
libus noceat, defluenlera subinde manibus ad
e. Iluic i licus cibus • arius
> oqual . i> pi. . ~i jejunio
lai ditur, a etiara >"< dio dit-
esi ; si non (aedi tur, temei potius. Bibi re buie
|< vimini •libitum, lene, qiiam aqiiam ma-
pedit; ni cura caput gravius <
ni. sii quo eique ei loto neque
\ illuni ntilia Mini : medi-
ti um utrumque <^i < um m\ i< em assu-
■ , ..un min e, buie
ti, nò a pie mulo, particolarmente nelle gìorna"
te fredde non dormire al sereno, o almeno co-
prirsi bene. Bisogna farsi a mangiare un poco
più, bever meno, ma puro. Alcuni dicono che
le trutta tanno male, le quali senza misura si
mangiano a lutto pasto, senza scemare punto
del sostanzioso mangiare: così non le trutta,
ma queir impinzarsi è ebe nuoce. Anzi in nes-
suna qualità d" alimento v" ha minore perico-
lo* .Ala di queste non se ne deve mangiare più
Spesso che d'altro cibo. Finalmente ove sì tac-
cia giunta di queste, necessario è diminuire
un poco del cibo più nutritivo» I congressi ve-
nerei non sono buoni uè di slate ne di autun-
no : più comportabili però d'autunno : di sla-
te, se si può, cornicia astenersene.
Cal\ iv. — Di quelli chr. hanno debolezza
di testa.
Ora dico di quelli che hanno debili alcu-
ne parti dei corpo loro. Chi ba il capo debole,
se I" lieve al mattino, se perfettamente digerì,
delicatamente stropicciare colle proprie mani;
non mai se si può, ricoprirlo : tènderlo tino a
pelle : e sarà bene schifare la luna, principal-
mente prima della sua congiunzione col sole ;
ma non mai dopo il cibo. Chi ba i capelli, se
gli dee pettinare ogni giorno: passeggiare
molto, ma se .si può ne sul ■ > tetto, ne al scie: e\ i-
tare assolutamente L'ardore del sole, e massi-
mamente dopo aver mangialo e bc\ UtO : piut-
tosto ugnersi che lavarsi ; non mai alla fiam-
ma, alcuni volta alla brace. Se va al bagno,
deve prima senza spogliarsi sudare un poco nel
tepidario, ungervisi, passare poi nel calidario
a Sudarvi, non scendere nel bagno, ma spar-
gere per lo capo moli"1 acqua prima calda di-
poi tepida, ultimamente fredda : docciarne p< f
più lungo tempo il capo clic li' al Ire parli : pò -
scia stropicciarlo, infine tergerlo ed ugnerlo.
Niuna cosa più giova al capo dell* acqua fred-
da : perciò chi lo ba debole, deve di state sot-
toporlo per alcun tempo Ogni dì ad un canale
d'acqua. V. sempre ancorché si sia uni" senza
bagno, e nuii si senta di i intrescarsi tutto il
corpo, i\i\t' puri- spargere acqua fresca sul
capo. Maliuu volendo ebe V acqua tocchile
altre parli, bisogna tuffarvj il capo, onde non
v. enda pel culi.. : e perche imn l.u -eia male a li
occhi e ad ali re parti, devesi via via culle mani
ritrarre la discorrente acqua al capo. Fa d uo-
po che mangi poco, onde poter ben dig< rire i
e se pel digiuno è. offeso il capo, <\<\t- cibarsi
anche sul mezzodì : se non è offeso, meglio
w\ì.i sola \ulia. Più confacentc è eh1 egli abi-
tualmente b<\a vino leggiere adacquato che
acqua pina, acciocch è quando prendaa doler
gli il Capo, abbia u\e ri. i I : a hi da
i dai e ni ili ii '. né I a< qu i senapi t - l1 uno e
1' nitro è nn dicumento usandone s vici ud i
DELLA MEDICINA 33
opus non est, utique post coenam ; post quam Lo scrivere, leggere, declamare, non fanno per
ne cogitatio quidem ci satis tuta est: maxime lui, principalmente dopo cena : dopo la quale
lamen vomitus alienus est. né anche il meditare gli può esser sano, ma
più di tutto contrario è il vomitare.
Cap. v. — De his qui lippìtudine, granelli-
ne, destillatione, tonsillisque laborant.
Neque vero his solis, quos capitis imbe-
cillilas torquet, usus aquae frigidae prodest ;
sed iis etiam, quos assiduae lippitudines, gra-
\edines, deslillationes, tonsillacque male ha-
bent. His autem non caput tantum quotidie
perfundendum, sed hqs quoque multa frigida
aqua fovendum est ; praecipueque omnibus,
quibus hoc utile auxilium est, eo ulendum
est, ubi gravius coelum austri reddiderunt.
Cumque omnibus inutilis sit post cibum aut
conlentio, aut agitatio animi ; lum iis prae-
cipue, qui vel capitis, vel arteriae dolores ha-
bere consuerunt, vel quoslibct alios oris af-
fectus. Vilari cliam gravedines, destillafiones-
que possunt, si quam minime, qui his oppor-
tuni^ est, loca aquasque mulat ; si caput in
sole protegil, ne incenda tur, neve subilum ex
repentino nubilo frigus id moveai ; si post
eoneoctionem jejunus caput radit ; si post ci-
bum neque legit, neque scribit.
Cap. vi. — Adsolutam alvum remedia.
Quem vero frequenter cita alvus exer-
cet, buie opus est pila similibusque superiores
partes exercere ; dum jejunus est, ambulare ;
vitare solem, continua balnea ; ungi citra su-
dorem ; non uti cibis variis, minimeque ju-
rulentis, aut leguminibus oleribusve iis, quae
celeriter descendunt; omnia denique sumere,
quae tarde concoquuntur. Venatio, durique
pisres, et ex domesticis animalibus assa caro
maxime j uva ut. Numquam vinum salsum bl-
bere expedit, ne tenue quidem, aut dulcc,
led insterum, et plenius, neque id ipsura
perretus. Si mulso uti volet, id ex decocto
incile faeiendum est. Si frigidae potiones ven-
ti ■< in cjus non lurbant, bis utendum polissi-
mum est. Si quid offensac in cocna scnsil, vo-
mere debel ; idque postero quoque die facere ;
tertio, modici ponderis panem ex vino esse,
adjecla uva ex olla, vel ex defililo, similibus-
que aliis: deinde ad ronsucludinem redire.
Semper autem posi cibum eonquiescere, ac
neque intendere animum, ncque ambulatone
guamTÌs leni dimoTei ì.
Cap. vii. — Ilemedia ad coli dolorem.
Cap. v. — Degli affetti da male d' occhi,
di gola, infreddature, e flussioni.
Ma T uso dell1 acqua fredda non giova
soltanto a quei che hanno debolezza di capo,
ma a quelli ancora che soffrono continuamen-
te mali d1 occhi, di gola, infreddature e flus-
sioni : questi non solo debbono spargere per
10 capo acqua fredda ogni dì, ma sciacquar-
sene anche la bocca: tutti quelli a cui è ri-
chiesta simil cosa, ne devono particolarmente
far uso, allorché i venti australi rendettero
11 aere pesante, ma singolarmente quelli che
vanno soggetti al dolor di capo, di gola od a
qualunque altra malattia della bocca. Si pos-
sono schivare aiiche i raffreddori e le flussioni
cangiandosi da ehi v1 è soggetto meno che può,
luoghi ed acque : riparando il capo dal sole,
onde non si riscaldi ; o perchè un repentino
freddo insorto per un subitano annuvolamen-
to non lo indisponga : radendosi a digiuno, o
fatta la digestione, il capo ; non leggendo né
scrivendo appresso il cibo.
Cap. vi. — Rimedi contro la scioltezza
di ventre.
Chi patisce flusso di corpo, deve eserci-
tare le parli superiori alla palla e ad altrettali
esercizi: passeggiare a digiuno: schifare il
troppo cocente sole : i continui bagni : uffner-
si senza sudare : non far uso di cibi variati, e
non mai dei succolenti o dei leguminosi, o di
quegli erbaggi che prestissimo discendono.
Giovano i selvaggiumi, i pesci duri e la carne
arrostila degli animali domestici. Non è il caso
bever vino salato, leggiero o dolce ; ma sì au-
stero e grosso, uè esso pure troppo reechio.
Se vuol far uso del mulso, questo si deve fare
di mele cotto. Se il bevere freddo non gli scon-
volge il ventre, questo è sommamente da usa-
re. Se si accorge avergli fatto noja la cena, si
convien che vomiti, e ripeterlo ancora il gior-
no dopo : al terzo prendere un poco di pane
inzuppalo nel vino, a cui si unisce uva stala
nell1 olio, o nella sapa e simigliatiti altre cose :
dipoi ritornare al consueto. Dopo aver man-
gialo riposare sempre, e non applicar la men-
te, né muoversi pure a lento passo.
Cap. vii. — Rimedi contro i dolori
[ al colon.
Al si Iaxius in t eslinura dolere consuevit, Se queir intestino assai ampio che si chia-
quod calura n< minant, « « 1 1 . i ni nihil niti gè- ma colon, va soggetto .;t dolori, siconvieu fa-
Ctho. 5
pus inflalionis sit. id agendola est. ut conco-
qual aliquis, ut lecitone, aliisque geaeribtti
exerceatur, utatui balneo calido, eiì»is quoque
ttionibus calidii : deuique omui modo fri-
c L L s o
et p
gus vitet, ìlem dulcìa omnia, leguminaque,
quiquid inllaic consuoni.
re, non essendo questo se non clic una flatua-
aione, che la persona, affinchè ben digerisca,
si eserciti leggendo Torto, o in altre maniere :
faccia bagni calili, mangi e beva pur cose cal-
de : schivi per ogni modo il freddo : e le robe
dolci e le leguminose, e tulio elio suole inge-
nerar flatulenze.
( V,
N1Ui — (lune agenda tini stomaclio
laborantibus.
Cap. viii. — Cura per la debolezza
di stomaco.
Si quia vero slomacho laborat , logore
dare debet; post lectionem ambulare-, lum
pila, vel armis, aliove quo genere, quo supe-
rior pars moveiur, exerceri ; non aquam, sed
vinum calidum bibere jejunus; cibum bis die
assumere, sic tamen, ut facile concoquat, uti
vino tenui et austero, et posi cibum frigidis
polionibus potius. Stomachimi autem infir-
mum indicant j)allor, macies, praecordiorum
dolor, nausea, el nolentium vomita*, in jeju-
no dolor capitis. Qoae in quo non sunt, is
i'u mi stomachi est. Ncque credendum utique
nostris est, (ini. cimi in adversa valetudine
finum aut frigidam aquam concupiverunt ,
deliciarum patrocinium in accusationem non
merentis stomachi habent Ai qui iarde con-
coquunt, el quorum ideo praecordia inflan-
1 1 1 1 quive propter ardorem aliquem noctu si-
tire consuerunt, unte quam conquiescant,
duos tresve cyathos per tenuem fislulam bi-
bant Prodest etiam adveraus tardam conco-
ctionem clai deinde ambulare^ tum
\r] ungi vel lavari. assidue vinum frigidam
l.ib. re ri posi cibum magnani potionem, sed,
ni Miju.i divi, per siphonem : deinde omnes
potiones aqua frìgida includere. Cui vero ci-
i. ani.' rum bibere aqnam egeli-
d.mi debet, el vomere: ai si cui ex'hocfire-
quens di jectio incidit, quotici al?ns ei consti-
ii i ii. frigida pollone potissimum utatur.
Chi soffre di stomaco, deve leggere a vo-
ce chiara : lei lo che abbia camminare : dipoi
esercitarsi alla palla, alle armi «> in altro qual-
sivoglia modo che muova le parli superiori :
bere a digiuno non acqua, ma \ino caldo:
mangiare due volle al dì in maniera che fa-
cilmente digerisca : servirsi di vino picciolo e
austero, e dopo mangiato usare piuttosto be-
vande fredde. 11 pallore, 1' emacia Lezza, il do-
lor de1 precordi, la nausea, il vomito involon-
tario, il dolor di testa a digiuno indicano fie-
volezza di stomaco. Chi non ha questi è l'orlo
di stomaco. Non vuoisi prestar fede nessuna
ai nostri, i quali avendo in malattia desidera-
to vino, otl acqua fredda, cercano nclP accusa
dillo innocente stomaco la difesa della loro
morbidezza. Ma quei che tardo smaltiscono, e
a cui perciò si enfiano i precordi, e che per
alcuna arsura usali sono patir scie ili notte,
bevano prima di andar a lètto due 0 Ire bic-
chieri per SOttil cannello. Per la larda dige-
stione giova pure il leggere a chiara voce, in-
di passeg ;iare, poscia ungersi, o lavarsi: bere
ordinariamente vino (Vedilo, e dopo mangiato
lire una lunga bevula, ma come diceva di so-
pra, per cannello : dopo di che chiudere lutto
le bevande coir acqua fredda. Colui a cui s1 i-
nagrisce il mangiare, deve innanzi quello in-
gozzare acqua lepida, e vomitare ; e se A.\ ciò
ne viene flusso di ventre, tostochè e1 siasi sta-
gnato, usi sopra ogn' altra cosa il bever freddo.
i\. — Quid obttrvanium sit dolore
limar u in laborantibus.
Cap, i\. — Cura per il dolore di /icrvi.
,1. qnod i"
eonsuevit, buie quan-
tum ti ndum id est, qnod al-
le, inni ■ •■ i. ■I.ji, i. udumque laboi i et ti i u- • • ' ' !
', quo quid "ph-
inimu i est ; concoclio
I
i id m ixime laedit. el quolies
un coi pu i est, villosa | i tntil
io autem omnibus •• ì 1 1 i -^ occui -
i ',i fri itti ilor : qu a «.-
Chi soffre dolore di nervi, iiccom< suole
avvenire nella podagra e nella chi r agra, devo
quinto piu pud, esercitare la parte affetta, a
Bbltoporfa alla fatica e al freddo, almeno quan-
do non è troppo intenso il dolore, intuire .il
lora meglio tu tutto è il riposo, La veneree
sempre contraria : necessaria siccome in tutte.
le. dire infermila, la digestione. Perocché la
ilione pia iT ogni .ili' • !" ■ m cj ba. e
o i |ual volta il corpo <■ malafièlto, la parte
oflèsa ne i isente di più
Comi 1 1 (ligi iliom li oppone a lutto
, ! din d In <l>\'' id al-
DELLA TUEDICINY
qui quisque prò habitu corporis sui debet.
Frigus inimicum est seni, tenui, vulneri,
praecordiis, intestinis, vesicae, auribus, coxis,
scapulis, naturalibus, ossihus, dentibus, nervis,
vulvae, cerebro : idem summam cutem facit
pallidam, aridam , duram, nigram ; ex hoc
horrores tremoresque nascuntur. Àt prodest
juvenibus,et. omnibus plenis: erectiorque mens
est, et melius concoquitur, ubi fri gas est, sed
cave tur. Aqua vero frigida infusa, praeter-
quam capili, etiam stomacho prodest : itera
arliculis doloribusquc, qui sunt siue uleeri-
bus : item rubicundis nimis hominibus si do-
line vacant. Calor antem adjuval omnia, quae
frigus infestat : item lippientes, si nec dolor,
nec lacrymae sunt ; nervos quoque, qui con-
trahuntur -, praecipueque ea ulcera, quae ex
f rigore sunt : idem corporis colorem bonum
facit : uriuam movet. Si nimius est corpus
effeminai, nervos emollit, stomachum solvit.
Minime vero aut frigus aut calor tuta sunt,
ubi subita insuetis sunt. Nara frigus, laleris
dolores, aliaque vitia ; frigida aqua, strumas
excilat : calor concotionem prohibet, somnum
autert, sudore digerii, obnoxium morbis pe-
stilentibus corpus efficit.
tre il calore ; le quali cose deve seguire
ciascuno giusta il proprio temperamento. Il
freddo è nemico ài vecchi, ai magri, alle fe-
rite, ai precordi, alle intestina, alla vescica,
alle orecchie, ai fianchi, alle scapole, alle par-
ti genitali, alle ossa, ai denti, ai nervi, al-
l' utero, al cervello : esso rende la cute pal-
lida, arida, dura, nera : da ciò ne vengono gli
orrori e i tremori. Ma fa bene ai giovani, e ai
grassi. Quando è freddo, la mente invero è
più alacre, e meglio si smaltisce ; ma bene è
schifarlo. Giova anche l'acqua fredda irrora-
tone oltra il capo anche lo stomaco : parimen-
te agli arti ed ai dolori senza esulcerazioni : e
così ai troppo floridi, se sono privi di dolore.
Il calore ripara a tutti i mali del freddo: ugual-
mente ai mali d' occhi, scevri di dolore e di la-
grimazione : ai nervi che s' irrigidiscono, ed in
particolar modo a quelle ulcere che sono naie
da freddo : fa oltracciò buon colore, e provo-
ca le orine. Se è troppo, infiacchisce il corpo,
rilascia le for^e, sfinisce lo stomaco. Ma nò il
freddo, ne il caldo fanno bene, se improvvisa-
mente colgono chi non v1 è assuefatto. Il fred-
do fa venire dolori laterali; l'acqua fredda le
struìne. Il calore proibisce la digestione, leva
il sonno, scioglie in sudore, rende il corpo più
esposto ai mali pestilenziali.
Cap. x. — Observatio in pe stilentia.
Cai>.
— Preservati*.
la pestilenza.
t contro
Est etiam observatio necessaria, qua quis
in pestilentia utatur adirne integer, cum ta-
iiicii securus esse non possi t. 'funi igitur opor-
lei peregrinari, navigare: ubi id non licei,
gestari, ambulare sub divo, ante aestum, leni-
i-i : eodemque modo ungi: et, ut supra com-
prehensum est, vitare fatigationem, erudita-
lem , frigus, calorem; libidi nera : multoque
magi* se continere, si qua gravitas in corpore
est. Timi Deque mane surgendum, ncque pe-
dibus nudis ambulandura est, miniraeque post
cibum, ani balneum : neque jejuno, neque
coenato vomendum est: neque movenda al-
\u>; atque etiam, si per se mola est, corapri-
menda est: abstinendum potius, si plenius
corpus est. Itemque vitandum balneum, su-
dpr, meridianus somnus, utique si cibus quo-
que antecessil ; qui tamen semel die tum com-
modius assumitur ; insuper etiam modicus,
ne eruditateli] moveat. AJternis diebus mvi-
cem, modo aqua, modo rimira bibendum est.
Quibus servati», et reliqua victus consuetudi-
ne quam minimum miliari debet. Cum vero
haec in omni pestilentia facienda sin i, lum in
ea maxime, quam auslri r\ril;innl Alque
etiara peregrina n ti bus eadem necessaria sunt,
V è un' essenziale cani eia da aversi per
chi si ritrova per anco in una pestilenza, an-
coraché non ne sia sicuro. Allora imperi a n lo
fa d1 uopo viaggiare, navigare : e se questo
non si concede, farsi portare, passeggiare pia-
cevolmente a cielo aperto pel fresco, ungersi
bel bello; e come è indicato di sopra, schifare
la stanchezza, l1 indigestione, il freddo, il ca-
lore, la venere : e lauto più vivere regolata-
mente, se si sente alcuna indisposizione. Allo-
ra non si deve sorgere dal letto per tempo, né
andare a pie nudo; tanto più dopo il cibo e il
bagno : uè vomitare a digiuno, né dopo cena :
ne muovere il corpo; che anzi se fosse mosso,
devesi arrestare : piuttosto se v'è ripienezza,
lare astinenza : e per egual modo non bagnar-
si, non sudare, non dormire sul me
specialmente se anche prima si è preso all-
ineino. Questo però è da pigliarsi allora una
soI;i volta al dì: ma in moderata quantità,
ondi; non ne nasca indigestione. Bere ai dì al-
i-i ni (>• ,i acqua, ora \ ino a \ icenda. Pel resto,
servale queste regola, si deve cambiare, il me-
no possibile del consueto vivere. E questo de-
vesi mettere in pratica in qualsivoglia morbo
pestifero, ma in quello massimamente che in-
: -
CELSO
obi gravi tempore anni discesscrunt ex suis
sedibus, vel ubi in graves regione* venerunt.
Ac si oetera rcs aliqua prohibebit. utique absti-
uere debebil : atque ita a vino ad aquam,
ab liac ad Miiuuj, eo. qui saprà positus est,
mudo. trunsiius ei esse.
citato fu da venti australi. Sono queste regole
pur necessarie a chi viaggia, allorché si dipar-
tì in tempi insalubri dalle natie sedi, oche ca-
pitò in regioni malsane. Clic se alcuna circo-
stanza vieterà le altre cose, dovrà almeno lare
astinenza, e in modo che egli possa gittarsi a
sua posta dal vino all'acqua, e da questa .1
quello per la ragione che abbiamo discorsa
di sopra.
*3*E>$«C*w-
A. CORN. CELSI
DELLA MEDICINA
DE MEDICINA
DI AULO CORN. CELSO
P R M F A T I O,
PREFAZIONE.
i
nstanlis autem adversae valetudinis Si-
ena complura sunt. In quibus explicandis non
dubitano auctoritate antiquorum virorum
uli. maximeque Hippocratis; cum recentio-
res medici, quamvis quaedam in curationibus
mutarint, tamen baec illum optime presa-
gisse fateantur. Sed antequam dico, qnibus
praecedentibus morborum timor subsit ; non
alien uni videtur exponere, quae tempora an-
ni, quae tempestatum genera, quae partes ae-
talis, qualia corpora maxime tuta vel pericu-
lis opportuna sint, quod genus adversae va-
letudinis in quoque timeri maxime possit.
Non quod non ornili tempore, in orani tempe-
statum genere, ornili s aetatis, omnis habitus
hornines, per omnia genera morborum et ae-
Érotentet moriantur; sed quod frequentius
tamen quaedam eveniant ; ideoque utile sit
scire unumquemque, quid, et quando maxi-
me caveat.
r
segni di una infermità ebe sovrasta, so-
no molti. Nel dichiarare i quali non dubiterò
far capo all' autorità degli antichi rinomati
scrittori, e principalmente d1 Ippocrate : con-
ciossiachè sebbene anche i più recenti medici
fatto abbiano alcuni cangiamenti nelle cure,
convengono tuttavia aver lui intorno a questo
particolare divinamente specolato. Ma anzi
eh1 io mostri su1 quai segni precursori si fondi
il timore delle malattie, e' non parmi incon-
venevole l1 esporre quali stagioni e quai tem-
pi, (piali età e quai corpi sopra gli altri sicuri
siano ovvero opportuni ai pericoli, e quai sor-
ta di mali in ciascuna di queste circostanze sia
maggiormente a temere. Non già che in qual-
sivoglia tempo e stagione gli uomini d1 ogni
età e complessione non infermino, e muojano
<F ogni fatta di mali, ma perchè alcune cose
pivi frequentemente addivengono; ed imperò si
estima necessario a chichessia il sapere ciò che
delibasi principalmente schivare, ed in quai
tempo.
L 1 lì E 1\ S E CUNDUS
— *>S>*>#«8*.
C\p. t. — Quac anni tempora, quae tempe-
statimi genera, quae partes aetatis, gua-
ita corpora irei tuta bel morbi* opportu-
na sint, et quod valetudini*
que linieri possit.
\enus in guo-
Igitnr saluberrimum ver est : proxime
deinde ab hoc. biems : perìculosior aestas: ati-
bimnus longe periculosissimus. Ex tempestati-
bas vero optimaé aequàles sunt, sive frigidae,
sive calidae : pessimae, quae maxime variant.
Qao hi. ni aulnmnuspluriraos opprima t.Nam
fere meridianis temporibus calor; nocturnis
atque matutihis, simulque etiara vespertini^,
firigus est. Corpus ergo, el aestate, et subinde
meridianis.caloribus relaxatum, subito frigore
excipitur. Sci ut eo tempore id maxime fit,
aie, quandocuraque evenit, noxium est. Ubi
àeqnalilas autera est, lanini saluberrimi sunt
sereni dies : meliores pluvii, quam tantum ne-
bulosi, nubilive ; oplimiqtie lucine, qui omni
vento vaca ni : aestate, quibus favonii perflant
Si gemi s aliud vento rum est, salubriores se-
ptemtrionales, quam sobsolani,Te1 austri sunt:
sic taraen baec, utinterdum regionum sorte
mu leu tur. Nam fere ventus ubique a mediter-
ranei! regionibus veniens, saluoris; a mari,
gravis est. Neque solura in bono tempesta tara
habitu certior faletudo esl : sed priores mor-
[ue, si <|ni inciderunt, le\ iores sunt, el
promplius l*i ni 1 1 n 1 1 1 r. Pessimum aegro cocluni
1 fecil : .l'I.», ni in i-l quoque
'-''•IM|S. quod natura pcjui est, in hoc statu sa-
lubris mulalio sit. il aetas media tulissima
est, quae neque juvenlae calore, neque sene-
rlnlis fi I
i olii adoli i p ilei. ( lorpus
autem babilissimum quadratura est, neque
gracile, neque obesum. Nam I m i tatara, ul
in inventa decoi > est, sic matura senectute
(iili-iiiir : •_'! .i. ile < orpu
inlir
ibesi
hebes est. vere tamen maxime, qtiaecuinque
humoris mota novantun in metu esscconsue-
runt. I i i lippitudim pti lulac, profu-
■ '
i i nominant, Iiilis .ih .i . quam
"li.i. moi I
miti ili rìeslillalin i<
C.\r. i. — Stagioni dell' anno, tempi, tem-
peramenti ed età più o meno soggetti a
malattie, e quali siano i mali propri a
ciascuna di tali circostanze.
Fra le stagioni la primavera è la più sa-
lubre : dipoi il verno ad essa prossimano; peri-
colosa La .siale, pericolosissimo l'autunno. In-
fra i tempi dell'anno òttimi quelli dir. si man-
tengono eguali, caldi siano o freddi : pessimi
ali1 incontro i mollo variabili. Dal che ne av-
viene che L'autunno ne adduca molli a mal
termine facendo per lo più caldo al mezzodì,
freddo alle ore della sera e del mattino, m-n
che la noi le. Quindi il corpo nella siale, e nei
Susseguenti calori del meriggio rilassalo, si ri-
mane costipato dal repentino freddo. K sicco-
me questi cangiamenti occorrono più che al-
tro in questa stagione, cosi in qualsivoglia
tempo dell1 anno avvengano, sempre sono no-
ccioli. Costanti correndo i (empi più salubri
sono i sereni, meglio i piovosi uè' nebbiosi o
nuvolosi soltanto : Ottimi di verno «pici dì che
si succedono senza \enlo. e di siale quando
alitano i zeffiri. Fra i venti sono più salubri i
settentrionali che non i greci od australi. Ma
intorno a questo v1 ha sovente diversità per la
sposi/ione del paese donde i I \ cu 1 0 procede.
Perocché se deriva «la contrade mediterranee
(piasi sempre è salubre : se dal mare grave ed
infesto. Ma la sanità non solo è più ferma nel-
la buona costituzione del tempo, ma anche le
infermiti che eransi davanti risvegliate <• più
miti si rendono, e più presto terminano. La-
ria più triste per l'infermo quella si è che I in-
fermità cagionogli, così che in questo cu i
vevole sarà il cambiamento, ancoraché si fac-
*cia in aria peggiore. L'età di mezzo è la più
sicura, mentre eh1 CSSa non è insidiala ne dal
bollore della giovanezza, nù dalla freddezza
della vecchia ja. Mie malattie lunghe più
giace la senile età, alle .unte l'adolescenza. Il
corpo pili favorevolmente costituito quello si
. chi è quadrato, e non magro ne prai o. Iro-
' è 1" .dti statura se p<'' un lato conferi-
sci all'avvenenza in gioventù, ne espone dal-
l'alln 1 1 reo hieti i II corpo magro è
ri solenl. li quoque morbi, qui in articulis
aer Tisane modo urgent, modo quiescunt, cimi
maxima et inchoantur et repetunt. At aestas
non quidem vacat plerisque his morbis ; sed
adjù il febres, vel continuas, vel ardentes, vcl
tertianas, vomitus, alvi dejectiones, auricula-
ìum dolores, ulcera oris, cancros, et in ceteris
quidem partibus, sed maxime obscocnis ; et
quidquid sudore hominem resolvit. Vix quid-
eruam ex his in autumnum non incidit: sed
eriuntur quoque eo tempore febres incertae,
lienis dolor, aqua inter cutem, tabes, quam
Graeci <p9i<?iv nominant; urinae difficultas,
quam g-^ayyov^iocv appellai! t ; tenuioris inte-
stini morbus, quem zìXsóv nominant ; laevitas
intestino-rum, quae X£/si>Tép/e* vocatur ; coxae
dolores, morbi comitiales. Idemque tempus et
diulinis malis fatigatos, et ab aestate tantum
proxima presso» interimit, et alios novis mor-
bis conficit ; et quosdam longissimis implicai,
maximeque quarlanis, quae per hiemem quo-
i|iie exerceant. Neque aliud magis tempus pe-
stilentiae patet, cujuscumque ea generis est;
quamvis variis rationibus nocet. Hiems autem
capitis dolores, tussim, et quidquid in fauci-
bus, in lateribus, in viseeribus mali contrahi-
lur, iriilat. Ex tempeslalibus , aquilo tussim
niovet, fauces exasperat, venirem adstringit,
nrìnam supprimit, horrores exeilat, item do-
lores lateris et. pectoris : sanum tamen corpus
spissat, et mobilius atque expedilius reddit.
Auster aures hebetat, sensus tardat, capitis
dolorem movet, alvum solvit, totum corpus
efficit hebes, bumidum , languidum. Celeri
Acuti, quo vcl huic vel illi propiores sunt, eo
magis vicinos bis illisve afFectus facilini. Deni-
que oinnis calor et jecur et lienem infiammai,
mentem hebetat, ut anima deficiat, ut sanguis
prorumpat, efficit. Frigus modo nervorum
dtìstentionem, modo rigorem infert; illud
9*Tcurfièfì hoc TcVai/of graece nomina tur : ni-
gritiein in ulceribus, horrores in febribus ex-
cital. In siccitatibus, aculae febres, lippitudi-
im-s. tonnina, arìnae difficultas, articulorura
dolores oriuutur. Per imbres, longae febres,
alvi dejectiones, angina, cancri, morbi comi-
tiales, resolutio nervorum ; nrot^aXv^iv Grae-
<i nominant. Neque solimi interest , quales
dies sini, sed etiam quales ante praecesserint.
Si hiems Bieca septemtrionales ventos habuit,
ver autem austros et pluvias exliibet, fere
sublimi lippitudines, tormina, febres, maxi-
meque in mollioribus corporibus, ideoque
praecipue in muliebribus. Si vero austri plu-
riaeque hiemem occuparunt, ver autem frigi-
dimi ci siccum est, gravidae quidem feminae,
quii. iis limi ;t«l«-,i partus, aborlus periclitan-
tur; eae vero quae gignunt, irabeciUos, vi\-
que vitales edunl : ceteros lippitudo ari. In. et,
ri leniores sunt, gravedùies atque des lilla li o-
k:. male liabent. Ai si a prima hieme austri
DELLA MEDICINA 3q
fievole, ebete il pingue. In primavera però so-
no a temere quei mali che nascono da sover-
chi.! agitazione degli umori. Perciò allora use
sono venirne ottalmie, pustole, emorragie, a-
scessi del corpo detti nel parlar greco aposte-
mi, l'atrabile che appellasi melanconia, la de-
menza, l'epilessia, l'angina, i reumi, le flussio-
ni. E quei mali pure che ora occupano gli ar-
ti ed i nervi, ed ora fan tregua, allora special-
mente insorgono e si rinnovellano. Non che
nella state non s' incorra nella più parte di
queste malattie, ma vi si aggiungono febbri
continue, ardenti, terzane, vomiti, flussi di
ventre, doglie d1 orecchi, ulcere della bocca,
cancri in qualsisia parte, ma in particolar mo-
do alle oscene : e tutti quei malori, in cui l'uo-
mo viene pel sudore disciolto e sfibrato. Non
v'ha forse niuna di queste infermità che non
insorga in autunno : ma nascono oltracciò a
quel tempo febbri d'incerta qualità, dolori di
milza, idropisie, la tabe che porta in greco il
nome di ptisi\ difficoltà d' orinare, strangu-
ria chiamata, e una malattia dei gracili inte-
stini appellala ileo ; e quella lubricità nomala
lienteria, e doglie di fianco e il mal caduco.
11 medesimo tempo uccide [iure e i travagliati
da lunghi guai, e oppressi soltanto dalla pas-
sala slate, e con altri nuovi malanni distrug-
ge : e taluni involge fra lunghissime febbri,
specialmente quartane, che eziandio tutto ver-
no continuano. Né v' ha altra stagione, in cui
più agevolmente si desti pestilenza di qualun-
que specie, comechè esso sia per vari rispetti
ai corpi umani nocivo e triste. 11 verno incita
doglie di capo, tosse e tutti quei guai che han-
no sede nelle fauci, nel petto e nelle viscere.
In quanto ai venti, 1' aquilonare risveglia tos-
se, inasprisce le fauci, costipa il ventre, soppri-
me 1' orina, incita orrori, e oltracciò dolori di
cosle e del petto : coarta non però le fibre di
un corpo sano; più agile e più alacre il rende.
L1 austro fa ottuso 1' udire, menoma 1' acutez-
za dei sensi, risveglia dolori di testa, scioglie
il ventre, e tutto il corpo rende ebete, umido,
fiacco. Gli altri venti, quanto più sono vicini
a questo, od a quello, generano effètti prossimi
all'uno O all'altro. Finalmente ogni calore in-
fiamma il fegato e la milza, ottunde la mente,
e cagiona svenimenti e perdite di sangue. II
freddo trae seco (piando lo stiramento, (pian-
do la rigidezza dei nervi; quello dai Greci
.spasmo., questa tetano detto; la nerezza nelle
ulcere, e nelle febbri il ribrezzo. Ai tempi a-
sciut li nascono l'ebbri acute, ottalmie, lormi-
ni, difficoltà d'orinare, doglie articolari. Nei
pi<i\.^i l'ebbri lcule, diarree, angine, cancri,
epilessie, risolvimento di nervi, cui i Greci ap-
pellano paralitici. Né scilo imporla «piai gior-
ni corrano, ma quali altresì ne precederono.
Se hi verno seco, spirarono venti settentrio-
nali, ed in primavera venti australi e piove, ih;
CELSO
4o
a«l ultimimi ver continuarunt, bterum dolo-
res, et insania febricitaniiuai, quam <p?ivn?tv
appcllant, quam celerrime rapiunt. Obi vero
cattar a primo vere orsus aetatem quoque si-
milem exhibet, necesse est mullum sudorem
in febribus subsequi. At si sicca aestas aqui-
lones habuit , autumno vero imbres austri-
que sunt, tota niente, quae proxima est, tus-
sis, deslillatio, raucilas, in quibusdam etiam
tabes oritnr. Sin autem autnmnas quoque
aeque siccus iisdem aquilonibus perilatur,
omnibus qnidem mollioribus corporibus, iu-
tCT quae muliebria esse proposui, secunda va-
letndo con tingi t; durioribus vero instare pos-
ami et aridae lippitudines, et febres partim
acutae, partim longae, el ii morbi, qui ex alia
bile naseunlur.
Q I •■! aelates vero pertinel , pue-
ri proximique bis vere optime valent, ci ae-
state prima Ultissimi sunt: senes testate el
.ini illuni prima parte: juvenes hieme, qui-
qne inter |uventam lenectutemque sunt. Ini-
inicior tenibus hiems, aestas adolesceulibus
esL Tsun si qua imbecillita* oritur, proxi-
nniii) est, ut infante*, tenerosque adbuc pue-
roa terpeni ia ulcera oris, quae &q$*ì Graecì
noniiii.int. vomii 11 >. nocturnae vigiliae, aurium
haunor, cilra umbilicum inflammationes exer-
ci'.ini. Propriae etiam déntientium, gingiva-
rum exulcera lionea , dislentionea nervorum,
fcbriculae, alvi dejectiones, maxiraeque cani-
nis denti bus orientibua male habent Quae
[ìericula pienissimi cujusque sunt, ci curmaxi-
me venter adslrù tua est \i ubi aeìaa paulum
p ii. glandulae, et vertebra rum, quae in
spili.» sinii . aliquae inclinationes , atrumae,
vermi arura quaedàm genera dolenlia
• Graeci appellane el plura ■ « 1 ì . t luber-
cula oriuntur. Incipiente vero jara pube, ex
iisdem multa, el longae febres, el anguinia
ex 11 11 il- 11 > cui i Mi rinacque omnia pueri
"imi .1 qu idi .1 ... 11 munì di< in. di in
1 un.» mense, 1 una septimo anno, postea
1 1 ' 1 |. ululi, iti in pei ii hi. ii ni . si qua 1 1 iara
.1 I" 1 ni" ni minili ni ini idi i imi RG
in que pubei late, ni que primia 1 "ii iims. ne -
atte in femina primis menatruia finita sunt,
epiui 1 11 '"'" l'i 11"' ' 1
sopravverranno ottalmie, dissenterie, febbri
specialmente nelle persone rilasciate, e perciò
nelle donne principalmente. Se poi nel verno
regnarono venti australi e piogge, a cui indi
succeda una primavera fredda e secca, le don-
ne incinte e già prossime al partorire, corro-
no pericolo di abortire : e quelle che genera -
no, mei tono a luce figliuoli deboli, appena Ai-
tali : gli altri soffriranno ottalmie secche, e se
sono attempati, soggiaceranno a reumi e Illu-
sioni. Ma se i venti australi dal primo inco-
minciar del verno continuarono tino all' usci-
ta di primavera, si osserveranno infiammazio-
ni di pleura, e il farnetico dei febbricitanti,
dello nel greco parlare frenitide* da cui sa-
ranno in poco d'ora spenti gl'infermi. Ove
poi il caldo principiato all' entrar di primave-
ra, seguili tutta slate, dovranno per necessiti
succedere alle febbri abbondantissimi sudori.
Ma se una slate asciutta ebbe venti aquilonari,
e T autunno venti meridionali e piove, in tul-
io il verno susseguente si avranno tossi, catar-
ri, raucedini, in taluni anche la tabe. Che se
poi in autunno pur anche asciutto spireranno
i medesimi aquiloni, le persone di tibia molle,
fra cui gii comprese le donne, godranno per-
fetta sanità : quelle poi di fibra rigida sono
minacciate «la secche ottalmie. da febbri parte
acute, parte lunghe, e da tutti quei malori che
procedono dall1 atrabile.
Rispetto poi all'età i fanciulli, e i vi< ini
ad essi, di primavera ottimamente se la passa-
no, e sicurissimi sono al principi. ir della stale :
i vecchi nella ita te e nella prima parte dell'au-
tunno : i giovani, e ehi si ritrova fra la giova-
nezza e la vecchiaja di Mino. Il verno è pia
contrario ai vecchi, ai giovani la si ile. allora
se a caso insorge debolezza, è per soprai reni-
re ai fanciulli e ai bambini ancora teneri ser-
peggianti ulcere nella bocca, chiamate afte dai
Greci; e vomito, e notturne veglie, umore per
jjli orchi, ed infiamma/ ioni intorno all'ombel-
lico. V1 hanno ancora infermiti proprie della
den li /.ione, coinè ulcerazioni delle gengie, con-
vulsioni, icbbricinc ihissi di ventre, ma tor-
mentati vengono principalmente allo spuntar
dei denti canini. Questi accidenti occorrono
specialmente ai molto pieni. <• massimamente
a quei cui e slilico il ventre, Mi inoltratasi al-
quanto Tela, sopravvengono ghiandole ed in-
. in \. unenti alle vertebre formanti la spina, e
strame e certe specie di dolenti verruche chia-
mate in greCO «CI i>< nnhuu e diversi alili lu-
mori, all'entrare della puberi. 1 insorgono mol-
le di queste affezioni, e lunghe febbri, e Mussi
.li ni 11. d< I naso. Tutti i fanciulli sono in pe-
ricolo massimamente nel quarantesimo giorno,
.il settimo mese, al settimo anno, finalmente
verso la pubei ti Sr '" ù .dire razze dì mali a •
SalirOI Lini l'ilio, e queste noli si sono di
lesjèal '!" aei • di Uà pubei ti ni
DELLA
*es, qui diutius manserunt, terminantur. Ado-
lescenza morbis acutis, item comilialibus, ta-
bique maxime objecta est : fereque juvenes
sunt, qui sanguinem exspuunt. Post liane ae-
tatem laterum et pulmonis dolores, lelhar-
gus, cholera, insania, sanguinis per quaedam
velut ora venarum, affxofe'oiJcts Graeci ap-
pellant, profusio. In seneclule, spirituset uri-
nae diffieullas, gravedo, articulorum el renura
dolores nervorum resolutiones, malus eorpo-
ris habitus, xaxz%tctv Graeci appellali t, no-
cturnae vigiliae, vilia longiora aurium , ocu-
lorum, etiam narium, praccipueque soluta al-
vus, et, quae sequuntur liane, tormina, voi
laevilas intestinorum, ceteraque venlris l'usi
mala. Praeter haec graciles, labes , dejectio-
nes, deslillationes, item viscerum et la le rum
dolores fatigant. Obesi plerumque acutis mor-
bis, et difticullate spirandi slraugulantur: subi-
toque saepe inoriuniur ; quod in corporc te-
nuiore vix evenit.
medicina 4 l
ai primi amorosi amplessi, ne in femmina ai
primi mestrui, si può far conjettura sieno per
durar lungo tempo ; nondimeno il più delle
volte i morbi febbrili che lungo tempo infe-
starono, Tengono per le suddette cagioni a ces-
sare. L/adolescenza soggiace ai mali acuti, pa-
rimenti al mal caduco, e massimamente alla
tabe : e giovani per lo più'sono coloro che spu-
tano sangue. Dopo questa eia va l'uomo espo-
sto ai dolori di costa e di polmoni, al letargo,
alla colera, alla demenza, ai flussi emorroida-
li. In vecchiezza sono comuni la diflìcollà di
respirare e d1 orinare, gì1 infreddameli ti, le do-
glie d'articoli e di reni, le paralisie, il mal a-
bito di corpo detto cachessìa pe1 Greci, le ve-
glie notturne, i vizi lunghissimi delle orecchie,
degli occhi, anche delle narici, e in ispecie la
scioltezza del ventre, coi mali che ne proven-
gono come dissenteria, e lienleria, e gli altri
incomodi della soccorrenza del ventre. Oltre le
quali cose le persone gracili soffrono consun-
zioni, diarree, renili, dolori di viscere e di co-
ste. I pingui per lo più sono spenti da mali a-
cuti, e da ambascia, e muojono sovente all'im-
prov vista; cosa che in corpo gracile quasi mai
non addiviene.
Cap. ii. — De signis adversae valetudini*
futurae.
Ante adversam autem valetudinem, ut
supra clixi, quaedam notae oriuntur : quarum
omnium commune est, aliler se corpus habe-
re, atque consuevit ; neque in pejus tantum,
sed etiam in melius. Er^o si plenior aliquis,
et speciosior, et coloratior factus est, suspe-
cta habere bona sua debet ; quae, quia neque
in eodem habitat subsistere, neque ultra pro-
gredì possunt, fere retro, quasi ruina qua-
dam, revolvuntur. Pejus tamen signum est,
uhi aliquis contra consuctudinem emacuil, et
colorem decoremque amisit : quoniam in iis
quae superanf, est quod morbus demat ; in iis
quae desuut, non est quod ipsum morbum fé-
rat. Praeter haec protiuus linieri debet, si
graviora membra sunt; si crebra ulcera oriun-
tur; si corpus supra consuctudinem incallii! ;
si gravior somiius pressil. si tumultuosa so-
mma fuerunl; si saepius expergiscitur aliquis,
quatti asauevit, deinde iterum soporatur; si
corpus dormientis circa partes aliquas contra
eonsuetudinera insuda t, maximeque si circa
j>ectus, aut cervices, aut crura, voi genua. rei
COXas. Itera, si marcel animus; si loqui ci mo-
veri pigel : sa corpus torpet; si dolor praecor-
diorum est. aut lolius pectoris, aut, qui ii»
plurimis evenit, capitis ; si salivae plenum esl
os ; si oculi CUm dolore vertunlur ; si tempo-
ra adstricla Mini ; si membra inhorrescunt; si
spirìtus gravior esl : si circa front em inlehlàe
venae movenlur ; si frequentes osoilaliones j
Celso
Cap. ii.
— In di zìi di condizione
valetudinaria.
Le infermità sono precedute, siccome di
sopra diceva, da certi speciali indizi, il più co-
mune dei quali è il sentirsi al tramenìi da quel
che si suole non pur in peggio, ma sì anche in
meglio. Se qualcuno più grasso e più avvenen-
te e più colorito divenuto sia, deve riguardare
per sospetto questo suo bene stare, che non
potendo nel medesimo piede sussistere, uè più
oltre progredire, per lo più addiviene che dan-
do volta rovini, per dir così, a precipizio. Non-
dimeno però segno peggiore si è, quando altri
dimagra fuor dell1 usalo, quando il colore e
r avvenenza perde, perocché in queste restan-
do ritrova il male da esercitare sua forza. Lad-
dove mancando, manca quel che potria raffre-
nare e sostenere il male medesimo. Oltre a ciò
deve tosto mei tersi in apprensione se le membra
si lamio più gravi, se compajono spesse ulcere,
se il corpo si sente oltre il costume caldo, se
una sonnolenza grave ne preoccupa, se i son-
ni sono agitali, se più spesso che altri non suo-
le in dormendo si risvegli, per indi tornare a
ricadere nel sonno ; se il corpo di colui che
dorme suda in parli non usale, e soprattutto
intorno al petto, al collo, alle gambe, alle gi-
nocchio od alle cosce. Parimente se l'animo è
abbattuto, se increscevole gli è il favellare, e il
muoversi ; se il corpo è torpido, se v1 ha dolo-
ri di precordi e di tulio il petto, e ciò che in
molli avviene, del capo ; se la hocea ligurgil.t
di saliva; se ^li occhi si rivolgono non dolore,
42 CELSO
si gen u a quasi fatigata sunl, totumve corpus
lassitudinem sentii. Ex quibus saepc plura,
numquam non aliqua feibrem antecedunt In
primis tamen i liuti considerandolo est. nuui
coi saepius horom aliqoid eveniat. ncque ideo
ris alla difficullas sobseqoator. Sunt
qoaedam proprietates hominum, sine
"i noiitia non facile quidquam in rota-
rum praesagiri pò test Facile ilaque securus
esl iii iis aliquis, qoae saepe sine pericolo eva-
si! : ille sollicitarì debel. coi liaee nova sont ;
aut < ì ai isla nomqoam sine custodia sui tuta
habuit.
Cap. ih. — Quae bona in aegrotantibus
signa sint.
Uhi vero febrh aliquem occupavit, scire
non periclitari. si inlatusaul dextrum
an t sinistrimi, ul ipsi visum est, cubai, cruri-
bos paulura redoctis; qoi fere sani quoqoe ja-
centis babitns est; si facile converlitur ; si
nocte dormii, iotardia vigilai : si ex facili spi-
rai; si non, conflictatur ; si circa umbilicom
«•i pubem cutis piena esl : si praecordia ejos
sine allo sensu doloris aeqoaliter mollia in
ie parte sont. Quoti si paolo tumidiora
sunt, sed tamen digilis cedoni el non dolent,
li. ice valetudo, ul spalium aliqood habebit,
sic tota ciii. Corpos quoque, qood aeqoaliter
molle el calidura est, qoodque aeqoaliter t<>-
tuiu insudat, el cnjos febricola eo sudore fi-
nitur. lecoritatem pollicetur. Sternotamen-
iiini eiiara inter bona indicia est, el copiditas
cibi rei .1 primo servata, rei ettaro posi t.isii-
< I i ti ni orta . Neque terrere debel ea febris,
idem die finita esl ; ac ne ea quidem,
qu trovi* longiore tempore evanuit, ta-
men ante alteram m \ loto quievit,
sic ni i quod ?t>iy.ptvi< Grae-
int, liei fi. Si quis multili ìncidil romi-
• t bile el pil aita debel : el
album, l.icv e, aeqoale \ ite
ni etia n si quaequasi nubeculae innatarinl ,
• ■I . i .mi in . \. \ cilici- i-i. qui ;i peri-
calo 1 1 1 1 1 1 , esl . reddil mollia, figurata, atque
quo secunda raletu-
i nc\ ii. modo convenienlia iis . quae
intur. P jor cita alvoi eli : sci ne baec
rol inai debel, si matutinis
lemp iribus roacta magis est, .mi si prò i l< n
te temp ii paulatim i onti abitar . el ru
ncque fot ditate odorii limilem alvura sani ho-
lambi e - qaoqae iliquoi
§ub fin Si li-
se le tempie si sono ristrette, se le membra im-
brividiseono, se il respirare è affannoso, se le
vene della fronte inturgidita pulsano violente-
mente; se si hanno frequenti sbadigli, se le gi-
nocchia si sentono come stanche, ovvero il
corpo tutto abbattuto e pesto. Più d1 uno di
questi segni spesso precede la febbre, ma non
mai senza qualcuno. Importa però da notare
innanzi tutto, se in una persona si osservi al-
cuno di questi accidenti, senza che ne siegua
perciò alcun disordine nel suo corpo. Impe-
rocché si danno certe particolarità nei corpi
senza la cui contezza non è agevole presagire
cosa sia per succedere. Facilmente andrà esen-
te da ogni male quegli che in mezzo a questi
segni più d'una fiata si trasse immune, ma co-
lui al quale sono insoliti deve stare in guar-
dia; oppure quegli che non mai gli ebbe sen-
za di speciali riguardi, impunemente.
Cap. ni. — Segni da sperar ne"1 malati.
Quando taluno è collo da febbre, d'uopo
è sapere non essere in pericolo, allorché giace
a sua posta sul lato destro e sul manco, colle
gambe pur un poco rattratte siccome sogliono
giacere i sani : se agevolmente si rivolta pel
letto: se la notte e1 dorme, e se fra il «lì ve-
glia : se respira con facilità; se non ha inquie-
tudine ; se attorno ali1 ombellico e al pube la
pelle è piana, se i precordi sono molli in en-
trambi i lati senza venni scuso dì dolore; ("he
se tanto o (pianto sieno tumidi, cedano non
però alla pressione delle dita, e non dolgano,
questa malattia comeehè possa durare alcun
Icilio.», non sarà tuttavia pericolosa. Anche
quel corpo che è egualmente molle, e che ha
per tutto equabile il sudore, e che col cessare
di quello eessa la lebbre, ne porge fondala
speranza. L<> sternuto pure è fra i segni favo-
revoli, e l' appetito conservato fino dal prin-
cipio dilla malattia, ovvero ridestatosi dopo
l'inappetenza. Ne dc\c atterrirci quella feb-
bre «he termina il dì medesimo che renne;
né quella che quantunque ne infesti da lungo
tempo, nondimeno declinò al tutto innanzi il
secondo accesso, onde che il corpo ne rimase
libero, il che dai Greci chiamato viene iìlicri-
nes. Se ■ qualcuno sopravviene il romito,
questo <lc\c essere misto di bile e pituita, od
esservi ne!T orina un sedimento bianco, uni-
forme e sciolto : cosi se nelT orina tstessa o
soprannoteranno delle nuvolette, si radano a
deposi i. ne .il fondo; e quegli che è fuor di pe-
ricolo, evacuar deve per secesso materie molli,
inni ite e quasi al medesimo tempo, in cui era
uso il.i sano, e corrispondenti pressa poco agli
alimenti presi, l'in i risto indizio <• la lubricità
<l«l reatre: ma neppure questa ne deve far
paura tosto se il \enlrc .ti mattino trovasi più
DELLA MEDICINA
flatio in superioribus partibus dolorem tumo-
remque fecit, bonutn signum est sonus ventris,
inde ad inferiores partes evolutus ; magis-
que eliam, si sine difficultate cura stercore
excessit.
43
tenace, e nel progredir del male poco a poco
si ristringa ; e se le fecce sono giallastre, né per
fetidezza d1 odore eccedenti quelle di un sano.
Similmente nulla pregiudica che sul finire del-
la malattia vengano eliminati alcuni Termini.
Se una ventosità nelle regioni superiori del
corpo cagionò dolore e gonfiezza, buon segno
è il gorgogliar del ventre, indi svolgentesi lun-
go le parti inferiori, e tanto meglio ancora, se
agevolmente si dissipa cogli escrementi.
Cap. iv. — Mala signa aegrotantium.
Contra gravis morbis periculum est, ubi
supinus aeger jacet, porrectis manibus et cru-
ribus ; ubi residere vult in ipso acuti morbi
impetu, praecipueque pulmonibus laboranli-
bus ; ubi noclurna vigilia premitur, etiamsi
interdiu somnus accedi t, ex quo tamen pejor
est, qui inter quartana horam et noclem est,
quam qui matutino tempore ad quartana. Pes-
simum tamen est, si somnus neque poeta, ne-
que interdiu accedit ; id enim fere sine conti-
nuo dolore esse non potest. vEque vero signum
malum est etiam somno ultra debitum urgeri ;
pejusque, quo magis se sopor interdiu noctu-
que continuat. Mali etiam morbi testimonium
est vehementer et crebro spirare ; a sexto die
coepisse inborrescere ; pus expuere ; vix ex-
screare ; dolorem habere continuum ; diffìcul-
ter ferre morbum : jactare brachia et crura ;
sine voluntate lacrymare ; habere humorem
glutinosum dentibus inhaerentem, cutem cir-
ca umbilicum et pubem macram, praecordia
infiammata, dolenlia, dura, tumida, intenta,
magisque, si baec dextra parte, quam sinistra,
sunt ; periculosissimum tamen est, si venae
quoque ibi vehementer agitantur. Mali etiam
morbi signum est, nimis celeriler emaeresce-
re, caput et pedes manusque frigidas habere,
ventre et latcribus calentibus ; aut frigidas
exlremas partes acuto morbo urgente; aut
post sudorem inborrescere; aut postvomitum
stngultum esso, vel rubore oculos, aut post
eupiditatem cibi, postve longas febres lume
fastidire ; aut multimi sudare, maximeque fri-
gido sudore ; aut habere sudores non per to-
tum corpus, aequales, quique febrem non fì-
niant; et eas febres, quae quotidie tempore
eodern revcrlantur ; quaeve semper pares ac-
cessiones habeant, neque tertio quoque <lie
li \«ntiir; quaeve sic continuent, ut per ae-
eessiones increscant, per decessiones tantum
raolliantur, nec anquara integrimi corpus di-
iuitt;iiit. Pessimum est, si ne levatur quidera
febrk, sed aeque concitata continuat. Pericu-
losura esl etiam. post arquatum morbum fe-
brem orili ; utique si praecordia dextra |>artc
darà manserunt. \<- dolentibus iis. nulla acu-
ta lebris lev ilei tenere noi debel. ncque \m-
quam in acuta lcbre. auL a somno non est
Cap. iv. — Segni cattivi jie1 malati.
Sovrasta ali1 incontro pericolo di grave
infermità, quando l1 ammalalo giace supino a
braccia e gambe distese, quando volonteroso è
di drizzarsi e sedere sul letto anche nel colmo
del male acuto, e particolarmente essendo af-
fetti i polmoni : quando è oppresso da nottur-
na veglia, quantunque il sonno se gli aifacci
fra il giorno, ma vieppeggio tuttavia si è il
dormire tra P ora quarta e la notte, che non
dall1 alba fino air ora quarta. Peggiore di tut-
ti è allorché il sonno non si affaccia né di dì,
né di notte, mentre rado è che ciò avvenga
senza un continuo dolore. Egualmente male
ne indica un troppo prolungato sonno, e peg-
gio ancora quando il sopore continua notte e
dì. Segno è pure di maligno morbo un respi-
rare forte e frequente: Pavere dal dì sesto
principiato a provare brividi, sputar marcia,
o a grande stento espettorare, sentire inces-
sante dolore, sopportare a gran pena il pro-
prio male, gitlar qua e là le braccia e le gam-
be, lagrimare involontariamente, avere i den-
ti imbrattali di glutinosa pania, la cute arida
e secca intorno al pube e alPombellico : i pre-
cordi infiammali, dolenti, tumidi, tesi e tanto
più se sì fatti accidenti si riscontrano nella de-
stra anziché nella sinistra parte : caso però più
d'ogn1 altro di pericolo pieno si è quando le
vene ivi si agitano gagliardamente. Segno è
pure che grave malattia ne sovrastalo smagri-
re a un tratto, aver freddo il capo e fredde le
mani e i piedi intanto che caldi sono il ventre
ed i fianchi ; ovvero fredde le estremità nella
pienezza d1 un male acuto : e dopo il sudore
avere brividi, ed appresso il vomito, il singhioz-
zo ; o aver rossi gli occhi: o dopo gran voglia
di mangiare, e dopo lunghe febbri provare
nausea e ripugnanza ai cibi : o il mollo suda-
re, e il sudar freddo; e aver sudori non egua-
li per lutto il corpo, o che non isciolgono la
febbre: mal augurio ne porgono altresì quelle
febbri che 'igni dì ritornano alla medesima
ora, o che hanno sempre gli accessi eguali, e
clic non menomano neppure al terzo gì >rho :
o che continuano in guisa che si esaltano per
accessi, si calmano per declinazione, né mai al
tulio libera lasciano la persona. Peggiore di
tutti si è quando la febbre non si mitiga nul-
44 « E
terribilis nervorum distratta. Timore ctiam
ex sorano, mali morbi est, itemque in prima
febre prolinus mentala esse turbalam, mera-
brurave aliquod esse resolutum. Kx quo ca-
sii quamvis vita redditur, lamen iti fere mem-
brum debilitatili'. Vomilus eliam periculosus
est sincerar pituilae. vel bilis ; pejorque, si vi-
ridis. aut niger est. At mala urina est in qua
subsidunt rubra et laevia : deterior. in qua
quasi folia quaedam tennis alba : pessima ex
his, si tamqnam ex furfuribus factas nubecu-
las repraesentat. Diluta quoque, atque alba,
vitiosa est. sed in phreneucis maxime. Alvus
antem mala est ex toto suppressa. Periculosa
eliam. quae inter febres fluens eompiiescere
hominem in eubili non patitur; utique. si
qnod desccndit, est perliquidum, autalbidum,
ani pallidum aut spumans. Praeter baco pe-
ricninm oslendit id. quod exrernitur, si est
exigunm, glutinosum, laeve, album, idemque
snbpallidum; vel si est aut lividum, aul bi-
liosum . ani cruentami, aut pejoris odoris,
qnam ex consuetudine. Malum est etiarn, quod
post longas febres sincerimi est.
L s o'
la, ma continua colla medesima intensità. Por-
ta pericolo pure V insorgere la febbre appres-
so l'itterizia, soprattutto quando gì1 ipocondri
del lato destro si mantennero duri. Ma ninna
febbre acuta accompagnata da dolore agl'ipo-
condri non ne deve mai far lievemente teme-
re : né temibile meno si è la convulsione che
insorge nella febbre acuta, o dopo il sonno.
Anche lo svegliarsi dal sonno spaventato, se-
gno è di grave malattia. Del pari esser l'uomo
turbato della mente fino dal primo insorgere
della febbre, ovvero il venirgli da paralisi oc-
cupato \m qualche membro. Nel qual caso an-
coraché avvenga che si ridoni alla vita, pine
sempre fievole si rimarrà quel membro. Anche
il vomito di schietta pituita, ovvero di bile e
pernicioso; peggiore però se è di materia ver-
de o nera. Prava é queir orina che fa un sedi-
mento rossastro ovvero livido : più prava an-
cora se vi si osservano come dei filamenti bian-
chi e sottili : ma la pessima «li tutte è quando
fa vedere delle nuvolette fatte come di forfo-
ra. Anche l'acquosa e bianca è malvagia, mas-
simamente nei frenetici. L'assoluta costipazio-
ne del ventre ècosa illaudabile. Pericolosa an-
cora è averlo sciolto nel periodo febbrile da
non concedere alcun riposo all'infermo: ed in
ispecie allorché le materie che si evacuano, so-
no semiliquide, biancastre, pallide o spumose.
Oltre a questo denota perìcolo la fatta male-
ria, se è in picciola quantità, glutinosa, liscia,
bianca, o di colore un poco pallido: Ovvero
se è livida, biliosa, sanguinolenta. 0 dì un odo-
re vieppiù tristo che non suole. Cattiva pure
è (fucila che appresto lunghe febbri non si
cambiò.
De signis longae valetudini*.
C,w\ v. — Segni di lunga malattia.
l'osi line indnii volimi est. longum
mot lumi fieri : sic rumi necesse est, ni i Deci-
dili Ncque rita e alias ipea in magnis malia est,
qnam ni irapetura morbi trabendo aliquis ef-
fugiat, porrigaturque in id lerapua, quod cu-
'. ilio ii lucimi praestet. Protinos lamen tigna
ira Mini, èi quibui collidere possumus,
moi l'imi, cui non interamente longius lamen
lempus li.iliiini imi • udì frigidui sudor inter
1 non icutas • in .i < anni lantani, el cer-
vicei oi iim : imi ubi. li bre non quiescente,
insndal i ani obi corpus modo friarì
'Inni mO I ' ' ili'luiu est, Ci l Oli 'i .ilms c\ ;ili'i
ni : .mi ul.i. qua I inler febi ei aliqua parte
ni : .mi uhi
pai uni eraa< rescil itera i
in mi modo liquida i I pura est, modo habel
quaedara inbsidentia ; - 1 lai ria atque alba ru-
brai • Mini . quae in < .i nbsidunl ; ani si
quasdam! quasi mi. ni i ,, il : ,,,ii si
bulini !
Fra questi indizi è a desiderare che la
malattia tiri in lungo, altrimenti P infermo
soccombe. Nelle gravissime infermità non v" è
altra speranza di vita, che altri collo indugia-
re sfugga l'impeto del male, e si rechi «osi ,,,|
\ììì tempo che offra campo ad una cura. Man-
novi non però alcuni segnali, donde sì può
dedurre che la malattia come che non sia per
uccidere e nondimeno per durare lungo tem-
po. Mlorchè mllc febbri non acute si lm fred-
do sud ne soltanto intorno al capo ed al collo :
o quand'anche non rallenti la febbre, pure si
suda: ovvero quando il corpo è ora freddo,
ora e. ildo : quando si cambia ad ogni trailo
colore. .. quando un ascesso nato in alcuna
poi. nel corso della febbre, non è risanato ;
ovvero quando l infermo avuto rispetto alla
dm il i di Ila malattia, poco è dimagrato, t li-
mtgliantemenle se l'orina ora è liquida e no
i .i. ora con ali un sedimento ; e se questo è li-
eto, bianco o rosso, oppure se fa federe come
Cap. vi. — De inàiclìs mortis.
Sed inler haec quidem, proposilo meta,
spes tamen superest. Ad ultima vero jam ven-
tum esse testa ntur, nares acutae, collapsa tem-
pora , oculi concavi , frigidae languidaeque
aures et imis partibus leniter versae, cutis cir-
ca frontem dura et intenta, color aut niger
aut perpallidus ; multoque magis, siila haec
sunt, ut neque vigilia praecesserit, neque ven-
tris resolulio, neque inedia. Ex quibus causis
interdum haec species ori tur, sed uno die fì-
uitur : itaque diutius durans, mortis index est.
Si vero in morbo vetere jam triduo talis est,
in propinquo mors est ; magisque, si praeter
haec oculi quoque lumen refugiunt, et illa-
crymant ; quaeque in iis alba esse debent, ru-
bescunt ; atque iisdem venulae pallent ; pi-
tuitaque in iis innatans, novissime angulis
inhaerescit ; alterque ex his minor est ; iique
aut vehementer subsederunt, aut. facti tumi-
diores sunt ; perque somnum palpebrae non
committuntur, sed inter has ex albo oculorum
aliquid apparet, neque id fluens alvus expres-
sit ; eaedemque palpebrae pallent, et idem
pallor labra, et nares decolorat ; eademque la-
bra et nares, oculique, et palpebrae, et super-
cilia, aliquave ex his pervertuntur ; isque pro-
pter imbecillilatem jam non audit, aut non
videt.
Eadem mors denuntiatur, ubi aeger su~
pinus cubat , eique genua contracta sunt;
ubi deorsum ad pedes subinde delabilur;
ubi brachia et crura nudat, et inaequalf-
ter dispergit, neque iis calor subest ; ubi
hiat ; ubi assidue dormit ; ubi is, qui mentis
suae non est, neque id Tacere sanus solet,
dentibus stridet ; ubi ulcus, quod aut ante,
aut in ipso morbo natum est, aridum, et aut
pallidum, aut, lividum factum est. Illa quo-
que mortis indicia sunt, ungues, digilique
pallidi ; frigidus spiritus ; aut si mauibus
quia in febre, et acuto morbo, vel insania,
pulrnonisve dolor, vel capitis, in veste floccos
ìegii, fìmhriasve diducit, vel in adjuncto pa-
rìete,. si qua minuta eminet carpii. Dolores
eliam circa coxas et inferiores parles orli, si
ad riscera transierunt, subitoque desierunt,
mortem subesse leslanlur ; magisque, si alia
quoque signa aceesserunt. Neque is scrvari
potett, qui sine ullo tumore febricilans subi-
to slrangulatur. aut devorare salivam suam
non potesi ; cuive in eodem febris corporisque
habitu cervi* convertitiir, sic ut devorare ac-
que nihil possil, ; aut cui simul et continua
febiis et ultima corporis infirmila» est; aut
DELLA MEDICINA /|5
dei grumetti, o se vi si sollevano delle bollici-
ne d' aria.
Cap. vi. — Indizi di morte.
Ma fra questi segni, toltone il timore, ne
resta pure alcuna speranza. Essere però giun-
to agli estremi il dichiarano il naso acuto, le
tempie depresse, gli occhi cavi, le orecchie
fredde, lasse e leggiermente rivolte al basso,
la pelle attorno alla fronte dura e tesa, nero il
colore o squallido, e molto più se questi segni
si hanno senza che preceduto siane veglia,
flusso di ventre, o inedia : dalle quali cose
quest'aspetto sovente nasce e si forma, ma in
un giorno si dissipa : il perchè più lunga pez-
za durando, foriero è di morte. Quando in li-
na vecchia infermità sì fatto stato duri tre dì,
è segno d1 imminente morte : e più se oltre
questo gli occhi non possono tollerare la luce,
e sono lagriraos^ : e se il bianco è fatto rosso,
e se le venuzze loro sono pallide, e se Tumore
in che nuotano, si va conglutinando agli ango-
li, e se un occhio è più piccolo dell' altro, e se
sono infossati ed assai gonfi: e se al venire del
sonno le palpebre non si chiudono al tutto, ma
tra esse parte del bianco dell' occhio si trave-
de, con che però che questo non sia derivato
da flusso di ventre : e pallide siensi fatte le
palpebre istessé, e questo pallore medesimo
scolorisca e le labbra e il naso ; e se le labbra
e il naso e gli occhi e le palpebre e i sopracci-
gli, e altre di queste parti si pervertano, e l'in-
fermo già per debolezza e più non oda e più
non veda.
È presagio pure di morte il decombere
che fa l' infermo supino, e il tener ratlratte le
ginocchia : o lo sdrucciolare col corpo verso i
piedi del letto, e lo scoprirsi le braccia e le
gambe, e qua e là inegualmente iscagliarle, e
averle fredde : avere il singhiozzo, e dal con-
tinuo dormire, essere alienato della mente, di-
grignare i denti, senza esser uso farlo da sano :
od una piaga o nata nel corso della malattia,
o già esistente, farsi arida, ovvero smorta o
livida. Sono pur contrassegni di morte le un-
ghie pallide e le dita : l'alito freddo ; o se l'in-
fermo nella febbre, e in male acuto o nella fre-
nesia, o nel dolor del petto, o del capo coglie
colle mani i fiocchi sulle coltrici, o ne divide le
frange; o va carpendo i minuti corpicciuoli,
che sieno sull' adiacente parete. Prenunziano
pure vicino l'estremo fato, se doglie nate ver-
so i fianchi e le parti inferiori si trasportano
alle viscere, o in un tratto si dileguano, e più
ancora se a questi gli altri segni si aggiunga-
no. Ne sopravvivere potrà quegli il (piale a-
vendo febbre senza verun tumore, si seni e in
un istante strozzare : o se non può inghiottire
la propria saliva : uè colui al quale nella me-
desima condizione di corno e di febbre si pie-
cai, febre non quiescente, exterior pars friget,
interior sic calet, ut etiani silim faciat ; aut
qui, tibie aeque non quiescente, simul et de-
lirio ci spiranti] diffieultale vexatur ; aut qui
epoto veratro, exceptus distentione nervorum
est : .mi qui ebrius obmutuit. ls enim fere ner-
Torum distentione consumitur, nisi aul t'ebris
accessit, aut eo tempore, quo ebrietas solvi
debet, loqui coepit. Mulier quoque gravida
acuto morbo facile consumitur ; et is cui so-
mmim dolorerà auget ; et cui prolinus, in re-
ccnii morbo, bilia atra vel infra Tel supra se
obstemlit ; cui ve alter litro modo se promsit,
emù i mi longo morbo corpus ejus esset exte-
nuatum et attedimi. Sputum etiam biliosum,
et purulentum, sive separalini ista. sive mixta
proveuiunt, iuleritus perieulum ostendunt.
\c si circa scplimuni diem tale esse coepit,
proximum est, ul bis circa quartumdecimum
diem decedat, nisi alia sigila meliora pejorave
accesserint; quae, quo leviora gravioraque
subsecuta sunl, eo vel seriorem mortem, vel
raaturiorem denuntianL Sndor quoque frigi-
dus in acuta febre pestifero! est, atque in
olimi morbo vomitus, qui varius, et multo-
i m i n colorum est ; praecipueque, si malusili
hoc odor est. Ao sanguinem quoque in febre
vomoisse. pestifcrum est. Urina vero rubra et
tennis in magna eruditale esse consuevil ; et
saepe, antequam ipatio maturescat, hominem
rapii : itaque, si talis diutius periiianet, peri-
eiiluin morti* oslemlit. Pessima tainen est,
praecipueaue mortifera, nigra, crassa, mali
odoris. \ i ■ 1 1 1 *■ in viris quidem ci mulieribus
talis deterrima est, in pueris vero, quae te-
nuis et diluta est Uvus quoque Tana, pesti-
fer i est quae strigmentum, lauguinem, bilem,
viride aliquid, moda diversi* temporibus, mo-
llo simul. el in mixtura quadam, discreta ta-
mi'ii. rapraesentat Sed baec quidem potasi
|..mlo iliiiims trahere : in praectpitì fero jam
esse denuntiat, quae Liquida, eademqne \el ni-
■_ii. sei pallida, rei pingnii esi ; utique si
m.iju.i foeditas odoi is accessit.
CELSO
lllu'l mi. irò- ni me posse ib aliqno
li io : li i ii ia fatane mortii indicia inni .
quomodo interdum deserti a meuicii con-
i ii nuosdamque fama nrodideril in
ibiia i '\ httsse : Quin eliam \ ir
i uomini Deiuoi i iin> , ne lini-
ga la cervice in guisa che non può cosa ninna
ingollare senza disagio, e quegli ali resi che ab-
biasi ad un1 ora e febbre continua, e somma
fievolezza del corpo; o chi ha senza che la feb-
bre gli rimetta, fredde le esterne parli, intan-
to che le interiori sono calde di guisa che i^li
si sveglia ardente sete ; ovvero quegli cui non
al tutto declinando la febbre, sia occupato da
delirio insieme, e da difficoltà di respirare :
ossivvero quegli che avendo trangugialo elle-
boro, venga assalito da stiramenti ; o che ine-
briatosi ammutolisca. Imperocché questi dallo
stiramento de1 nervi per lo più resta oppresso,
tranne che non vi si aggiunga la febbre, o che
ricuperi la favella attorno quel tempo in che
deve sciogliersi L'ebbrietà. Anche la donna in-
cinta assai di leggieri soccombe sotto un male
acuto, e quegli che dal sonno ha esacerbamen-
to di dolore, e colui che sul primo principiar
d1 un male comincia a rigettare nera bile per
di sotto e per di sopra : o se questo rigettare
occorra nell1 uno o V altro modo, allorché si
trova il corpo per lunga infermità già rifinito
e consunto. Ne porgono ancora indizio di mor-
te lo spular bilioso o purulento sia congiun-
tamenie,sia separatamente. Che se questo cora-
paja attorno il settimo dì. per lo più si morrà
il decimoquarto salvo che non sopravvengano
più propizi o più funesti indizi; perocché
(pianto più Bevi* O (pianto più gravi sussi. •-
guano, tanto più larda, ovver sollecita terra n-
ne dietro la morte. Anche il sudor freddo nel-
le febbri acute è mortifero segno, e del pari in
qualsivoglia malore il vomito di materie mul-
tilormi e variamente colorate, e tanto più se
sono di mal odore. Pestifero segno si è anche
il vomitar sangue nella febbre. L'orina rossa
e tenue suole aversi nella grande crudezza, e
pria che la cozione si compia l'infermo è spac-
ciato : per lo che ove tale si conservi lunga
pezza, ne dimostra pericolo dimoile. Pessima
per altro e specialmente mortifera è la nera,
crassa, fetente. Ma negli uomini e nelle donne
orina tale è di formidabile preludio, e ne' fan-
ciulli la tenue e chiara. Pestiferi eziandio sono
L'Ii escrementi variali che olirono lacinie mcin-
braniforrai, sangue, bile od alcun che di verde,
ma a diversi tempi, ora con gì Untamente, e in
Siffatta mescolanza insieme unite che pur si la-
sciano distintamente riconoscere. Nulladimenp
si può in mezzo a questo pur vivere alcun tem-
po ancora : ma la morte filala, e già ne coglie
quando gli escrementi sono liquidi o nereg-
gianti, pallidi o pinguedinosi, 6 soprattutto se-
vi si arroge incomportabile fetore.
lo non ignoro che taluno dirmi polreb-
!„■ > lecerti sono i segnali di futura morie.
,. ,me m. o addiviene che tal fiata infermi d>-
bandonati dai medici risanino^ e che qualcuno
i he li i redei a ornai trapassato i itornato sia in
vita mi tempo iste no ai ' suoi funerali -* Che
DELLA MEDICINA
tae quidem vitae satis certas notas esse,
proposuit, quibus medici cvedidissenl : adeo
illud non reliquit, ut certa aliqua signa futu-
rae mortis essent. Adversus quos ne dicani il-
lud quidem, quod in vicino saepe quaedam
notae positae, non bonos, sed imperitos rae-
dicos decipiunt; quod Asclepiades funeri ob-
vius intellexit, eura vivere, qui efferebalur :
nec protinus crimen artis esse, si quod pro-
fessoris sit. Illa tamen moderatius subjiciam :
conjecturalem artem esse medicinam, ratio-
nemque conjecturae talem esse, ut cui saepius
aliquanto responderit, interdum tamen fallat.
Non itaque, si quid vix in millesimo corpore
aliqu.indo decipit, fidem non habet, cum per
innumerabiles homines respondeat. Idque non
iis tantum, quae pestifera sunt, dico ; sed in
iis quoque, quae salutaria. Siquidem etiam
spes interdum frustratur, et moritur aliquis
de quo medicus securus primo fuit : quaeque
m eden di causa reperta sunt, nonnumquam in
pejus alicui convertunt. Neque id evitare Ira-
niana imbecillilas in tanta varietà te corpo-
»ii ni potest. Sed est tamen medicinae fìdes,
quae multo saepius, perque multo plures ae-
gros prodest. Neque tamen ignorare oportet,
in acutis morbis fallaces magis notas esse et
salutis et morlis.
47
anzi Democrito uomo a buon diritto celcbra-
iissimo portò opinione cbe non si possedesse-
ro segni positivi di spenta vita, su dei quali i
medici potessero affidarsi; tanto è lontano dal-
Fjavere affermato darsi segni certi di vicina
morte. Contra i quali io non addurrò neppur
questo, cioè che sovente alcuni contrassegni
poco prima apparenti ingannano non già i me-
dici scaltriti e savi, ma gì1 inesperti : il che sa-
pendo troppo bene Asclepiade, si avvide in-
contrandosi in un funebre accompagnamento,
vivere colui che venia tratto : né dirò che sia
difetto dell1 arte, ove lo sia dell1 artefice. Non
pertanto ripeterò qui con più di moderanza,
che la medicina è arte conjetturale, e che il
proprio fare della conjettura è fale che quan-
tunque il più delle volte ne corrisponda, pure
a quando a quando inganna. Laonde ciò che
trae in inganno appena una volta in mille,
non per questo merita minor fede, mentre
corrisponde in un infinito numero di persone.
E questo non ptir il dico per quei segni che
sono funesti, ma sì anche per quei che son
propizi : imperocché soventi fiate avviene che
la speranza resti delusa, e perisca quegli cui
il medicante faceva in sulle prime sicuro. E
quelle cose ritrovate per medicare talora a
qualcuno riescono di nocumento. Né ciò l1 u-
mana fralezza schifar puote in guisa ninna at-
tesa T immensa varietà dei corpi. Ma devesi
nondimeno aver fidanza nella medicina, la
quale assai più spesso, e nel massimo numero
dei malati torna più giovevole che nociva.
Tuttavia non è da ignorare che nei mali acuii
sono i segni sì di risanamento che di morte
Cap. vii. — De notis qnas aliquis in singulis Cap. vii.
morborum generibus fiabe re possi t.
Segni particolari ad ogni
malattia.
Sed cum proposuerim sigila, quae in
omni adversa valetudine communia esse con-
sueverunt; co quoque transibo, ut, quas ali-
quis in singulis morborum generibus habere
jx'^sit nolas, iudicern. Quaedam autem sunt,
quae ante febres, quaedam quae inler eas,
quid aut intus sit, aut venturum sit, osten-
dant. Ante febres, si caput grave est, aut ex
sorano ocidi caligati!, aut frequenta slernuta-
menta sunt, circa caput aliquis pituilae impe-
to* linieri potest. Si sanguis aut ealor allin-
dai, proximum est, ut aliqua parie proflu-
vium sanguini* fìat. Si sine causa quis ema-
Crescit, ne in in,, liiin babitum corpus cjus re-
cidili, rnetus est. Si praecordia dolent, ani in-
flatio gravis est. ani loto <!i.- non concocta
feri ur urina, crudilatem esse manifeslum est.
Quibus din color sine moi bo regio malus est,
hi \d capilis doloribus conflictantur, vel ter-
rara edunt. Qui din babenl faciem pallidam
*'! tamidam, aul capile, .mi risceribus, ani
Ma divisati avendo i segni usi riscontrar-
si in qualsivoglia malattia, passerò a quelli
che sono propri di ciascuna specie. Intra que-
sti havvene che avanti la febbre e che al tem-
po di essa ci fanno conoscere ciò eh1 entro di
noi avvenga in quell1 istante ; ovvero ciò ere-
siavi per avvenire. Davanti la febbre se il ca-
po è grave, o che pel sonno abbiasi offuscalo
il vedere, e molti sternuti, può temersi alcuna
irruzione di pituita al capo. Se sovrabbonda
il sangue o soperchio calore si prova, non au-
drà guari che avrassi un getto di sangue in
alcuna parte. Se altri senza ragione dimagra,
v1 ha a temere non il corpo di lui incorra in
una rea disposizione. Se gì1 ipocondri dolgo-
no, e sono enfiali o l'orina per un giorno in-
tero si faccia inconcotla, manifesto è clic malo
si eseguisce la digestione. Quelli clic da gran
tempo portano malvagio colore sema a\cr
r itterizia, o sono da gravi doglie afflitti ov-
vero mangiano della lena : e quelli clic da
48 CELSO
alvo laborant. Si in continua febre puero ven-
ter nihil reddit, mutaturque ei color, ncque
somnus accedit, plora tque is assidue, metuen-
da nervorum distentio est. Frequens autcm
destillatio in corpore tenui longoque, tabem
timendam esse testalur. Ubi pluribus diebus
non descendit alvus, docct. aut subitam deje-
ctionem, aut febriculam instare. Ubi pedes
turgent, longae dejectiones sunt, ubi dolor in
imo ventre et coxis est, aqua inter cutern in-
stat. Sed hoc morbi genus ab ilibus orivi so-
let. Idem propositum periculum est iis, qui-
bus voluntas desidendi est, venter nihil red-
dit, nisi et aegre durum, tumor in pedibus
est, idemque modo dexlra, modo sinistra par-
te ventris, invicem orilur atque finitur. Sed
a jacinore id malum proticisci videtur. Ejus-
dem morbi nota est, ubi circa umbilicum in-
testina torquentur ( vr^ó^ow; Graeci nomi-
nant ), coxaeque dolores manent; eaque ncque
tempore neque remediis solvuntur. Dolor au-
tem articulorum. prout in pedibus, manibus-
ve, aut alia qualibet parte sic est, ut eo loco
nervi contrahantur ; aut si id membruin. ex
levi causa fatigatum, aeque frigido, calidoque
ofienditur, iroàày{ta.v xétpdyfav ve, velejus ar-
ticuli, in quod id sentilur, morbum fulurum
esseMenunliat. Quibus in puerilia sanguis ex
naribus lluxii. dein flaere desiit, hi vel capitis
doloribus conflictentur necesse est, vel in ar-
licolii aliqnaa exuloerationee graves habeant,
yì l aliquo morbo etiam debililentur. Quibus
ieminis menstfaa non proveninnt, necesse est
capiti* acerbissimi dolores sint, vel quaelibet
alia pus morbo infestetur. Eademque iis pe-
ri, ula sun t, quibus articulorum vitia, dolo-
res Lumoresque , line podagra similibnsque
morbi*, oriuntur, et desinanl ; ntiqae, si sae-
pc tempora iisdem dolent, noctuque corpora
mtudant Si froni prurit, lippitudinis metas
«•si. si malier a partii vehementei dolores ha-
bet, ncque alia praeterea ugna mala sunt, cir-
ci vigesimum diem .mi sanguis per nares
erumpel. ani in inlerioribus parlihus aliquid
abscedet Qnicnmque etmm dolorera ingen-
i' ni (irci tempori et frontem habebit, is al-
terutra ratione eum Bniet; raagisque, s| juve-
nis erit, per sanguini! profusioneni ; si senior,
i" i uppurationem. Febrii autcm. qnae iu-
bito ^i 1 1« ■ ratione, line bonis lignis lini'' est,
(■ i -■ i <•%. i liiur. Coi fauces sanguine et ìitter-
<liu ri noeta replentur, si.- ut neque capitis
dolores, n< que pn rdiorum, neque tussis,
neqae vomitai, neque fi bricali praei i
bujus ani in naril.us. ani in l.m. jbus llicUI
reperii tur. Si muliei i inguen el fi bi icula orla
est, neque caussa upparet, alcui in vulva est.
l uni autéaa crassa, • i qua quod desidia al-
bum est, ornili, .ii i arti* iiloi . aul < h ca
i dolorem, metumque morbi esse l.a-
d< m \u Idi* aul vi* ei una doloi i m, tumoi « m-
tempo pallida e tumida si hanno la faccia
convien che siano mal affetti nella testa, nelle
viscere, o nell1 imo ventre. Ogniqualvolta un
fanciullo in una febbre continua nulla renda
per secesso, e se gli cambi il colore, né riposi,
e del continuo pianga, è a temere una convul-
sione. Le spesse flussioni in un corpo gracile,
e di eminente statura dimostrano doversene
aspettar la tabe. Quando per alquanti dì non
si ha benefizio del ventre, sovrasta un subita-
neo flusso od una leggiera febbre. Quando i
piedi enfiano, si hanno inveterate egestioni: e
quando il basso ventre e le cosce sieno infe-
state da dolori, ne si minaccia un idrope. Ma
questo male suol trarre suo cominciamento in-
torno ai fianchi. Si trovano medesimamente
esposti ali1 istesso pericolo quei che avendo
voglia di andar del corpo, esso non depone
che a gran disagio, e roba durissima : e quelli
cui si enfiano i piedi, e cui ora alla destra, ora
alla manca del ventre insorge una tumefazio-
ne, e a vicenda dileguasi : ma questo malore
sembra derivare dal fegato. Egli è indizio del
medesimo male, allorché le intestina si rag-
gruppano intorno all'ombelico, il che diesi
grecamente scrofon ; e le anche possedute da
dolori sì fatti che né per lasso di tempo ven-
gono meno, né per rimedi. Il dolore poi delle
giunture come sarebbe ai piedi, od alle mani
oppure in qualunque altra parte, è di natura
tale (me le nervature in quel luogo s1 irrigidi-
scono ; o se tal membro per lieve cagione
spossato, riceve offesa cosi dal caldo come «lai
freddo, ne presagisce la podagra 0 la chiragra ;
0 veramente alcun altro guaì ali1 arto di quel-
la parte, in che si sente il dolore. Quelli cui
neU1 infanzia soleva venire sangue dal naso, e
che, in appresso cessò di Unire, forza è che sia-
no tormentati da doglie <li capo, ovvero sof-
frire gravi esulcerazioni agli aiticeli. <>d esse-
re maltrattali da altro qualunque male. Quel-
li' donne, cui i mestrui QOH Ingorgano, con-
vien che provino acerbissimi dolori di testa,
od abbietto alcuna altra parte del corpo loro
affetta. Ai medesimi incomodi pure vanno
esposti quelli, ai (piali senza aver la podagra
od altrettali passioni, vengono èvanno \i/i
d1 articoli, in particola!" modo, se essi medesi-
mi soggiacciono spesso i dolori di tempie, e
se i eoi pi imo soffrono notturni sudori. Se al-
l.i Ironie si proserà del prillilo, e a lenirci
un'oftalmia. Se una dortna soffre dopo il po-
lo \i\ esimi dolori, né vi sono altri rei segna*
li. ella avrà attorno il vigesirao di, oun'eraor5,
ragia di naso, od alcun as< isso alle parli mie*
non. Chiunque pure sentirà un dolore molto
acerbo attorno la fronte, e verso le tempia, né
verri liberato 0 nell1 ano 0 nell1 altro modo
particolarmente per isgorgo di sangue, se gio-
vane sia il soggetto ; 0 per suppurazione se
Veci Ino. Ma una lebbre clic in un subito cade
DELLA MEDICINA
que cum aliquo perieulo subesse, aut certe
corpus integrimi non esse, testatur. Àt si san-
gui* aut pus in urina est, vel vesica vel renes
exulcerati sunt. Si haec crassa , carunculas
quasdam exiguas quasi capillos habet, aut si
bulla t, et male olet, et interdum quasi are-
nam, interdum quasi sanguinem trahit, do-
lent autem covae, quaeque inter has superque
pubem sunt, et accedunt frequentes ructus,
interdum vomitus biliosus, extremaeque par-
tes frigescunt, urinae crebra cupidi tas, sed
magna difficultas est, et quod inde excretum
est, aquae simile, vel rufum, vel pallidum est,
paulum tamen in eo levamenti est, alvus nero
cum multo spiritu redditur, utique in renibus
vilium est. At si paulatim destilla t, vel si san-
guis per banc edito?, et in eo quaedam cruen-
ta concreta sunt, idque ipsum cum difficultate
redditur, et circa pubem interiores parles do-
lent, in eadem vesica vi ti uni est. Calculosi ve-
ro bis indiciis cognoscunlur : diffieulter urina
redditur, paulatimque, interdum etiam sine
voluntate, destillat ; eadem arenosa est ; non-
numquam aut sanguis, auteruentum, aut pu-
rulentum aliquid cum ea excernitur ; eamque
quidam promptius recti, quidam resupinati,
maximeque ii, qui grandes calculos habent,
quidam etiam inclinali reddunt, colemque ex-
tendendo, dolorem levant. Gravitatis quoque
cujusdam in ea parte scnsus est : atque ca cur-
su, omnique motti augenlur. Quidam etiam,
cum torquentur, pedes inter se, subinde mu-
ta tis vicibus, implicali t. Femir.ae vero oras
naturalium suorum manibus admotis scabere
crebro cogunlur: nonnumquam, si digitum
admoverunt, ubi vesicae cervicem is urget,
calculum senliunt. Àt qui spumantem sangui-
nera exsereant, bis j)ulmone vitium est.Mu-
lieri gravidae sine modo fusa alvus elidere
partum potest. Eidem si lac ex mammis pro-
fluit, iwibecillum est quod inlus gerit : durae
inammae, sanum iilud esse, leslantur. Fre-
quens singultus, et pracler eonsuetudinem
rontinuus, je'cur infiamma tum esse, significai.
Si tumores super ulcera subito ttsse desierunt,
idque a tergo incidit, vel distendo nervorum,
vel rigor linieri polest : at si a priore parte id
evenit, vel lateris acutus dolor, vel insania
exspectanda est; interdum eliam ejusmodi
casiun . qOM lulisania inter ìiacc est, pio-
iusio alvi sequitur. Si ora venarum, sangui-
nem sdita fondere, subito suppressa sunt, aut
aqua inter eutem. aut Labes sequitur. Eadem
talii-s subii, si in lateris dolore orla suppura-
no intra quadraginta diea purgali non potuit,
Àt si longa tristi lia cuna loo&O timore et vigi-
lia est, atrae hilis morbui luoest. Quibus sae-
pe M narìbus fluii sanguis, li ì s aut lieuis tu-
<ui rapitis doloressunt; quos sequitur.
m quaedam ante oculos taraqnam imaginei
obverscntur. At quibus magni lienes sunt, bis
Celso.
49
senza cagione, e senza favorevoli indizi, per
lo più ricompare. Una persona cui le fauci sì
di notte che di dì si riempiono di sangue di tal
fatta che non sia preceduto né dolore di testa,
ne degl' ipocondri, né tosse, né vomito, né
lieve febbre, si convien che abbia un'' ulcera
nelle narici o nella bocca. Se ad una donna
sopraggiugne una febbriciattola con tumefa-
zione all'anguinaglia, del che nulla cagione si
mostri, ella ha un1 ulcera entro la vagina. Ma
un1 orina torbida, il cui sedimento è bianco
denota un dolore attorno agli arti, od alle vi-
scere, e doversene paventare alcuna malattia.
Se poi sarà verde, dichiara sovrastare o dolo-
re, o tumore alle viscere minacciante pericolo,
od almeno non essere il corpo perfettamente
sano. Se poi nell1 orina si avrà sangue, ovvero
marcia, segno è che i reni, o la vescica sono
esulcerati. Ma se è carica e sedimentosa, ed of-
fre ali1 occhio certi tenui filamenti a guisa di
capegli : o se ferve, e se pule, e se depone tal-
volta una materia come arenosa; talvolta san-
guiniforme, e se olirà questo dolgano le an-
che, e quelle parti che sono situate fra esse, e
sopra il pube colla giunta di continui rutti di
cjuando in quando vomilo di bile, e le estre-
mità fredde, e frequente voglia d'orinare, nel
che fare si abbia grave difficoltà, e ciò che in-
di si evacua, sia simile ali1 acqua o di color
giallastro, o scolorito ; e se tuttavia non si ri-
sente da sì falla evacuazione nessun sollievo,
e il ventre poi si scarica insieme a molla ven-
tosità, non v'ha dubbio essere mal affetti i re-
ni. Quando poi l' orina viene goccia a goc-
cia, e quando esce del sangue misto a queJJa,
o quando vi sono grumi sanguigni, e tutto
questo si faccia con somma difficoltà, e se più
interne parti attorno il pube sieno dolenti, il
male risiede nella vescica medesima. In quan-
to ai calcolosi, essi si conoscono dai seguenti
segni. Con assai disvio si evacua l'orina, e
goccia a goroJa, e talora anche involontaria-
mente. La stessa è sovraccarica di mimila are-
na, e ben sovente spandesi insieme con essa del
sangue , o qualche cosa di sanguigno o di
marcioso. "V'ha alcuni che più prontamente
pisciano stando in piedi, altri sdrajati sul dor-
so, e specialmente chi ha calcoli assai grossi :
altri sono forzati a piegarsi, e col protendere
in fuora la verga alleviare il dolore. Risento-
no anche i calcolosi in quella parte un sensi»
r?i peso, che si aumenta al correre, e per altro
qualsivoglia esercizio. Certi altri, allorché sono
cruciali dal dolore, incrociano i piedi l'uno
coir altro. Le donne sono l'orzale a sollregare
eolle proprie mani 1' orificio delle partì natu-
rali loro, ed alcuna volta avviene che avendo
recalo il dito là dove si trova il collo della ve-
scica sentono ease medesime la pietra. Quelli
che escrcano sangue spumeggiante, hanno of-
feso il polmone. Donna incùila che abbia smo-
1
5o CELSO
gingivac malae sunt, et os olet, aut sanguis datamente sciolto il ventre, trovasi esposta al-
aliqua parie prorumpit : quorum si nihil ere- l1 aborto. Se le esce del latte dalle mammelle,
nit, necesse est in cruribus mala ulcera, et ex
bis oigrae cicatiices fiant. Quibus caussa do-
loris, neque sensus ejas est, bis mens labat.
Si in ventrem sanguis confluxit, ibi in pus
vertitur. Si a coxis, el ab ioferioribns parti-
bus dolor in pcclus transit, neque ullum si-
guum malum accessit, suppuralionis eo loco
periculum est. Quibus sine febre aliqua parte
dolor, ani prurigo, rum ruhore et calore est,
ibi aliquid suppurat. Urina quoque, quae iu
domine sano parum liquida est, circa aures
futurani aliquam suppuralionem esse denun-
tiat. llacc vero, cuni siue febre quoque vel la-
leu l inni, vel l'uturaruni rerum notas babeant,
multo cerliora sunt, ubi febris accessit ; at-
que etlam aliorum morborum tum signa na-
scuntur. Ergo protinus insania timcnda est
il feto ond' e gravida, è debole ; le poppe du-
re dichiarano essere il feto sano. Lo spesso
singhiozzare e continuo olirà l'usato, signifi-
ca essere infiammato il fegato. Se i tumori so-
pra le ulcere di repente si dileguarono, e ciò
avvenne nella parte deretana, sovrasta perico-
lo di spasimo, (» di rigidità di nervi: se poi ciò
addivenga nella regione anteriore, avrassene
ad a spellare o dolore acuto di costa, o frene-
sia : talora addiviene che alla disparizione di
un tumore ne seguili una soccorrenza del ven-
tre, la quale è fra le dette cose la più salutare
e sicura. Se gli orifici] delle vene usali a mescer
sangue si coartino ad un trailo, verranne l1 i-
drope o la tabe. La medesima labe occorre, se
nella pleurisia natavi la suppurazione, non po-
tè espurgarsi entro il quarantesimo dì. Se al-
libi expeditior alicujus, quam sani fnit, sermo tri cade in cupa tristezza con timore e vigili;
est, subitaque Loquacità* orla est, et baec ipsa egli è per incorrere nel morbo atrabilare. Que-
solito audaeior : aut ubi raro quis et vehe-
mcntior spirai, venasque concitatas habet ,
praecordiù duris et tumenlibus. Oculorum
quoque frequens motus, et in capii is dolore
substante, somnui ereptus, contiuuataqne mi-
cie et die vigilia ; vel prostratum eontra coli-
gli al (piale esce sangue del naso, od ha tume-
fatta la milza, od è travaglialo da mal di capo;
dai quali accidenti ne seguita die si osservino
dinanzi agli occhi come degli spettri. E quei
che hanno grossa la milza, hanno viziate le
eengie, e l'alitar loro è puzzolente ; od'al-
suetudinem corpus in ventrem, sic ut ipsius cuna parte sgorga loro del sangue, le quali
givi dolor id non coegcril ; ilem, robusto ad- cose ove non avvengano, forz1 è che abbiano
bue corpore, insolitUS dentium Strider, insa- ulcere laide nelle gambe e poscia livide le fi-
line ugna sunt. Si quid edam abscessit, el an- catrici. Sono alienati della mente quei che a-
tequam lUppuraret, manente adirne fedire, vendo cagione di dolore, noi sentono. Qualora
subsedit, periculum afiferl primum furoris, spandesi sangue pel ventre, quivi permutasi
deinde interi tus. Auris quoque dolor aeutus, in marcia, Se un dolore delle cosce, e delle
«•>im fibre continua vehenicnlique. saepe men-
tem turbai : el ex eo casu juniores Lnterdum
intra vplimum diem 1,101 iun t ur ; seniores
tardius; quoniam neque aeque magnas fe-
KperiUKtnr, neque aeque insaniunl ' ita
•ustinenv dum is afifectus in pus vertatur. Suf-
parti inferiori si scaglia al petto sen/a susse-
guirne alcun rio accidente, \ è a Itinere di
suppurazione in quel luogo. In dolore, <> pni-
rigine di alcuna parte con rossore e calori*
senza febbre annunzia quivi una suppurazio-
ne. Anelie un' Orina limpida in persona di po-
mi ic ■ [ ' 1 < » . , . i< • sanguini muHeris niamroae, fu- ca salute ne pronostica formarsi qualche .iM-es-
rorera renturum esse, testtntur. Quibus au-
lem longae feVrei sunt, bis ani absu m,> ali-
qui. ani ai lieuloriiin dolore* munì. Quorum
nracibui in febre iUiditur ppiritus, instai bis
oervonim disteni io. Si angina subito finita est,
in pulmonem id malum transit ; idque saepe
intra leptimura diem occidil : quod nisi imi -
«I •'- leqoitar al illqua parie supplirei. Dejn-
t alvi uragano resoluttonem, torraini ;
posi li.n-1 intestinorum laevitai oritur; j»ost
nimi.is destilUlioni s. Lab 1 : posi iateris do-
lorami riti* pulmoniim ; post luce, insania;
1 corpoi is. ni rvorum ri-
gor aul distendo ; ubi caput rumerà tura est,
delirium ; obi rigilia tortit, nei rorura dislen-
• im : ubi \< Ip racnter renae luper oli era -
ventui proli m inni. Suppurai io \ e>
ro pluribui raorbii escila tur, n.uu ^i longae
dolore iìm rn.nn 1 reraa-
I 1 altquam partem id malum iuciunbil;
so agli orecchi. Ma queste cose esibendo 1 con-
trassegni si.i d'accidenti futuri, sia di cose fi-
lenti anche senza lebbre, ass.ti più si rendono
chiare e certe, quando \i si aggiugne la feb-
bre : allora insorg i pure i segni d1 .dire iu-
fermita. Devesi pertanto temere tubila de-
menza, (piando il parlar di alcuno è più spe-
dito di quel che Boleva da sano, e quand' 1 i su
divenuto ad un trailo loquace, e loquace
d'un1 insolila ed .tini. ice m;iniera : e (piando al-
cuno 00* precordi duri ed enfiali abbia raro e
gagliardo il respiro, e fortissimo li battito del-
le rene, knche il continuo girar degli occhi, e
I osi 1/ramentn I lei dolore di capo : 0 sen •
za esservi dolore alcuno la mancanza del ion-
ia veglia notte e <H continuai t. od an< he
I li!i- re il corpo ri\ otto sul \ «iti re, a 1 1
(he non \e lo astrìnga dolore nessuno del
vtntrc medesimo: infine preludio di demenza
• .1 dui . i, uncnto insolito dei denti in per-
DELLA MEDICINA
in junioribus tamen : nam in senioribus ex
ejusmodi morbo quartana fere nascitur.
Eadem suppura tio fit, si praccordia dura,
dolomia ante vicesimum diera hominem non
suslulerunl, neque sangui? ex naribus fluxit,
maxiraeqne in adolescentibus ; utique si inter
principia ani. oculorum caligo, aut capitis do-
lores fueruDt; sed tum in inferioribus partibus
aliquid abscedit. Aut si praecordia tumorem
moUem ha ben t, necpie habere infra sexaginta
dies desinunl, haeretque per orane id tempus
febris; ted inni io superioribus partibus fit
absessus ; ac si inter ipsa viscera non fit, cir-
ca aurei erumpit. Curaque omnis longifs lu-
mor ;<<l suppurationem fero spectet, magia eo
tendi t is, qui in praecordiis, quarn bis, qui in
ventre esl ; is, tjui tupra nmbilicum, quam is,
qui infra est. Si lassitudini* etiara sensus in
lei, re est, vé\ in maxillis, vel in articulis ali-
quid abscedit. Interdirà] quoque mina tenùis
CI cruda sic. dm fertur, ni alia salutarla signa
.sint; exque eo casa plerumque infra trans-
vrrsinn septum ( quod &ió<ptcry(W Graeci vo-
eani), Ai abscessus. Dolor e tiara pulmonis,
sona per anco robusta e sana. Se in alcuna
parte si forma un ascesso, e questo anzi che
passi a suppurazione, sparisce rimanendovi
tuttavia la febbre, porta pericolo prima di de-
lirio, indi di morte. Anche un dolore acuto
d1 orecchio con febbre continua e veemente
spessissimo aliena la mente, e per siffatto acci-
dente i giovani talora si muojono entro il set-
timo giorno, i vecchi alquanto più tardi per
la ragione che essi non vengono colti da feb-
bri cotanto gravi, né sì facilmente delirano :
di tal modo sopportano il male mentre gue-
st' affezione passa in suppurazione. Anche le
poppe delle donne turgide di sangue presagi-
scono delirio. Quelli poi che da tempo porta-
no la febbre avranno ascessi, o dolori artico-
lari. E coloro <x'x quali nella febbre si arresta
entro alle fauci il resero, sovrasta stiramento
di nervi. Se V angina in un subifo si è dissipa-
ta, passa cotal male ai polmoni : e somigliante
caso per lo più uccide 1' uomo entro il settimo
giorno: il che* se non avviene, ne seguita che
in alcuna parte si formi un ascesso. Per ulti-
mo dopo lungo flusso di ventre, ne nasce la
dissenteria ; dopo questa la lienteria ; dopo
gravissime flussioni di petto, la tabe : dopo il
dolore laterale, i guaj de1 polmoni; dopo que-
sti, il delirio: dopo i violenti riscaldamenti
del corpo, convulsioni e spasmi. Nelle ferite
del capo ne seguiterà il delirio; nella irrequie-
ta veglia, distendimento di nervi ; nelle vee-
mentissime vibrazioni delle vene sopra le pia-
ghe, un flusso di sangue. La suppurazione av-
viene in assai malattie. Imperocché se lunghe
febbri sussistono senza dolore, e senza mani-
festa cagione, certa cosa è che cotal male si
deposita in qualche parte, ma ne1 giovani sol-
tanto, mentre nei vecchi per lo più da sì fatto
malore ne insorge la febbre quartana.
Avvien pure la medesima suppurazione
in quell1 infermo che co1 precordi dolenti e
duri non si morì avanti il vigesimo dì, né eb-
be flusso di sangue dal naso, e massimamente
appo i giovinetti ; tanto più se ne1 principii
del male vi furono o roffuscamenlo del vede-
re, o doglie di capo ; in questo caso formeras-
si un ascesso alle parti inferiori. Ma se ai pre-
cordi v'ha molle tumefazione, che non si dis-
si pi entro sessanta giorni, e la febbre perse-
veri per tulio quello spazio di tempo, allora la
suppurazione avrà luogo nelle parli superio-
ri ; ma se questa non si formerà enfro Pad-
domine, scoppieri presso alle orecchie. Sebbe-
ne ogni e qualunque tumore di lunga durata
tenda per costume al suppuramenlo, tuttavia
maggiormente v'inclina quello che aglMpo-
CÒndri che quello che nel ventre si trova ; ed
anche più quello che sopra che non quello che
sol to rombilico ha sede. Anche allorché si
prova nella lebbre a\i senso di stanchezza,
qualche, ascesso si fa alle inascelle, od alle arti-
CELSO
si ncque per sputa, neqiie per sanguinis de-
tractionem. neque per victus rationem fini-
tus est. vomicas aliquas interdum excitat, aut
circa vieesimum diem, aut circa tricesimum,
aut circa quadragesimum, nonnumquam e-
tiam circa sexagesimum. Numerabimus au-
tem ab eo die, quo priraum febricitavit ali-
quis, aut inhorruit, aut gravitatemi ejus par-
tis sensit. Sed hae vomicae modo a pulmone,
modo a contraria parte nascuntur. Quod sup-
purat, ab ea parte, quam afficit, dolorem in-
ilammalionemque concitat; ipsum calidius
est ; et si in partem sanalo aliquis decubuit.
onerare eam ex pondere aliquo videlur O-
mnis etiam supptìratio, <|ua nondura oculis
pelet, sic deprehendi potest : si fobris non di-
inittit. eaque interdiu levi»*.- **> lloctu jncre-
scil; multus sudor on^r ; cupiditas tussicn-
«li est, et p-.i'u.- uiliil in lussi exsereatur ; ocu-
II i .vi Mini, malae rnbént : venae sub lingua
inalbescunl : in manibus finn! adunci ungues;
digiti, maximeque ramini, cileni; in pedibus
tumorcs sunl : sphitus diftìcilius trahitur; ci-
bi fastidino) est : pnstnlae toio corpore orinn-
tur. Quod <i prolinus initio dolor et tnssis
fuit. et spkitus difficultas, vomica yel ante Mi
circa vicesimnra diem erumpct ; si serius ista
coeperint. necesse est quidem increscanl ; sed
qna minns cito affeoerint, eo tardins solven-
tar. Soleot etiam in gravi morbo pedescnm
digitis nnguibusqoe nigrescere : quod si non
est mori coosecuta, ci reliquum corpus inva-
luii. pedes lanicn decidnnt.
colazioni. Talora eziandio T orina scorre per
lunga pezza limpida ed inconcotta intanto ebe
v1 hanno gli altri salutiferi segni, e da questo
accidente per lo più ne insorge un ascesso sot-
to a quel trasverso dissepimenlo ebe i Greci
cbiamano diaframma. Anche il dolor del pol-
mone se non venne a dileguarsi né per gli
sputi, nò per le cacciale del sangue, né per
L'esatto governo del vivere, termina sovente
in vomica o circa il vigesimo giorno, od attor-
no il trigesimo, o il quadragesimo, e lai fiala
anche verso il sessantesimo. Principieremo poi
a numerare da quel dì. in cui V infermo tu per
la prima volta assalito dalla febbre, od ebbe
orrori, o sentì gravezza di quella parie. Ma
queste vomiche .si generano ora dentro il pol-
mone, ora dinconlro ad esso. 11 luogo in che si
travaglia la suppurazione, divien dolente ed in-
fiammalo, ed anche più caldo, e se 1* ammala-
to giace sulla parie sana, e" pargli di avere in
quella un peso. Qualsivoglia ascesso che per
anche non si mostri agli occhi, si può arguire
da1 seguenti segni: se la febbre non abbando-
na ; se di giorno è lieve, e si accresce la notte;
se erompe profuso sudore, gran tosse, e fre-
quente, e pur tuttavia (piasi nulla si spinga in
tossendo, se gli occhi sono incavali, rosse le
guance, bianche le vene sublinguali; se le un-
ghie delle mani si fanno adunche, e le dita
massimamente alle loro estremila inculi, i
piedi edematosi; se v'ha ansietà di respiro,
nausea <d avversione ai cibi. <■ se nascono pa-
stoie per tutto il corpo. Clini se tosto in prin-
cipio -vi fu il dolore, la tosse e la difficoltà di
respiro, la vomica scoppierà innanzi, ovvero
attorno il vigesimo di; e se cotai segni più
lardi apparvero,, convien di necessità che si
aumentino, ma (pianto men tosto ne affissero,
tanto più tardi SÌ dissiperanno. Ancora qual-
che Volta in gravissima infermila sogliono i
piedi in un colle dita e colle unghie divenir
neri: per Siffatto accidente. o\e non ne su
susseguita la morte, e che il rimanente della
persona risani, i piedi nondimeno \erranno a
cadere.
t \:\ Vili. — (Jane notar in quoque morbi
genere velspem velptrieula ostendant,
[aitar, al in quoque morbi g<
| pHcem, qiiae \el spem \. |
ics dolenti, si pu-
• uieui;« ni i ea beve el .li-
bimi tubsedit, melimi detrabit. In pulmonis
i i vatar dolor, aaaun is
i. i.mien aeger i ■ < ile ipirat,
il. ni'. i bum ipsUIti n< >
ecunda \ al< tudo coni i
■ ri con veni t, si protinus
spulimi mi \ timi est rnSo quodam ei anguine,
lodo il limi . l.iim Lati i una d
Cap. voi. — Segni che in ogni gènere di
malattia, danno tperanzo a timore.
S aita «li" in esponga quei segni che in
ogni particolar malattia ne porgono sp, i mza
<» limale. Dalla Vescica alleila da dolore pn>-
eedendn un" orina pili nielli. i in (in si depnii-
•r ,i inoltre un sedimento biancheggiaute e li-
s; e-, i \" ha più a temere. Nella polmonìa
se I1 espet (orazione ra< noma il dolore, benché
si.i di qualità purulenta, uullameno se ram-
iii. d ii" respira ed agevolmente spurga
comporta senza troppa smania la malattia,
pio. i .i. iquìstai e la pi i si ina s.mil i. \r c.m\ leu
Upaveatarsj ti primo insorgere del male, se lo
DELLA MEDICINA
suppuratione facfa, deinde intra quadragesi-
mura diem purgata, finiuntur. Si in jocinore
vomica est, et ex ea fertur pus purum et al-
bum, sai us ei facilis : id enim malum in tunica
est. Ex suppura tionibus vero eae tolerabiles
sunt, quae in exteriorem partem feruntur, et
acuuntur : at ex iis, quae intus procedunt, eae
leviores, quae con tra se cutem non afficiunt,
eiuuque et sine dolore et ejusdem coloris, cu-
jus leliquae parles sunt, sinunt esse. Pus quo-
que quacumque parte ernmpit, si est laeve,
album, et unius coloris, sine ullo me tu est ;
et, quo effuso, febris protinus conquievit, de-
sieruntque urgere cibi fastidium et potionis
desiderium. Si quando etiara suppuratio de-
scendit in crura ; sputumque ejusdem factum
prò rufo purulentum est, periculi minus est.
At in tabe ejus, qui salvus futurus est, sputum
esse debet album, aequale totum, ejusdem-
que coloris, sine pituita : eique etiam simile
esse oportet, si quid io nares a capite destillat.
Longe optimum est febrem omnino non esse :
secundum est, tantulam esse, ut neque cibum
impediat, neque crebram sitim faciat. Alvus
io hac valetudine ea tuta est, quae quotidie
coacta, eaque convenientia iis, quae assumun-
tur, reddit ; corpus id, quod minime tenue,
maximeque lati pecloris atque setosi est, cujus-
que cartilago exigua et carnosa est. Super
labem si mulìeri suppressa quoque menstrua
fuerunt, et circa peclus atque scapulas dolor
mansit, subitoque sanguis erupit, levari mor-
bus solet : nam et tussis minuitur, et sitis at-
que febricula desinunt. Sed iisdem fere, nisi
redit sanguis, vomica erumpit; quae quo
cruentior, eo melior est. Aqua aulem in ter
cutem minime terribilis est, quae nullo ante-
cedente morbo cocpit ; deinde, quae longo
morbo supervenit, ulique, si firma viscera
sunt ; si spiritus facilis ; si nullus dolor ; si si-
ne calore corpus est, aequaliterque in extre-
mis pnrtibus macrum est; siventer mollis ; si
nulla tussis; nulla sitis; si linguam per so-
mnum quidem, inarescit; si cibi cupidilas est ;
si venter medicamcntis movetur ; si per se
excernit mollia et figurata; si extenualur ; si
urina, et vini mutatione, et epotis aliquibus
medicamentis mutai ur ; si corpus sine lassitu-
dine est, et morbum facile suslinet : siquidem
in quo omnia haec sunt, is ex toto tutus est;
in mio plura ex his sunt, is in bona spe est.
Articulorum vero vitia, ut podagrae chira-
grac(|iM'. si juvenes tentarunt, ncque callum
induxerunl. sol \ i possimi : ma\inic<|itc lormi-
riibus leniuntur, et quocumque modo venter
fluii. Item morbus comilialis, aule puberla-
lem ortus, non aegre lìnilur: et in quo afa
una parte corporis venicntis arcessionis sensus
incipit, optimum est a manibua pedibusve ini-
tiuru fieri ; deinde, ;■ laici ilms ; pesSÌmum in-
tcr haec, a capile. Atque in bis quoque ea ma-
53
sputo da principio è giallastro e sanguinolen-
to, sì veramente ebe agevolmente si espettori.
I dolori di costa cessano fatta e purgala la
suppurazione entro quaranta giorni. Se nel
fegato v'ha una vòmica, e da essa proviene
pretta marcia e bianca, facile è la guarigione
avendo colai male sua sede nella tunica. Fra
gli ascessi i più lodevoli sono quelli che si
portano all' esterno, e che si fanno acuminati
ali1 apice. Fra quelli poi che si dirigono all'in-
terno, più lievi sono quelli che non magagna-
no la cute posla dicontro a loro, e che lascian-
la non pur indolente, ma dello slesso colore
che suole avere. La marcia pure da qualsivo-
glia parte sgorghi, ove sia e liscia e bianca e
di uniforme colore, non dà nulla a temere ; e
tosto che essa sia effusa, se la febbre di subito
si abbassa, cessano insieme la disappetenza e
la sete. V ha pure minor pericolo, allorquan-
do la suppurazione discende alle gambe, e lo
sputo di rossastro si fa purulento. E quel ta-
bico che è per ricuperare la sanila sua, avrà
lo sputo bianco, tutto eguale e del medesimo
colore senza pituita, ed è mestieri che sia con-
forme al muco che distillando dal capo scende
per le narici. Più d1 ogn1 altra favorevole cir-
costanza è l'assoluta assenza della febbre; do-
po di che F averla mitissima e leggiere così
che non impedisca il mangiare, ne risvegli ar-
dente sete. Il giornaliero benefizio del ventre
di fecce configurate e concotte, e corrispon-
denti agli alimenti che si prendono, è la cosa
più utile nel morbo tisico. La compage più
favorevole si è il non essere scarno, ed avere
ampio petto e villoso, le cui cartilagini sieno
tenui e ben ricoperte di carni. Inoltre se nella
consunzione si sono in femina soppressi i me-
strui e il dolore sta fisso intorno al petto od al-
le scapole, il male è usato mitigarsi tosto che
si ripresentino i mensuali tributi, imperocché
allora la tosse vien meno, e con essa la sete e la
febbricina. Ma per lo più non avendo luogo in
esse l1 eruzione de1 mestrui, la vomica scoppia,
e questa quanto più sangue contiene, tanto è
migliore. L'idropisia che nacque senza prece-
dente malattìa, non è a temersi; dappoi quel-
la che sopravvenne ad una lunga infermila, se
i visceri sono intatti e sani, se il respirare è a-
gevole, se non v' ha dolore, se il corpo è sce-
vro di calore, ed equabilmente gracile all' e-
slreme parti, se il ventre è molle, se non v' ha
tosse, niuna se!e, e se la lingua non s' inaridi-
sce nemmeno durante il sonno, se v' ha appe-
tenza, se il ventre è docile ai medicamenti, e
se spontaneamente evacua fecce molli e figu-
rate, se il corpo non dimagra, se l'orina cam-
biasi ed al cambiar del vino, ed al prendere
certe medicine, se il corpo gode di sufficiente
vigore, e te sopporta quietamente la malattia ;
perocché Colui nel (piale .si verificano tutte
queste cose, desso è al tutto sicuro, e quelli in
$i C E L S O
xime prosimi, qoae per dejcctiones excernun-
làr. Ipaà autem dejectio sine ulla noxa est;
quae sino febee est ; si celeriter desinit ; si
eentrectato ventre nullus moina ejus sentitur ;
si estremano alvum spiritus sequi tur. Acne
tormina quidem pericnlosa suut, si aanguis ac
stringmenta descendont, dum febris ceterae-
que acceasloiies luijus morbi absint ; adeo ut
eli. un gravida miilier, non solum reservaii
possit, sed cti. mi partom reaerrare. Prodesl-
que in hoc morbo, >i jam Retate aliquis proces-
si, (lontra, intestinonim laevitas meilius a tc-
neria aeUtibUs.depellitur; ulique.si ferri urina,
et ah' cibo corpus incipit. Eadein aetas prodest
et incoxae dolore, et hnmerorum, et inorimi
rcsolutione nervm um. K\ quibns coxa si sine
torpore est, si levitar friget ; quamvismagnea
dotores babet, tamen et tacile et mature aa-
n;iiiir: résolutumque membrana, si nihilo mi-
nus alitar, fieri santini poteafc. Oris resolatio
cii.im alvo cita finitur. Òmniaque dejectio lip-
picnti prodesL Al varix ortus. vel per ora ve-
naram subita profano sanguinia, tei tonnina,
insani. un tollunt lluincroruni dolores, qui ad
scàpuias vel manna tendimi, vomita atrae bi-
lia solvuntnr, et quisquis dolor deoranm len-
dil ; sanabilior est. Singultus sternutamento
tiniiur. Lonsjas dejecttonei supprùnit vomi-
tua. Hnlier sanguifiem vomens, profasia aien-
struia, liberàtur. Qaae menstrois non purga-
tur, m sanguinem ex oaribua radit, omni pe-
ricolo vacai. Quae loda laborat, ani difficul-
t. r partom edit, sternutamento levatur. li-
sii\ :i quartana ferebrevis eat. Cui calor et
trenini- est. saluti delirium eat laenosis bono
tormina nmt. Denlque i ] > •> i ■ febris ouod ma*
xime mirano rideri potest, laepe praesidio eat;
Nani el praecordiórum dolore», si sine inflam-
matiohe mnt. finii: <-i jocinoris dolóri sue*-
currit : ci nervorara diatentionem rigoremque,
si poatea coepit, ex loto tollil ; e! ex difficul-
laie urinae morbnm tenutaria intealini ortum,
si min. un per càlorera movet, levai. Ai dolo-
ipitia, quibus ocalorura caligo, el ru-
I» ,i i uni quadara ti ontis pi ungine accedimi*,
sanguinis profusione, vel fortuita, vd edam
petita, aubmoventur. Si ca pitia ac ft'onlia dolo-
ri rito, rel*fi igore, sul aestu sunt, gra-
vedine el iternulamentis finiuntur, Febrem
autem ardentem, qùam xauct&fn vocaut, m«
bitus horror exaolvit. Si in febre aurea obtu-
sae ^iiiii. ii languis m naribus fluxit, ani ven-
illud t ■ i .1 1 1 1 1 ■ i desini! ex toto.
^iliil plus aóN i i us sui ditatem, quara bilio* i
alvua p-.iesi. Ou.l.iis in fìstola arinìe minnti
..li , us, qu rat Graeci Yocant, esse
uni, iis, pb pm i i pài te profluxit, la
Idi lui . Ei quibui cum plei uque per
se pi ivcninnt, « ire licei intei ea quoque,
i idhibet, ii.iin; .mi plùi i i ii n i ii |"
cui una gran parie di esse, egli è in buona spe-
ranza. 1 guaj degli arti poi siccome la podagra
e la chiragra possono sciogliersi quando at-
taccano soggetti giovani, e che non abbiano
indotto già durezze callose, e soprattutto ven-
gono mitigali dalla dissenteria, e dallo sciogli-
mento dal ventre da qualsivoglia causa nato.
1/ epilessia insorta innanzi la pubertà non
troppo malagevolmente ai cessa; ma più facil-
mente (piando in essa il senso della sopravve-
niente accessione proviene da una sola parte
del corpo; buono se dalle mani o dai piedi,
peggiore se dal torace, pessimo di tutti se
prende origine dal capo. In questa inalai lia
ancora giovano sopra gli altri i rimedi purga-
tivi. Ed il flusso istesso del ventre non reca
nessun pregiudizio, quando non sia accompa-
gnato da febbre, (piando cessa tosto, (piando
tocco e palpalo il ventre, nessun moto di eaao
si sente, (piando le scariche sono seguite da
espulsione d1 aria. Né pericolosa è la dissente-
ria, se il sangue ed il muco si evacuano intanto
che la febbre e gli alili accidenti di questo
ni, dorè manchino al tutto di qualità che anco
una pregnante potrà non solo ristabilirsi, ma
ancora trarre a termine il parto. h giova in
questa malattia essere alquanto inoltrati negli
anni ; air opposto la lienieria più agevolmen-
te SÌ \ inee nella lenera eia tanto più se l'ori-
na incomincia a fluire, ed il corpo ad alimen-
tarsi. La medesima eia è pur giovatici nel do-
lore di coscia, degli omeri ed in ogni paralisi.
Risanano altresì e facilmente, e presto le do-
glie delle anche, tuttoché gagliardissime, se
non v'ha torpore, se lie\ e e il freddo, ed un
membro paralitico potrà risanare nuand'eaao
si nulla siccome ogn' altra parte. La paralisi
della bocca viene pure diseiolla da soerorren-
Za, 0 questa giova .sempre al mal degli ocelli.
Ma una varice che insorga, od un' istantanea
perdila di .sangue per le boCCUCCC 'I. Ile \cne,
o una dissenteria i imuovono la dementa. I do-
lori delle braccia die si propagano alle se.ipo-
le «. Klle mani, si risolvono \ « 'in il.i mio atrabi-
le, e qu.ilsix Oglia dolore clic tenda alle infe-
riori regioni è pia sanabile. Il ilnghloxxo è
dissipato dallo sternuto. Il romito amati le
inveterate diarree. Il vomitar sangue in una
donna cessa coll'abbondante Buir dei mestrui.
Quella, cui si sono soppressi, se soggiace ad e-
nooi i ■'- il di ni ■- \» Immune da tutto perico-
lo, Lo sternuto fa prò a quelle che soffrono al-
le/ioni d utero. ,■ che difficilmente partoi isco-
u.,. i..i (jM.it tana estiva per le più è breve. s i
Iute vote è il delirio ;i chi soffre riacaldamento
,• tremori! La dissenteria è giovnvole aJ lieno-
if l inaimi nte la febbre [stessa, il che parrà
pia ed tutto strana cosa, è< isa medesima so-
venie un .diilil.ro rimedio. I m perocché dissi-
j,., i dolori degT ipocondri «piando sono Sen-
/,i febbn . e ovm, in- . quelli del fi gal
Contra, si caput febre continenti dolet,
ncjue quidquam redditi malum atque morli-
ferura est ; maximeque id periculum est pueris,
a septimo anno ad quarlumdecimum. In pul-
monis morbo, si sputimi primis diebus non
fuit, deinde a septimo diecoepit, et ultra septi-
ruum mansit , periculosiim est : quantoque
magia mixtos, neque in ter se diductos colores
hahet, lauto deterius. Et tamennihil pejus est,
•piani sincerum id edi;sive rufum est, sive
cruentura, sive album, sive glutinosum, sive
pallidum, sive spumans : nigrum tamen pessi-
imiiii est. In eodem morbo periculosa sunt,
lussi-,, destillatio ; etiaim quod alias salutare
habctur, sternutamentum : perieulosissimum-
que est, si liaec seeuta subila dejeclio est. Fe-
ro vero quae inpulmonis, eadem in laterisdo-
lorihus. ci mitiora ugna, et asperiora esse con-
suerunt. ìix jocìnore si pus cruenlum exit,
morliferum est. At ex suppuralionibus eae
I>« ssiniae sunt, quae inlus tendunt, sin ut cx-
teriorem quoque cutem decolorent : ex iis
deinde, quae exleriorem partem prorumpunt,
quae maximae, quaeque planissimae sunt.
Qiiod si. m; rupia quidem vomica, vel pure
ex trin secai emisso, febris quievit, aut quam-
vis quiei crii, tamen repetit; iiem si sitis est, si
• ilti fa'si idium, si ventcr liquidus, si pus e»t
livi.lum et pallidum ; si nihii aeger exscreat,
njai piiuiiam spumali tem, periculum certum
est. AUque <\ iis quidem sappurationibus,
quas pulraonum morbiconeitarun^ fere senes
moriunlur: ex ceteris juniores. Al in tabe
iputum mixtura purulentum, febria assidua,
quae ci cibi tempora eripit, el sili affligit, in
eorpore tenui periculum subesse teslantur. Si
quii eliaca in co morbo diuliua traxit, ubi ca-
DELLA MEDICINA ,,J
tutto cessa Io spasimo, e la rigidità dei nervi,
se insorse dopo di essi; e se la mercè del suo
calore si muovono le orine, si alleggia la pas-
sione iliaca nata da difficoltà d1 orinare. Ma i
dolori del capo accompagnati da oscuramento
di vista e rossore con pnirigine della fronte,
vengono dileguati da un"1 effusione di sangue
spontanea, ovvero procurala ad arte. Se i do-
lori del capo e della fronte procedono da ven-
to, o da freddo, o da caldezza, si dileguano o
per distillazione nasale, o per isternuti. Un
subito ribrezzo caccia quella febbre ardente
die i Greci appellano causode. Se nella feb-
bre l'udito si fa ottuso sopravvenendo sangue
del naso, o un flusso di ventre, tal male si di-
legua affatto. Wilma cosa più giova contro la
sordità quanto una soccorrenza biliosa. Chi
principia ad avere nel canal dell1 orina degli
ascessetti detti fimata in greco, risana, tosto-
chè per esso venga a fluire della marcia. Fra i
quali affetti li pili venendo spontanei, si con-
vien sapere che 'fra quelle cose che adopera
T arte, ha la natura e vuole la parte sua, la
quale principalissima è.
AH1 incontro se duole la vescica con feb-
bre continente, e che 1' alvo nulla renda, è se-
gno triste, anzi mortifero : ed è massimamen-
te di pericolo ai fanciulli dal settimo anno al
quartodecimo. Nelle malattie dei polmoni il
mancare ai primi dì lo sputo, in appresso co-
minciare ad aversi al settimo dì, e seguitare
re quel periodo è cosa pericolosa; e tanto
più è pestifera quanto più sono a vari colori
screziati ; ne fra loro divisi. Pur nondimeno
non avvi di peggio d'uno sputo schietto, gial-
lastro o sanguinoso, o bianco, o glutinoso, o
pallido, o spumeggiante; il nero per altro è
di tutti il pessimo. Nella medesima malsanìa
pericolosa è la tosse, la flussione od anche lo
sternuto che si tiene per salutare in altri casi:
ma pericolosissimo segno è se a questi sop-
praggiugne un istantaneo scioglimento del
corpo. I medesimi indizi ora più lievi, ora più
gravi che si osservano nel dolor del polmone,
hannosi nel dolor di costa. Venir fuora del fe-
gato marcia sanguinosa, è segnale mortifero.
Fra tulle le suppurazioni pessime son quelle
che si dirigono allo indentro scolorando nel
medesimo tempo anche la esterior cute: in
appresso quelle che vengono all' esterno, e
quelle che sono diffuse mollo e pochissimo ri-
levale. Che se avvenga che la febbre non ceda
ancorché siasi rolla la vomica, eia marcia
inori emessa; o quanhinqiie risiala, tuttavia
ritorni : pariraentise v'ha scie, inappetenza,
Lubricità del ventre ; se il pus è livido, pallido
e se P in lei ino non ispurga die una spumeg-
giatile mucosità, manifesto pericolo sovrasta.
I. da queste suppuraaàoni, Le quali succedono
agli alleili polmonari per l<> più ne muojono i
vecchi ; dalle altre i giovani. Ma nella tabe U>
50 C B L » O
pilli fluunt: ubi urina quaedam ara'.ieis simi-
ba subsidenza ostendit. atque in lii> odor foe-
tlus est ; rnaxiineque ubi post haec otta deje-
clio e>t. protinus moritur : ulique. b terapus
autummi est. quo fere, qui cetera parte anni
traxerunt. resolvuntur. ltem pu> exspuisse iu
hoc morbo. deinde ex toto spuere d
mortiferum est. Solent etiam in adolescenti-
bus ex eo morbo voruicae fistulaeve oriti ;
quae non facile sanescunt. nisi si multa >igna
bonae valetudini* subsecuta sunt. Lx reliquis
vero minime facile sanantur virgines. aut eae
mulieres. quibus super tabem menstrua sup-
pressa sunt. Cui vero sano subitus dolor ca-
pitis ortus est. dein sommi* Oppressit, sin ut
stertat. neque expergiscatur. intra septiraurn
diem pereundum est ; rnagis. cura alvus cita
■OH anteee>serit. si palpebrae dormientis non
coeunL sed album oculorum appare!. Quos
tamen ita mors sequitur. si id malum non est
febre discussum. At aqua inter cutem. si ex
acuto morbo coepiL ad sanitatem raro per-
ducilur : ulique si contraria iis. quae supra
ponila sunt. subsequuntur. .Eque in ea quoque
tus-is spem tollit: item. si magma sursum de-
orsumque erupit. et a jua medium corpus im-
plevit. Quibusdam etiam in hoc morbo tumo-
res oriuntur. deinde desinunt, deinde rursus
assurgunt. Hi tutiores quidem sunt. quam qui
supra comprehensi sunt. si attendunt ; sed fere
fiducia IU limite valetudini* oppriinuntur. 11-
lud pire aliquis mirabilur, quomodo qaae-
dam sirnul et aftlii.mt mMra corpora, et parie
alijua tueantur. I I qua inter Ottieni
quem imple\it. sive in inaino ab-cessu mul-
tum puri* coiit, sirnul id orane etìudisse, ae-
que mortiferum • bum Mxni i
vuhtere factus ertangnif est. artìcoli vero cui
• ut. ut super eos ex callo quaedam tu-
bf-rr iila iiinita sint. nuimpiam lib«ran tur :
: urn viti;i voi in scacciate coepe-
runt. vd in tenai tutem .il> adolesceutia perve-
aerasat, ut allunando leniti poaeaut, ne num-
quam ex tot'» tiuiuulur. Morbi <jii" |
miiialis post annulli quintnai et ricesimnm
orini l'ur: nrattoonenecriui i ^, * j n i
I uni animili I Oeplt ; adco ut
■Hquid in natni i spet, i i\ quid-
qu.nn in medicina |ÌL I rlim si suini
tm uni eorpoi -'tti itnr. neqne ante n partibm
aliquii renienus mali u
ini|>i 01 iv> i 'in ; lil . ( ujiwuni<|tir il
H M io Mi liifih UM
ani nei >lulio1 medi» iuae lo< m
I I mhiis quoque »ì fi l»rn
sii : si inll inumati
rum. ani M-nii m -. si uomo I longius
II nq.iiN ; v, ,1* m ;,,, ,., ; M , ,,,,, ,|,,|,
< i moi iis perii ninno su!, neque,
.si in'' : . i ii ut.
Isque morlms maxime pOCTOI ■fcanuil
spurgo misto purulento, e li febbre incessan-
te che non lascia tempo al cib •. e che afflìgge
l'uomo di sete, sono seguali di somma gravez-
za in un gracile corpo. E se mai qualcuno
anche in questa infermità tirò in lungo, dap-
ali cadono i capélli, dappoiché P ori-
na la un sedimento simile in certo modo ai
ragna telìi. e che gli sputi pnlono neramente,
e principalmente quando a siliatti accidenti si
aggiunga la diarrea, in piceiol tempo ei muo-
re : tanto più se è d" autunno, in cui per usa-
to cessano di mere quei che trassero innanzi
nelle altre parti dell'anno. Egli è del pari
funesto segnale 1" avere espurgata della mar-
cia in questa infermila, epos il1 essersi del
tutto arrestata l'espettorazione. Sono use al-
tresì firmarsi appo i giovani per la predelta
malattia vomiche, o fistole, le quali non trop-
po facilmente risanano salvochè non soprav-
vengano altri molti salutiferi segni. Men fa-
cilmente fina essi risanano le fanciulle, o quel-
le temmine alle quali siensi nel tempo della ta-
be soppressi i mestrui. Ad una persona sana,
se vienle istantaneamente dolor di capo, indi
se è assalita da alto sonno si che forte ron-
ggi, nesi riscuota, perirà entro sette giorni,
marinamente se non essendone preceduto
lei ventre, le palpebre mentr'essa dorme
non si chiudono del tutto, ma lasciano trave-
dere il bianco degli occhi. Tutlavolta la febbre
e questo malore, e sottrarre
dalla morte P inferni". E 1" idropisia ehe suc-
cede ad un male acuto di rado \ m q risanata,
spezialmente se è accompagnata d'accidenti
contrari ai narrati di >i .i !.■ tosse
_:ie novello timore in questo malanno :
il sangui la impeto alle p;i li superiori
ed inferiori intanto che V acqua ingombri tut-
ta la parte media del corpo. Ad alenili idro-
pici nascer sogliono de" tumori, quindi s\. mi-
re, quindi ricomparire di quoto. Questi hanno
pia a spelare di quelli onde si parlò DO*
pi.i. purché sieno docili e tolleranti : ma *\ i i-
io l.i soverchia fidanza di Ila sani! » l"i
DCSta. I munte mai .i\ i.h.i: «• qualcu-
i un teni|.') infestino i
i < orpt, e in qualche pai te -liti ^r I i di pre-
sidio. Per esempio, m gì an < opia d'acqua
1 1 ,i ( ni». «■ m molta mai < ia in ampio e-
It.i. tutta si eflbndesse .ni un i rafc-
( l.i morte, non altrimenti chi già
sanissimo è per ferrila fatto subitamente esan-
Efiano si libera da1 mali doloi osi 'l
i sieno nab e delle
e certi .diri \ i/i degli
vii che abbiano cominciato nell'attempata età,
otti tre ■ v enuli dalli gio-
vani // 1. i ora* < bè alquanto allei iare n ;
i pi i «. mai radicalmente
Ani he l.i < | la dopo il t ig< limo-
qumto n i j i j < * è di dilli». ile cura : assai più dilli-
DELLA HEDICIBA
ad annum decimum : ceterae aelales facilius
sustinent. Mulier quoque gravida ejusmodi
casa rapi potest ; atque etiamsiipsaconvaluit,
parlum tarnen perdit. Quia et jam tormina ab
atrabile orsa mortifera sunt ; aut si sub his.
extenuato jam corpore, -ubi io nigra alvua
profluxit. A.I intestinorum laevitas perìcolosioT
est. si frequens dejsctio est : si venter omni-
bus boria et cani sono, et sine hoc profluit ;
si similiter noetu et interdiu : si. ano 1
nitur. aut crudum est. aut nigrum, et praeter
id, etiam beve, et mali odoris ; si sitis urg
si post potionem urina non redditur ( quod
evenir, quia tua : liquor ornuis non in vesicam,
sed in intestina descendit ) : si os exulceratur,
rubet facies, et quasi maculis quibusdam co-
lorura omnium distinguitnr; si venter est qua-
si fermentatus. pinguisatqu . ! :?iet ci-
bi cupiditas non est. Inter quae cum evi
rnors sit. multo evidentior est. si jam I
quoque id vitium est; maxime etiam. si i.i
corpore senili est. Si vero in tenuiore intestino
morbus est. vomitus. singullus. nervoruin di-
stentio. delirium, mala sunt. At in morbo ar-
quato, durum rieri jecur. perniciosissimurn
est.Quos lienis male habet. si tormina prehen-
derunt, deinde versa sunt vel in aquam inter
cutem, vel in intestinorum laevitatem. vix
ulla medicina periculo subtrahit. Morbus in-
testini tenuioris Disi resolutus est. intra septi-
rauin diem occidit. Mulier ex partu. si cum
febre vehementibus etiam et assi duis capitis
doloribus prernitur. in periculo morti» est. Si
dolor at que inflammatio est in iis partibus.
quibus vi»cera conlineutur. frequeater spira-
re, signum malum est. Si sine causa longus
dolor capitis est. et in eervices ac scapulas
transit. rursusque in caput revertitur. aut a
capite ad eervices scapulasque pervenit. per-
niciosus est : nisi vomicam aliquam excilavit,
sic ut pus extussiretur : aut nisi s.uiiruis ex
aliqua parte prorupit ; aut nisi in capite mul-
ta porrigo. lotove corpore puslulae ortae sunt.
/Eque macinini malum est. ubi torpor at [ne
prurigo pervagantur, modo per totum caput,
in parte; aut sensus alicujus ibi
: eaque ad aummam quoq
perveninnt. tt cum in iisdem
bus auxilium sit. eo lamen difficilior sanitas
est. quo i n ii 1 11 s iaepe sub bis malia illi
quuntur. In coxae vero doloribus, si ve)
torpor est. frigescitque crua el ooxa ; ahus
nisi coacta non reddit, idque quod eatee rni tur,
mucosum est : jamque aetas ejus homi:,
-inumi annum excessi t ; is morb
>, minimumque annuua : neque fi-
lini poterit, i j i -i aul vere, aut autumno. Dif-
ncTKs aeque ( uratio est, in eadem aetate, uhi
humerorum dolor vel ad manua pervenit, vel
■ tfii'lit. to el dolorem
umque
Celso.
■
ib scessi-
cile ancora, se suscitossi dopo il quadragesimo :
cosicché in quella quasi nulla n1 ha a sperare
dalla medica rninistrazione. solamente alcuni
speme resta nelle forze della natura, h da
questo malore quasi non mai si risana, qualun-
que sia 1" età del paziente, quando al un" ora
tutto il corpo invada, ne si abbia innanzi al-
cun senso dell'invadente male in veruna par-
te, ma cada 1" uomo improvvisamente a ter-
ra : se poi v1 ha lesione alle facoltà morali, e
nato un risolvimento dei nervi , è
immedicabile. Ancora • lo di morte,
se alla diarrea sopraggiugne la febbre, se v'ha
nazione di fegato, oeondri, o
del ventre : se la sete è ineslinguibil e.
male è inveterato ; se gli escrementi sono va-
riati, e si rendono con dolore, e sopra tutto se
i tornimi in mezzo a qn iti comincia-
no ad invecchiare. Questa infermità rapisce i
fanciulli insino all' età di dieci anni : le altre
eia più agevolmente vi resistono. E ancora b
donna pregnante può da caso simile venir a
morte, e quantunque la scampi, tuttavia perde
il parto. Ancora la dissenteria incitata dall' a-
trabile suol essere mortifera, e funestissimo
indizio è in persona emaciala destarsi in un
tratto flusso di materie nere. Ma la lienteria è
vieppiù pericolosa, se le scariche so;.
queuti. se il ventre ad ogn' ora fraise
. o Senza : se siò si fa notte e di, se quel
che si rende è inconcotto o nero, ed olti
anche levigato e di mali -
incalza, se ì" orina non si rende, dopo b be-
vanda, (il che addiviene per passare iì
tutto non in vescica, ma nelle intestina | se b
à esulcera, se la faccia rosseggia, e qua-
si si sparge di certe macchie d1 ogni colore, se
il ventre è per ventosità tumefatto, d
anfrattuoso, e se a queste cose si arroge l'inap-
petenza. In mezzo a questi segni evidente si
issai più poi se già inveteralo
si è il malore, e massimamente ancora se ha
un corpo aggravato dagli anni. Il vomi-
to, il singhiozzo, gli stiramenti nervosi.il deli-
rio sono indizi fatali nella passione iliaca. Nel-
l'i Uerizia perniciosissimo incidente si è farsi du-
ro il t. iifetti della
milza, se venf -- inti da dissenteria,
la quale poscia si converta in idrope od in Iien-
ilevole
a sottrarli al pericolo. 11 male dell" ileo se non
si risolve entro sette hi • Dna puer-
■ colla febbre è apehe assalita da spicta-
i dolori di t.-^ta. trovasi in
1110 per
re si M
funesto il i
(piente. Li diuturno dolor di
•. il .pi.lc passi al i ..11.'. alk
noie, e di nuovo ritorni alca] i;odi i
distenda alle prefate [arti, è perni
Dò
C li L S O
vero parte corporis membrum aliquod reso-
lutum est, si ncque movetur, et emacrescit,
in prislinum habituni non reverlitur ; eoque
minus, quo vetustins id vitium est, et quo
magi* in corpore senili est. Omnique resolu-
lervorum ad medicinam non idonea
tempora sunl hiems ci autumnus: aliquid spe-
rari potest vere et testate. Isque morbus me-
diocri.* \iv sanati». \ehemens sanarì non po-
test. Oranis etiam dolor minus medicinae pa-
tch qui sursum procedi I. Mulieri gravidae si
subito rnammae emacuerunt, abortus pericu-
Juiu est. Qnae ncque peperit, ncque gravida
est, si lai- babet, a menstrnis defecta est. Quar-
tana iiuliiiimalis fere lon^a est ; maximeque,
quae coepil bieme appropinquante. Si sanguis
profluxit, dei mie seeula est dementia eum di-
shnlione nervorum, periculum mortis est:
Itemque, n medicamentis purgatum, et adhuc
"man* ni. nervorum distendo oppressi! ; aut si
in magno dolore, extremae partes frigent. Ne-
<;m e i- id vit.un redit, qui ex suspendio, spu-
naante ore, detractus est. Alvus mgra, sangui-
ni atro similis, repentina, sive rum febre, sive
etiam siae liac est, perniciosa est.
Cw. a — Di morhorum curationibus,
CognUil in. Il p| QOnjO-
u litui. \, ! mela tei r< .mi. ...I cui aliones mor-
iseundnm est, Ei bii quaedam
oommunes sunt, quaedam propriae : comma*
Bea, quaa pluribui morbii opitulantar -, prò*
aunibai ■ ' j —
che non ne nasca qualche vomica in guisa che
il pus possa venir espurgato ; o che sopravven-
ga alcuna emorragia, o nel capo si ecciti mol-
ta tortore, ovvero prorompano assai pustole
per tutto il corpo. Ed è pure gran male pro-
var torpori e pnirigini vaganti quando per
tutto ilcorpo.e quando in una parte : ovvero un
senso quivi come di freddo, e questi accidenti
risentirli perfino ali1 apice della lingua : e per
questi guaj rajiito essendo riposto negli aces-
si tanto più malagevole è il risanamento quanto
più di rado sotto tali circostanze essi si formano.
11 morbo ischiatico sarà lunghissimo, almeno di
un anno, è non si risolverà che in primavera o
in autunno, tuttavolta che forte sia il torpore,
la gamba e la coscia fredde, ed il ventre non si
evacui se non con isforzo e gli escrementi sie-
110 mucosi e la persona oltrepassante il qua-
rantesimo anno. Egualmente di scabrosa cura
nella medesima età sono le doglie del braccio
che si prolungano alle mani, o si dirigono alle
spalle, e che dal rigettar di bile non risentono
veruno alleviamento. In qualunque parte del
Corpo abbiasi un membro paralitico che nul-
la si muova, e che dimagri ; più attempato non
puote nel pristino stato, e tanto meno quanto
più è inveterato il vizio, e più annoso il sog-
getto. Il verno e V autunno sono dell1 anno le
meno idonee stagioni alla medicazione della
paralisia : alcun vantaggio sperar si può dalla
primavèra e dalla stai*': un incompiuta pa-
ralisi di rado risanasi, una Compiuta, non mai.
Anche \n\ dolore qualunque ebe si rechi alle
partì superiori piega meno ai rimedi. Dna gra-
\ ida, <"ui di presente si ai \ izzirono le poppe è
in pericolo di abortire. Dna femmina che non
partorì, né ebe è gravida, se ba del latte con-
vien che sia mancante de mestrui. La febbre
quarta ma autunnale suol esser lunga, quella
massimamente che cominciò all'avvicinarsi
del v«ino. Se l.i demenza sopraggiugne ad uà
profluvio «li Sangue COn tensione di nervi, y'c
pericolo di morte, e parimente *e altri pur-
gato con medicamenti, e già vuoi,, venga as-
salito «la convulsioni ; <> se in un bei issimo
dolore le estreme parti sono fredde. Non è |",s-
siliil cosa ritornare io fila chi è stato tratto
■ la un impiccamento già colla borra rigurgi-
tante di bava. Egli è segno esiziale una re-
pentina evacua/ione dì escrementi neri simili
■ sangue rappreso, sia con lebbre, od eriche,
lenza «li essa.
Cvr.
Cura (L'ile malattù
Conosciuti i segni ebe ne fanno sperar*
o temere, si convien passare alle oure delle
malattie. Trs queste altre som» comuni, altre
pi opi ie : « "limili quelle ebe il convengono ■
poi m. inni e di in. di. propi ie quelle che ;«
- n ti- pai ti« "l.n i speme. Dirò iq prima della
cam : ex quibus tamen quaedam non aegros
solum, sed sanos quoque sustinent ; quaedam
m adversa tantum valetudine adhibentur.
Orane vero auxilium corporis, aut demit ali-
quam rnateriam, aut adjicit, aut evocat , aut
reprimit, aut refrigera t, aut calefacit, simul-
que aut durat, aut mollit. Quaedam non uno
modo tantum, sed etiam duobus inter se non
contrariis adjuvant. Demitur materia, sangui-
ne» detractione, cucurbitula, dejectione, vomi-
tu, frictione, gestazione, omnique exercitatio-
ne corporis, abstinentia, sudore. De quibus
protinus dicam.
Cap. x. — De sanguìnis detractione
per venas.
Sanguinem. incisa vena, mi! ti novum non
est : sed nuìlum paene morbum esse , in quo
non mittatur, novum est. Itera, mitti juniori-
bus, et femiuis uterura non gerentibus, vetus
est : in pueris vero idem experiri, et in senio-
ribus, et in gravidis quoque mulieribus, vetus
non est : siquidem antiqui, primara ullimam-
que aelatem sustinere non posse hoc auxilii
genus, jndicabant . ; persuaserantque sibi, niu-
lierem gravidam, quae ita curata esset, abor-
tirai esse facturara. Postea vero usus ostendit,
nifail in his esse perpetuum, aliquasque potius
observationes adhibendas esse, ad quas dirigi
curantis consilium debeat. Interest enim, non
quae aetas sit, neque quid in corpore intus
geralur, sed quae vires sint. Ergo si juvenis
imbecilli» est, aut si mulier, quae gravida non
est, panini valet, male sanguis mittitur : emo-
ri lur enim vis, si qua supererà t, hoc modo
erepta. Al firmus puer, et robustus senex, et
gravida mulier valens, tuto cura tur. Maxime
tamen in his medicai imperilus falli potest:
quia fere mini» roboris il li s aelatibus subest ;
miilierique praegnanti post curalionem quo-
que viribus opus est. non tantum ad se, sed
etiam ad partum susfmendum. Non quidquid
antera intentionem animi et prudentiam exi-
git, protinus ejicienduin est ; cum praecipua
in hoc ars sit, quae non annos numeret, neque
conceplionem solam videa t, sed vires aesti-
met, et ex eo colligat, possit necne supercsse,
quod vel puerum, ve! senem, vel in una mu-
li-re duo corpora sustineat. Interest etiam in-
ler vnlr-ns corpus, et obesum ; inter tenue, et
infirmimi : tenuioribus magis sanguis, plenio-
ribus magis raro al.undat. Facilius itaque illi
detractionera ejusmodi sustinenl : celeriusque
<•■'- si nimium est pinguis, aliquis affli gì tur.
Ideoque vis corporis melius ex venis, qnam
ex if>-i specie aestimatur. Neque solum haeo
eousideranda sunt, sed etiam morbi geni»
quod sii : oh n.n superans, an defìeiens mate-
ria laeserit; corruptura «orpus sit, an inte-
grimi. Nani si materia vel deest, vel integra
DELLA MEDICINA $9
comuni,fra le quali però alcune recano profitto
non solo agi1 infermi, ma anche ai sani : altre
non si usano che in malattia. Ogni rimedio
pe' nostri corpi alcuna cosa toglie o aggiugne ;
attrae o ripercuote ; refrigera o riscalda, ed al
tempo istesso indurisce o mollifica. Certi ri-
medi non recano giovamento in un modo so-
lo, ma spesse fiate in due fra di loro non con-
trarie guise. Sottraesi la materia colla caccia-
ta del sangue, colle coppette, colla purgazione,
col vomito, colla fregagione, colla gestazione e
con ogni qualità d'esercizio, coll'astinenza, col
sudore, delle quali cose passo a ragionare.
Cap. x. — Della sottrazione di sangue
per le ve?ie.
Trar sangue incidendo una vena non è
nuovo, ma che non vi sia quasi malore niuno,
in cui non si tragga, è costumanza nuova. Trar
sangue ai giovani e alle donne non gravide è
cosa vecchia, mi non ha gran tempo che ciò
si fa ne1 fanciulli, ne'vecchi e nelle pregnanti
ancora. Gli antichi estimavano che la prima e
T ultima età atte non fossero a sopportare si
fatto sovvenimento, e fermamente credevano
che una donna incinta che subita avesse tale
operazione sarebbe andata incontro all'aborto.
Ma l1 esperienza poscia ne fece accorti ninna
regola intorno all' uso della flebotomia essere
costante e fissa, ed abbisognare piuttosto di ul-
teriori esservazioni a meglio scorgere la mente
dell1 artista. Imperocché monta sapere non
quale sia l'età, né ciò che si fa entro il nostro
corpo, ma in che slato si ritrovano le forze. II
perchè male a proposito tramasi sangue ad un
giovine debole, o ad una femmina illanguidita,
avvegnaché non gravida, perocché vernasi con
ciò ad estinguere quell' avanzo di forza che
per anche loro rimaneva. Ma puossi bene trar
sangue con sicurezza ad un gagliardo ragazzo,
ad un robusto vecchio, od a donna gravida vi-
gorosa. Contuttociò può in queste cose an-
dar di leggieri errato un medicante inesperto
perocché in queste età v' ha minor rubustez-
za, ed una gravida dopo una cura ha d1 uopo
di tutte le sue forze non tanto per sostenere
sé, ma sì anche il feto. Non devesi a prima giun-
ta prescrivere ciò che esige di molta rifles-
sione e prudenza, perocché in queste appunto
sta il pregio dell1 arte, la quale non fa suo
principal negozio l1 annoverare gli anni, o
guardare alla pregnezza, ma sì le forze bi-
lancia per dedurre quinci se tante ne potran-
no rimanere che sufficienti sieno a sostenere
un fanciullo, un vecchio, e due corpi insieme
in una donna. Importa eziandio distinguere
tra un soggetto forte e grosso, ed un magro
e debile. Ì magri più abbondano di sangue,
più di carne i grassi. Il perchè quelli più facil-
mente ne sopportano la sottrazione, e per essa
fio CELSO
est, istad alienimi est : al si vcl copia sui male
habet, vcl corropta est, nullo modo melius
succurritur. Ergo vehemeus febris, obi rubet
corpus, plenaeque venae Uimnil. sanguinis
detractionem requirit : ilem viscerum morbi
nervorumque resolutio, et rigor, et distentio;
quidquid dcuique fauces difticultatc spiritus
atrangnlat; quidquid sabito supprìmil vocem;
quisquis intolerabitia dolor esl ; el quacumqae
de causa ruptum aliquid inlus atque collisum
< si : itein melos eorporis habitus, omuesque
acuti morbi, qui modo, ut sopra di\i, non in-
firmitate, sed onere nocenl. Fieri tamen po-
test, ni morbus qoidem ìd desiderei . corpus
niilcm vi\ pati posse ridestar : sed si nullum
tamen apparcat aliud aoxilium, peritorosqoe
sii (fui laborat, nisi temeraria qooqoe ria fue-
rit adjutus; in hoc stata boni medici est OSten-
quam nulla spes si t sine saogoinis de-
traetene, faterique. quantus io hac ìpsa me-
tal sii : et tiun deimmi. si exigetur, sangui-
nem mittere. De quo dubitare in ejusmodi re
non oportel : satios esl ebim aoceps auxilium
rxperiri. qoam nullum. Idquc maxime fieri
debet, obi nervi resolati saal ; obi sabito ali-
qnis obmatail ; ubi angina strangulatur : obi
prioria febris àccessio paehe confecit, parem-
tjue mbsequi verisimile est, neqoe eam viden-
lur sastinere aegri virea posse. Cam sii autera
minime crudo sangais mittendua, tamen ne ìd
quidem perpetnam est : neque eaim semper
concoctionem rea exspectat. Ergo si ex supe-
riore parte aliquia decidit, si contasua est, si
ex aliqao subilo casa sanguinei» vorait; quam-
\is paolo ante sompsif cibam, tamen protinua
ci demenda materia est, ne, si subsederi i. cor-
pur a (Biga t. Idem etiam in aliiscasibusrepen-
tinis, qui strangulabnot, dictum erit. \i si
morbi ratio patietar, tum demam, Dulia crn-
ditatia suspicione remanente, id liei, [deoque
eì rei videlur aptù imua adversae valéludinia
dies seconditi sul tertius. Sed ut aliquando
etiam primo die sanguineo! mittere ti
«■st. sic numquam utile posi diem qoartum est,
(uni ).'iin ipatio ipso materia el eihausta est,
et corpus corrupit ; ut detractio imbecillum
ni fu il e pOSSi ^ QOO pO il iole', l'uni.
più presto ne riceve onta chi trovasi soverchia-
mente pingue. Meglio pertanto si estima la ro-
bustezza dell* uomo dall'1 ispezione delle vene
che non dall'abito del corpo. Né tanto consi-
derar si vogliono queste cose, ma determinare
inoltre qual sia la specie del male ; se la ma-
teria pecchi per eccesso o per ditetto, se il cor-
po sia sano o viziato. Perocché se la materia
manca, od è ben costituita, la cavata del san-
gue è inconvencvole. ala se è per copia esube-
rante, ovver corrottagli nessun'altra guisa vi si
può meglio riparare. Quindi in una gagliarda
febbre (pianilo rosso è il corpo e turgescenti le
vene, bisogna ricorrere alla flebotomia, e simil-
mente ne1 malori delle \ iscere, nella paralisia,
nello spasmo e nelle convulsioni : finalmente
ne' guaj delle fauci costituiti da uno strango-
lamento qua! che ne sia la cagione, con difficol-
tà di respiro ; e nella istantanea perdila della
voce: in lutti i violenti dolori, e nei casi lutti in
cui che che ne sia la cagione, alcuna parte in-
terna si trovi rotta o contusa: parimenti nel
reo abito del corpo, ed in tutte quelle malat-
tie acuì e le (piali, siccome avvertiva più sopii,
sono ingenerate non per deficienza, ma per
esuberanza d1 umori. Conluttociò può avve-
nire che una malattia addimandi positivamen-
te il salasso, mentre il corpo dimostri non po-
terlo guari sopportare : pure se in questo ine/.-
zo non si scorge altro presidio, e se l1 animar
lato ne morrebbe ove non venisse sussidiato
tuttoché con mezzo ardimentoso, in questo
caso è ufficio di savio medico il far conoscere
non esservi altra speranza fuor della sottra-
zione del sangue, e far palese al tempo istesso,
quanto si;i il risico d1 usarla : ultimamente te
venga richiesta eseguirla. Su di che in colai
frangente non è mestiero istar perplessi, pe-
rocché meglio è tentare un rimedio dubbioso,
anziché ninno. E ciò deve massimamente farsi
nella par. disi, nel perdimento istantaneo della
voce, nel!" angina che minacci strangolamen-
to, ovvero quaudo la primiera accessione di
una libbre ne mis" in Torse della vita, celie
probabile è che possa reiterarsi con pari fero-
cità, e che le forze dell1 infermo non pajano
abili a sostenerla. E COmechè non si debba
trar sangue innanzi la concozione, tuttavolta
nemraen questa regola vorrassi tener per co-
stante, posciachè vi sono dei casi che non sem-
pre concedono di aspettare la digestione. Co-
me quado altri si.i precipitato dall'alto, od ab-
bia' riportato una contusione '■ o i ne per qual-
siasi subitaneo accidente rigetti del sangue, in
allora quantunque poco davanti abbia man-
giato, deve igli ''i presente cavar sangue attui
che in loprastando ei non si aggravi -li più. E
lo stesso sia detto per altri casi repentini nei
quali s<,\ rasti minai ia di sofibi amento. ( !he
.• la natura della miei mila il permetta, allor
■ li \< i lai quando non \ i i imangi pia siculi
Quoti si vehemens febris urget,in ipso impe-
lli ejus sanguinerai raittere, hominem jugulare
est. Exspectanda ergo remissio est: si non de-
cresca, sed crescere desiit, neque speratur re-
missio, tum quoque, quamvis pejor, sola ta-
men occasio non omittenda est. Fere etiam
ista medicina, ubi necessaria est, in biduum
dividenda est : satius est enim, primum leva-
re aegrum, deinde perpurgare , quam simili
omni vi effusa fortasse precipitare. Quod si
in pure quoque aquaque, quae int.er culem
est, ila respondet ; quanto magis necesse est
in sanguine respondeat ? Mitti vero is debet,
si totius corporis caussa fit, ex brachio; si par-
tis alicujus, ex ea ipsa parte, aut certe quam
proxima : quia non ubique mitti potest, sed in
temporibus, in bracliiis, juxta talos. Neque
ignoro, quosdam dicere, quam longissime san-
guinerà inde, ubi laedit, esse mittendum : sic
enim averti materiae cursum ; at ilio modo in
id ipsum, quod gravai, evocari. Sed id falsimi
est : proximum enim locum primo exhaurit ;
ex ulterioribus autem eatenus sanguis sequi-
tur, quatenus emittitur ; ubi is supressus est,
quia non trahitur, ne venit quidem. Vide tur
lamen usus ipse docuisse, si caput fractum est,
ex brachio potius sanguinem esse mittendum;
si quod in numero vilium est, ex altero bra-
chio : credo, quia si quid parum cesserit, op-
portuniores eae partes injuriae sunt, quae jam
male habenf. Avertitur quoque inlerdum san-
guis, ubi alia parte prorumpens, alia emitti-
tur : desinit enim filiere qua nolumus, inde
objectis quae prohibcant, alio dato itinere.
Mittere autem sanguinem cum sit expedi lissi-
mum, usum habenli ; tamen ignaro diffìcilli-
murn est. Juncla enim est vena arteriis, his
nervi : ita, si nervum scalpellus altingit. se-
quitur nervorum distentio, eaque hominem
ti udeliter consumit. At arteria incisa neque
coit, neque saneseil ; interdum eliarn, ut san-
gui* vehemenler erumpat, effìcit. Ipsius quo-
que venae, si forte praecisa est, capila com-
primuntur, ncque sanguinem emittunt. At si
timide scalpellus demittitur, summara cutem
lacera t, neque venam incidit. Nonnumquam
ttiam ea latet, ncque facile reperitur. Ita mul-
i«i difficile inscio facilini, quod perito
faeillinium est. [ncidenda ad medium vena
«•si; ex qua cum sanguis erumpit, colorem
ejus ha^Kitumque oportel attendere. Nani si is
crassus et njger est, \iii<< tua est; ideoque uti-
T>ELIA MEDICINA 6l
sospetto di crudità. Laonde il secondo e terzo
giorno di malattia sembrano a tal bisogna
proprissimi : ma comechè sia talora espedien-
te e neccessario trar sangue anche il primo dì,
non mai però sarà utile dopo il quarto, con-
ciossiachè la materia in quelle spazio di tem-
po si è dissipala, o il corpo ha corrotto: laon-
de la sottrazione del sangue potrà renderlo
debile, ma sano non mai.
Se poi una febbre gagliardissima imper-
versa, nella maggior veemenza di essa cavar san-
gue è lo stesso che uccider l1 uomo, per la qual
cosa aspettar si conviene la remissione. Se la
febbre non decresce, ma si fa stazionaria, e se
non v' è a sperare declinazione, allora pure
comechè alquanto critica sia la circostanza,
non deve lasciarsi sfuggire l1 unica occasione
che si presenta. E questo medico servizio ogni-
qualvolta si esige, devesi anch' esso quasi sem-
pre amministrare in due dì ; imperocché è più
plausibile sol trar poco a poco, ed indi poi
spurgarlo al tujrto, anziché involando alla per-
sona in un solo tratto tutte le forze, trarla per
avventura in rovina. Che se questo consiglio
a meraviglia riesce in evacuando la marcia ne-
gli ascessi , e l1 acqua negl' idropici , quan-
to più necessariamente non dovrà corrispon-
dere nella flebotomia ? 11 sangue poi se tratta-
si di un male universale, trar si deve dal brac-
cio ; se di una qualche parte, da quell' istessa,
od almeno dalla più prossima : poiché non si
puote salassare dovunque, ma solo nelle tem-
pie, nelle braccia, al piede. Io non ignoro es-
servi taluni i quali estimano doversi praticare
il salasso assai lungi di là, onde ha sede il ma-
le, per la ragione che in questo modo sviasi
altrove il corso del sangue, mentrechè in quel-
T altro attraesi in quella parte istessa, in che
sta il malanno. Ma quest' opinare è falso ; pe-
rocché in principio si esauriscono i vasi della
parte più vicina, quelli poi che sono più lon-
tani si vuotano a ragguaglio che si lascia usci-
re il sangue, ma tosto che si sopprime non ne
vien più. Contuttociò l1 uso islesso sembra
averci insegnato doversi nelle fratture del ca-
po cavar sangue a preferenza dal braccio, e se
il male è in un braccio Irarrassi dall'altro : e
giudico perchè se mal ne avvenisse da ciò,
quelle parli che già si trovano mal affetle, sono
più disposte a risentir le ingiurie. Ancora tal-
volta si diverte il sangue, quando sgorgando
da una parte s'incide la vena da un'altra : il
sangue così cessa di spandersi donde non vo-
gliamo, opponendogli un obice che ne arresti
il corso coli' aprirgli un'altra uscita. Eseguire
la flebotomia, quanto è agevole per chi v' ha
P USO, altrettanto riesce difficile a ehi è ine-
sperto. Perocché la vena associata si trova alle
arterie, e queste ai nervi. Quindi se lo scal-
pello ferisce \ìn nervo, si suscitano stiramenti
e convulsioni che in modo crudelissimo addu-
ga e e
liter effondi tur : si rubet et pellacct, integer
ique missio sangòJois adeo non prodest,
ut edam noceal; protinusqoe ìs sopprimendo!
est Sed id evenire non potest sub eo medico,
qui scit, e\ (juali corpo re sangui* mittendus
sii. Illuil magia fieri solet, ut aeque niger as-
sidue primo die profloat: quod qua m vis ila
< >i. tamen si |am sai is flnxit, sapprimendos
est ; semperqac ante iìnis faciendus est. qnam
anima deficial. Deligandumque brachium su-
perimposito expresso ex aqua frigida penice-
lo : el postero aie adverso medio digito vena
ferieoda, al recens coitas ejas resolvatur, ite-
ruraque sanguinem fundal. Sive autem primo,
sive secando die sanguis ; qui crassus et niger
initio Qoxerat, et robere, el pellucere coepit,
satis materìae detraetnm est, atqae qaod su-
perest, sincerano est: ideoqne protinus bra-
chiom deligaodum, habendumque ita est, do-
nec valens cicatricola >ii ; quae ceterrime lo
vena continuai ur.
Cap.
— De languitili detractione per
cucuriitulas.
Cocorbitolaruni vero duo genera ioni :
aeneom, el corneom. £nea, altera parte pa-
ti i : altera, i laosa est : cornea, altera parte
aeqne patens, altera foramen babel exigunm.
In a. mi, imi lin.iiin ninni ardein conjicitor, ac
afe oi ejui coi poi i aptator, iraprimiturqiie,
donec inhai : I iea per m « >rpori im-
ponitur ; deinde, nl»i ea parte, qua exiguum
ore ipii ìiiin adductus est, super-
era cai Dm id i lansom est, aeqoe inhae-
rescit. Utraqoe non ea liis lantani materiac
geni lil.ns. M-d (h mi ei qoolibel aKo recte fit.
etera d< lì i ei nnt, calicolas qooqae aul
pultai le . orii i ompressioris, ei rei coraraode
aptator. \ bi inaesit, pi concisa ante scalpello
■ Itrahil : li ì
•pirito l , , , , quae ini a i « >i,
'•" dii. ili . nodo ; abi ioflal i
L 5 ©
cono lentamente alla tomba. Ma l'arteria fe-
rita né si riunisce, né risana, e talora lascia
con veemenza sgorgare il sangue. Se poi la ve-
na è recisa lotta, i capi della stessa combacia-
no insieme, e non emettono sangue. E se con
timidezza s* immerge la lancetta fendesi solo
la esterna cute, e la vena non rimane incisa.
Alcuna, volta è anche molto profonda, né è
lieve il ritrovarla. Così assai cose rendono ma-
lagevole quest'operazione ad un insipiente,
mentre che all'1 opposlo facilissimamente rie-
sce ad un perito. La vena si deve incidere nel
suo bel mezzo, donde mentre il sangue spic-
cia, si osserverà il colore e la consistenza di
esso : perocché se è denso e nereggiante, esso è
vizialo, e imperciò giova effonderlo : se per lo
contrario è rosso e rutilante, sano è, ed allora
remissione del sangue é anzi più nocevole elio
no, e conviensi tosto chiudere la vena. Ma un
colai accidente non può avvenire ad un me-
dico che sa conoscere a qoal corpo si addice la
missione del sangue. Inlervien più sovente che
il primo di ne esca sempre sangue nero; ma
comechè ciò accada, se già a sufficienza ascia-
ne, deesi arrestare, e poi- fine in ogni caso an-
zi che sopravvenga il deliquio. Quindi si fa-
scia il braccio sovrapponendo dicontro all' in-
cisione un piomaccioolo inumidito d'acqua
fresca, e alla dimane si frega col dito medio la
vena, affinchè i labbri della ferita di fresco fra
sé riattiti tornino a separarsi, e così diasi noo-
\ anienle libero useimenlo al sangue. Se il san-
gue che da principio fluì denso e nero comin-
cia a farsi rosso e pellucido, è indizio esserse-
ne estratto a sufficienza, e eia ebe riraansi es-
sere poro e sano. Laonde si fascerà inconta-
nente il braccio, e li riterrà così lino a che sal-
ila sia la piccola cicatrice, la quale in una ve-
na prestissimo si compie.
Cap. xi. — Sottrazione di sangue per
le coppette.
Di due qualità hannovi coppette, altre di
rame, altre di orno. Le prime SOnO aperte da
Un lato, chiuse dall'alito; le seconde hanno
un" ampia apertura OS una parte, e un pcrlu-
g io dall' altra. Nella Coppetta di rame poovisì
stoppa ardente, t quindi l'apertura di essa si
ai • omoda al corpo, tostenendola con la mani»
indilo a che ri aaerisea. La cornea si appone
.il i mi pò cosi coro1 e. indi pel picciolo forame
succhiata eolla bocca I aria, e poscia chiusone
con cera P adito, attaccasi siccome l'altra, la-
due specie di ?entOSé 11 >n ^i tanno tanto «li
rame e di e. .ini., m.i si (li qualsivoglia alila
materia. Ma in disagio d'ogn1 altra può co-
modamente acconciarsi a quest1 uso un bio-
rliicro. mi altro piccini \,ism ohe abbia angusta
I' unii •■ .uni a, rosta la coppetta, le <\.^ anti
ita la cute, attran i il sangue, e se
DELLA
lek Usus autem cucurbitulae praecipuus est,
ubi non in toto corpore, sed in parte aliqua
^iliam est, quara exahuriri ad confirmandam
valetudinera satis est. Idque ipsum testimo-
nium est,etiam scalpello sanguinem, ubi mem-
bro succurritur, ab ea potissimum parte, quae
jam laesa est, esse mittendum : quod nemo
cucurbitulam diversae parti imponit, nisi cum
profusionera sanguinis eo avertit ; sed ei ipsi,
quae dolet. quaeque libera nda est. Opus etiam
esse cucurbitula potest in morbis longis,
qua m vis et iis jam spatium aliquod accessit;
sive corrupta materia, sìve spiriti! male ha-
bente : in acutis quoque quibusdam, si et le-
vari corpus debet, et ex vena sanguinem mit-
ti vires non patiuntur. Idque auxilium utmi-
nus vehemens, ita magis tutum ; neque un-
quam periculosum est, etiamsi in medio fe-
bris impetu, etiamsi in eruditale adhibetur.
ldeoque ubi sanguinem mitti opus est, si in-
cisa vena praeceps periculum est, aut si in
parte corporis etiam vitium est, bue potius
confugiendum est: cum eo tamen, ut sciamus,
liic ut uullura periculum, ita levius praesi-
dium esse.; nec posse vehemenli malo, nisi
aeque vehemens auxilium succurrere.
MEDICINA m
altrimenti non fu, attirerà gli spiriti. Quindi si
costumano porre le coppette a taglio, allorché
il soverchio degli muori sanguigni è la cagio-
ne del male, e nelP altro modo quando a rin-
contro predomina la flatuosità. L'uso princi-
pale delle coppette si è quando V affetto non
è in tutto il corpo, ma in alcuna parte, cui
basta esaurire per ristabilire la sanila. Ed una
prova che il sangue anche colla lancetta, quan-
do vogliasi soccorrere ad un membro, si deve
trarre a preferenza da quella parte che giace
inferma, si è che niuno pone le coppette a par-
ti diverse, se non per dirigere là ove le appo-^
ne il corso del sangue, ma sì ognora a quella
regione del corpo che è inferma e che inten-
desi di liberare. Si possono altresì impiegare
questi medicinali presidii ne' lunghi malori ,
tuttoché già sia trascorso del tempo, o che ri-
sultino essi da corrompimene di materia, o da
vizio degli spiriti. Anche in certe malattie acu-
te, dove fa <T uopo sminuire la quantità degli
umori, intanto che le forze non sostengono il
cavar sangue per la vena. Questo medico prov-
vedimento coni1 è raen violento, così è più si-
curo, e non mai pericoloso, ancorché si metta
in uso nel maggior colmo della febbre, ed an-
che prima che sia fatta la digestione. Perciò
ogni qualvolta è richiesta la diminuzione del
sangue, in caso che si corra manifesto perico-
lo ad incidere la vena, o che alcuna parte del
corpo trovisi malaffetta; si dovrà piuttosto ri-
correre a questo salutare sovvenimenlo : rile-
va però il sapere che se dalle coppette non v'è
a temere verun pericolo, non avvi nemmeno
a sperare troppo grande ajuto, e che i ma-
li violenti richiedono del pari poderosi ri-
medi.
Cap. xii. — De dejectione.
i. Dejeclionem autem antiqui variis mc-
dicamenlis, crebra que alvi ductione in omni-
bus paene morbis moliebantur : dabantque
aul nigrum veralrum, aut fìliculam, aut squa-
maci aeris, quam \iiri$ct x<x\x.ocr Graeci vo-
cant; aut lactucae marinac lac, cujus gutta
pani adjecta abunde purgat ; aut lac vel asi-
jiiiniii!, vel bubulum, vel caprinum, eique sa-
JU paulum adjiciebant, decoquebantque id, et
suhlalis iis, quae coierant, quod quasi serum
supererai, bibere cogebant. Sed medicamen-
la stomachimi fere laedunt: alvus si vehemen-
tuis Unii, ani saepius ducitur, hominem infir-
mai. Ergo miuiquam in adversa valetudine
medicamentum ejus rei cauisa reclc datur, ni-
si uhi is morbus sine febre est ; ut cum vera-
tram nigruui aul atra bile vexatis, aut cum
tristitia insanienlibus, aut iis, quorum nervi
Mrte aliqua resoluti sunt, datur. Àt ubi fe-
brea sunt, satius esl ejus rei caussa cibos po-
tfonesque assumere, qui simul el alant, et
Cap. xii. — Della purgazione.
i. Gli antichi provocavano le egestioni
con varii medicamenti, e col frequente uso dei
cristeri in quasi tutte le malattie, e davano
l' elleboro nero, il felce, la scaglia del rame
delta da1 Greci lepida calcou, od il sugo del
titimalo di cui una gocciola in sul pane purga
abbondevolmente, e il latte asinino, o il vac-
cino o quel di capra nel quale mettevano un
po'1 di sale ; indi il faceano bollire, e tolto via
quello che si accagliava, obbligavano a bere il
rimanente che era poco diverso dal siero. Ma
i medicamenti sono per lo più nocivi al nostro
stomaco, e se il ventre si evacua impetuosa-
mente, e se con indiscreta frequenza si va mo-
vendo, induce l1 uomo in estrema fiacchezza.
Onde non è sana regola propinare in malattia
medicamento purgativo, tranne che non sia
senza febbre: appunto come quando si pre-
scrive l'elleboro nero a quelli che sono travar
gliati dall'atrabile, o agl'insani per tristezza,,
od a chi ha alcuna paralisi, ma Ogniqualvolta
C4
ventrem molliank. Suntquè valetudini
ra, quibus ex lacte purgatio convenir.
CELSO
gene- v1 è febbre, più diritto avviso è prenderò i
quest' uopo alimenti e beveraggi che ad un
tempo somministrino nudrimeuta, e tengano
lubrico il ventre. Sonvi poi alcune infermità,
nelle quali si convien propriamente purgare
col la Ile.
De ahi ductione.
2. rierumque vero alvus polius ducenda
est ; quod, ab Asclepiade quoque sic tempe-
ratum, ut lanini servatimi sit, video plerum-
que seculo nostro praeteriri. Est autem ea
luo'deralio, quam is secutUS videlur, aplissi-
ma : ut ncque saepe ea medicina tentetur, et
tamen semel, vcl summum bis, non omittatur,
si caput grave est ; si oculi caligant. ; si mor-
bus majoris intestini est, quod Graeci kóXov
nominant; si in imo venire, aut in coxa
dolores sunt; si in stomachum quaedam bi-
liosa concurrunt, ?el etiara pituita co se, hu-
morve aliquis aquac similis confort ; si spiri-
tus dil'tìcilius reddiiur; si nini! per se venler
exoernit ; utique, si juxta quoque stercus est,
et ini us rema net; ani si stercoris odorem nihìl
dejiciens aeger ex. spiritu suo sentii; aut si
corruptum est. quod excernitur; aut si prima
inedia febrem non sustulil ; aut si sanguinimi
ìnitti, CUm opus sii, vires 1 paliiinlur. leiu-
pusve cjus rei pracleriil; aut si multimi aule
morbum aliquis potayil ; ani si is, qui saepe
vel sponte, rei casa purgatus est. subito ha-
bel ;dvum suppressam. Servanda vero Illa
turil : ne ante diem tcrtium duca tur ; ne ull.i
cruditate substante ; ne in corpore infirmo,
diuque in adversa valetudine exnausto ; neve
■ lì satis alvus quotidie reddit, quive
ram liquidano habel : neve in ipso accessionis
i nip. in. quia, quod tu mi infusuin est, alvo con-
tiintur. regestumque in caput, multo gravius
periculum efficit Pridie vero abstineri debet
ut aptus t;di curationì sii : eodem die
ante aliquot horas aquara calidam bibere, ut
superiores ejus partes madescant. Tum im-
mittenda in alvum est, si levi i licina con-
tenti similis. pura aqoa : si paulo ralentiori,
mnlsa : si imi. ci in qua foenum graecum, vel
ptisana, vel malva decocta si! ; si reprimendi
• ' \ \ erbenis. tarii autem esl marina
a qua. m I alia tale adjecto : atque utraque de-
i tromodior >r fit, adje< to i • I
oleo, vel nitro, vel melle : quoque acrior est,
. ■. pia t-extrahit, I rainue facile sustinetur.
Idque quod iufundilur, neqne frìgidara esse
oportet, ncque calidum, ne allerutro modo
laedat. < Inni min uhi « i. quantum fieri pc-
in li ci 'il., debet aeger, nec
primae < apiditali dejectionis protinui i
nln ii' : uni demum desidi >-< . Fere-
qui- < '> uh. lo derapta mali ri >ribui
partibuj levati*, morbam ipsua molli!
Dei cristeri.
2. Vuoisi piuttosto ne1 più dei casi tener
libero il ventre co1 cristeri. Asclepiade ha mo-
derato anche questo non però eh1 ei non l'ab-
bia seguito : ai nostri giorni è quasi andato in
disuso. Li" uso discreto poi eh1 ci ne fece sem-
bra convenienlissimo; che non troppo spesso si
pratichi queslo medicinale presidio, lullavolla
non si tralasci d'amministrarlo una o al più
due fiate, se la lesta è pesante, il vedere I
e se remila quel malore del grande intestino
che pe1 Greci dicesi colon ; se nelT imo ven-
tre e ne' fianchi si soffrono de' dolori, se lo
stomaco si sopraccarica di materie biliose, o
quivi raunasi pituita, od altro umore simi-
glianle all'acqua : sé il respiro è alquanto mie-
loso, se il ventre nulla evacua spontaneamen-
te, tanto più poi se le materie fecciose si sen-
tono al basso, senza pur poterle rendere, se
l'ammalato niente eliminando ha nel suo alilo
un odore stercoraceo, o se e corrotto ciò che
fa, e se per lo slare a dieta che lece, la febbre
contuttociò non venne meno, <> se richieden-
dosi la missione del sangue, le forze non la so-
stengono, o se il tempo opportuno a tarla ò
trascorso, <» se altri assai bevve pinna che si
ammalasse, o se chi è solito o per accidente, o
spontaneamente a spesso purgarsi, siategli ad
un trailo reso tenace il ventre. Si devono nel-
l'uso de1 servi/.iali queste regole servare: di
non amministrarli prima del terio «li. e non
mai fino i che sussiste alcuna crude//;!, giara*
mai in persona debole, e ])cv aulica infermità
esausta : uè a chi va del corpo sufficientemen-
te ogni dì, nemmeno a quegli che ha il venire
sei. dio. e non usarlo nella viole, i/a dell
si. me. perocché la materia iniettata li rattieue
nelle intestina, «■ sollei tndosi verso la testa,
aumenta il pericolo. L1 infermo deve la vigilia
si. tu- in astinenza onde disporsi a così fatta
operazione : il giorno medesimo deve qualche
Ora davanti bere acqua lepida, onde le parli
superiori si umettino: lai cose premesse i in-
ietterà se la hi (OgnO d" ima lene med ieii :.i,
dell'acqua pura : se d1 w\.\ alquanto più forte,
dell1 acqua mellita, e se richiedesi cristere mol-
lificante, farassi di decozione di fii no
d* orzo, o di malva : i lavativi astringenti si
coropong 'no .li decozi li i erbena. ( «I irn -
Unti si lamio d' BCqua marina od allra in (die
ilio di I ile : e si r una che I' altri utile
lari fai la bollire. \ i< ppiu irritante tarassi
giuntando^ i olio, o itili a od sui be del me»
vires deficianl, utique eo die cibimi assume-
re : qui plenior, an exiguus sit dandus, ex ra-
tione ejus accessionis, quae exspectabitur, aut
in meta non erit, aestitaari oportebit.
DELLA MEDICINA 65
vero, quoties res coe^it, desideiido aliquis se Quanto più è acre, lanLo più opera : ma men
exhausit, paulisper debet conquiescere ; et, ne facilmente si ritiene. La roba che s'inietta, non
deve essere né fredda, ne calda, onde non ar-
rechi danno, né per V uno né per l1 altro mo-
do. Fatto il cristeo, l1 ammalalo, per quanto
può, dee tenersi in letto, e non cedere subito
ai primi incitamenti che ha di scaricarsi, ma
quando poi è forzato, allora senza più vada al
cesso. E per lo più, sgombrate così le intesti-
na e sbarazzate le parti superne, la malattia
islessa diminuisce. Qualora poi altri coir eva-
cuare, avendolo così richiesto la cosa, sia rima-
sto al tutto privo di forze, conviene che riposi
alcun poco , e onde non cada in deliquio,
prenda in quel dì dell1 alimento, il quale se
debba esser copioso o parco, fia mestieri de-
durlo dal grado dell1 accessione che dovrà» o
non dovrà in quel dì sopraggiugnere.
Cap. xiii. — De vomitu.
Cap. xiii. — Del vomito.
Àt vornilus, ut in secunda quoque vale-
tudine saepe necessarius biliosis est, sic etiam
in iis morbis, quos bilis concitavit. Ergo omni-
bus, qui ante febres horrore et tremore ve-
xanlur ; omnibus qui cholera laborant ; omni-
bus etiam cura qnadam hilaritate insanienti-
bus ; et comitiali quoque morbo oppressis, ne-
cessarius est. Sed si acutus morbus est, sicut
in cholera ; si febris est, ut inter horrores,
asperioribus medicamentis opus non est ; sicut
in dejectionibus quoque supradiclum est : sa-
tisque est, ea vomitus caussa svimi, quae sanis
quoque sumenda esse proposui. At ubi longi
valentesque morbi sine febre sunt, ut comi-
tialis aut insania, veratro quoque albo uten-
dum est. Idneque hieme, neque aestate recte
datur ; optime, vere ; tolerabiliter, autumno.
Quisquis dalurus erit, id agere ante debet, ut
aecepturi corpus humidius sii. Illud scire
oporlel, orane ejusmodi medicaraenlum, quod
potui datur, non scraper aegris prodesse, scra-
per sanis nocere.
Cap. xiv. — De [rìctioue.
De fiictionc vero adeo multa. Asclepia-i
des, tamquaui inventar ejus, posuit in eo vo-
lumine. quod t lommunium Auxiliornm inscri-
pàt, n(, (uni trium tantum fa ce re t menlio-
ìiciu. Jmjiis i-i aquae et gesta lionis , tamen
maximam partem in hac consumpserit. Opor-
lel autem neque recentiores viros in iis frau-
duc. quae vel repererunt, vel recle senili
sunt . ; et tamen ea, quae a pud antiquiores ali-
quos posila sunt, auctoribus suis reddere. Ne-
que dubita ri potest, quin Ialina qttidem, et
dilucidius, ubi et quomodq friqtione utcndum
Celso.
Ma il vomito com1 è talor necessario anche
in sanità ai biliosi, così del pari in quelle ma-
lattie che sono concitate da bile. 11 perchè a
quelli che innanzi la febbre vengono percossi
da brividi e tremori, ed a chi soffre la colera,
ed a quelli ancora che posseduti sono da pazzia
allegra, non che agli epilettici, esso è indispen-
sabile. Ma se il male è acuto siccom1 è la cole-
ra, se è febbricoso come in tempo del ribrez-
zo, non si addicono medicine irritanti, sicco-
me è detto di sopra parlando delle gestazioni :
a provocare il vomito bastano quelle medesi-
me cose che proposi doversi prendere anche
dai sani. Ma nei lunghi e gravi malori non feb-
brili siccome il mal caduco e la demenza vuoi-
si talvolta far uso da 111 elleboro bianco. Non è
convenevole precettarlo di verno, e nemmeno
di state, sommamente a proposito la prima-
vera, mediocremente di autunno. Quegli poi
che dovrà prenderlo, deve davanti governarsi
in raodo che il proprio corpo acciocché il ri-
ceva, si troviuraido. Imporla però sapere che
tutti i medicinali di questa natura che si dan-
no in bevanda, non sempre giovano agl'infer-
mi, nuocono sì costantemente ai sani.
Cap. xiv. — Della fregagione.
Intorno alle fregagioni, quasi come inven-
tore ne fosse, mollo copiosamente ha versato
Asclepiade in quel volume die intitolò dei
Comuni Presidi, nel quale avvegnaché a bl>ia
discorso di tre cose, vale a dire della fregagione^
dell' acqua e della gestazione, coiHuttocio ba
impiegato la massima parie a ragionare della
prima. Non convien certo defraudare i recenti
medici dì quelle lodi che si sono meritati in
ciò che <» ritrovarono eglino slessi, o di che
sono stati accorti seguaci, ma egli è dovere al
tempo medesimo di restituire ai loro autori la
9
Of, CELSO
esser . .Wlepiades praeceperit ; nihil tamen
repererit. quod non a vetustissimo auetore
Hippocrate paucis verbis coraprchensum sit :
qui dixit. frirtione. si vehemens sit, durari
corpus ; lì benis, mollili : sì multa, minili ; si
modica., impleri Sequilur ergo, ut tum ulen-
dum >it. cara ani adstringendum corpus sit,
qnod hebes est ; aul molliendum, quod india*
r til : aul digerendum in ea, quoti copia nocet;
.. id qnod tenne et infirmimi est.
Qua* [amen quis curiosius aestimel
( qnod j.iin ad mediami non pertinet ), tarile
intelliget, omnei ex caussa pendere, quae de-
mit. Nam et adstringitur aliquid, eo dempto,
quod interpositum, ni i<l laxaretur, efieceral ;
et muilitur. eo detraoto, qnod duritiem crea-
bat; et implelur, non inai frictione, sed eo
cibo, ';ni poste* usque ad cutem, digestione
quadara relaxatam, penetra t. Diversarum fe-
ro rerum in modo caosM est Inter nnetionem
autem et frictionem multnm interest. Ungi
euim leadlerque pertractari corpus, etiain in
arutis et recentibus morhis oporlet ; in re-
missione tamen, et ante cilmni : longa vero
Frictione oti, ncque in acniis morhis, ncque
increscentibus convento ; praeterquara cura
phrenetieùi tomxini ea quactitnr. Am.it autem
hocauxifion valetudo longa, et Jan a primo
j, ipeta inclinata. Ncque ignoro, quosdara di-
eere, orane auxilium necessarinm esse incre-
icentibui morbis, non cura jam per se nniun-
■ wd non ita se babet Potesl enim mor-
bus, etiara qui per le finem habiturus est, ci-
tius taraen adbibito ausilio folli : quod dna-
bus «le caussii necessarinm est : et ut quara
primum bona valetudo eontingat ci ne mor-
bus, qui remanet, iterimi, quamvis levi de
retur. Potesl morbus minus gra-
. quara raerit, neque ideo laraen ioli i.
icd 1 liquiis quibusdam inhaerere, qnas ad-
motura aliquod auxilium disoutif. Sed ut, le-
vata quoque adversa valetudine, recte frictio
adhibetur ; sic nuraquam adbibenda esi febre
mi si fieri poterit, cum ex
bit : sin miniix. certe cimi
ea i emi! rit. Kadem su lem modo in totis cor-
pori bus < ise dehet, ut cura inftrmui aliquis
modo in pari ibus, sul quia ipsius
embria imbei illitaa id requirit, sul quia
alteriu i i . 01 doloi ei ipsius
i in impetu taraen doloria :
i solutum ipsiui frictio-
Rrroal ur. I . >nj e tamen laepius aliud
; indum est, cura aliud » I <■ «1 « ■ i ; maxime-
pi . ora .1 i ; partibus i or-
i i \ > • 1 1 1 1 1 1 1 1 -, ; ìd |
rfrii ohm . Neque au liendi
il. «(Milli. •> lll.jll
'< iribui hominii col-
lum est : et vi i- pei ini potesl
; si r< lo
gloria dello scoprimento di quelle cose che si
leggono presso qualche vecchio scrittore. Non
si può dubitare che Asclepiade non abbia in-
segnato più ampiamente e con più chiarezza
che niun altro il modo onde far uso della fre-
gagione, non pertanto cosa nessuna asserisce
che non fosse già stata espressa da Ippocrate
scrittore antichissimo con succinte frasi: men-
tr'egti disse che per la fregagione, se gagliarda
il corpo s-1 indura ; se blanda si ammollisce ; se
soverchia dimagra ; se moderata s1* ingrassa.
Quinci ne siegue che allora dovrassene far uso
quando vomissi o contrai* le fibre di un corpo
rilascialo, o mollificare quelle che sono rigide,
ovvero stremare ciò che per la copia sua ne
incomoda, o veramente nutricar quel corpo
che gracile si ritrova od infermo. Tuttavolta
se altri vorrà attentamente considerare tutti
questi effetti della fregagione il che però non è
di pertinenza medica, di leggieri comprenderà
tutti quanti venirne da una medesima cagione
che è la sottrazione. Perciocché si ristringe
una cosa togliendo ciò che v1 è interposto, il
che era causa di sua rilasciatezza; e si mollifi-
ca col detrar quello che cagionava la durezza;
e s'ingrassa non per effetto della fregagione,
ma pel cibo che penetra indi fino alla cute, già
rilasciata, in grazia di una tal (piale digestio-
ne. Ala la cagione di questi infra loro contrari
effetti sta nel modo del praticar f» fregagio-
ne. Non picciola differenza poi passa tra l'un-
zione e la fregagione. Perocché ungere e lene-
mente fregare il corpo è necessai i<> anche nel-
le acute e recenti malattie, nella remissione
però e prima di mangiare. Ma la continuata fre-
gagione disconviénsi al tutto negli acuti mor-
bi, ed in (pulii che vanno crescendo, tranne il
solo caso di voler conciliare il sonno ai deli-
ranti. In* aulica infermiti, e che dal primo
impeto ha ^ià «laio volta, a preferenza ricerca
questo silfidi;), lo non ignoro che al. •uni nie-
llici avvisano essere necessario ogni rimedio,
quando i mali vanno crescendo, e non quando
per sé stessi corrono al loro fine. Ma in questo
eglino vanno errati, imperocché una malattia
che anche per s<- andrebbe < finire, tuttavia
può togliersi più prontamente, usando di qual-
che rimedio : il «he necessario é per due ragie-
pi; e perchè al più loslo ritorni la Inuma salti-
le. .• perché la malattia che i Imane, non li esa-
i , i lii. anche per lie\e e. -Mone, (li nuovo. Può
sì l'alfe/i'UH morbosa esser men fi i ;,x r ''■ quel-
lo ai i lu, e non per questo tuttavia potersi
sciogliere del tutto i ma rimanervi alcuni a*
v.ni/i che un opportuno rimedio può dissipare.
M i i la fn -Mie convenientemente si ado-
II he (piando diminuita si ( l.i fi Un e. 00-
m non mai usar si deve nello accrescersi della
ni . ie fin pò i dui. . «I"\ i ' aspettar! i che
il corpo sia interamente libero, o che almeno
1 ione 01 a lì la pel llll-
ducenties esse faciendum ; inter utrumque
deinde, prout vires sunt. Quo fit, ut etiam
minus saepe in m ubere, quam in viro ; minus
saepe in puero, vel sene, quam in juvene, ma-
nus dimovendae sint. Denique, si certa mem-
bra perfricantur, multa valentique frictione
opus est. Nam neque totum corpus infirma ri
cito per par lem potest, et opus est quam plu-
rimum materiae dipeli, sive id ipsum mem-
brura, si per id aliud levamus. At ubi totius
corporis imbecillitas liane curationem per to-
tum id exigit, brevior esse debet et lenior ;
ut tantummodo summam cutem emolliat, quo
facili as capax ex recenti cibo novae materiae
fiat. In malis jam aegrum esse, ubi exterior
pars corporis friget, interior cum siti calet, su-
pra posui. Sed tuuc quoque unicum in frictio-
ne praesidium est ; quae si calorem in cu-
tem evocarli, potest alicui medicinae locum
tacere.
Cap. xv. — De gestatione.
Gestalio (pioque Iongis et jam inelinatis
morbi» aptissima est : utilisque est et iis cor*
poi ibus, (jnae jam ex toto febre careni, sed
•dbuc exerceri per se non possunt et iis, qui-
Imis lentae morborum reliquiae remanent, nc-
que ahter eliduntur. Asclepiades etiam in re-
centi vehementique, praecipuae ardente fe-
bee, ad discutiendam eam, gestatione dixit
utendum : sed id periculose fit ; raeliusque
quiete ejusmodi impetus sustinetur. Si quia
tamen experi ri volet, sic experiatur, si lingua
non eril aspera, si nullus tumor, india duri-
liw, nullus dolor visceribus, aut capiti, aut
praecordii» suberit. Eit ex loto numquam ge-
DELLA MEDICINA CjJ
to il corpo, siccome quando si vuole impin-
guare una persona gracile, ora sopra una sola
parte, sia perchè il richieda la debolezza di
quella parte is tessa, ovvero di alcun1 altra. Es-
sa pure alleggerisce gli antichi dolori del capo,
purché non si usi nella violenza loro, ed un
arto paralitico ben sovente racquista il moto
con farvi dei fregamenti. Nondimeno assai più
spesso si convien far la frizione in parti non
affette, e massimamente allora che si ha in mi-
ra di richiamare gli umori dalle supreme e
medie parli del corpo, e perciò si stropicciano
le estreme parti. Non è da porgere orecchio a
quelli, i quali vogliono determinare il numero
dalle freghe da farsi a qualcuno, imperocché
tal cosa devesi dedurre dalle forze del sogget-
to : cosicché se esso debolissimo si trova, posso-
no bastare cinquanta, se poderoso ne potrà
sostenere da dugento : dipoi ci terremo tra
questo mezzo a norma delle forze. Dal che
ne viene che per lo più meno in una donna
che in un uomo, e meno in un fanciullo ed in
un vecchio che in un giovane si devono ado-
perar le mani. Finalmente se si fregano certe
regioni del corpo, d1 uopo è di forte e conti-
nuato stropicciamento, perocché non può tut-
to il corpo tosto indebolirsi in grazia d'una
parte, mentre occorra dissipare grande quan-
tità di materia, sia che vogliasi col fregamen-
to sollevare quel membro stesso, od alcun al-
tro. Ma quando la fievolezza di tutta la per-
sona addimandi questo medicinale governo
in tutta l1 estensione del corpo, facciasi sì ma
più breve e più mite, onde rammollisca sol-
tanto la cute, acciocché rendasi più facilmen-
te capevole di novella materia pel davanti
apprestato alimento. Che un infermo ritrovi-
si in pericoloso slato, tuttavolta che T esterna
parte del corpo è assalita da freddo, mentre
all' interno ei prova caldo con sete, già diso-
pra il dissi, in questo caso I1 unico ajuto ripo-
sto è nella fregagione, la quale se rivocherà
nella cute il calore, può dare campo ad alcu-
na medicazione.
Cip. xv. — Della gestazione.
La gestazione pure è molto acconcia ai
lunghi e già decrescenti malori : ed utile è a
coloro che da tempo vanno scevri di febbre,
ma che di per se non si possono ancora eser-
citare, ed a quelli a cui restano lenti residui
di malsanìa che di verun altro modo non si
dileguano. A sci epiade propose l1 uso della ge-
Stazione anche in una nuova e gagliarda feo-
bre massime ardente , onde distoglierla; ma
il farebbesi a grande risico, e meglio è col ri-
poso attutarne la forza. Ture se alcuno ha va-
ghezza <li sperimentarla, il faccia se la lingua
non è aspra, se niua tumore, ninna durezza
< dolore nessuno si sentirà nelle viscere, nei
08 C E L s
slari corpus dolens debet, sire id in toto, sive
in parte est: Din tamen solis nervis dolenti-
bus ; neque unquam increscente fel)re. sed in
remissione ejus. Genera autem gestationis
pi nra sunt : qui adhibenda soni et prò viribus
cujusque, et prò opibus, ne aut imbeeillum
hominem nimis digerant, aut tramili desint.
Lenissima est navi, vel in porto, vel in il ti—
mine ; vehementior vel in alto mari nave, rei
lectica ; etiamnum acrior vehiculo. Attrae baco
ipsa et intendi et leniri possttnt. Si uihil ho-
rura est. sospendi lectos debel et moderi : si
ne id qoidem est. al certe uni pedi sobjicien*
dom frumentoni est. atqoe ita lectos hucet il-
luc manu impellendos. Et levia (juidem gene-
ra exercitationis infirmi* ronveniunt : valen-
liora vero iis. qui jam pluribus diebus febre
liberati sunt : aut iis. qui gravium morborum
india sic sentionl , Ol adirne febre vacenl
(quod et in tabe et io stomachi vitiis. et cum
aqoa cotem subiit. et interdom in morbo re-
gio fit). aut ubi quidam morbi, qualis comi-
tialis. qoalis insania est, sine febre, quamvis
din. manent In quibus affectiboa ea quoque
genera exercitationum necessaria sunt. <)iiae
romprehendimus co loco, quo qoemadmodom
sani, ncque firmi homines se gererent, prae-
cepimus.
Cap. xvi. — De abstinentia.
àbstinentiae vero duo genera sunt : alte-
rami obi uiliil assamil aeger; alterom, ubi non
jii-i qood oportet India morboroni primura
faiix-ui. sitimqoe desiderant: ipsi deinde morbi,
moderationem, ul neqoe aliod (piani expedi t,
ejus ìpSIUS diminuì Miuia'ur. Ncque
«•nini con veni I ioxla inediam prolinus satieta-
Qu ■ I si N.Miis quoque corpoi ibns
inatile est, obi atiqaa necessitai fameni ri cil :
quanto inuliliiis e ! in COrOOre «liam aC£TO :'
Neque alla rea magia adjuvat laborantem ,
quam tempestiva abstinentia. [ntemperantes
homines apud : i i!>i tempora curanti-
: i alii, tempora nudi.
• eroittunt, libi ipsis modom \ indicant.
I , duui. qui <■< U i b ilio
rum arbitrio relinqunot, in genere cibi liberi
itur , quid m lieo liceat,
ii-. n quid b ( 'mì rehementer
n < :ju< quod fa numi lui vel
t'-in pei i atur.
capo o nei precordi. È sempre- schifare la ge-
stazione, dolente il corpo'tutto, od alcuna par-
te ; salvo nondimeno il caso, in cui dolgano
i Soli nervi, e non mai nel crescere della feb-
bre, ma nella remissione di essa. Di due ma-
niere si hanno gestazioni, delle quali si può
far uso a seconda delle forze e delle facoltà di
ciascuno ; onde né soverchio esauriscano un
uomo debile, né manchino al povero. La più
piacevole di tutte è quella che si fa in barca
nel porto, o pel fiume : pia violenta in allo
mare, ovvero in lettiga. La più veemente è in
eocchio. 31a queste varie fogge di gestazione
possono rendersi e più forti e meno forti. In
disagio di tutte queste si sospenda il letto, e
facciasi muovere. E se questo pur manca, si
convien mettere un sostegno ad un piede del
letto, e poscia con una mano spignerlo qua e
là. Le più blande maniere d1 esercizio si ad-
dicono ai soggetti deboli, le più forti a coloro
che già ^^ più giorni sono liberali dalla feb-
bre, od a quelli che sì poco risentono i forieri
di malattie gravi che si trovano per anche
senza febbre ( siccome avviene neir elisia, nei
malanni di stomaco, nell'idropisia e talvolta
neir itterizia ). ovvero in certi malori non feb-
brili, quantunque durino lungo tempo, sicco-
me il mal caduco e la pazzia. Nelle quali affe-
zioni sono pur necessarie quelle maniere d1 e-
sercizio che si esposero colà, ove si dettero i
precetti secondo i quali si devono regolare le
sane, ma dilieale persone.
C.vr. xvi. — Dell' 'astinenza.
Di due sorte è V astinenza : Pana in cui
nulla prende l1 infermo, V altra in cui prende
ciò solo «die idi e convenevole. Le malattie
pò cominciamene vogliono toi.de asti-
nenza di cibo e di bevanda : in appresso nel-
le malattie istesse si richiede moderazione,
non osando che alimenti dicevoli, e questi an-
che con parsimonia ; perocché sempre discon-
viene la sazievolezza dopo r inedia, la «piale
si anche ai sani è Docente, allorché per alcu-
na Decessiti! provarono la fame, quanto pia
do! ^*VA ad un infermo? Nulla cosa reca giova-
.jnenlo maggiore agli ammalati, quanlo l\isli-
Deoza a tempo. GÌ1 io temperanti fra noi la*
sciaon ai medici i tempi del prender cibo; al-
iti ali1 incontro quasi in dono loro accordano
i tempi, a è siissi riservandosi la misura. (Io-
sì estimano liberalmente adoperai coloro i
quali mentre lasciano le altre cose ali arbi-
trio dei medicanti , vogliono esser liberi in-
torno al mangiare : quasi che v' i icerchi qual
lei ita al medii o, non quale salutifera
m.i allo infermo. ;i cui hoppo si ninne. Inda-
volta i he si sbaglia intorno a i io < he prende,
sia nella qaaliti . sia nella quantità o nel
pò,
DELLA MSDICISA
Ca». xvii. — De sudore.
69
Gap. x\ ii. — - Z)e/ sudore.
Sudor etiara cluobus modis elicitur : aut
sicco calore, aut balneo. Siccus calor est, et
arenae calidae, et laconici, et clibani, et qua-
rumdam naturalium sudationum, ubi terra
profusus calidus vapor aedifìcio includifur, sic-
ut super Baias in myrtetis habemus. Praeter
baec, sole quoque, et exercitatione movetur.
Utiliaque haec genera sunt, quoties humor in-
tus nocet, isque digerendus est. Ac nervorura
quoque quaedara vitia sic optime curantur.
Sed cetera infirmis possunt convenire : sol, et
exercitatio tantum robustioribus ; qui tamen
sine febre, vel inter initiaraorborura, vel etiam
gravibus morbis tenentur. Cavendum autem
est, ne quid horum vel in febre, vel in erudi-
tale tentetur. At balnei duplex usus est. Nani
modo, discussis febribus, initium cibi plenio-
ris, vinique firmioris, valetudini facit ; modo
febrem ipsam tollit. Fereque adhibetur, ubi
summam cutem relaxari, evocarique corru-
ptum humorem, et babitura corporis mutari
expedi t. Antiqui tiraidius eo utebantur: Ascle-
piades audacius. Neque terrere autem ea res,
si tempestiva est, debet : ante tempus, nocet.
Quisquis febre liberatus est, simula tque ea uno
die non accessit, eo qui proximus est, post
tempus accessionis, tuto lavari potest. At si
cireuitum habere ea febris solita «st, sic ut
tertio, quartove die revertatur, quandocum-
que non accessit, balneum tutum est. Manen-
tibus vero adhuc febribus, si bae sunt lentae,
lienesque jamdiu male babent, recte medicina
ista tentatur : cum eo taraen, ne praecordia
dura sint; neve ea tameant ; neve lingua aspe-
ra sit, neve aut in medio corpore, aut in ca-
pite dolor ullus sit, neve tura febris increscat.
Et in iis quidem febribus. quae certum circui-
tum habent, duo balnei tempora sunt ; aite-
rum, ante borrorem ; alterum, febre finita :
in iis vero, qui lenlis febriculis din delinen-
tur, cum aut ex toto recessit accessio; aut, si
id non solet, certe lenita est, jamque corpus
tara integrum est, quam maxime esse in eo
geniere valetudinis solet. Imbecillusbomo, itu-
i iis in balneum, vi tare debet, ne ante frigus
altquod experiatur : ubi in balneum venit,
paulisper resistere, experirique num tempora
adstringantur, et an sudor aliquis oriatur: il-
liifl si incidi!, hoc non secutum est, inutile eo
die balneum est ; perungendusque is leni ter,
et auferendus est, vitandumque onmi modo
frigus, <•! abstinentia utendum. \i ri tempori-
bus integris, primum ibi, deinde alibi sudor
incipit, fovendum os aqua calida ; tum in solio
desidendum est ; atque ibi quoque videndum
niirri sub primo con tactu aquae calidae summa
ètttis inhorrescat : quod vix tamen fieri potest,
si priora recte cesserunt ; certum id autem si-
gnum inutilis balnei est. Ante vero, (piani in
Il sudore si provoca in due guise : o
col calore secco, o col bagno. Il calore secco
è quello della rena calda, della stufa, del for-
no o di alcuni naturali sudato], ove il caldo
vapore surgente da terra si raccoglie in una
stanza siccome gli abbiamo sopra Baja nei
mirteti. Oltre questi mezzi il sudore s* incita
anebe col sole e coli' esercizio. Queste manie-
re d'incitare il sudore sono proficue ogniqual-
volta v' ha entro di noi un umore infetto che
smaltire si convenga. E per tal guisa certe af-
fezioni dei nervi vengono sanate, ma mentre
le prime maniere si possono adattare ai debo-
li, il sole e il moto non si acconciano che ai
robusti, purché siano senza febbre od in prin-
cipio di malattia, o che non siano preoccupati
da gravi malori. Bisogna astenersi da entram-
bi questi mezzi di far sudare nel tempo della
febbre e della digestione. Doppio è V uso del
bagno. Perocché ora al convalescente, sciolti
pienamente gli accessi febbrili, segna il comin-
ciamento di un alimento più sostanzioso e di
un vino più forte, ed ora dissipa la febbre
istessa. E quasi sempre si mette in uso, al-
lorché è espediente di rilasciarla pelle, e trar-
ne fuora un umore malefico, e cambiare l'abi-
to del corpo. Gli antichi erano intorno a que-
sto assai timidi ; Asclepiade coraggioso ed ar-
dito. Non v1 ha per verità nulla a temer dal
bagno, se si usa convenevolmente, ma pregiu-
dica se fassi innanzi tempo. Un ammalato che
venga liberato dalla febbre, e che trapassi un
dì senza averla, nel susseguente , passato il
tempo dell1 accesso, può con tutta sicurtà la-
varsi. Persistendo poi ancora le febbrili ac-
cessioni, e queste lente e che già da lunga
pezza insensibilmente travagliano, somma uti-
lità ne presta il bagno : nondimeno che per
altro non siano gì1 ipocondri duri ed enfiati,
né aspra la lingua, e che nella parte media del
corpo così come nel capo niuno dolore si sen-
ta, e che la febbre in quell1 ora non cresca.
Ed in quelle febbri similmente che hanno un
costante periodo due sono i tempi opportuni
a far bagnature. L'uno innanzi il ribrezzo,
l1 altro cessala la febbre. Ma in quelli che da
tempo sono malmenati da lente febbriciatto-
le, allorché od è al tutto disciolto l1 accesso,
od almeno quando che ciò non avvenga, cal-
malo che sia, e che il corpo ornai si ritrovi a
colai grado d1 integrità quale suol aversi in
così falla generazione di male. Una persona
malaticcia che vuol bagnarsi, convien che si
guardi dal freddo innanzi ciò fare: e disceso
poi eh1 ei sia nel bagno, star fermo alquanto,
ed osservare se le tempie si ristringono, e se
un poco si affaccia il sudore : se quelle patisco-
no Strettezza ed il sudor non si mostra, disili i-
le è in quella giornata il bagno : devesi quindi
CELSO
aquam calidam se demittat, an postea aliquis
perungi debeat, ex ratione valetudinis suae
cognoseat. Iure tamen, nisi ubi nomimi tim,
ut posici dal. praecipietur, moto sudore leni»
ter corpus perungendum ; deinde in aquam
calidam demittendum est. Atque hic quoque
habenda \iriuin ratio est, neque commilten-
dum, ut per aestum anima defieiat; sed ma-
turius is auferendus, curioseque vestimentis
involvendus est, ut neque ad eum frigus aspi-
ret, et ibi quoque, antequam aliquid assumat,
insudet. Fomenta quoque calida sunt, milium,
■al, arena ; quodlibet eorum calefactum, et in
Knteum conjectum; si minore vi opus est,
di. un totani linleum; at si majore, exstincti
titiones. involutique panniculis. et sic circum-
dati. Quia eliam calino oleo replentur utricu-
li ; et in rasa fictilia, a similitudine quas len»
ticulas voeant, aqua conjicitur; et sai sacco
Unico excipitur, demitturque in aquam bene
calidam, tana super id membrum, quod fo-
vendom est, collocatur. Juxtaque ignein, fer-
ramenta duo sunt, capitibus paulo latioribus :
alterumque ex his demittitur in eum salem,
et aqua super leviler aspergitur ; ubi fingere
eoemt, ad Ignem refertur, et idem in altero
fìt; deinde invicem in utroque : inter quae,
descendi l lalaus et ralidus succus, qui conlra-
rtis aliquo morbo nervis opitulalur. Eia omni-
bus ( '(immune est, digerere id, quod vel prae-
oordia onerata vii faueej strangulat, vel io ali-
qoo membro nocct. Quando autem quoque
ntendum sii, in ipsis morborum generibus di-
cclur.
ClFi \un. — Qui ri/ii, putionesve, ani va-
trntis. uitt mtdiuet auf iinbccillac ntute-
rinv tuni.
Cura de iia dietnm ait, quaa detrahendo
jn\:nii | ad ea venienduni est, quei alani, id
ett. < illuni 1 1 potionem. Haec autem non «•-
mmnm 1 .1 1 1 1 u • - 1 iii"i |...i uni. sed eli. un mtiiii-
dae i ili tudini • i ionia praeaidia innt: per-
tinetqw id rem, omnium pi opi interni i
pi unum, ul 'ii ' i; quomodo hi i ulaulul ;
ugnere soavemente, e trasportar di colà, e
schifare a tutto potere il freddo, e stare a die-
ta. Ma se il sudore, integre le tempie, comin-
cia prima da esse, di poi dalle altre parti, si
dtVJ fomentar la bocca con acqua calda : indi
scendere nella vasca del bagno, e quivi simi-
gliantemente considerare se al primo toccar
delP acqua calda si abbrividisca la pelle: il che
difficilmente avviene se i primi segni furono
favorevoli : il che manifesto segno è che il ba-
gno è illaudabile. Se altri poi debba ugnerai
avanti o dopo <T essersi immerso nell1 aequa
calda, il rilevi dallo stato della propria sanità.
Tuttavia (piasi sempre, salvo che non siasi
specificamente ordinato che tacciasi dopo, mos-
so appena il sudore, deve pianamente ugne-
re il corpo, poscia rientrare nel bagno, e qui-
vi ancora si devono valutare le forze, e guar-
dare si deve non cada per soverchio calore in
deliquio ; ma traimelo fuora più presto, e in-
volgerlo studiosamente di panni, onde il fred-
do non lo raggiunga, e nella medesima stanza
del bagno prima che prenda alimento lascia-
re che sudi. Àncora si costumano delle fo-
mentazioni calde con miglio, con sale, con
arena, ciascuna di tali cose riscaldata, ed in-
volta in pannolino ; se fa d1 uopo di un blan-
do calore, anche il solo pannolino, ma se di
uno assai forte, de1 tizzoni estinti involli en-
tro una pe/./.a ed apposti. Si riempiono anche
degli otncelli d1 olio ealdo ; o si mette dell'a-
cqua in vasi di terra, chiamati pei la figura
Loro lenticchie ; 0 si riempie di sale un sac-
chetto, il quale s1 immerge in acqua ben cal-
da, e poi si appone alla parte da fomentare.
E sieno nel fuoco dui* ferii con Capitelli ^^
po' più larghi. T uno di essi s'insinua nel sud-
.lcllo tale, e sopra vi si spruzza bel bello del-
l'acqua; allorché incomincia a freddare si
rimette nel fuoco, e lo .slesso si pratica ColPj li-
tro ; cosi ,i vicenda in entrambi : di tal modo
ne viene ;■ coinè un salso e caldo umore che
presta di molto ajulo a certi malori cagionati
da rigidità di nervi. Adoperamento comune
di tutte queste fomenta è di smaltire eia che
aggrava i precordi, 0 che stria le fauci. 0 che
la nocumento a qualche membro* Quando poi
usare si debba ciascuna dì queste, si dirà nel-
le sin-ole specie di mali.
< \r. win. — Quali sono i cibi o le bevan-
de di /orli , mezzano o debile nutri-
mento.
Dappoiché detto si è .li quelle «ose che
giovano sottraendo, a quelle si deve passare
che alimentano, cibo cioè e bevanda* E que-
sti non tanto sono i e. minili Miasidj di lutto
le malattie, ma di Ila saniti ■incora : i i1 ap-
partiene al nostro eggetto il conoscere ogni
qualità d alimento, prima affinchè i sani mp-
DELLA
deinde, ut exsequenlibus nobis morborum ca-
ra tiones, liceat species rerum, quae assumen-
dae erunt, subjicere, neque necesse sit subin-
de singulas eas nominare. Scire igitur opor-
tet, omnia legumina, quaeque ex frumentis
pauificia sunt, generis valentissimi esse (valen-
tissimum voco, in quo plurimum alimenti
est) : item orane animai quadrupes domi na-
tura; omnem grandem feram, quales suntea-
prea, cervus, aper, onager ; omnem grandem
arem, quales sunt anser, et pavo, et grus ; o-
mnes belluas marinas, ex quibus cetus est,
quaeque his pares sunt : item mei, et caseum.
Quo minus mirura est, opus pistorium valen-
tissiraum esse, quod ex frumento, adipe, mel-
le, caseo constat. In media vero materia nu-
merari, ex oleribus debere ea, quorum radi-
ces, vel bulbos assumiraus ; ex quadrupedibus
leporem; aves omnes a minimis ad phoenico-
pterum ; item pisces omnes, qui salem non pa-
tiuntur, solidive saliuntur. Imbeeillissimam
vero materiam esse, omnem caulem oleris, et
quidquid in caule nascitur, qualis est cucur-
bita, et cucumis, et capparis ; omnia poma,
oleas, cochleas, ilemque conchylia. Sed quam-
vis haec ita discreta sint, tamen etiam, quae
sub eadem specie sunt, magna discrimina re-
cipiunt; aliaque res alia vel valenlior est, vel
intìrmior. Siquidem plus alimenti est in pane,
quam in ullo alio : firmius est trilicum, quam
milium ; id ipsum, quam bordeum ; et ex tri-
lieo firmissima siligo, deinde simula, deinde
cui nihil ademptum est, quod àuroirupov Grae-
ci voca.nl : infirmior est, ex polline ; infìrmissi-
)ii!!s, cibarius panis. Ex leguminibus vero va-
lenlior faba, vel lenticula, quam pisum. Ex
oleribus valentior rapa, napique, et omnes
bulbi (in quibus cepam quoque, et allium nu-
lìiero) quam pastinaca, vel quae specialiter ra-
di.mia appellatur : item firmior brassica, et
bela, et porrum, quara lacttica, vel cwcurbila,
vel asparagus. Al ex fruclibus surculorura va-
lentiores uvae, ficus, nuces, palmulae, quam
quae poma proprie nominantur : alque ex bis
ipsis fìrmiora, quae succosa, quam quae fragi-
lia sunt. Item ex iis avibus, quae in media
specie sunt, valentiores eae, quae pedibus,
quam quae volatu magis nituntur ; et ex iis,
quae volatu fidunt, firmiores rpiae grandiores
aves, quam quae minutae sunt; ut ficedula et
lurdus. Atque eae quoque, quae in aqua de-
gnili-, leviorem cibum praeslant, quam quae
nalamli scienliam non bubent. Inter domcsli-
cas vero quadrupedes, levissima suilla est;
gravissima, bubula: itemque ex feris, quo
niajus quodqne animai, eo robuslior ex eo Gi-
bus- est. Pisciumque eorum, qui ex media ma-
teria sunt, quibus maxime utimur, lainen gra-
vissimi sunt ex quibus salsamente quoque fie-
ri potsunt, qualis lacertus est; deinde qui,
quamvis teneriores, tamen duri sunt, ut au-
WEDICINA ?I
piano di qual modo usarne, indi accioccbènoi
in curando ci troviamo in grado di determina-
re le specie di quegli alimenti che si dovranno
prendere senza esser obbligati ad indicarli
tratto tratto nominatamente. Si conviene im-
per tanto sapere che tutti i legumi e tutte le
paste fatte di grano appartengono alla classe
delle sostanze di fortissimo nutrimento ( e
chiamo fortissimo ciò che rinchiude in sé il
massimo di sostanza nutricia ). Del pari tutti
i quadrupedi domestici, ogni grosso salva tico,
come il capriolo, il cervo, il cinghiale , l1 asi-
no selvaggio: tutti i grandi uccelli, quali l'oca,
il pavone, la grue : tutte le fiere marine, fra
cui la balena, e gli altri cetacei : parimente il
mele, e il formaggio. Onde non è maraviglia
che nutrientissimo sia un pasticcio che consti
di grano, grasso, mele e formaggio. Nella
classe poi delle sostanze di mezzano nudri-
mento sono da riporre quegli erbaggi di cui
non usiamo se non le radici ed il bulbo : fra
i quadrupedi la^lepre, gli -uccelli tutti dal più
piccolo fino al fenicottero ; istessamente i pe-
sci tutti che non si salano, o si salano interi.
Debolissima nutritura somministrano gli er-
bami, e tutto ciò che nasce sul caule, siccome
la zucca, il cocomero, il cappero : le frutta
tutte, le olive, le chiocciole e le conchiglie.
Ma oltre queste differenze, altre grandi se ne
riscontrano fra le sostanze comprese nella
medesima classe, laddove una qualità d'ali-
mento è più o meno nutriente di un1 altra.
Così più sostanza dà il pane di qualsivoglia
altro cibo. Il grano è più forte del miglio,
questo più deir orzo, e la parte più sostan-
ziosa del grano è il primo fiore, dipoi il secon-
do, dipoi la farina così com' è senza stacciar-
la, la quale i Greci diconla autopiro: debole
è il pane fatto col fior di farina, debolissimo
il pane casereccio. Fra i legumi più forte è la
fava o la lenticchia del pisello, e fra le erbe
edule la rapa ed il navone, e tutte le radici
bulbose, nel cui novero cntranvi anche la ci-
polla e F aglio, lo sono più della pastinaca, o
di quella che specialmente si chiama radice.
Parimente più nodritivo è il cavolo e la bie-
tola e il porro della lattuca, del cedriolo o
dello sparagio. Ma dei frutti che nascono dai
tralci, più nutrienti sono le uve, i fichi, le
noci, i dattili, che non i pomi propriamente
detti : e fra questi lo sono più i succosi di
quei che sono fragili. Fra gli uccelli della
classe media più nodriscono quelli che più
stanno sulla terra di quei che più volano ; e
ira quei che si fidano al volo più nutriehevoli
sono i più grossi, come il beccafico ed il lor-
do. E quegli ancora che vivono ncll1 acqua,
prestano più leggiero alimento di quei che
passano in terra la viia loro. Fra i quadrupe-
di domestici leggierissima è la carne porcina,
pesante oltremòdo quella di bue, Ufeòlhre ; li
7*
GELSO
rata, corvus, sparili, ondala ; Inni plani post
quos etiamnum lcviores lupi, mullioue. et post
hos, omnes saxaliles.
Neque vero iu gcneribus rerum tan-
tnmiuodo discrimen est, seti etiam in ij>sis :
quod et ariate tìl, et membro , et solo, et
coelo, et habitu. Nam quadrupes omno ani-
mai, si lactens est, minua alimenti praestat?
ilemque quo tenerìor palina cobortana est: in
piscibut quoque media aetas, quae noudum
summam magniludinem implevit. Deinde ex
eodem sue, ungulae, rostrum, aures, cerebel-
lu ni ; t-v agno, Iiocdove, cum petiolis totum
rapili aliqu auto, quam celerà membra, levio-
ra suut : adeo ut in media materia poni pos-
sint. Ex avibus, colla, alaeve recte infirmis»-
mis adnomerantur. Quod ad solum vero per-
line!, frumentum quoque valentius est colli-
num, quam campestre : levior piseisinter saxa
neditus, quam in arena ; levior in arena, qnam
in limo : quo flt, ut ex stagno, vel laco, rei
flamine eadean genera grariora sinl : levior-
que, qui in allo, quam qui in vado vixit. O-
mne etiam ferum animai domestico lerint; et
qaodcamqac hamido coelo, quam quod siero
nalum est. Deinde eadem omnia pinguia ,
quam inaerà; recentia, quam salsa; nova,
«I ii .-i in vetusta, plus alimenti habent. Tumrei
eadem magia ani jurulenta, qnam aaaa ; magia
atta, quam elisa. Orum darum Talentitsimae
materiae eat ; molle, rei aorbile, imbeciliaai-
mae. Cnmqne panificia omnia nrmittima sint,
dota tamen quaedam genera frumenti, al ali-
ce, oryza, ptiaana, rei et tiadem faeta aorbitio
rei pulticula, et aqua quoque madena pania)
imbecillitsimia adnumerari poteat l.\ potio-
nibua vero, qnaecnmquc ti frumento beta
< -i. itemque, he, mulaum, defructum, paaaum
rinnm aul dolce, mi rehemena, ini muatum,
ani magnae retnttaut, ralentittimi generia
eat Ai ... i inni, et ìd \ ìnum quod pau< orum
.-unioni ni. rei .mi si. tu m. rei ptng ieeat,in ine-
dia mal. ria est : ideoqae inlirmis numqu.im
generia alteriua dar! debet, Aqua omnium Im-
becilliaaima eat Firraiorque ai frumento po-
lio* t. quo firmina (ail ipaun frnmentnm:
firmior t% eo i inQ, quod bone aolo, qu.nn
quod tenui | quod |nc temperato i oh h>. qnam
qUOd .Oli liilni^ Illuni.!.,. .,i|| iiiims sire.). ni-
miumqne ani li itjido, ani ealido natalo eat
Mulaum, quo plot mellia habet; defrutum,
qno magia in. ... tum : paaaum, quo n iìi i io
nvfattt, eo nlentint iti Ujua leriaaima
animali salvatici tanto più ne danno sostan-
zioso alimento quanto più son grossi. E fra
tutti i pesci che spellano alla classe media e
de1 quali facciamo principalmente uso, sono
più grari quei che si possono anche salare,
come il lacerto : di poi quelli che sebbene più
dilicati, nondimeno sono duri, siccome la do-
rata, il corvo marino, Y occhiata, lo sparo ;
poscia tutti i pesci piani ; appresso i pesci
lupi e le triglie, e infine tutli i piccioli pesci
di mare.
Né già solamente ne1 generi stanno le dif-
ferenze, ma negl1 istessi individui delle ape-
eie medesime : il che ha luogo per T età e
per le parti, pel suolo, pel clima e per la cor-
poratura. Perciocché un quadrupede o (piai
siasi altro animale, se è lattante somministra
minor nutrimento : così del pari il pollame
quanto più è giovine tanto meno è nutriente.
1 pesci pure quando non abbiano passata Tela
di mezzo, e non siano giunti al loro ultimo
incremento. Dipoi nel porco medesimo meno
nutritivi sono i piedi, il grugno, gli orecchi,
il cervello. Nell'agnello e nel capretto la le-
sta e le zampe sono alquanto più leggiere del-
le altre parti, per cui queste ai possono collo-
care nella classe di mezzo. Il collo e le ali de-
gli uccelli giustamente ai ascrivono fra le par-
ti d'infima sostanza. Ter (pianto poi si ap-
partiene al suolo, il grano delle colline è più
nutricberole di quel ni piano, l'iù leggiero è
il pesce che aia fra uh scogli che per Le arene,
e questo più di quello che si rire ne" pantani.
Dal che ne viene (die le medesime specie sieno
più pesanti secondo che sono o d* uno stagno,
o di un lago, o di un fiume ; e quelli che vi-
vono alla superficie son.. più leggieri di quei
che alloggiano ne1 bassi fondu Anche la car-
ne di qualunque animale salratico 1<> è più di
quella di un dimestico, e quel che e nato in
aria umida è meno nutriente di quel che na-
cque in asciutta. Dipoi gli altri animali han-
no in se più nutrilura, grassi che magri, fre-
Bchi anziché salali, più morti .li fresco che ì\a
gran tempo. Inoltre la medesima carne nutri-
ca pili allessa che ariosi.), più arrosta « he frit-
ta. L'uovo .Imo e di validissimo nutricameli;
tO, il molle 0 da bere, «li debolissimo. IM .t\ -
vegnaehè tutte le specie di pane siano rustau-
zioaiaaime, ai può non periamo aacrirere fra
le cote di menoma forza certi preparati di
grano tarato . come I" alice, il riao, I <u /<>
mondato ed i brodi fatti con siffatte soatanze,
l.i farinata ed anche il pane ammollato nel-
I" .icqn.i. Frale bevande tutte quelle prepa-
rate con frumento, <■ il latte, il mulao, la ai
pi. il -vino patto, d tino dolce <> gagliardo, o
mosto .un oi ,i. ed il vecchissimo entrano nella
famiglia delle più alimentizie. Sfa l1 aceto «>
epici vino che ha 1"" hi anni. 0 < he « tU >lci 0
o pingue a' appartiene alla mezzana, e per
DSL LA MEDICINA
pluviali? est ; deinde fontana ; tum ex flumi-
ìie ; tum ex puteo ; post haec nive, aut glacie ;
gravior his, ex lacu ; gravissima, ex palude.
r'acilis etiam, et necessaria cognitio est natu-
ralo ejus requirentibus. Nam levis, pondero
apparet ; et ex iis. quae pondere pares sunt,
eo raelior quaeque est, quo celerius et calefit
et frigescit, quoque celerkis ex ea legumina
percoquuntur. fere vero sequitur, ut, quo
valentior quaeque materia est, eo minus faci-
le concoquatur; sed si concocta est, plus alat.
Itaque utendum est materiae genere prò \iri-
bus ; modusque omnium prò genere sumen-
dus. Ergo imbeeillis hominibus, rebus infir-r
missimis opus est ; mediocriler fìrmos media
materia optiate sustinet; et robustis apla va-
lidissima est. Plus deinde aliquis assumere ex
levioribus potest : magis in iis, quae valentis-
sima sunt, temperare sibi debel.
7*
questo non devesi ài deboli dare mai d1 altra
qualità. L' acqua è di tutte le bevande la più
leggiera. E un beveraggio fatto di frumento
tanto più è forte, quanto più è forte il fru-
mento stesso. Più gagliardo è il vino fatto in
terreno forte che in debole, in clima tempe-
rato che di soverchio umido o secco : ed ec-
cessivamente freddo o caldo. 11 mulso quanto
più contiene di mele, la sapa quanto più è
cotta, il passo quanto più secca fu V uva, tan-
to più forti. L' acqua più leggiera è la pio-
vana, in appresso quella di fonte, quindi di
fiume, finalmente quella di pozzo : dopo di
queste viene T acqua di neve o di ghiaccio,
più pesante fra queste è quella di lago, pe-
santissima di stagno. Necessario ed anche age-
vole è lo indagare la natura dell' acqua, pe~
roechè dal peso ne appare la leggierezza ; e
fra quelle che sono di egual peso, si riconosce
per migliore quella che più prontamente si ri-
scalda e si raffredda : e quella in che più pre-
sto vengono cotti i legumi. Si può fermare
in massima, che quanto più forte è un ali-
mento tanto men facilmente si digerisee, ma
se vien digerito, meglio nutrisce. Nella scelta
pertanto degli alimenti devesi aver rispetto allo
stato delle forze, e non prenderne di qualun-
que classe si sia che una debita quantità, giu-
sta la natura loro. Quindi le persone cagione-
voli ed imbecilli mestiero hanno di cose assai
gracili: le sostanze della classe mezzana ottima-
mente si confanno ai mediocremente robusti,
ed ai robusti adatte sono le sostanze più for-
ti. E per ultimo può ciascuno prendere in
maggior quantità le cose men nudrilive, ma
neir uso delle più forti e sostanziose convien
eh' ei sia temperalo.
Cap. xix. — Quae natura ac proprietas
cujusque rei sit, auae vesci/nur.
CAr. xix. — Della natura e proprietà
delle cose dì che ci nutriamo.
Nequae haec sola discrimine sunt; sed
etiam aliae res boni succi, aliac mali sunt;
quae zù%u\ou; vel y.axoxó\oug Graeci voeant ;
aliae Umes, aliae acres; aliac crassiorem pi-
tuitam in nobis faciunt, aliae tenuiorem, aliae
jjdoneae soni stomaeho, aliae alienae midi ;
Uemquc aliae inffcnt, aliae ab hoc absunt ; a-
kiae calefaciunt, aliae refrigeranl ; aliae facile
in stomaeho acesetmt, aliae non facile intuì
corrumpuntur ; aliae movent alvum. aliae
uippriraunt; aliae citant nrinam, aliae tar-
pani ; quaedam lomnum movent, quaedam
■casus exeiUnt. Quae omnia ideo trascenda
sunt, quoniam aliud ahi, vel corpori, vel va-
letudini, convenit.
Ne qui si ristringono le differenze, peroc-
ché fra le sostanze cibarie altre sono di buo-
no, altre di cattivo succo. Chiamano i Greci
euclule le prime, cacochile le seconde : altre
sono dolci, altre aspre; altre condensano la pi-
tuita, altre rassottigliano : altre sono
devoli, altre contrarie allo, stomaco 4 sii
ugualmente altre generano flati, altre no:
quali riscaldano, quali rinfrescano: altre di
leggieri s1 inacidiscono entro il ventricolo, al-
tre difficilmente \i si corrompono: altre muo-
vono jl ventre, altre il c^itipano : altre invi-
tano il sonno, altre risvegliano i sensi. D'uo-
pò e perciò conoscere la proprietà <!i ci • < an 1
sostanza, essendo che altre ;>i addice a certe
circostanze del temperamento <* della infer-
mità ; ed altra ad .dire.
Celso,
di', ix. — De his, quae boni Succi sunt.
Cap. xx. — Di quelli che sono di buon
succo.
Boni succi sunt, tritieum, siligo, dica,
oryia, amylum, tragum, ptisana, lac, caseus
mollis, omnis venatio, oranes aves, quae ex
media materia sunt ; ex majoribus quoque
eae, quas «apra nominavi : meati inter tene-
ifosquc pieces, ut mullus, et lupus : ▼er-
ra, lectaOB, ortica, malva, cucumis, cucurbita,
uvnm sorbik, portulaca, cochleae, palmoiae:
ex poiiiis quodeumque acque acerbum ncque
acidum cai: vincasi dulee vel lene passimi,
tlcfruluin, oleae, quae ex bis duobus in alter*
nlr.. Mivat.ic sunt : vulvae, rostra, trunculi-
qne filini, omnia piagala caro, omnis gluti-
nosa, omnfl jecur.
Sono di buon succo il grano, la segale,
1" alita, il riso, V amido, il trago, reno, il lat-
te, il formaggio tresco, il selvaggi urne tutto,
tutti gli uccelli di mezzana sostanza, e tra i
giunsi ancor quelli che annoverai dì sopra : i
pesci di qualità di mezzo fra i duri ed i tene-
ri, siccome la triglia e il lupo marino : la lat-
tuga di vciim. T ortica, la malva, il cocomero,
Li iucca, l'uovo a bere, la porcellana, le chioc-
ciole, i datteri : fra le poma qualunque pur-
ché non acido ne acerbo : il mu<> dolce o di-
lieato, il passo, la sapa. le olive che slate sono
conservate Dell1 uno o V altro di questi vini :
gli uteri, i grugni e i piedi del porco : tutte le
earni crasse eie glutinose ed i fegati tutti.
Cap. xxi. — De hit) quae mali succi sunt. Cai», xxi. — Di quelle che sono di reo succo.
Mali vero succi sunt, milium, panlcum ;
hordeum, legumina, caro domestica perma-
, .salsa, omue salsamentum,
:. vetus cesena, si '-. rapa, pa-
pi, bulbi, bi isqne enain e; ma ejus,
un , eruca,
nasturii :.n. Umilimi, i un i.i. b j sso-
|P!,,n. i • feniculum, ouminum,
... i oa. ■ | .1. lienes,
ina, pomum quodeumque acidum
arnia aei ia, acida,
omnes-
tre sunt, aut qui
• nimiuin I [uè sunt, ut fere
i&! limosive .rivi ferunt, qui-
que in Dimiam magnitudineni exeesserunt.
Sono di reo succo il miglio, il panico,
V orzo, i legumi la carne di animali dimestici
Strama gr a, tutte le carni salate, e i salumi, il
gaio, il formaggio secchio, i ceei, la radice, la
rapa, il navone, le radici bulbose, il cavolo e
mollo più le suecime, lo sparagio, la bietola,
il cocomero, il porro, la ruchetta, il crescione,
il timo, la niepita, la santoreggia, l'issopo, la
ruta, lancio, il finocchio, il cumino, 1" anisi,
il romice, la senape, l'aglio, U cipolla, le mil-
ze, i reni, le intesi ina. lolle le trulla atre, o
lazze, e 1' BeetO : tutto ciò Che è aere, acido.
acerbo, Polio, il minuto pesce del mare, e
quelli tolti che sono ecee-si\ amenle duri, co-
me è la più parte di epici che vivono negli
slagni, nei laghi e ne1 limacciosi ruscelli e che
»ono giunti ad una sformata grossezza.
Cap. xxn. — Quae reS lenes, quache
acres sint.
Lenei luteo sunt, sorbitio, pulticula,
1 ara, amylum, ptisana, pinguis caro, et
i aque glutinosa est : quod fere quidem
in dm » fit, praet ipuequc lamen in
ungulis, inni' ulisque suum, in petiolis capitu-
i ' rum < t \ iiulorum et agnorum,
■ iu-ni ohi proprie bul-
: !.. defrutUl nuclei
i itera, omnia
. « ! .in 1 quidem quo
e
itubus, o. ino. i,i,
Cap. Un. — Quali cose sono dolci, e quali
sono acri.
Alimenti blandi sono i brodi, le poltiglie,
le paste, l'amido, Torio decollo, la carne
ti issa <• la glutinosa qualsiasi, quale suol i *»
sei' quella d'animali domestici, ma, sp -vial-
i piedi e i -inocchi .hi ma). ih, i /am-
pciti e le piccole i.si.- de'capretli, degli •> m 1
[j e .1. i Tllrlll. e |..il IHlCllll lllli. |U4 Ile Cidi l
che dioonsi propriamente bulbi : il latte, la sa-
pa. il fi «d i pignoli, \< i i poi -"no li
troppo austeri, gli BCldi lutti, tutti i salumi, il
il (piale UintO pio (pianto più è buOflO :
ni. l'aglio, la cipolla. I i ne lrlt.\
la ruta, il nasturzio, il cocomero, la bietole,
i r.i\..li. idi sparagi, la senape, la radice, Peo*
divia. il basilico, li lattuga ■ h r,;i l-ul'' ,!("
gli cri
Cap. xxiii. — De his quae crassiorem,
quaeve tenuiorem pituitam facilini.
DELLA MEDICINA "j 5
Cap. xxiii. — Di quelle che addensano, e di
quelle che attenuano la pituita.
Cras<iorem antera pituitam faciunt, ova
sorbilia, alica, oryza. araylura, ptisana, Iac,
bulbi, omniaque fere glutinosa. Extenuant
caradem, omnia salsa, atque acria, atque acida.
Cap. xxiv
— De his quae stomacho
idonea sunt.
Stomacho aulem aplissima sunt, quae-
cumque austera sunt, etiam quae acida sunt,
quaeque contacla sale modico sunt : itera pa-
nis sine fermento, et eloia allea, vel ory/.a,
vel ptisana ; orati is avis, oranis venatio, alque
utraque vel assa, vel elixa : ex doraest icis ani-
malibus bubula : si quid ex celeris sumitur,
macrum potius, quara pingue: ex sue, ungu-
Jae, rostta, arres. vulvaeque sleriles. ex ole-
ribus, intubus, lactuca, pastinaca, cucurbita
elixa, siser : ex pomis, cerasum, morum, sor-
bum, pirum fragile, quale crustuminum vel
naevianum est : itera pira quae repcnuntur,
tarentina atque segnina ; malura orbicula-
luni, aut scandianum, vel nmerinum, vel co-
toneum, vel punicum, uvae ex olla, molle
ovum, palmulae, nuclei pinci, oleae albae ex
dura muria, caedein aceto intinctae, vel ni-
#rae, quae in arbore bene penna turuerunt,
vel quae in passo, defrutove servatae sunt :
vinum austerum, licet etiam asperum sit, item
resinatura : duri ex media materia pisees, o-
sirea, pectines. murices, purpurae, cochleae ;
cibi potionesque, frigidae, vel ferventes : ab-
sinthium.
Cap. xxv. — Quae res alienae stomacho
sint.
Aliena vero stomacho sunt. omnia tepi-
da, omnia salsa, omnia jurultnta, omnia prae-
nulcia, omnia pinguia, sorbitio, panis fermen-
l.ilns, idemque \«'l ex milio, vel ex bordeo,
oleum, radi( cs olerum, et (piodcumque plus
ex oleo garoveeslur, mei, mulsura, defrulum,
passoni; I;ic. omnis caseus, uva recens, ficus
et viri'lis el arida, legumina omnia, quae*
que ipflare consueverunt : itera tbymum, ne-
peia. satureia, hyssopurn nasturtium, lapa-
llmm, !.q>> oi.-i, [uglandes. Ex his autem intel-
►test, non. quidquid boni succi est, pro-
tinus stomacho convenire, protinus boni sue*
Più densa rendono la pituita le uova a
bere, P alica, il riso, P amido, P orzo mondo,
il latte, i bulbi, e quasi tutte le sostanze glu-
tinose. L' attenuano le cose salate, le acri e
le acide.
Cap. xxiv. — Dei cibi confacevoli allo sto-
maco.
x\limenti confacevoli allo stomaco sono
gli austeri ed anche gli acidi, e quelli che so-
no stali leggiermente salati, il pane azzimo,
P alica lavata, ovvero il riso o 1' orzo mondo :
gli uccelli tutti, e d' ormi qualità salvaggina,
e quelli e questi arrosto, ovvero allesso: fra
gli animali domestici la carne del bue, e se si
fa uso di alcun'allro sia esso piuttosto magro
che grasso : del poi-co i piceli, il grugno, gli
orecchi, gli utefi per* anche sterili : fra ;::ì er-
baggi P endivia, la lattuga*, la pastinaca, la
zucca allessa, i sisari : fra le frulla la ciriegia,
la mora, la sorba, la pera gentile, quale lacru-
sfumina e la neviana : egualmente le pere di
Taranto e di Segni che si sogliono conserva-
re : la mela ri tonda, o quelle di Scandia, o
d' Amorino, o la cotogna, o la granata, V uva
cotta, l'uovo molle, i datteri, le pinocchio,
l1 olive bianche tenute nella salamoja forte, e
le stesse infuse nell1 acelo, e le nere lasciale
perfettamente maturar sulla pianta, o quelle
si sono conservate nel vino passo e nella sapa,
il vino duro benché alquanto divenuto aspro,
e parimenti il resinato : i pesci duri della mez-
zana qualità, le ostriche, i pettini, le murici, le
porpore, le conchiglie, i cibi e le bevande fred-
de, od assai calde, e l1 assenzio.
Cap.
xxv.
Quai cose sono nemiche allo
stomaco.
Sono contrarie allo stomaco tutte le cose
tiepide, le salate, tutti i sughi, tutti i dolciumi
tutte le sostanze grasse, la gelatina dell1 orzo,
il pane fermentalo, quello di miglio o d'orzo,
l'olio, le radici delle erbe d' orto, qualsivoglia
erbaggio mangialo con olio e garo : il mele, il
vino mulso, il passo, la sapa, il latte, ogni sor-
ta di formaggio, l'uva fresca, i fichi e freschi
e secchi, i legumi tutti, e quelli che sogliono
ingenerar flatulenze : similmente il timo, Ila
uu piidla, la santoreggia, P issopo, il crescio-
ne,-il lapato, la lamsana, le noci. Dal fin qui
dello si può comprendere non tutti gli alimenti
3i buon sugo essere convenienti allo stomaco,
né ciò che si confà allo stomaco, esser sempre
di taudevol sugo.
1*
C B L S O
Cap. xxvi. — De his quae injlant.
tlnflanl autem, omnia fere legumina,
omnia pinguia, omnia dulcia. omnia jurulen-
\.\. mustum, atque ctiam vinum, cni niliil ad-
irne aetatis accessit : ex oleribus, allium, ccpa,
brassica, omnesque radices, excepto sisere et
pastinaca, bulbi ficus ctiam, aridae, sed magia
virides, uvae recenles, nuces oiiines. exceptis
nurlcis. pineis, lar. omnisque caseus, quidquid
di inde subcrudum aliquid assumpsit.
De his. quae minime injlant.
Minima infialili tìt ex venatióne, aucu-
pio. piscibus, pomis. oleis, conchyliis, ovis vel
inollibus vel sorbilibus, vino volere. Fenicu-
lum vero, et anethum, tnflationes etiam lc-
vant.
Cap. xxvi. — Dì quelle che enfiano.
Ingenerano fiati quasi tutti i legumi,
tutte le robe pingui, le dolci, e succulenti : il
vino mosto ed anche il recente : Ira gli ortag-
gi T aglio, la cipolla, il cavolo, e tulle le radi-
ci, tranne il sisaro e la pastinaca, i tartufi, i
fichi seeebi, ma più i verdi, V uva fresca, le
noci tutte, eccettuati i pinocchi, il latte ed i
formaggi, e tutti licitino i cibi malcotli.
Di quelle che non enfiano.
Ninna ventosità fanno il salvagiume, gli
uccelli da caccia, i pesci, i frutti, le olive, le
conchiglie, le uova fresche, o da sorbire, il vi-
no vecchio. 11 finocchio poi e V anisi dissipano
anzi le flatulenze.
Cap. xxvn. — De his quae calefaciunt,
a ut refrigerant.
At calefaciunt, piper, sai, caro omnis ju-
rulenta, allium. copa. ficus arida, salsamcn-
imii. vinum, et quo meracius est, eomagis.
'Refrigera ni olerà, quorum crudi canles assu-
niuniur. ut intubus, ci tactuca : itèm corian-
diiiin. CUCUmis, clivi, cucurbita, In la. inora,
cerasa, mala austera, pira fragilia, caro elixa,
praecipueque .".inni, sivecibusex co, sive
potio assumitur.
f'vr. xwni. — De ltis\ quae intus facile
corrumpuntur.
I.ii ile autem intus corrumpuntur, panis
ntalus, et quisquis alius quam ez tritico
est, lac, uni; ìdeoque etiam lactentia atque
omne pi stori una opus; teneri pisces, ostrea,
i vetus, ci assa vel le-
onini dnlci'. mulsum, defrutum,
dquid deìnde vel furulentum est,
•I nimis tenue.
Gap. xxvni.
Di quelle che riscaldano, o
rinfrescano.
l : < 1 1 1 1 • i • ]
I nii
.lui.
De hit qii'ir. intuS minimi' vitiantur.
\\ minime intus viliantur, panis sine
fermento, •> poi ius duriores, dui i
■ I "111111 ,i,ii .i!.i |,ul.i. ani ICai u .
sed etimi lolligo. locusta, polypus; item bu-
eademque aptior
• >n 1 1 1 i.i < 1 1 1<
| mi |>iii ie ; \ iniiin
> 1 1 resinatum.
Cap. wi\. — Ih- his quae alcuni nmeent.
xi alvum movent , panis fermentata*,
Sostanze riscaldanti sono il pepe, il sale,
le carni succulenti, F aglio, le cipolle, i fichi
secchi, i salumi. iLvino, e quanto più è {uno,
tanto più. Rinfrescano tutti quegli erbaggi,
dei (piali si mangia lo stelo crudo, siccome l;i
cicorea e la lattuga, egualmente il coriandolo,
il cocomero ; la zucca colla, la bieta, la mora,
le ciliege, le mele la/./.c, le pere gentili, la cal-
ne allessa, einispezial modo Taccio sia giun-
to ai cibi, o ai beveraggi.
Cap. wmii.
mente si
— Di quelli che entro agecol-
corrompono.
Si corrompono facilmente il pane fer-
mentato, e qualunque altro al (tari di quel di
fromento : il latte, il mele, e perciò anche
tutti i latticini, e tutte le manifatture di pa-
sticceria : i pesci teneri, le ostriche, gli erba-
mi, il cacio, e fresco e vecchio, la carne
sa o tenera, il vino dolce, il mulso, il passo :
la sapa, ultimamente tutto che >■ mucoso.
troppo dolce, e I coppo tenero.
Di quelle che entro non si viziano.
Non si viziano il pane azzimo, gli uccelli
e particolarmente ì un. Ilo duri, i pesci duri uè
soltanto come il dorata •> lo scaro, mi anche
il i slamai o, !.• I"i usta, il polipo : inoli re ! i
e, une bovina, e.l ogni generazione di carni
dure ; i s, illuni tulli : |e chiocciole, la non ì( i,
le DOI |>"ie. il \ ino BUSterO 0 il resinalo.
Cap. kxii — Quelle che muovono il Vèntre.
Muovono il Muli « il pane i< rmentato, e
più se di tutta farina ovvero d'orto: il ea-
DELLA MEDICINA
sica, si subcruda est,* lactuoa : anethum, na-
si urlium, ocimum, urtica, portulaca, radicula,
capparia, allium, cepa, malva, lapathum, beta,
asparagus, cucurbita, cerasa, mora, poma o-
mnia mitia, ficus etiam arida, sed magis viri-
dis, uvae rccentes, pingues, minutae aves, co-
chleae, garum, salsaraentum, ostrea, pelorides,
echini, musculi, et omnes fere conchulae, ma-
ximeque jus earum ; saxatiles, et omnes, te-
neri pisces, sepiarum atramenlum ; si qua ca-
ro assumitur pinguis', eadera vel jurulenta,
vel elixa ; aves, quae nalant; melcrudum, lac,
lactenlia omnia, mulsum, vinum dulce vel
salsum, aqua, tenera omnia, tepida, dulcia,
pinguia, elixa, jurulenta, salsa, diluta.
97
volo mezzo eotto, la lattuga, l'anelo, il na-
sturzio, il basilico, l'ortica, la portulacca, 1%
radice, i capperi, 1' aglio, la cipolla, la mal-
va, il lapato, la bietola, gli sparagi, la zuc-
ca, le ciliege, le more, tutti i frutti dolci, il
fico secco, ma meglio il verde, V uva fresca,
gli uccelli grassi e minuti, le chiocciole : il ga-
ro, i salumi, le ostriche, le peloridi, gli echi-
ni , i muscoli e quasi tutti i conchigliacei
e massimamente il loro sugo : i piccoli pe-
sci di mare, e tutti i pesci teneri, il liquore
della seppia, la carne grassa d' ogni qualità
mangiata allesso, o presone il brodo : gli uc-
celli che nolano, il mele vergine, il latte e
tutti i latticini, il vino mulso, il dolce o sala-
to, l1 acqua ; tutte le cose molli, tepide, dol-
ci, grasse, cotte, succose, salate, disciolte e
stemperate.
Cap. xxx. — De Iris, quae cdvum adstringunt. Cap. xxx. — Quelle che costringono il ventre.
Contra adstringunt, panis ex siligine ,
vel ex simila ; magis, si sine fermento est ;
magis etiam si ustus est; intendilurque vis
ejus etiam, si bis coquitur : pulticula vel ex
alica, vel ex panico, vel ex milio ; ifemque ex
iisdem sorbitio ; et magis, si haec antea fricta
sunt: lenticula, cui vel beta, vel intubus, vel
ambubeia, Vel plantago, adjecta est ; magisque
etiam, si illa ante fricta est : per se etiam in-
tubus, vel ex piantatine, vel ambubeia fricta :
minuta olerà, brassica bis decocla : dura ova,
magisque si assa sunt : minutae aves, menila,
palumbus, magisque si in posca decoclus est ;
grus, omnes aves, quae magis cnrrunt, quam
volant ; lepus, caprea ; jecur ex iis quae se-
vum habent, maximeque bubulum, ac sevum
ipsum : caseus, qui vehementior vetusta te fit
vel ea mutalione, quam in eo transmarino vi-
demus ; aut si recens est, ex mele, mulsove de-
coctus ; item mei coctum, pira immatura, sor-
ba, magisque ea, quae torminali-a vocantur
mala colonea, et punica, oleae vel albae vel
permaturae, myrta, palmulne, purpurae, mu-
rices, vinum resinatimi, vel asperUm , item
meracum, acelum, mulsum quod inferbuit,
item defrutum, passum, aqua vel tepida vel
praefrigida, dura, id estea, quae tarde pnlrc-
scit, ideoque pluvia potissimum ; omnia dura,
matta, austera, aspera, tosta, et in eadem car-
ne, assa potius, quam elixa.
All' incontro stringono il ventre il pane
di fiore si di fromento che di segale, e più se
è senza lievito : più ancora se è abbrustolito,
mala sua costrittiva virtù accrescesi se si fa
biscottare. La polta fatta con farina di fro-
mento, panico, o miglio, e similmente i brodi
de1 medesimi, e più se sono stati precedente-
mente abbrostoliti. La lenticchia mescolata o
con la bietola, o con la cicorea, o con radic-
chio, o la piantaggine, e tanto più se fu prima
abbrost.olita : ancora l1 endivia o da sé, o con
la piantaggine, o il radicchio fritto : i minuti
erbami, il cavolo cotto due volte, le uove du-
re, principalmente se fritte, i minuti uccelli,
il merlo, i palombi e più se cotti nella posca, le
grue, gli uccelli che corrono più che non vo-
lano, la lepre, il cavriolo, il fegato di quelli
che hanno del sevo, e in particolare quello del
bue, ed il suo sevo : il formaggio che per vec-
chiezza è più forte, e per lo mutamento che
soffre venendo d'oltremare: il fresco cotto nel
mele o nel mulso : islessamente il mele cotto,
le pere immature, le sorbe e specialmenle
quelle che si dicono torminali, le mele coto-
gne e le granale, le olive bianche, e le molto
mature, i mirti, i dattili, le porpore, i murici,
il vino resinifero, o aspro ; e così il vino pu-
ro, 1' aceto, il mulso bollito, e si la sapa, il vi-
no passo, 1' acqua tiepida o freddissima, e la
dura, vale a dire che sta assai tempo a putre-
farsi, e perciò l'acqua piovana sopra ogn' al-
tra : tutto le cose dure, magre, lazze, agri,
intostate, e della carne medesima più presto
1' arrostita che 1' allessa.
Cap. xxxi. — De ìris, quae urinam movent. Cap. xxxi. Quelle che provocano le orine.
Urinam animi movent, quaecumqne in
Urlo nascenti., boni odoris sunt, ut apium,
ruta , anelrum, ocimum, mentha, hvssopum,
Muovono 1' orine tutte le erbe odorifere
che crescono pe1 giardini, come 1' appio, la
ruta, 1' aneto, il basilico, la menta, 1' issopo,
78
anicini cerimi! rum, n;isturtium, eruca, feni-
n.num : praeter haec, asparagus, capparis, ne-
peta, thvmum, satureia, lapsana. pastinaca,
magisqu$ agresti», radicala, siser, cepa ; ex
venalione, maxime lepus ; vinun) tenue. ( >i j »er
et roiuudum et longuin, sinapi, absiuthium,
nuclei pinci.
Gap. xxxii. — De his, quae ad sornnum
apta sunt.
e e y s o
T anisi. i] coriandro, il nasturzio, la ruchetta,
il finocchio ; olirà queste gli sparagi", i cappe-
ri, la niepitella, il timo, la santo regia, la lam-
sana, la pastinaca e principalmente la s-alvati-
ca, la radice, i sisari, la cipolla. Della cacciagio-
ne la lepre sopra ogn1 altra cosa : il vino pie-
colo, il pepe sì il lungo come il rotondo, la
senape, Y assenzio, i pinocchi.
Gap. xxxii. — Quelle che conciliano il sonno.
Sonino vero aptum est. papaver, lactuca, Conciliano il sonno, il papavero, la lattu-
,''<|iie aestiva, cujus caukculus jam lacte ga e precipuamente l'estiva il di cui slcj<> è
repleUis est, niorum, porruni. già ricco di latte, le more, il porro. ; "
De his quae ad sensum excitant.
Di quelle che risvegliano i scu, i.
Sensus exeitant, nepela , tliymum , sa- Risvegliano i sensi la niepila, il timo, fa
torcia, liissopuni, praecipue.pie pulegium^ ru- santoreggia, l'issopo e spezialmente il puleg-
la, et cepa. gio, la ruta e la cipolla.
-AP. XXM1I.
De his. quae materiam
evocant.
Evocare vero materiam multa admodum
possimi : sed ea, cuin ex peregrinis medica-
mentis maxime constcnt, aliisque magis. qu im
quilms ralione victus succo rritur, opilulenlur.
in praesenlia dilleram : ponam vero ea, quae
promla, et iis morbis, de quibus prolinus
diclorai sum, apta, corpus erodimi, et SIC e •,
qood mali est, extrabtmt. Hatentautern hano
facultaleiii. semina erucae, nasturlii, radica-
lae ; praecipoae lamen omnium, sinapi. Salis
() i iqne el liei cadem vis est.
De liis, quae reprimimi.
\ > uiler vero simili et reprimimi el mol-
lili ut. I ma soccida ex aceto vel \ ino. coi oleum
imi est ; < ontritae pai mula e, fui Purea
ia \ 1 1 ai eto d scoi tL Kì sforni r< pri-
llimi el refrigeranti berba mnralìa, toqBìviov
m] nriff/xio* appellant, lerpyllum, potagioni,
ori in, uni. berba sanguinali!, quam Gì
ToXvyp ■■ ■ '« o int. portulaca, papaveri] folia
ilique \ itiu i. i "i indi folia, bj
tu, liser, apiuro, lolanom, qnara
roc "iì. brassicae folta, inlu-
niculi semen, contrita pira
\r\ m da [uè col mea, lenticula1 ■ |u •
frigida, maximeque pio fiali*, vinaio, acetum,
el horum ali pi i ma lem \ I pania , rei fa
i ni i. vi ì tpongi i. vii nini», \ i I I ni i ii]
i ter
i.n, l:i .. I. i.
Cap. xxxiii. — Di quelle ceEfc che attraggo-
no gli umori.
Gran numero di sos anze possono attrar-
re gli umori, ma quelle che constano di fora-
stiere droghe- sono per lo più efficaci in quei
casi, in che il governo dietetico non è suffi-
ciente; di questi; non parlerò al presente : di-
rò solo di quelle che sono alla mano, e che
convengono in quelle infermità, delle quali
ragionerò fra poco. Oneste escoriano la pelle,
e così del corpo traggono fuori ciò (he v"1 ha di
reo. Godono di questa forza i semi della ru-
chetta, il nasturzio, le radici, ma sopra tutte
pai tiro!. ,iin. ni.' la senape : il sale ed anelie i
fichi hanno una \irtù medesima.
Dei ripercusshi ed ammollienti.
Blandi riperCUSSÌvi ed ammollienti ad un
tempo sono la lana siici. la immersa nell* acelo
<> nel vino, in cui sia aggiunto dell'olio: i dat-
teri animi. rati, la scinola colla nell'acqua sa-
lata o nelT ardo. Sono poi ripercussivi é rinr
frescanti insieme la parietaria, chiamata par*
tenia o /irrdicìd. il serpillo, il puleggio, il ba-
T erba sanguinella, dai < rreci detta po-
lì^nnn. li boi liana, Le foglie del papavero, ed
i \ilicc!ii delle vili, le foglie del colia ml"lo. il
j,)s, i.,iii e il mUSCO, il sisaro. Papp'lO, il solano,
,1, ■nomin ii" grecamente strignon^ le foglie del
cavolo, P endivia, la piantaggine, i semi del fi-
nocchio, le pere e le miele tritate, particolar-
mente !'• cotogne, la lenticchia, l'-aaojua fredda,
la | > i « • s na mente, il \ ino, f ardo
o lana su
urnate in alcuno di qu i
. >. r obo .
il meli
il l'OS '
die
sic
iamarix,ligustruui,rosa,rubus, laurus, bedera,
putiicuramalum.
Sine frigore autera reprimunt, cocta mala
cotonea, malicorura, aqua calida, in qua. ver-
beoae coctae sunt, quas supra posui, pulvis
vel ex faece vini, vel ex rnyrti foliis, amarae
nuces.
Cap. xxxiv. — De his^ quae calefaciunt.
Calefacit vero, ex qualibet farina catapla-
sma, sive ex tritici, sive ex farris, sive hor-
dei, sive ervi, vel lolii, vel inilii, vel panici, vel
lenliculae, vel fabae, vel lupini, vel lini, vel
i'oeui graeci, ubi ea deferbuit, calidaque impo-
nila est. Valenlior tainen ad id.;omnis farina est
tx mulso, quam ex aqua cocta. Praeterea cy-
priuum, irinuin,medulla adeps ex fele, oleum,
magisque si vetus est, junctaque oleo sai, ni-
trura, gith, piper, quinquefolium.
SELLA MEDICINA ?<)
della verbena con teneri fiuti, siccome quei
d'ulivo, cipresso, mirto, lentisco, tamarice, li-
gustro, rosajo, rovo, lauro, edera, melagrana.
I ripercussivi non rinfrescanti sono le
mele cotogne cotte, la scorza delle melagrane,
la decozione di verbena proposta da me già
sopra, la polvere o di gruma di botte, o di fo-
glie di mirto, le mandorle amare.
Cap. xxxiv. — Delle cose riscaldanti.
Riscalda un impiastro di qualsivoglia fa-
rina di grano, d1 orzo, di farro, di mocco, di
loglio, di miglio o panico, di lenti, di fave, di
lupini, di lino o di fiengreco, la quale fatta
pria bollire si pone calda. GÌ1 impiastri però
più riscaldanti sono quei composti di farina
cotta nel vino mulso, anziché nell'acqua. Inol-
tre il ciprino, V irino, la midolla, il grasso di
gatto, Polio, e tanto più se è vecchio, ed il sa-
le giunto ali1 olio, il nitro, il git, il pepe, il
cerfoglio.
De fiis, quae durante aut emoliiunt.
Fereque, quae vehementer et reprimunt
et refrigerane durant ; quae calefaciunt, dige-
runt et emoliiunt : praecipueque ad emollien-
dum potest cataplasma ex lini vel foeni graeci
temine; His autem omnibus, et simplicibus, et
permixtis, varie medici utuntur ; ut magis,
quid quisque persuaserit sibi, appareat, quam
quid evidenler compererit.
Di ciò che indurisce od ammollisce.
E per lo più tutte le sostanze che for-
temente reprimono, ed insieme rinfrescano,
induriscono ; e quelle che riscaldano e di-
gestiscono, mollificano ; ed in ispecie vale a
mollificare un impiastro di semente di lino o
di fiengreco. Di tutte queste cose poi e sem-
plici e composte i medici fanno un uso varia-
to assai in tanto che si ravvisa apertamente
essersene altri formata un1 idea così in sua
mente, anziché averla dedotta da fatti incon-
trastabili e certi.
-&É>Ì^@^j*S*
A. CORN. CELSI
DELLA MEDICINA
DE MEDICINA
DI AULO CORN. CELSO
LIBER TERTIUS.
LIBRO TERZO.
Gap. i. — De morborum generìbus.
.trovisis omnibus, quae pertinent ad
universa genera morborum, ad singulorum
curationes veniam. Hos autem in duas species
Graeci diviserunt ; aliosque ex his acutos, lon-
gos esse dixerunt: ideoque, quoniaru non sem-
per eodem modo respondebant, eosdem alii
inter acutos, alii inter longos retulerunt. Ex
quo, plura eorum genera esse, manifestimi est.
Quidam enim breves acutique sunt, qui cito
Tel tollunt hominem, vel ipsi cito finiuntur :
qnidam longi, sub quibus neque sanitas in
propinquo, neque exitium est : tertiumque ge-
nus eorum est, qui modo acuti, modo longi
sunt; idque non in febribus tantummodo, in
quibus frequentissimum est, sed in aliis quo-
que fit. Atque etiam, piaeler hos, quartata
est, quod neque acutum dici potest, quia non
perimil; neque ulique longum, quìa, si occur-
rilur, facile sanatur. Ego, cum de sin^ulis di-
cam, cujus qnisque generis sit, indicabo. Divi-
darri autern omnes in eos, qui in totis corpori-
bus consistere videntur, et eos, qui oriuntur in
partibus. Incipiam a prioribus, panca de omni-
bus praefafus. In nullo quidem morbo minus
fortuna sibi vindicare, quam ars, polest; nipote
cum, repugnante natura, nihil medicina profi-
ciat. Magis lamen ignoscendum medico est pa-
rum profìcienli in acutis morbis, quam in lon-
gis. Hic enim breve spatium est, intra quod, si
auxilium non profuit, aeger exstinguitur : ibi
et deliberationi.etmutationircmediorum tem-
pus patet; adeo ut raro, si inter initia medicus
accessit, obsequens aeger sine illius vilio pereat.
Longus tamen morbus cum peni tal insedit,
quod ad diflicultalcm pertinct, acuto par est.
El tentai qnidem, quo vetustior est ; longus
autein, quo recenlior, eo facilius curatur.
Celso.
Cap. i. — Delle speciali malattie.
A remesse quelle nozioni che risguarda-
no generalmente le infermità tutte, passerò al-
la cura di ciascuna in particolare. 1 Greci le
divisero in due classi, lunghe ed acute: ma
posciachè non tutte sempre terminavano al-
l'istessa foggia, altri alla classe della acute, al-
tri a quella delle lunghe riportarono le mede-
sime affezioni. Quinci chiaro è darsene molle
generazioni ; perocché altre sono brevi e acu-
te, le quali o tosto uccidono, ovvero finisco-
no ; altre diuturne in cui la sanità, o la morte
sono per anco lontane ; ed una terza ve a1 ha
le quali ora sono acute, ora lunghe, e ciò in-
terviene non nelle febbri soltanto, nelle quali
cosa tale frequentissima è, ma in altre infer-
mità eziandio. Oltre a queste una quarta clas-
se se ne riscontra che non possono dirsi acute
perchè non uccidono, né lunghe perchè prov-
vedendovi, agevolmente risanano. Allorché
terrò discorso delle singole malattie, indiche-
rò a qnal classe partenga ciascuna di esse. Le
dividerò tutte in universali che pajono pren-
dere tutta la persona, e in locali che hanno
sede in certe parli. Darò principio dalle pri-
me, dopo avere intorno alle infermità poste
alcune generali nozioni. La fortuna ha in ogni
malattia non minore possa dell1 arie, nulla
potendo, contrastante natura, giovare la me-
dicina. Nondimeno più scusabile è un medico
che poco profitta nelle acute che non nelle
lunghe, stante che in quelle non ha che un
brieve spazio di tempo, entro il quale se i ri-
medi non giovano, l'infermo perisce : nelle
altre al contrario ha tempo sì di consultare
come di cambiar rimedi, per lo che se il me-
dico Tenne chiamalo a principio, raro è che
un docile infermo soccomba. Pure un lungo
C B L i O
Alternili illud ignorari non oportet. quod
non omnibus aegris eadera ausàlia conveniunt.
Kx quo ineidit. ut alia atipie atta summi au-
ctores, quasi sola, vinilica verint. proni cuiqUe
cesserant. Oportet itaque, ubi aliquid non
respondei, non fanti potare auctorem, quanti
aegrdm, et experiri aliad atque alimi: sic
tareen, ut in ncutis morbis rito mutetur, quod
nihil prodesl ; in longis, quo a tempus, ut
facit, sic etiam solvit. non statini condemne-
tur. si quid non statini prò fui I ; minus vero
ri alni- SÌ quid paulum saltcm juvat; quia
prolectus tempore expletur.
malore altamente radicalo è di guarigione
difficile quanto un acuto : ed un acuto più di
leggieri si cura quanto più è antico, ed un
lungo quanto più è recente. Convien sapere
di più ohe i medesimi rimedi non si addicono
egualmente a tutti gì1 infermi; dal che ne è
derivato che scrittori insigni abbiano spaccia-
to diversi medicamenti siccome unici, secondo
il succèsso che ciascuno aveane ol tenuto. De-
vesi pertanto allorché un rimedio non corri-
sponde, preterire la sanila dell'1 interino alla
riputazione dell' autore, e cimentarne altri, di
tal t'alia però che nelle malattie acute tosto si
cangi ciò che non fa prò ; nelle Lunghe ali1 in-
contro non subilo si riprovi quello che non sì
tosto produce il desialo effetto, perocché co-
me queste le forma il tempo, così il tempo le
scioglie ; assai meno poi dovrassi abbandona-
re, se almen un poco giova, perciocché col
tempo si ghigne a compierne la cura.
Cap. u, _ Quoìfiodo morbi cognoscantur, Cap. ii. — Di qual modo si conoscono le
et an ìncrescant, an minuantur\ et qua malattìe, e se crescono, mantengonst in
ratione abinitio, qui languere incipit, cu- i stato, o decrescono ; e come debbasi cu-
rari debeat. rare chi comincia a soffrire.
Prolinus autem inter initia scire facile est.
qui acutna morbus, quis longus sii: non in iis
golam, in quibns sempér ita se habet; sed in
iis qnoqne. in qnibns variai. Nani obi line in-
termissioni! lolores graves ur-
gent, acutus morbus est : ubi lenii Jolores, len-
ml et j patia Inter accessiones
porri guntur, acceduntque ea tigna, quae in
isita rant, longura hunc
i'nt ;i i ii ni esse, manifestum est. Vldenduro etiam
i. an consistat, an mi-
noatnr: quia quaedam remedia increscentibua
, plura ì nel in atÌ3 conveniunt; eaque,
,],,,,• « k jeentibua apta sunt, ubi acutus Incre-
icena u i -.-.i. in remissionibua potina experien-
uicin morb iv diim grayio-
. ninni : ha
rtoutur, ci postea
• tque in longii quoque morbis, e-
dei noia, non habentibus, icire licet, iu-
ii | mina '- lì dcienor con-
i
iena, li percorril corpaa fi igus :"it
. qaa \ conlra-
i ']u> n >tae miit. Prae-
ilendui
, | liualis; ut primo d nipla ni..
1,1 itnriut. al
■ il p mit. I C II
qn indo is non in loto eorpoi i ' i parta eil ;
i ' ■. t, \i"i tolit
■
tur, \] .!. initio an
i ria caralio minai
in quinci luit. SJ
Age^ol cosa è sulle prime riconoscere
quai male sia acuto, «piale Lungo : uè già in
(piei soltanto nei quali così sempre addiviene,
ma ancora in quelli che sono variabili. Impe-
rocché quando sopra ^giungono accessi senza
intermissioni; e (piando si l'anno sentire ga-
gliardi dolori, allora V infermità è acuta.
Quando p<>i lenti sono i dolori e lente le feb-
bri, e che lasciano degli intervalli fra le acces-
sioni, e \i si aggiungono quei segni che nel
precedente libro s-1 indicarono, chiaro è la in-
fermità dover es er lunga. Àncora notare bi-
sogna, se la malattia è nell'aumento, nello
staio o nella declinazione, poiché ©crii rimedi
convengono alle crescenti, altri alle declinan-
ti ; a quei che sono dicevoli, ove un acuto
morbo eresoente incalza, devonsi piuttosto
ui ire nelle remissioni. I \\^ malattia si a
va quando pnì fot li insorgono i d il il i e gli
accessi, e questi ritornano anziché il prece-
dente sii fornito, e più tardo vengono meno.
Ma nelle lunghe malattie ancorché non si pre-
sentino tali segni, convien sapere che esse si
aumentano quan I" \ igo è il sonno, iniperfet-
i | || ,' le fecce fetenti
torpidi i sensi, lai <\.ì la mente, se ribi
certo calot e pi rvade il corpo, più se impalli-
disce. Gli arridenti contrari indica |0 declina-
xione di mal iltia. Oltre le quali rose nei mali
■cuti si di i e più lardi nutrii are r jnf<
ciò vuoisi fare nel decremento loro, affinchè
s >ll ratti in pi ima pli umoi i. pei ' ' '
violenza : ne1 lunghi più sollecitamente onde
vi , ii, ,, | | lo di la malattia,
mentre eh* durerà. E quando questa non sia
quia temere habitus, adirne iulegris viribus vi-
vit, admota curatioiie momento restituitili".
Sed cura ab iis coeperim, quae notas quas-
dam futurae adversae valetudiuis exhibent,
curationum quoque principium ab animad ver-
sione ejusdem temporis faeiam. Igitur, si quid
ex iis, quae proposita sunt, incidit, omnium
opti ma sani, quies et abstinentia; si quid bi-
bendum, aqua; idque interdum uno die fieri
satis est; iuterdum, si terrentia manent, bi-
duo: proximeque abstinentiam sumendus est
cibus exiguus, bibenda aqua ; postero die etiam
DtLLA MLDlCIiSÀ 83
universale ma locale, convien tuttavia mirai'
maggiormente alle forze di tutto il corpo, an-
ziché alla sanità della parte affetta. Monta pur
di sapere se P infermo fu da principio bene o
male curato, perocché i rimedi men giovano a
coloro, ne1 quali sono stali lungamente indar-
no adoperati. Pure se alcuno incongruamente
curato non ha per ancora esauste le sue forze,
si ristabilirà tosto che si sottometta ad una
convenevole medicatura : ma coni1 io diedi
cominciamenlo da quei segni che presagisco-
no in certo modo futura malattia, così con-
vinum ; deinde invicem alternis diebus, modo verrà che dia principio da quel tempo mede-
aqua, modo vimini, donec omnis caussae melus
finiatur. Per haec euim saepe inslans gravis
morbus disculilur. Plurimique falluntur, dum
se primo die protinus sublaluios languorem,
aut exercitatione, aut balneo, aut coacta deje-
ctione, ani vomita, aut sudalionibus, aut vino
sperant. Non quod interdum id incidat, aut
non decipiat; sed quod saepius fella t, sola-
que abstinentia sine ullo periculo medeatur
simo. Adunque se sopraggiugne taluno ai
quegl1 indizi che ho recitati, meglio d1 ogii1 al-
tra cosa sono P astinenza e il riposo. Non si
deve bere altro che acqua, e basta tal fiata
questa per lo spazio di un dì, tal altra due,
quando persistano i segni minacciante il male,
e immediatamente dopo P astinenza non si
prenda che un tenue alimeli lo, e si beva a-
cqua ; il dì seguente vino, e in appresso alter-
um praeserlim etiam prò modo lerroris mo- nativamente un dì acq
ina, Pallio vino, infì-
deràri ìiceat . ; et si leviora indicia fuerint, satis
sit a vino tantum a bs ti nere, quod subtraclura
plus, quam si cibo qui demalur, adjuvaf. : si
paulo graviora, facile sit non aquam tantum bi-
bere, sed eliam cibo carnem subirabere ; inter-
dum panis quoque minus, quam prò consue-
tudine assumere, humidoque cibo esse con-
tentum,et oleie potissimum : satisque sit, tum
ex toto a cibo, a vino, ab omni mo!u corporis
abslinere, cum veheraentes notae terruerunt.
Ncque dubium est, quin vix quisquam, qui non
dissimulavi t, sed per haec mature morbo oc-
curri t, aegrotet.
natlanto che siasi dileguata ogni temenza del
male : con queste precauzioni non di rado si
scampa da grave sovrastante infermità. Molti
sono errati sperando potersi tosto liberare
dal male il primo dì o coli1 esercizio, o col
bagno, o col purgamento, o col vomito, o coi
sudori, o col vino, non perchè questo modo
di curar non riesca, o ne deluda, ma perchè il
più sovente inganna. La sola astinenza è me-
dicina spoglia <P ogni pericolo, perocché ci è
dato di regolarla secondochè richiede la gran-
dezza del male onde si teme, e se lievi sono
gli accidenti, basta P astenersi dal vino, la cui
sottrazione più vale della stessa sottrazione del
cibo : se gravi converrà non solo bere acqua,
ma anche astenersi dalla carne : usar talora
minor quantità di pane del consueto, ed atte-
nersi ad un cibo umido fatto massimamente
di erbaggi : e se poi fortissimi si affacciano
gP indizi sarà necessario in tal caso astenersi
al tutto da ogni alimento e dal vino e da
qualsiasi ragione di corporale esercizio. E
quasi impossibile che alcuno infermi ogni
qualvolta non sia slato trascurato, ma che di
buon1 ora con le anzidette regole abbia fatto
ostacolo al male.
Cap. ni. — De febrium generibus.
Atipie bue quidem sanis facienda sunt,
tantum caussam metuentibus.Sequitur vero co-
ratio febriurn, quod elin toto corpore, et vul-
vare maxime morbi genus est Ex his una quo-
tidiana, altera lertiana, altera quartana est: in-
lerdum etiam longiore circuita quaedam re-
deunt; s-d id taro 111. In pjioribus, et morbi
sunt, et medicina, Li quartanae qaidem sim-
pliciores sunt. lucipiuat kic ab horrore } dtiu-
Cap. in. — Delle varie maniere di febbri.
Questo è ciò che deve farsi dai sani «he sol-
tanto temono la venula «lei male. Seguita ora
la cuia delle febbri, le quali non pur sono
una malattia di tutto il corpo, ma sì an-
che delle più comuni. Di queste febbri altra è
oli. liana, altra teriana, altra quartana: non
già che non s'incontrino febbri di un circolo
anche più lungo, ma ciò di rado. Le prime
come sono vere malattie, così ne possediamo
84 CELSO
de calor erompiti finitaque fcbre biduum iu-
tegrum est: ita quarto die revertitur. Tertia-
narnm vero dna genera sunt. Alterum eodera
fnodo, qno quartana, et incipiens, et desinens;
ilio lantani interposito discrimine, quod unum
diem pracstat integrum, tertio redit. Alterum
longe perniciosius, quod tertio quìdem die re-
vertitur. ex oclo autem et quadraginla horis
fere sex et triginta per accessionein occupai,
interduin eli un vel minus, vel plus; neque ex
toto in remissione desistit. sed tantum Levili S
est. Id penna plerique medici nfitrftrmn ap-
pellant. Quotidiana e vero variaosunt. et mulli-
pliccs. Aliae enim prolinus a calore inripiunt,
aliae a fri gore, aliae ah horrore. Frigus voco,
ubi extremae parle> mcmhrorum inalgescunt:
borrorem. ubi totum corpus intremit. Rursus
aliae sic desinunt, ut ex loto sequatur inte-
gritas: aliae sie . ut aliquantum quidem mi-
nuaturei febre, nihilominus taraea qnacdam
reliquiae remarteant, donec altera accessioacce-
dat, ac saepe aliae vix quidquam aut nihil re-
ni'itlmi, sed ita ut continaent. Deinde, aliae
fervorem ingenlem babent, aliae tolerabilem:
aliae quotidie pares sunt. aliae impares; alone
invicem altero die leniores, altero vchementio-
res : aliae tempore codem postridie revertun-
tur, aliae vel serius vel célerins: aliae diem no-
ctemque accessione el decessione implent, aliae
minus, aliae plus: aliae. cura decedttnt, sudo-
rem um\ cut. aliae non movent ; atque alias per
sudorem ad integritatem veni tur, alias corpus
tantum imbecilli ui redditnr. Accessiones etiara,
modo singnlae singuKs diebas finot, modo bi-
nae pluresve concnrrnnl : ci quo saepe evenit,
ut qnotidie plures accessiones remissionesque
s'mt : vìe lamen, ni anaquàeqne alieni priori re-
spondeal Interdilli) vero accessiones qU "':<•
ronfundunlur. sic ul nolari ncque tempora ea-
nno nequé ipatia postint. Ncque rerum <'sU
qu ...| dicitnr aquibusdam, nullara febrera m-
ordinatara esse, ni^i aut ei vomica, ani ex io-
li ira mattone, aut ei nlcere : facilior enim se^m-
per cn ratio foret, li hoc rerni ■ '>'' "'
évi dentea eaussae faciunt, tacere etiara abditae
,1 • re, led de verbo eoètro-
vei iam movent, qui* cura nliter aliterque in
■ morbo t<- 1 > !■'*<; accednnt, ti'") easdem
inordinate redire, sed alias aliatqne mbinde
01 in lii tint f food l imi n ad corandi rationem
nib'l pertineret, etiamti vere diceretur. Tem-
ti isionom nodo liberalità "»"-
do vii ul I « sunt
il rimedio. Le quartale sono più semplici di
tutte le altre. Incominciano per ordinario con
ribrezzo, ne succede il calore, e caduta la feb-
bre per due giorni si è liberi al tulio, e di tal
modo al quarto dì rinnovasi. Delle terzane
se ne danno due specie. L'uni comincia e fi-
nisce non altramente ebe la quartana, con
questo divario che un dì solo lascia libero
l'inférmo, e al terzo ritorna. L'altra ben di
gran lunga più perniciosa, la (piale ricompare
sì al terzo dì. ma di quarantotto ore, trenta-
sei per lo più sono occupate dalla l'ebbre (tal-
volta anche meno o più ), né in lutto si so-
spende nel suo declinare ma sol si la piti leg-
geri. Dalla più parte dei medici viene questa
maniera ili febbre denominala emitri tea. Va-
rie e moltlplici sono le specie della colidiana ;
perocché ali re fanno il loro ingresso con cal-
do, altre con freddo, altre con brivido. Chiamo
freddo quando le estremità dèlcorpo s'inti-
rizziscono, brivido quando tutto il corpo tre-
ma. V'hanno pur altre febbri che lasciano una
piei*i intermissione, ed altre che sì alquanto
diminuiscono, ma restavi non però qualche
avanzo, fino a che subentra l'altra accessione;
o talora altre che poco o nulla rimettono, aia
COSÌ cune pi icipiarono, proseguono. Ancora
se ne OSSservano che sono accompagnale da
un immenso calore, altre il cui calore è mode-
ralo, altre che hanno ogni dì eguali gli acces-
si ; altre gli hanno ineguali, ed a vicenda un
dì più miti, un dì più forti, alcune fanno ri-
torno alla medesima ora del di, altre pia lai-
do o più presto : in alcune PaCCeSSO ^a per lo
crescere ed il ealare riempie lo spazio di un
giorno e di mia notte: in altre dura più. in
altre meno: in alcune la declinazione dell'ac-
cesso termina con sudore, in altre SCtìZa : in
alcune il sudore riconduce a sanità, <' >'> altre
non fa che maggiormente infievolire il corpo.
Inoltre non si ha talora che un sol aCCCSSO per
di. talora due od anohe pio, dal (die addivie-
ne che nella slcss,i giornata si osservino mol-
le accessioni e molle remissioni in guisa pe-
rò che Ogni BCCeSSO corrisponda a qualcuno
di ipu •Mi che il precedettero. Soventi volte
ancora gli .u cessi si confondono in lauto ( he
non se ne può notare ne l'ingresso ne la dura-
ta. \ ero non è siccome per alcuno SOStienSÌ che
non vi sieno febbri irregolari, tranne quelle
no effètto di vomica, o d" innaromamen-
to o <r ul. era. In quel còsi se \ erace fi i
cilissima sarebbe la cura delle febbri. Ma ciò
che vico prodotta da cagioni evidenti, non po-
trà eziandio effettuarsi per Cagioni nascoste?
\\ r tal gni i « ri non mettono in campo una
questione di < ma di parole, sostenendo
rh<- l.i I. hi. re. la (pule insorge in una malattia
oi.i i modo, ora in un altro non è altri-
menti erratica, ma som» in vece divei ie febbri
i lUCCedono le une alle altre. Il < he so
DEICA BKD10UA
Cap. iv. — De curationum diversi*
generibus.
Et febrium quidern ratio maxime talis est.
Cnralionuni vero diversa genera sunt, prout
auctores aliquos habent. Asclepiades officium
esse medici dieit, ut t.uto, ut celeri ter, ut ju-
cunde curet. Id votum est : sed fere periculosa
esse nimia et feslinatio et voluptas solet. Qua
vero moderatione utendum si t, ut, quantum
fieri potest, omnia ista contingant, prima sem-
per habita salute, in ipsis partibus curationum
considerandum erit. Et ante omnia quaerilur,
primis diebus aeger qua ratione continendus
si t. Antiqui, medicamentis quibusdam datis,
concoctionem molliebantur ; eo quod erndita-
tem maxime horrebant: deinde eam materiam,
quae laedere videbatur, ducendo saepius al-
vum subtrahebant. Asclepiades medicamenla
sustulit ; alvum non toties, sed fere tamen in
omni morbo, subduxit, febre vero ipsa praeci-
pue se ad remedium uli professus est. Convel-
lendas enim vires'aegri putavit, luce, vigilia,
sili ingenti, sic, ut ne os qnidem primis die-
bus elui sineret. Quo magis falluntur, qui
perjucundam ejus disciplinam esse concipiunt.
ls enim ulterioribus quidem diebus cubantis
eliam luxuriae subscripsit; primis vero torto-
ris vicem exhibuit. Egoautem, medicamento-
rum dari potiones, et alvum duci non nisi raro
debere, concedo: et id non ideo tamen agen-
(lura, ut aegri vircs convellantur, existimo;
quoniam ex imbecillitale summum periculum
est. Minui ergo tantum materiam superantem.
oportet, quae naturaliter digeritur. ubi nihil
novi accedit. Itaque abstinendus a cibo primis
diebus est, in luce habendus aeger, nisi infir-
mus, interdiu es*. quoniam corpus ista quoque
differii; isque cubare quam maximo conclavi
'debet. Quod ad sitim vero somnumque perti-
net. moderimdum est, ut interdiu vigilet noctu,
si fieri potest, conquiescat : ac ncque potest,
neqne nimium sili crucielur. Os eliam ejus
elui potest, ubi et siccum est, et ipsi foctet ;
quamvis id lempus aptum potioni non est.
Commodeque Erasistralus dixit. sa epe, inte-
riore parte bumorern non requirente, os et
fauces requirere ; neque ad rem, male baberi
aegrum, pertinere. Ac primo quidem sic te-
nendus est. Optimum vero medicamentum est,
opportune cibus datus : qui quando primum
dari debeat, quaerilur. Plerique ex antiqui*
tarde dabant, saepe f]uinto die. saepe sexlo :
et id fortasse vel in Asia, vel in vEgyplo, coeli
ratio palilur. Asclepiades, ubi aegrum triduo
per omnia fa li pavera!, quarto die cibo desli-
uabal. At Themison nuper, non quando coe-
85
vero pur fosse, nulla tuttavia rileverebbe alla
cura. Anche il tempo delle remissioni è ora
protratto assai, ed ora quasi impercettibile.
Cap. iv. — Delle diverse maniere di cure.
Tale è l'ordine principale delle febbri. Di-
verse poi sono le maniere di medicatura, se-
condo i diversi autori che ne hanno discorso.
Asclepiade dice essere officio del medicante
di curare con prestezza, giocondità e sicu-
rezza. Tale è il desiderio : ma riescir suole per
lo più di danno e il troppo voler affrettare, e
il troppo compiacere alla sensualità dello
infermo. Dovremo osservare in trattando del-
la medicazione di ciascun malore qual tempe-
ramento debbasi usare per soddisfare a tutti
e tre quest'intenti in quanto è lecito, avuto
sempre il pricipal rispetto alla conservazione
dell'ammalato. E prima di tutto si ricerca co-
me debbasi conitene re ai primi dì. Gli antichi
procacciavano con alcuni medicamenti la di-
gestione, perocché sopra ogni cosa paventava-
no la crudezza : dipoi si facevano ad elimina-
re quella materia che parea loro noccvole
mercè di frequenti cristei. Asclepiade die ban-
do ai medicamenti : egli moveva l'alvo co'cri-
steri non sì spesso, ma però in quasi tutte le
malattie ; e della febbre istessa valevasi a cura-
re la febbre medesima particolarmente. Portò
opinione ancora che si dovessero spossar le
forze del malato colla luce, colla veglia, colla
sete più crudele, cosicché non concedeva ai
primi dì neppure di sciacquare la bocca. On-
de quanto mai vanno errati coloro i quali si
figurano esser lo suo medicare in ogni parte
giocondo e piacevole. Che se ai giorni conse-
cutivi secondò anche alle voluttuosità dell'in-
fermo, ai primi senza fallo ei le parti di carne-
fice sostenne. In quanto a me accordo che non
si debbano somministrare pozioni medicamen-
tose, né usar crisleri, se non se raramente;
nulladimeno però sono di parere che non si
debba ciò fare con fine di fiaccar le forze del
malato, perciocché la fievolezza è cosa troppo
pericolosa. Fa d' uopo imperlanto sol meno-
mare la soperchiai) te materia, la quale per sé
medesima naturalmente si dissipa, ove sto-
rnella ogni nuovo alimento. Quindi devesi ai
primi dì far aslcnerl' infermo, ed esporlo alla
luce tra il giorno, salvochè non sia manche-
vole di forze, perocché anch'essa coopera
alla digestione degli umori, e vuoisi colloca-
re in camera più che si può, ampia e spa-
ziosa. In (pianto al sonno e alla sete, con-
vicn temprarlo così che del dì vegli, di notte
riposi : che di soverchio non beva, né di so-
vnc Ilio soffra la sete. Si può altresì sciacquar
la bocca, e (piando sia riarsa 0 (piando renda
spiacente odore, comechè quel tempo accon-
B6
C E L 8 U
pisset febris, sed quando desisset, nut certe le-
vata ess't, eonsiderabat : et ab ilio tempore
exspectato die tertio, si non accesserat febris,
statini ; >i accesserat, ubi ea vel desterai, vel si
assidue iahaerebat, certe si se incliti averai. ci-
bimi dabat. Nihil autem horum utique per-
petuimi est. Nani polest primo die primus ci-
bus dandus esse, polest secundo, polest tertio,
potesl non nisi quarto, aut quinto; polest post
uuain accessionern, polest post duas, potest
post plures. Refert enhn, qualis morbus sit,
cpiale corpus, (piale coelum, quae aetas, quod
lem pus anni: minimeque, in rebus multuin
in ter se differenti bus, perpetuimi esse pr^e-
ceptam temporis potest. lo morbo, qui plus
virium aufert, celerkis cibus dando* est: ilem-
que eo eoelo, quod magis digerì t. 01) (piani
eausam, in Attica nullo die aegerabstineri recte
videtur. Malurius etiam poero, «piani juveui ;
aeslate, quasi bienne, dari debet. Unum illad
est, quod scraper, quod ubique servandum
est, al aegri vires subinde assidens rnedicas
inspiciat, el qaaradia sapererunt, abstiaentia
pugnet; si imbecillitatem vereri coeperit, cibo
subveniat. ld cnim ejus officiare est, ut aegrum
neqoe supervacoa materia oneret, neque iui-
]>.( illilatem fame prodal. ldque apud I.ra-
sistratum quoque invenio : qui. quamvis pa-
rano docait, (piando reo ter, «pi. indo corpus
ipsura exinaniretar, dicendo tamen, haec esse
videnda, el tum cibimi dandam, cam eorpori
tur, satis oslendit, dnm vires super; s-
sexit, dari non oportere; ne deficerent, con-
sulendum esse. El bis antera intelligi potest,
ab ano mèdico maltOI non posse curari : cu m-
qoe, s: artifez est, ìdoneàm esse, qui non mul-
tano ab aepro recedi t. Sed qui qaaestai -
vinnt. qaoniana is majoT ex popolo est. liben-
ter amplectuntar ea praecepta, quae sedulita-
tera oon exigunt; ni in hac ipsa re. l'arile est
(•nini d isionei numerare iis quoqne,
qui aegrum raro rident: illeassideal wrcv-^
est, qui, qnod lolom opus est, \ i s i j m ^ est,
«piando i li in is in li , llus hi tu rus sii. ni si ci bu ni
i it. In plm ilm i i.iin. ii id inilium cibi
dia quartui aptissinrni esse consoetit
ciò non sia alla bevanda. E, come saviamente
riilette Erasistrato, possono spesse voltele fau-
ci eia bocca aver bisogno d' essere umettate
senza averne mestiero le parti interne, e nulla
rilevare clic l'infermo sia crucialo così. E
questo è ciò die devesi fare sul eoniinciamen-
to del male. 11 nutrimento congruamente dato
è l'ottima di tutte le medicine: ma si dispu-
ta intorno al tempi di cominciarlo a dare.
I più degli antichi non lo davano che assai
tardo, sovente al quinto dì, sovente al sesto,
e tal uso forse il permetteva la natura del cli-
ma in Asia ed in Egitto. Aselepiade dopo ave-
re per tre dì abbattuto d'ogni modo il suo
ammalalo, il (piarlo lo destinava al cibo. Ma
Temisone non ha guari esaminava non (pian-
do cominciasse la l'ebbre, ma quando fornisse,
od almeno che si fosse menomala : e da quel
tempo aspettato il terzo dì, se la l'ebbre non
riassaliva, incontanente somministrava il cibo;
e se -tornava il dava (piando od al tutto era
partita; ovvero caso che continuamente per-
sistesse, allora almeno che si fosse calmala.
Njuna però di queste norme è <\a seguire in-
variabilmente. Imperocché si può accordare
il cibo al primo dì, si può al. secondo, al terzo,
in alcuni casi non si può lino al quarto^ 0 al
quinto: si può dopo un accesso, dopo due, e
sì dopo parecchi. Perocché rileva qua! sia il
e del male, quale il corpo, quale il ('li-
ma, «piale T età, (piale la stagione ; e in co-r.
cotanto Ira sé discordi non si può fermare una
Ossa attorno il tempo di nutricare il ina-
lalo. In una maialila che più ne scema di for-
ze, pili per tempo si darà mangiare, e lo fles-
so tarassi sotto un cielo fin- pili smaltisce.
Perlochè in Urica no il si -indica prudente
cosa lasciare 1" interino anche un .sol dì senza
cibo, incora por-ere si dovrà più sollecita-
mente ad un fanciullo che ad un giovane, e
più nella siale che nel verno, l'ila so], i cosi <\.i
osservarsi sempre e in ogni Luogo è che il me-
dico esamini le forze dell'ammalato, e se già
sono deficienti cerchi di ristorarle colf ali-
no uh». Imperocché questo è il proprio ufficio
suo. che né di superflua materia lo aggra*
\ i. ne se debile, il i idtlc.i .il nieiile per so-
\ civliu attinenza. E tale ritrovo < saei e la
sentenza di Erasistrato il quale avvegnaché
ma! abbia precitato il lcmp".'iii cui lo stomaco
in cui il corpo medesimo vengono ad esinanirsi,
t'outiii ioi io avendo avvertito di laica lai cosa
attenzione, e dare d cibo gol quando il corpo
il richiede, fu ra inif ito \ ìì\<\<- non doversi di
nessun modo somministrare perfino a che le
o. In i i proi vedere che non ven»
l t.i tulio questo si può
\ olmeute < onoi cei e non un solo me-
li molti ammalati ad un lei
I altro é buon
pi itii a . . Iroj N diluor
Est antera alia eliara de diebus ipsis du-
bitatio; quoniam antiqui potissimura impares
sequebantur; eosque, tamquam tunc de aegris
judicaretur , xp/s-zwoyj nominabant. Hi erant
dies tertius, quintus, septimus, nonus, unde-
ciinus, quartusdecimus, unus et vicesimus ; ita
ut surama potenlia seplimo, deinde quartode-
cimo, deinde uni et vicesimo daretur. Igitur
sic aegros nutriebant, ut dierum imparium
accessiones exspeclarent; deinde postea cibura,
quasi levioribus accessionibus instanlibus, da-
rent ; adeo ut flippocrates, si alio die febris
desisset. recidivano liniere sit solitus. Id Ascle-
piades jure ut vanum repudiavi! ; ncque in
olio die, quia par imparve esset, iis vel majus
vel rainus periculnm esse dixit . Iuterdum
emiri] pejores dies pares tiunt ; et opportunius
post eorum accessiones cibus dalur. Nonnum-
quam etiàm in ipso morbo dierum ratio mu-
tallir ; fitque gravior, qui remissior esse con-
sti -vcrat. Àtque ipse quartusdecirous par est. in
qao esse magnani vim antiqui falebantur. Qui
cmn octavum primi naturam babere coutenti e«
renl, ut ab eo secundus septenarius inciperet,
ipsi sibi repugnabant, non octavum, nequc de-
cirhum, néque duodecimum, dieui Burnendo,
quasi potfntiorem ; plus enini tribuebant rid-
ilo et undecimo. Quod cum fecissent sine olia
probabili ratione, ab undecimo, non ad ter-
tiumdecimum, sed ad quartunidecimum trans-
ibant. Est eliam apud Mippocratem, ei, qnern
septimus dies liberaturus sit, quarlum esse
gravissimum. Ila, ilio quoque auctore, in die
pari et gravior febris esse potest, et eerla
futuri nota. Atque idem alio loco quartana
qnemqne diem. ut in utrumque efficnoissiinum
appreheridit; id est, quarlum, seplimum. nn-
dèi situata , quartumdecimum, decitnamsepti-
mnrn. In quo ei ab impariti ad paria rationeni
transil, el ne hoc quidem proposi tutti conser-
vavit; cum a septtrao die undecimus, non
qnartas, sed quintus sit. Adeo apparet, qua-
cumque ratione ad nuraerum respexerimus.
tiiliil rationis, sub Ilio quidero auctore, repe-
rire. Verum in bis quidero antiquos lune cele-
bre»! admodum pythagorici aunieri fefeuerunl :
cum liic quoque medicus non numerare dies
DKLLA MEDICINA 87
gasi. Ma quei ebe sono intesi al guadagno, es-
sendo questo tanto più grande, quanto più
grande è il numero dei malati, volentieri si
attengono a quei precetti ebe non esigono
troppa diligenza, siccome nella cosa or detta ;
perocché non è malagevole anche a quei che
I ara mente visitano i loro ammalali 1' annove-
rare i giorni e gli accessi : ma si richiede del-
l'5 assiduità in quel curante che vuol vedere in
qual tempo sia per farsi più del dovere debile
II infermo, ov'egli non prenda alimento, cosa
unica e principalissima. Nella più parte però
il dì quarto suol essere il più confacevole pei*
cominciare ad alimentare il malato.
Ma qui un altro dubbio insorge intorno
a questi medesimi dì, poiché gli antichi stava-
no grandemente attenti ai giorni impari, e li
chiamavano crismi quasi che in essi si giudi-
cassero le malattie. E questi erano il terzo, il
quinto, il settimo, il nono, Vundecimo, il quar-
to decimo, il vigesimoprimo, talmente che la
possanza maggiore veniva data al settimo, poi
al quarto decimo, indi al vigesimoprimo. On-
de che non nutrivano gli ammalati se non
dopo gli accessi de1 giorni dispari ; ed accor-
davano in appresso il nutrimento, come se do-
vessero succedere accessi più miti e più beni-
gni, tanto clie Ippocrate paventar soleva una
recidiva, se la febbre abolita si fosse in altro
dì fuori dei dispari. Quella dottrina fu da
Asclepiade a buon diritto, siccome vana, on-
ninamente rigettata, dimostrando non esservi
maggiore o minor pericolo in uno più che in
un alftro dì, per esser pari o dispari. Perocché
alcuna volta più infausti sono i pari, o più ac-
conciamente dassi mangiare dopo gli accessi
di simigliatiti giorni. Né di rado avviene che
si permuti nello stesso male l1 ordine de' gior-
ni, e che si faccia più grave e sinistro quel che
solea essere più favorevole. Ma l' ist.esso deci-
moquarto giorno, in cui gli antichi asserivano
esservi il massimo potere, è pari. Ed eglino
avvisando V ottavo essere di egual natura del
primo, e die per esso incominciasse il secondo
settenario, a sé medesimi contraddicevano col
prendere non l1 ottavo, né il decimo né il duo-
decimo, siccome i più polenti, mentre che una
maggior influenza attribuivano al nono e al-
l' undecimo, lo che fatto avendo senza alcuna
plausibile ragione dall' undecimo non passa-
vano al decimoterzo, ma sì al quartodicesirao.
Trovasi ancora presso Ippocrate il (piallo di
essere gravissimo per quegli che dovrà esser
libero al settimo. Così anche, secondo lui, la
febbre non solo può esser più grave in giorno
pari, ma esser anco un segnale sicuro di ciò
che è per avvenire. Ed in altro luogo egli si-
migliantemente ritiene ogni quarto dì, vale a
dire il quarto, il settimo, l'undecimo, il deci-
mo (piarlo e il diciol Icsimo. per piò efficace SÌ
in meglio che in peggio: nel che egli dal nu-
M
CELSO
debeat, ied ipsas accessione* intueri; et ex his
conjectare, quando dandus cibus sit. Illud au-
tera magis ai rem pertiuet, scire, tara opor-
teat dari, cum jam bene venne conquieverunt,
an elianmum manentibus reliquiis febris. An-
tiqui enim quam integerrimis corporibus ali-
roentumofferebant: Asclepiades. inclinata qui-
dem febre, se 1 adhuc tamen inhaerente. In
quo vanam rationem secutus est: non quod
non sit interdum maturius cibus dandus, si
mature tiraetur altera ac.cessio ; sed quod sci-
licet quam sanissimo dari debeat: minus enim
corrumpitur, quod integro corpori infertur.
Ncque tamen veruni est, quod Themisoni vi-
debatur, si duabus horis inleger futurus esset
aeger, satius esse tum dare; ut ab integro cor-
pore potissimum didueeretur. Nani si didmi
tam celeritcr posset, id esset optimum : sed
cum hoc breve tempus non praestet, satius est,
principia cibi a decedente febre quam reliquias
ab incipiente excipi. Ita, si longius tempus se-
cundura est, quam integerrimo dandus est; si
breve, etiam antequam ex toto integer fiat
Quo loco vero integritas est, eodem est reniis-
sio, quae maxima in febre continua potest esse.
Atque hoc quoque quaeritur, utrum tot horae
exspeclandae sint, quot febrem habuerunt; an
satis sit, primam parlera earum praeteriri, ut
aesris juoundius insidat, quibus interdum non
Tutissimum est aulem, ante totius ac-
cessionis tempus praeterire: quamvis, ubi lon-
ga febris fuit potest indulgeri aegro maturius,
dum tamen ante minimum pars dimidia prae-
tcreatur. Idque non in ea sola febre, de qua
projume dicium est, sed in omnibus ila ser-
vandum est.
mero dispari passa al numero pari : ma né pu-
re ei seguì questo sistema, sempre essendo che
T undeciino contando dal giorno settimo, non
è quarto, ma quinto. Da qui chiaro appare in
qualsisia modo ragguardare si voglianole idee
d" Ippocrate rispetto al numero, essere anche
presso di lui destituite d'ogni ragionevole ba-
se. .Ma ciò che principalmente trasse in ingan-
no gli antichi su questo proposito, furono i
numeri pitagorici a que1 tempi in grandissima
fama : dovendo il medico qui pure non anno-
verare i giorni, ma i parossismi medesimi ri-
guardare, e da essi dedurre quando sia da
concedere l1 alimento. Ma ciò che più imporla
si è di sapere , se convenga accordarlo sol
quando dileguata si è la febbre, od anche
quando pur ne rimangono alcuni avanzi. Im-
perocché gli antichi non davano mangiare,
che ad intero cessamento. Asclepiade nella re-
missione maggiore, ancorché abolita non fos-
se al tutto. Nel cui adoperare una vana dot-
trina seguì : non già che non si debba talvolta
concedere un poco più sollecitamente, se più
sollecito si paventa il susseguente accesso, ma
perchè dee darsi sol quando il corpo si troi \
il più possibilmente wmo. essendoché no o si
corrompe ciò che s1 ingerisce in un corpo sce-
vro di male. Ne perà vero e quel che sembra-
va a Temisone, essere miglior senno ministrar
T alimento quando l'infermo fosse per rima-
nere per due ore libero del tutto, acciocché la
(\\j< elione venisse in massima parte operata
da un corpo sano. Che se in sì picciol tempo
si compisse b digestione, saria questo il mi-
glioro, ma ciò non accadendo, preferibile e
che si cominci a in e la digestione sul il-
ei.Ila febbre antiche fornirsi sul principiar .li
un'altra. Ma so v* ha grande intendilo non
.1. ve darsi che a corpo integerrimo ; so piccolo
prima che sia libero .1.1 tulio. In .pici l
•imo tempo poi in che mio!,- av.r Ino-,. Papi-
ri hi la remissione : la .piale in una I. 1.-
1 ntinna può idissima. Ma qui
pini- dimandasi se aspettar detonai tante
"iv. quante fosse durala l.i febbre, ni \< >" se
basti eli.- di esse ne sia trapassata la prima
poi.- ondo torni vieppiù grato ai maiali, olio
sentono sovente dell'appetito. La più sicura
m è di passare innanxi a tutto il tempo dell ac-
cessione, benché qualora la febbre tu lunga,
si può più presto) compiacere dio infermo,
purché abbia per I" meno percorsa la metà
della sua dm a/n. in. E questo devesi ossei fare
non in <pi< Ila sola fi bbre, della quale si à
prossimamente parlato, ma cosi in tutte
DELLA. MJiDlCIXA
C\v \ — De febritm speciet/us, et singu-
loruni curatìoiiibus ; et pri/no, auaudo
cibus jebricitanlibus dandus sit.
Haec magis per ornuia genera febrium
perpetua sunt; naac ad singulas earum spe-
cics descenda in. Igitur si semel tantum ac\ h-
sit, deinde desiit, Ccique vel ex inguine, vel ex
lassitudine, vel ex aestu, alia ve simili re lui',
sic. ut interior nulla caussa metum fecerit, po-
stero die, cuna tempus accessionis ita transiti.
ut nihil moverit, cibus dari polest. At si ex
alto calor venit, et gravilas vel capitis vel prac-
bordtòram secuta est. neque appaici, quii
corpus contuderit ; quamvis unam accessionero
secuta integritas est , tamen, quia tei -liana li-
nieri potest, exspeclandus est dies terlius : et
ubi accessionis teuipus praeteriit, cibus dan-
dus est, sed exignus ; quia quartana quoque
timeri potest : et die quarto demani, si corpus
integrum est, eo cum fiducia uteiulum. Si fero
postero, tertiove, aut quarto die secuta tèbris
esl ; scire licet, ruorbum esse. Sed terti m a-
rum, quartanarumque, quarum et certus cir-
cuitus est, et finis inleger, et liberaliter ijuietn
tempora sunl, expeditior ratio est : de quibus
suo loco dieam. .Nune vero eas explicabo, quae
quotidie urgent. Igitur lertio quoque die cibus
aegro commodissime datur : ut alter febreni
minuat, alter viribus subveniat. Sed is dari
debet, si quotidiana i'ebris est, quae ex tolo
desinat, simulatque corpus integrum factum
est : si quamvis non accessiones, febres tamen
jungunlur. et quotidie quidem inciescunt, sed
sine inlegrilate tamen rem illuni, cum corpus
ita se babet, ut major remissio non exspecte-
lur: si altero die gravior, altero levinr aecessio
est, post graviorem. Vere vero graviorem ac-
cessione m levior nox sequilur : quo tìt, ut
graviorem accessionem nox quoque tristior
anlecedat. At si conlinualur i'ebris, neque le-
vior uoquam tit, et dari cibum Decesse est,
quando dari debcat. magna dissentir» est. Qui-
dam, (juia fere remtssius matutinum tempus
aegris est, tuuc putant dandum. Quod si re-
sp >i li -t. min quia mane est, sed quia remissio
c>l aegris, dari debet. Si vero ne lune quidem
ulla Dequies aegris est. hoc ipso pejus :à tem-
pus est. quod cum sua natura meli us esse de-
beat, morbi vitio non est : simukjuc iuseqai-
iur tempus no ridi.iuuin. a quo cum omnis
aeger fere pejor fiat, timeri potest, ne illc ma-
gis etiam. quam ev consuetudine, nrgealur.
Igitur alii vespere tali aegro cibum dant. & I
cum eo temp i fere peséimi tint, qui aegro-
tant. Tcrendura est. ne. si quid tunc di >\eii-
fial aliquid .1 »p 15. Ob haec, ad roe-
dìam n < ^t, finito jam gì a-
lemque longiseime di-
uturis vero antelucani! borii, qui-
89
Ca.p. v. — Delle {• ine specie di febbri, e
delie particolari cure ; e printieramente
quando si deve dar da mangiare ai feb-
bricitanti.
Queste cose sono più costanti nella me-
dicatura delle febbri in generale: ora passerò
alle singole specie loro. Se si attaccò una sol
volta e dipoi ebbe suo fine, o che derivò
dall' anguiiiaja. o da lassezza. 0 da riscalda-
mento, o da altra simigliali) e cosa, l :o
nanna interna cagione la abbia prodotta, il
susseguente dì, dappoiché il tempo dell'i
so è trascorso intanto che nitan vestigio più
siavi di esso, ai può accordar l'alimento. Ma te
il calore è proceduto dalle più ime parti, e sus-
seguilo da gravezza del capo, o de1 precordi
senza che appaja ciò «he ha disordinalo il cor-
po, quantunque ad una sola accessione sia sub-
entrala una perfetta integrità, non per tanto
temere potendosi una terzana devesi aspettare
il terzo «lì : e tosto clip il tempo dell' accesso
travalicato sia. deve amministrarsi il cibo, ma
pareo, potendosi temete anche una quartana.
E finalmente il quarto dì. se il corpo ebbero.
si può con tutta fidanza mangiare. Se poi la
febbre venne al secondo, od al terzo, ovvero al
quarto dì, allora è questa una malattia. Ma la
cura delle febbri terzana e quartali)
quali è fisso il periodo, e la terminazione in-
tera, e gli spazi intermedi assolutamente libe-
ri, è più spedita d'ogni altra, e di q»
discorrerà a suo luogo. Ora tratterò di quelle
che vengono cotidianamente. Pertanto ogni
tre dì dassi acconciamente da mangiare al-
l'ammalato, onde per un lato si scemi I;
bre, per l'altro si ristorino le forze. Ma -
concedere, se la febbre è cotidiana. e che al
tutto cessi, ed insieme libero si riduca il cor-
po : e quantunque non le accessioni, ma le feb-
bri si uniscano e ogni dì più crescano, rimet-
tendo però senza lasciar pienamente libero il
corpo, allor si darà 1" alimento, quand 1
quel grado «li remissione che maggiore non si
possa aspettare : e se L'accessione un dì
forte, r altro più lieve, si darà dopo il più for-
te. E poiché ad un grave insulto succede por
lo più una notti- tranquilla, così avvici
una notte inquieta preceda una violeni
cessione. Ma (piando debbasi dar l'alimento,
se la ■ l'i ■ è continua, né mai si men<
se \" ha bisogno indispensabile di nutrire il
malato, verte -so ciò grandissimo disparere.
Menni avvisano doversi dar la mal tir..
che allora più sollevali si ritrovano gl'infer-
mi. 11 che se corrisponde in pratica. d<
non già perchè è di mal lina, ma SÌ \<
malati si trovano in remissione. Se poi l i"-
1 ti no 11 proi 1 sollievo neppure a tal
po . ppunto tal no pò
quanto che dov<
12
9° c E
bus oranes fere maxime dormiunt; deinde
inaiutino tempore, quod natura sua levissi-
munì est. Si vero febres vagae Mint, quia ve-
rendom est, ne cibum statini subsequantur,
qoandoeumqae quis ex accessione levatus est,
tunc debet assumere. At si plures accessiones
eodem die veniunt, considerare oportet, pa-
vesile per omnia sin t. qaod fi* tieri potest,
an impares. Si per omnia pares sunt, post eara
poliaa aceessionem cibas dari debet, quae non
inler meridiera et resperem desini! : si impa-
res snnt. considei andum est. (jno disteni. Nam
si altera gravior, allora levior est, post gravio-
r. in dari debet : si altera longior, altera bre-
vior. post longiorem : si altera gravior, altera
loogior est, considerandom est, atra magis
affligat, ili ci vi. an haec tempore, et post eam
dandus est. Sed piane plurimnm interest,
quuntae qualesque inter eas remissiones sint.
Nam si post alterata febrem motio manet, post
alteram integralo corpus est ; integro corpo-
re. cibo tempus aptius est: si semper lebricula
manet, sed alteram tamen longius tempus re-
missionis est, id potius eligendum est ; adeo
ut, ubi accessiones continuantur . protinus,
inclinata priore, dandus eibus sii. Ktenim pcr-
petnom est, ad quod onnie consilinm dirigi
potest. cibnm quam maxime semper ab acces-
sione futura reducere; et, hoc salvo, dare
quam integerrimo corpore. Quod non inter
daas tantum, sed etiam inter plures accessio-
ni - servabitor, Sed cum si t aptissimnm, tertio
quoque die eibuui dare; tamen, si corpus in-
firmum est, qootidie dandus est, moltoqne
magis. si continente! febres line remissione
Mini, quanto magis eoi pus affligunt; aut si
daae pìuresve accessiones eodem die veniunt.
res efficit, al et a primo die protinas
eibus dari quolidie debeat, si protinns venae
concidernnl ; et saepios eodem die, si inter
plnres accessiones lubinde vis corpori desi.
J 1 lini tarnen in bis servaudum est. ut posi eas
minai « ibi delur, post qaas, si per » or-
pai lioeret, omnino non daretar. Cura vero
febrii instet, incipiat angeatur, consistat, de-
cedati deinde in accessione consistat, sol finia-
lurj icire li et, optimum ciba tempi'
fèbre finita; deinde, cam decessio ejus consi-
atit; lertiura, lineeessc est, quandocuraqae
rnnis pei iculoss esse, Si ta-
men propter infìrmilatem necessitai nrget,
aatiui esse, consistente jam incremento febris,
aliquid offerre, quam inori cantei m tic
just mie. quam incipit nte . < tira « o tamen, ut
nulle l< ' non sii sustinen-
dns \. |oe hei cui ipsai tantum fe-
K rlù nei intuei i, led < nam toliui i 01
porii I id ii tu m, et ad cum dirigere curationem :
aeu lupersunl first, leu desunt, leu quidam
ajii aflectui inlerveniunt. I un fero lempcr
; p re
L S O
per sua natura migliore, non lo è colpa del
male; e parimenti ne siegttc che al tempo me-
ridiano, nel «piale conciossìachè soglia esacer-
barsi la malattia, si può a ragione temere non
imperversi anche più del costume. 11 perchè
altri concedono in questa infermila l'alimento
alla scia. Ma essendo in quell'ora il più delle
volte gravemente oppressi i malati, v1 ha a te-
mere non si aggravino di più. ministrando loro
alcuna cosa. Per queste ragioni io differisco alla
mezzanotte, vale .1 dire allorché è già decorso
il tempo più reo. e che il medesimo è ancor lon-
tanissimo, /foche qualche ora innanzi lo spun-
tar del dì, in cui i malati sogliono generalmente
dormire: analmente il tempo mattutino, il
quale è per sua natura il più mite. Se poi le
febbri sono irregolari, poiché temer puossi
non al cibo subentri incontinente un accesso,
così ogni qualvolta, il malato sollevato si tro-
vi dall1 accesso, devesi cibare. Ma se molti ac-
cesssi si ripetono nel medesimo dì, d1 uopo è
osservare, se sono eguali in tutto, il che è
quasi impossibil cosa, 0 veramente se disegna-
li. Se sono in tutto eguali di durata, si deve
somministrare il cibo piuttosto dopo quel pa-
rossismo che non termina fra il mezzodì e la
Mra. K se sono diseguali, devesi notare in che
consiste questa diseguaglianza: perocché se
un accesso è più forte. Tallio più Lieve, con-
tiene dar T alimento appresso il più forte : se
uno è più lungo, l1 altro più breve, vuoisi ve-
dere se più aggravi quello per la violenza, o
questo per la durata, e dopo quello si ciberà
il malato. Ma grandemente imporla sapere
quante (- quali sieiio fra essi le remissioni, im-
perocché se dopo un parossismo rimane alcu-
na altera /.ione, e se dopo un altro resta il cor-
po al tUttO libero e quieto, sarà questo il
tempo pia congruo ali1 alimento : e •« rima-
nesse tempre uu residuo di lebbre, purebe
dopo F accesso il tempo della remissione sia
più lungo, si deve preferire questo, intanto che
se gli accessi sono subentranti, tosto declinato
il primo, dee darsi a mangiare. IVr lo «die è
norma costante da tenersi sempre, di cibare
quanto più si pud discosto dal parossismo che
In da succedere, e olirà questo darlo in tem-
po che I" ini. ini.» si trovi nel miglior essere:
la qualcosa non tanto li deve osservare fra
due accessi, ma anche fra molti. Ma sebben
sia dicevolissimo dar mangiare ogni tradì,
tuttavia se e debole, devesi ministrare ogni
giorno, e tanto più, se le febbri sono conti-
nenti senza remissione musa, quanlo pia in
nacchiscono il corno: ovvero nel caso clic si
ripetano due o più accessi nel medesimo dì. la
(|n;.l rosa fa che si debba dare I* alimento lino
,\,A primiero di se i polsi ad un tratte si ab
hassano : <• poi voli.- lo stesso giorno, qua -
loi i per I" » i|M i-i i dajle ai cessioni a mino .,
manosi vadano scemandole forze dell ani*
tantum, non ctiarn animo laborcnt: tum prae-
cipue, ubi cibum sumpserunt. Itaque, si qua
sunt, quae exasperatura eorum animos sunt,
optimum est, ea, durn aegrotant, eorum poti-
liae subtrahere : si id rieri non potest, susti-
nere tamen post cibum usque somni tenipus,
et cum experrecti sunt, tum exponere.
medicina 91
malato. Cionnullameno convien notare dover-
si porgere minore alimento appresso quelle
febbri, dopo le quali nullo se ne dada ove la
condizione delle forze il permettesse. Ma poi-
ché la febbre si annunzia, incomincia, cresce, fa
sosta, decresce, quindi si ferma nella declina-
zione, ovver finisce, importa sapere il più op-
portuno tempo per alimentare il malato esse-
re, quando la febbre è cessata ; indi allorché
rimane nel suo stato di diclinazione : final-
mente se di necessità è di accordar Y alimen-
to, ogniqualvolta essa declina, ogn'allro tem-
po essere pericoloso. Nondimeno se per l1 e-
strema debilità, ne stringa il bisogno, sia più
convenevole dar qualche alimento nello stato
della febbre, anziché nel suo aumento : più
convenevole nella imminente che nella in-
cominciante : con questo però che in qualsi-
voglia tempo si debba refìciare quell1 infermo
cui si vanno menomando le forze. Ma non ba-
sta che il medico abbia rocchio ai diversi accessi
della febbre, ma^deve considerare ancora Pabi-
to di tutto il corpo, e ad esso rivolgere le sue
sollicitudini, sia che le forze eccedino, ovvero
manchino, e che vi sin complicazione d1 altri
morbosi affetti. E come è cosa importante di
far sempre coraggio ai malati, onde che se so-
no infermi del corpo, non infermino anche
dell1 animo, così precipuamente dopo che eb-
bero tolto alimento. Impertanto se incontra
cosa che fosse per agitare i loro animi, lau-
dabilissimo fia tenergliela nascosa, mentre che
sono ammalali, e se ciò non può farsi, convien
almeno aspettare dopo il mangiare fino al
tempo del sonno, e risvegliali che siano al-
lora partecipargliela.
Cap. vi. — Quando potiones febricìtantìbus Cap. vi. — In che tempo sia espediente dare
dari expediat. da bere ai febbricitanti.
Sed de cibo quidem facilior cum aegris
ratio est ; quorum saepe stomachus lume re-
spuit, etiamsi mens concupiscit: de potione
vero ingens pugna est; eoque magis, quo major
febris est. Haec enim sitim accendi t, et tum
maxime aquam exigit, cum illa periculosissima
est. Sed docendus aeger est, ubi febris q aie ve-
ri t, prolinus silim quoque quicturam ; lon-
gioremque accessionem fore, si quod ei datura
fuerit alimentari): ila cclcrius eum desinerò
silire, qui non bibit. Necesse est tamen, quan-
to facijius otiam sani fa mera quam silim su-
stincnt, tanto magis aegris in potione, quam
in cibo indulgere. Sed primo quidem die nul-
lus humor dari debet; nisi subilo sic venae
Conci derunt, ut cibus quoque dari debcal :
secondo vero, celerisque etiam, quibus cibus
non (lal)ilnr, tamen, si magna siiis urgebit,
potio dari potest. Ae ne illud quidem, ab He-
ra elide Talentino dictura, ralione card: ubi
aut bilis aegrum, aut crudilas male habet,
Ma rispetto al cibo, è cosa più agevole
persuadere i malati, lo stomaco de1 quali .spes-
so il ripugna, avvegnaché ne abbiano arden-
te voglia : intorno poi alla bevanda, qui è il
contrasto, e tanto più quanto più intensa è
la febbre. Perocché essa mette sete, e così ne
nasce T urgenza della bevanda allora appunto
che è al sommo pregiudicevole. Però de ve si
avvertile il maialo, che al cedere della feb-
bre, cede pur anche V arsura : e che V accessp
sarà più lungo, se ferragli dato mangiale:
così più tosto cesserà d'aver sete chi non beve.
Convien tuttavolta che quanto i sani più age-
volmente sopportano la faine che non la sele,
«osi più si secondino gl'infermi rispello al
bere che al mangiare. Ma il primo dì però
ninna bevanda «lai assi se non nel cast) elie i
polsi ad un hallo si abbassino così che si deb-
ba concedere anche il nudrimento. Nel sc-
condo poi, e ne** susseguenti, ne* quali come-
chc non diasi mangiare nonostante ovel'uo-
';3
C E X 5 O
elpedire quoque per modiras potiones mi-
ao va m materiata eorruptae. lllud viden-
ilum est. ut (jualia tempora cibo legantur, ta-
li, i piti ioni quoque, ubi sinc ilio datar, deli-
gantur; aul cum aejjrum dormire cupiemoa ;
quoJ fero sitis prohibet. Satis aotem eonvenit,
cum omnibus lebririlantibus nimins bamor
alieni» ast, tum praecipoe este feminis, quee
i lu in febrea i icideruut.
Sod cuna tempora cibo potionique febris
et remissionis ratio del, non osi expeditissi-
niM'ii sei re, «[lini I" aeger febrìcitet, quando
vit. quando di Sciai : sin* qoibna di-
i Illa non possunt. Venia enim maxime
Ci ius, fallacissimae rei; quia saepc istac
leniores celerioresve sunt, et aetate, et sexu,
. .min natura : et plerumque salis sano
corpore, si stomachila infirmila est, nonnam-
quam etiam incipiente febre, labeant ei qaie-
scant; al imbecillas is vi. Ieri possi l, coi facile
tataro gravi* instai accesaio. Contra saepe eaa
concitai el reaolvil sol, et balneum, el exerci-
i iii.ius. el ira, el quihbet alius animi
ini. rum priinum medicus venil.
àollicil dubitanti*, qaomodo illi se
; videatur, eaa moveat. I »!> qaam caaa-
aam, periti medici eat, non protinaa al venit,
hendere mano brachinm: ledprimum
re li 1 » ri \ulii!. percoli tariqae, qoemad-
modum ae babeat, et >i quia ejos metua est,
puoi te lenire : luna deinde
ejua cqrpori manura admotere. Quaa vena*
■utem eonspectua medici movet, quam facile
mille r - turba ni : Altera rea eat, cui credimua,
, alar, x • n "" '"'' qnoque scitatur
In bore sonino, meta. lollii iludine I i-
lor intaerl qaidem eii.im ista oportel : - d bla
non omni i en dere. V- protinua qaidem scire,
i imi» \ ente naturaìiter
oi dinatae Mini, lep nrqae lalia est. qua
aleni su!. ( dorè
motuque fel I ita, si
sali ter colia eal ;
r et in I
un il. iis cam fei \ ore
proraropil • il color, sai rab n e, aut pallore
et aal per-
. lor, nini (il.
1 l'\ llllS
( il. qa un i • . fdicm neqae
,rd illi i rmiiH s notai,
mo si trovi angustiato da scio artfentissinta,
si potrà concedere il bere, iNe è fuor di ragione
il detto di Eraclide tarantino clic (piando una
congerie di bile e di crudezze aggrava l'in-
fermo, siconvien temperarla mescolando no-
veMa materia alla corrotta col bcvor poco e
Si dei e.;\ rei -lire» lie il leiiq. i
lo pel cibo sia pur quello per la bebanda, e
(piandosi dà bere senza dir da mangiare, SÌ
(pici tempo, in cui si desidera che l'in-
riposi, perocché la sete suole proibire
i sonni. Si è poi d' accordo quanto basta che
essendo a tulli i febbricitanti contrario il so-
perchio bere, a quelle femmine lo sia princi-
palmente, le quali a Cagion del parto incappa-
rono nelle febbre.
Ma se P ordine della febbre e sua remis-
sione assegna i tempi al cibo ed alla bevanda,
non è gran fatto agevole discernere (piando
I" ini mio abbia la lebbre, quando stia me-
glio, e quando sia debile, sen/a le quali con-
tezze non si possono dispensare i cibi ed i be-
i. Imperocché noi <i riportiamo prin-
cipalmente ai polsi, fallacissima cosa, perchè
essi spesso sono molto lenti, oweio assai
cel ii <• per I" età e pel sesso e per la qua-
lità dei corpi : per lo più in persona dis-
cretamente sana, quando abbia infievolito
lo stomaco, sovente anche sul cominciar duna
febbre, sono i polsi quieti e depressi, a tale
che possa parer debil colui che è per i
re alla grave accessione ond' è minacciato, A
tro assai sovente il sole, il bagno, I" e-
, il timore, V ira <> qualunque altra
affezione dell'animo concita i polsi in modo
che vengono anch' essi in movenza al primo
venir del medico, la cui presenza desia agi-
lamento e perplessità allo infermo, incerto del
giudizio che è per l'are di sua infermitadè.
Egli è p r questo che suole 1" esperi.' e pe-
rito inedie... non tosto eli1 enlra prendere col-
la mano il braccio, ma prima se leraicon sem-
biante allegro, e dimandare del suo ^■■*yi- lo
infermo; e se e presoda alcun timore. cOn
parlar lusinghevole confqrtare I" animo di lui,
indi poacia recar la mano al pois... Ma se i
mo commossi dal solo aspetto del me-
dico, «piante alterar non gli \"'s
bai egualmente fallace
r « '• affidi) •. il calore : pero. die.
questi .hi per caldezza d aei e,
■uno. per temenza, per an
;, mente, Si com len dunque ri iiai -
dare anche a queste rose, ma i prestarvi
. , redenza. I pi ima di lutto <\-^ sa
i pici ante i olu , i cui
polsi sono ri .i-i i come i uol natura, «•
il mi tale quale |U0l <ss.
i deve che v i ni
febbre pei osservi agitamento e caloi
! |, il ■ | inc_u.dn. ci. li alida.
rinomi
sereizio
DELLA
Ubi vero fehris fuit, atque decrevit ,
cxspeetare oportet , num tempora , partes-
ve corporis aliae paulura maclescant, quae
sudorem venturum esse teslenlui* : ac si
qua nota est, tunc demum dare potui ca-
lidari aquam ; cujus salubris effectus est, si
sudorem per omnia membra difìundit. llujus
autem rei caussae, continere aeger sub veste
satis multa manus debet ; eademque crura
pedesque contenere: qua mole plerique aegros
in ipso i'ebris impetu, potissimeque ubi ardens
ea est, male babent. Si sudare corpus coepit,
linteum tepefuccre oportet, paulatimque Slo-
gala membra detergere. At ubi sudor omnis
fìuilus est, aut si is non venit, ubi quam maxi-
me potui t, idoneus esse cibo aeger videlur,
sub veste leniler ungendus est, tura delergen-
dus. deinde ei cibus dandns. Is autem febrici-
tantibus humidus est aptissimus, aut bumori
certe (juam proximus: utique ex materia quam
levissima. maximeque sorbitio ; eaque, si ma-
gnae febres fueiint, quam tenuissima esse de-
bel. Mei quoque despumatum buie recle adji-
citur, quo corpus magis nulriatur : sed id, si
stomachum offendil, supervacuum est; sicut
ipsa quoque sorbitio. Dari vero in v'icem ejus
pò test, vel intrita ex aqua calida, vel alica elo-
ta ; si finn us est slomacbus,el compressa alvus,
ex qua mulsa ; si vel il le languet, vel baec pro-
fluì t. ex posca. Et rtrimo quidem cibo id satis
est. Secundo vero aliquid adjici potest, ex eo-
dern tamen genere materiae, vel olus, vel eon-
chylium, vel pomum. Et dum febres quidem
ìncreseunt, bic solus idoneus cibus est. Ubi
vero ani desinimi, aut levantur, semper < { 1 1 i —
Aera iocipiendum est ab aliquo ex materia le-
vissima, adjieiendum vero aliquid ex media,
ratione babita subinde et viriura hominis, et
morbi. Ponendi vero aegro varii cibi, sicut
Asclepiades praecepil. Lum demum suni. ubi
fastidio urgetur, neque satis vires sufYìciunt;
ut paulam ex singulis degustando, famem vi-
tet. At si neque vis. neque cupiditas deest,
nulla varietale sollicitandus aeger est ; ne plus
assuma!, quam concoquat. Neque verum est,
quod ab eo dicitur, facilius concoqui cibos
varios. Eduntur enim fàcilius: ad concoclio-
'n ni .iute ni materiae genus il modus perii-
medicina p,3
se v1 ba pure calore alla fronte, e se esso nasce
dalle più ime parli del corpo, se l1 aria pro-
rompe fervidissima dalle nari, se il colore si
è cambiato in rossore o pallore insolito, se gii
occhi sono gravi, o molto secchi ovvero ami-
detti, se il sudore, allorché ^iene, è ineguale,
e se i polsi non si muovono ad eguali inter-
valli. Per la qual cosa non deve il medico se-
dersi allo scuro, né porsi a capo del letto,
ma dirimpetto all'infermo in luogo allumina-
lo e chiaro, ond' egli contempli e rilevi tulli
i segni anche del volto islesso di colui che
giace.
Caso poi che la febbre vi sia stata e siasi
diminuita, bisogna nolare se le tempie, od al-
tre parli del corpo siano un poco madide, il
che ne accerta il sudore non essere lungi a
prorompere. E se v1 è quest1 indizio, allora fi-
nalmente somministrare a bere dell"1 acqua
calda, il cu: effetto sarà salutare, se diffonde
il sudore per tutte le membra. Per questo de-
ve P ammalato tenere le mani sotto coperte
sufficientemente pesanti : e con esse coprire
ancora le gambe e i piedi : del cui peso il più
dei maiali prova noja nella violenza della feb-
bre, massime se essa è ardente. Allorché il
corpo comincia a sudare, bisogna riscaldare
un pannolino , e con esso poco a poco ra-
sciugare ciascuna parte. Ma cessato intera-
mente il sudore, o se esso non venne, almeno
quanto più ne potè, allora l1 infermo sembra
acconcio al cibo, ma devesi prima sotto le
coltri lenemente ungere, indi tergere, e per
ultimo dargli mangiare. Ai febbricitanti sì
conviene un cibo umido, o quasi umido, e di
sostanza più eh1 è possibile, leggiera. A ninna
la cede il brodo, e questo pure, se le febbri
sono state intense e gravi, esser deve tenuissi-
mo. Ad esso si puote convenevolmente unire
mele despumato onde il corpo si nutra me-
glio, ma se offende lo stomaco, si vuol lascia-
re, e cosi anche il brodo. Si può dare in loro
vece pane di spella intrito, ovver istemprato
in acqua calda : e se lo stomaco è forte, e il
ventre ristretto inacqua mielita ; e se quello
è languido, e questo sciolto iu posca. E que-
sto basta per primo alimento: al secondo si
può aggiugnere alcuna cosa, la «piale convien
che sia del medesimo genere di materia sì co-
me erbaggi, eonchigliacei, 0 frulla. E meni re
le febbri crescono, questo cibo solo è accon-
cio. Quando poi o cessano, ovver declinano,
si deve principiar pur sempre dai cibi di leg-
gierissimo nutrimento, aggiugnervene poscia
qualcuno del mezzano, posta mente ognora
alle f-.rze del malato ed alla qualità del male.
Si devono poi finalmente, siccome insegnò A-
sclepiade, metter dinanzi air ammalalo diver-
si <il»i. ogniqualvolta provi ripugnatila, e le
forze sieno declinanti, acciocché un pò1 di
tulli assaggiando, schifi In fame. Ma se la forza
CELSO
nenf. Ncque iriter magnos dolores. ncque inrrc-
morbo, tutuni est, segnimi cibo implori ;
sed uhi inclinata jam in melius valetudo est.
Sunt aliar quoque observationes in febri-
bus necessariae. Atque id quoque TÌdendum
est, quod quidam solum praecipiunt, adstri-
ctum corpus sii, anprofluat; quorum alterum
strangulat, alterum digerì t. Nana si adstrictum
est. ducenda aWns est, movenda urina, elicien-
dus ninni modo sudor. Io hoc genere mor-
borura sanguinem e tiara misisse, concussisse
veheraentibus gcststionibus corpus, in luraine
babuisse, imperasse l'ameni, sitim, vigiliam
t. 1 lite «si etiara ducere in balneum,
piiu-. demiltere in solium, tum ungere, ite rum
ad soliura redire, multaque aqua fovere ingoi-
na, interdum etiam oleum in solio cum aqua
caline miscele: nli riho serius et rarius, tenui,
simplici, molli, calido, exigno; maximeque
oleribua, qu alia sunt, lapathum, nrtica, malva;
vel jure eli. un concharum, musculorumve, sul
locustarnm : ncque danda caro, nisi elixa, est.
At potio esse debel magia liberalis, et aule ei-
1 • * i ni. el post li ìi ne, et cum hoc, ultra qnam
siiis coget : potcritque a balneo etiam pingui us,
ani dulcius d iri vinum : poteri! semel, aut bis
interponi Graccum salsnm. (anitra vero, si
corpus profluet, sudor coercendus, quiei adhi-
1. ih crii; tenebria, somnoque, quandocum-
que volet, ntendnm : non nisi leni gestatione
corpus agitandum, el prò genere mali pubve-
niendum. Nata si venter fluii, sul si stoma-
chni non contine!, ubi febris decreti t, libera-
litcr oportel aquam tepidara potui dare, et
vomere cogere ; nisi sol fauces, sul p
d a, ni I itui dolet, aul fetui morbus est.
Si \ ; ■ odoi ' v i' et, duranda cutis esl ni-
tro, vel s ile, qnae cura ntur : a
id \ iiiuiii « it, oleo <• m pus ungendura ; si
1,1 el melino, r< I mj rleo, cui
\ umili .ni «.il -ru ni sii idjei tura. Quisquis autera
(loore ara venil in balneum, prius
ungi :. ni solium demillendus est,
Si in < nte rilium est, ti igida quoque, quam
( ilìd i aqa « roelia i ul( tur. I bi ed cibura ven-
tiiiii < si. il. ii i «III- i la
\. qui quam minime con uropi possi»,
I usici ara, \ ci
; i pn flui
non manca . ne 1" appetenza, non si deve
stimolalo colla varietà onde non incontri
eh" e1 mangi più di quello pud digerire. Nò
vero è ciò che per lui si va dicendo concuo-
cersi più facilmente i variali cibi : più facil-
mente in vero si mangiano, ma la digestione
dipende dalla qualità e misura loro. Ne è cosa
priva di pericolo riempir di cibo il malato fra
gagliardi dolori, od a malattia tuttor crescente,
sì lune allorquando cadendo quella incomin-
cia a sorridere la sanità.
A "ha eziandìo altre rilevanti osserva/ioni
nella cura delle febbri. E d' uopo è vedere pur
anco, il che per molti tiensi per l1 unica iosa
essenziale, se il corpo è rigido o rilasciato.
1/ uno ilei quali ne soffoga, 1" altro ne esauri-
sce. Laonde se è rigido, si deve con cristei
muovere il venire, provocare l'orina, incitare
per Ogni modo il sudore. In questa razza di
mali, giova pure il trar sangue, scuotere il
corpo con violente gestazioni, esporlo a gran
luce, prescriver fame, scie, vigilia. Ed è utile
ancora tradurlo al bagno, farlo bagnare, indi
ungerlo, e di nuovo farla rientrare nel bagno;
le anguinaia fomentar di molt' acqua calda:
alcuna volta anche mescolare dell1 olio all'a-
cqua calda del bagno, prender tardo e di ra-
do cibo leggiere, semplice, molle, caldo, parco
e principalmente di erbaggi, quali il lapato,
rorlica. la malva, ovvero anche il SUgO delle
conchiglie o de1 muscoli, o delle locuste, e la
carne non sia in altra guisa che allessa, sfa la
bevanda deve essere più liberale, e. innan/i e
dopo il pasto, e fra questo anche oltre al bi-
sogno della scie : e si può dare ali" uscir del
bagno del vino grasso o dolce, fra cui inter-
porre pò trassi una nata o due vino greco sa
lato. Al contrario se il corpo è rilascialo, con-
vien raffrenare il sudore, lasciando a sua posta
dormire il inalalo, in pieno riposo ed all' o-
scuro, non agitare il suo corpo se non per
soave gestazione, ed i seconda del male por-
gerli sovvenimento. Imperocché se \" ha diar-
ie.! o vomito tOSlO «die la lebbre sia menoma-
la, si coni ien dare ■■ bei e acqua tiepida in
grande copia, e far che vomiti, purché non
dolgano le fauci, i precordi od itati, oche il
male non sia inveterato.
v l'infermo suda, devesi costipare la cu-
li nitro o con sale, giunti e mischiati al-
l'olio. Se i sudori sono discretti, basta ungere
d'.olio iljcorpo ; se strabocchevoli, d'ole rosa-
la, <» melino, 0 illirico, ;, cui mio del
\iiiii austero. < li i un> | ne si 1 1 '< >v a interino per
i il a si iatezza, pervenuto chi i d( Ile
• m e, deve ungersi, dipoi enti -^' uel ba -
fUO. Se il male ita 114 Ila eule. pi . ii i ibile sai i
I .,, qua fredda alla calda. 1/ alimento, giunta
li darlo, d.ve darsi foi I ■. freddo,
iernpli< e. i he pochissimo ^i t ori orapà, pane
i , ,,i ne ••!!. a, vino austero, o che vi
cium ;
eridum
DELLA MEDICINA QD
si sudores nocent, vomitusve sunt, fri- si accosti , e caldo se sciolto è il ventre , e se i
Caput vii. — Quomodo pestilentesfebres cu-
rar i debeant.
i. Desiderai eliara propriam animadver-
sionem in febribus peslilentiae casus. In hac
minime utile est, aut fame, aut medicamentis
uii, aut ducere alvum. Si vires sinunt, sangui-
noia mittere optimum est ; praecipue, si cura
dolore febris est : si id parum tutum est; ubi
febris levata est vomita pectus purgare. Sed
in hoc maturius, quam in aliis morbis, ducere
in balneum opus est; vinum calidum, et me-
racius dare, et omnia glutinosa ; inter quae
carnem quoque generis ejusdem. Nam quo ce-
lerius ejusriiodi tempeslales corripiunt, eo ma-
turius auxilia, etiam cum quadam temerità te,
rapienda sunt. Quod si puer est, qui laborat,
ncque tantum robur ejus est, utsanguis mitti
possit, cucurbitulis ci utendum est ; ducenda
alvus vel aqua vel ptisanae cremore ; tum de-
mum levibus cibis nutriendus. Et ex loto non
sic pueri, ut viri, curari debent. Ergo, ut in
alio quoque genere morborum, parcius in bis
agendum est; non facile sanguinem emillere,
non facile ducere alvum, non cruciare vigilia,
fa me ve, aut nimia siti, non vino curare. Vo-
mitus post febrem eliciendus est : deinde dan-
dus cibis ex levissimis ; tum is dormiat ; po-
steroque die, si febris manet, abslineatur; ter-
tio. ad similem cibum redeat. Dandaque ope-
ra est, quantum fieri potest, ut inter oppor-
li! nam abstinentiam cibosque opportuno», o-
uiissis ccteris, nulriatur.
Curatio ardentis febris.
2. Si vero ardens febris extorret, nulla
medicamenti danda portio est; sed in ipsisac-
cessionibus oleo et aqua refrigerandus est,
qnae miscenda raanu sunt, donec albescant ;
eo conclavi tenendus, quo mullum et purum
sereni trabere possit; neque mullis vestimen-
lis itrangulandus, sed admodum levibus tan-
tum velando* est. Possunt etiam super stoma-
ebum imponi folia vifis in aqua frigida lincia.
Ae ne citi quidem nimia vexandus est. Alen-
dns maturius est, id esl a die ter ti o ; el aule
cibua iisdem perungendus. Si pituita in sto-
macho coiii. inclinala j.nn accessione, vomere
COgendus esl : Inni .laudimi l'i iridimi olus. ani
poraum, ex iis, quae storoacho conTeniunt. Si
siccns nianci storaachus, protinus rei ptisanae
vc| alicae, vel oryzae cremor dandus est, cum
qua recena adeps cocla sii. Cum vero in sum-
iudori nojano, o vi sono vomiti, freddo.
Cap. vii. — Di qual modo si debbano
curare le febbri pestilenziali.
i. Una febbre di carattere pestilenziale
esige una speciale osservanza. In essa non è
utile l'inedia, i medicamenti, o i cristeri. Se
le forze il consentono, meglio di tutto è il
trar sangue, massimamente ove la febbre sia
con dolore; se ciò è cosa poco sicura, attutala
che sia la febbre, purgare lo stomaco col vo-
mito. Ma in questa più presto che in altre ma-
lattie, devesi usare il bagno, dare vino caldo e
pretto, alimenti glutinosi fra cui anche la car-
ne della medesima qualità. Imperocché quan-
to più prontamente malattie di questa falla
uccidono, tanto più tosto devesi ricorrere ai
presidi dell1 arte anche con certo qual ardi-
mento. Che se ne è gravato un fanciullo, uè
tanta forza è ih lui da sostener la sanguigna,
gli si pongono le coppette, gli s1 inietlano^ri-
steri d'acqua pura o di decozione d' orzo, e
nutresi indi poscia di leggieri cibi. Ma i fan-
ciulli non si devono così curare come le per-
sone adulte. Adunque non altrimenti che in
ogn' altra genìa di morbi, devesi intorno ad
essi agire con più di ritenutezza, non trar lo-
ro sangue sì agevolmente, né sì agevolmente
muover loro il ventre, non gravarli colla ve-
glia, colla fame o con sete eccessiva, né medi-
cmarfi con vino. Appresso la febbre si provo-
ca il vomito, dipoi si amministra un alimento
de più tenui, indi si fa che dormi, ed alla di-
mane se persiste la febbre, stia in astinenza
poi al lerzo dì ritorni all'uso di un simigliati-
te alimento. E bisogna fare, per quanto sf può,
che tra 1 opportuna astinenza, lasciale le altre
cose, e sia con aggiustato cibo nudrilo.
Cut
delle febbri ardenti.
2. Se febbre ardente ne abbrucia, non
devesi dare alcuna pozione medicinale, ma
negli stessi accessi rinfrescare il malato d'olio
e d acqua che giunti insieme si agitano colla
mano si che biancheggino : e devesi tenere in
una stanza, in cui possa respirare moli' aria e
pura: ne aggravarlo di troppe coperte, ma
coprirlo appena .delle più leggieri. Si possono
ancora porre alla regione dello stomaco foglie
d. vile bagnale di tresca acqua, ne Io si deve
cruciare lasciandolo eon soverchia sete. Si
convien cibarlo piùpresto, cioè sul terao dì,
ed avanti il mangiare ungerlo colie medesime.
cose. Se una congerie di pituita ingombra lo
stomaco, declinala la febbre, devesi far vomi-
tare, indi fargli prende,,, qualche ri n fricati-
vo erbaggio, od alcuno t,a quei frutti che so-
no dello stomaco amici. Se lo stomaco conti-
98 C B L
ino incremenlo morbus est, silique non ante
quattoni dieta, Basasse siti antecedente., frigi*
tia equa copiose praestanda est, ut bibat etiara
ultra wlietatem; et cimi jam ventai et prae-
cordia ultra modino repleta, satisque refrige-
rata Mint. vomere debet. Quid, mi ne voniitum
quidem exigunt ; sed ipsi sepia frigida tau-
luui. ad sstaptaacin data, prò medicamento u-
tuntur. Lhi otraunlibet l'aduni est, multa ve-
ste operini'lu-. est, e! col] randa*, ut dormiate
Pensassi posi kmajaia sitini el vigiliam, post
muliam sUsisHibÌ, posi infraetum caloreim,
piemia somnus venit, per quera ingens sudov
esfunditur; ì • I • 1 1 1 « > praesentissimnm auxilium
! in iis Issaste*, in qui bus praeter ardo»
rem. nulli dolorcs, nullo*, praecordiorum Iu-
nior; mliil prohibens, voi in thorace, vel in
polmone, rei in faucibus ; non ulcus, non de-
j« < -ilo. non proflnviaai alvi imi. Siqaisantem
in hai ju smodi sebve leviter tussit, is neqne ve-
li'-inrnii siti 1 assflàilaliii, neqnc bibere squam
trigidam debel : sed eo modo eurandua est,
«pio in ceteris febribua praecipitur.
ima ad essere riscaldato, vuoisi incontanente
somministrare creraor «li riso, o «li spella, o
<1" orzo, nel quale siasi bollita adipe fresca.
Quando poi la febbre è giunta al suo col-
mo, non però prima del quarto dì. precedu-
tane una grande arsura, necessario è dare al-
l' animai. ilo acqua fresca in molta copia, af-
finchè n<' beva oltr' anche la saturante : c<\
allorché il ventre ed i precordi si trovano fuor
di moilo ripieni, e sufficientemente rinfresca-
li, comico che vomiti. Alcuni non fanno nep-
pur vomitale, ma scrvonsi dell1 islessa acqua
fredda per medicamento data tino a ripienez-
za. Falle entrambe queste cose, vuoisi coprir
bene il malato e lasciarlo dormire. Quasi sem-
pre addiviene ebe appresso sì Lunga sete e vi-
gilia e lantii sa/.iclà e tanlo e. dorè ammorza-
to, ne succeda un pieno sonno, pel (piale un
piotilo sudore si effonda, lo che è un sovve-
niinenio più efficace e favorevole d'ogn1 altro
in quelle trilliti però, nelle (piali oltre T ardo-
re non v"al)l)iano dolori ninni, e ninna tumi-
de//;» ;ii precordi e ninna contraria indicazio-
ne o nel petto 0 nei polmoni 0 indie lanci,
non esulcerazione, non abbattimento delle
non profluvio alvino. Se poi in questa
specie di febbre altri è gravato da lieve tosse,
non si tormenti con sete crudele, uè ì;1ì si mi-
nistri acqua fresca a bere, ma vuoisi curare
coinè si addila nelle altre febbri.
C.vpit vili. — Citrullo iemitertiamae Jebris Cai*, mh. — Cura della febbre semitertana^
f/uae tiuir^traì'ov dicitur. la quale emitri tea si appella*
Al uhi id !_'einis tertianae est, quod if/u#-
T?iraìov medici appellant, magna cura opus
,st. ne id fallai. Ililiet eniin pici ininpie f're-
ejuentiores accessionei deeessionesque, ut alimi
mori. i genus viderì possit : porrigiturque fe-
l»ris inier borei vigiliti qnatuor, et tri gin ts
sei : ni. quo I idem est. non idem esse vidca-
tur. El magnopere necessarium est, neqne da-
ri cibum, nisi in ea remissione, quae vera est:
«•! ulti e.i venìt, prolinns d.iri : plnriiniq ne sub
alterutro curanti* errore subito roonuntur.
1 magnopei e aliqui rei prohibet, inter
ini ti. « sanguinis midi debel : Ioni da ri uibus,
qui ncque incitel febrem, el laraen kongom
| 1 1 min siisline.it.
Bla (piando sia quella ragion di febbre
terzana, clic i medici chiamano emitritea^
mestieri è di grande attenzione per non in
pannarsi. Conciossiachè avendo esss per lo
più frequentissimi gli accessi ed i declinamen-
ti. potrebbesi leggermente prendere per un. 1
altra specie di m. de. e durando alcuna volta
ventiquattro ore ed alcun1 ali ra trentasei,
pini parerne un'altra inani -ra di febbre men-
ti- e la stessa. Ivi e di massima importanza non
dar mangiare se non nella remissione vera, e
d;irlo tosto che sia venula: moltissimi sono
Coloro (die incoili. mente li 111110)0110 per lo
sbagliare che fa il curante nell'una o nell'ai
tra di queste cose. I. deve i. salvochè noi
proibisca qualche forte ragione contraria, isti-
tuire il -d. isso, e quindi somministrare un ali-
meuto «'In non esacerbi la t. bbi e, ma ) I
sostenga n< U i lunga durazione di essa.
1
(Hi, it\<> itiìtiirum febrium.
<
i\. — Cairn <b!le Iruti febbri.
n onii n ni [uam < iit m lentae t- In e, rine ul- Incontra talvolta clic il co pò sia p
.H neqne cibo, duto da lente febbri che non rimettono mai,
ncque ul li remedio 1 i est In hoc casu im e che non danno luogo n< al nutrimento,
i- ,\i I.--I. Bt mot h'iin uni l'I fisi ' ' ìmcdio. In <]•■•
Urne cium curalioni • studiar) di in cambia n natui t i
DELLA MEDICINA
igitùr ex aqua frigida, cui oleum sit adjeetum,
corpus ejus pertraetandum est, quoniam in-
terdirai sic evenit, ut horror oriatur, et fiat
initium quoddam novimolus; exque eo, cuni
magis corpus incaluit, sequatur etiara remis-
sio. In bis frictio quoque ex oleo et sale salu-
bris vide tur.
At si diu frigus est, et torpor, et ja-
ctalio corpo ri s, non alien um esl, In ipsa te-
ore dare mulsi tres aut quatuor cyathos, vel
cum cibo vimini bene dilutum.Intenditur enim
saope ex eo febris ; et major orlus calor simul
et priora mala tollit, et spera remissioni*, in-
que ea curationis o^tendit. Neque, Hercules,
ista curatio nova est, qua nunc quidam tradi-
tos sibi aegros, qui sub cautioribus inedicis ed in essa quella eziandio di un compiuto ri-
97
le : così si renderà forse meglio disposto al-
la medicatura. Si deve impertanlo alcuna vol-
ta strofinare il corpo del malato con acqua
fredda mista a dell1 olio : giacche infrequen-
te non è che ne nasca un certo brivido, e che
sia principio di un novello commovimento :
e da ciò tanto maggiore ne subentrerà la re-
missione quanto più il corpo si riscaldò. 'La
fregagione d1 olio e sale sembra pur salutifera
in queste febbri.
Ma se da lunga pezza v'ha freddo e torpore
ed agitamento della persona, non è discon-
venevole in tempo della febbre stessa porgere
tre o quattro bicchieri di vino mulso, ovvero
vino ben innacquato fra pasto. Dal che la feb-
bre spesse volte si esacerba, on deche ed un
maggior calore sorgendone i primitivi mali
rimuove, e speranza ne dà d1 una remissione,
trahebantur, interdura contrariis remediis sa
nant. Siquidem apud anliquos quoque ante
Herophilum et Erasistratum, maximeque post
Hippocratera fuit Petro quidam, qui iebrici-
tautem hominem ubi acceperat, multis vesti-
mentis operiebat, ut simul calorem ingentem,
sii inique excilaret ; deinde, ubi pauldm rem it-
ti coeperat febris, aquara frigida m polui da-
bat ; ac, si moverai sudorera, explicuissc se
aegrum judicabat ; si non moverai, plus etiani
aquae frigidae ingerebat, et tura vomere co-
gebat. Si alterutro modo febre libera vera t,
prolinus suillam assam, et vimini homini da-
bal: si non libera vera t, decoquebat aquam sa-
le adjecto, eamque bibere cogebat; ut moven-
do venlrem purgaret. Et intra haec omnis
ejus medicina erat : eaque non minus grata
fuit iis, quos Hippocratis successores non re-
fecerant, quam nunc est iis, quos Herophili
vel Erasistrali aemuli diu tractos non expe-
dierunt. Neque ideo tamen non est temeraria
ista medicina ; quia plures, si protinus a prin-
eipiis excepit, interimit. Scd cum eadem o-
mnibus convenire non possint. fere, quos ra-
tio non restituita temer i la s adjuvat. Ideoqué
ejusmodi medici roelius alienos aegros, quam
snos, nutriunt. Sed est circumspecli quoque
hominis, et novare interdum, et augere mor-
bini), ci febres accendere; quia curaliom -in,
ubi i<l. quòd est, non recipit, potest recipere
id, quod fulurum esl.
Celso.
sanameli lo. Questa foggia di medicatura non è
nuova altrimenti, mentre ccn essa più fiate
addivenuto è the certi con contrari rimedi
risanano ammalati gillatisi loro in braccio, i
quali sotto medici soverchio cauti si traevano
in lungo. E di vero gli antichi anche prima
di Erofìlo e di Erasistralo, ed in ispecie appres-
so Ippocrate fuvvi un certo Petronio, il quale
dappoicchè vernagli affidato mi febbricoso, di
molte coperte il copriva, acciocché un gran
calore ad un tempo e sete se gli eccitasse ; in-
di dacché alquanto la febbre cominciava a
declinare, dava a bere dell1 acqua fredda, e se
a caso muovea il sudore, tenea per fermo di
avere già sbarazzato l1 infermo : se poi noi
muovea, una maggior copia d'acqua tresca
facevagli avvallare, ^oi forza va lo a recere. Se
avveniva che o in un modo, o nell1 altro e1 si
liberasse dalla febbre, di J> restate appresta*"
faceva al paziente della carne di porco arrostita
e del vino. Ove poi liberalo non si fosse altri-
menti, bolliva dell1 aequa con sale, e questa
faceva bere al malato, acciocché muovendogli
il ventre, venisse a ripurgarsi. Ed infra i ter-
mini di queste cose lutti vi ristringeva la
medicatura sua : e questa noii tanto fu in altri
tempi giovativa a quelli che dai Seguaci d1 Ip-
pocrate non poterono essere sanali, quanto lo
è presentemente a coloro, cui gli emuli d'E-
rotìlo e di Era.sislratohanno per lunga stagione
indarno curato. Né lascia però questo modo di
medicare d' essere temerario, perocché assai
ne uccide, ove si metta in uso fin da principio.
Ma non polendo le medesime cose a tulli in-
distintamente convenire, ne avviene talora che
la temerità sovvenga, a quelli, cui ;t curare non
volsero il senno e la ragione. Il perché medi-
ci di questa tempra meglio gli liti ni malati cu-
rano che noni propri. Ma si pertiene <n\ un
canto ed iacaitrito medito e cangiare tal fiata,
«d au montare la malattìa, < le febbri riaccen-
dere : perocché la situazione, ta chr si ritrova
i3
yS « B » S O
V infermità non ammette cura, e può >ì am-
metterla quella, che è per venirne.
CAPfT x. — Remedia infebrìbus ad capitis C.uw. — Rimedi al dolor del capo, alt in-
dolore™, et praecordiorum infiammatio- Jì ' immazioim dei precordi , ed all' aride**
neni, et ariditatem, et scabritiem linguae. za e scabrosità citila lingua nelle febbri.
Considerandura csl etiam, febresne solae
sint, an alia quoque bis mala accedati! ; id est,
nuno capul doleat, unni lingua aspera, num
praecordia intenta sint. Si capitis dolores sunt,
rosam cum areto nascere oportet, et in id in-
gerere : deinde babere duo pittacia, quae fron-
tis latitudinem, longitudinemque aequent ; ex
his invicem altorum in aceto et rosa habere,
alternai in fronte ; aut intinctam iisdem la-
nani succidano imponere. Si acetum ofièndit,
pura rosa utendum est; si rosa ipsa laedit,
oleo acerbo. Si ista parum juvant, teri potest
vel iris arida, vel nuces amarae, vel quaelibet
herba ex refirigerantibus : quorum quidlibet
ex aceto impositum, dolorem minuit ; sed ma-
gia aliud in alio. Juval etiam panis cum papa-
vere injectus ; vel cum rosa, cerussa, spumavo
argenti. Ollacere quoque vel serpyllum, vel
anethum, non alienum est. At si in praecordiis
infiammatio et dolor est, primo superimpo-
oenda »unt catapUsmata reprimemiia ; "e, si
calidiora fuerint, plui eo materiae concarral :
deinde) ubi prima infiammatio se remisi!, tunc
demum ad calida et humida veniendum esl ;
ut «■ \. quac remanserunt, discuti ant. Nolte ve-
ro inflammationis midi quatuor, rubor, et Iu-
nior, cum calore, fi dolore. Quo magis erraTil
Erasistratos, qui febrem nullam sin,- hac <,sM>
dixit Ergo si vinc infiaiftmatione dolor est,
niliil imponendum est : lume enim statini ipsa
teoria solvei, 4.1 sì ncque infiammatio, neque
febris, sed tantum praecordiorum dolor est.
protinus calidis ei siccis fomentis titi licet. Si
vero lingua ricca et icabra est, detercrenda
primum penicillo esl ex aqui calida : demde
ungenda mixtis inter se rosi et incile. Mei pur-
gai, rota reprimi t, tiro nlque liccescere non si-
nii. Ai si icabra non est, sed arida, ubi peni-
culo detersa esl : ungi rosa debet, cui cerae
p. minili sii adjectum.
Devesi esaminare ancora, se la lebbre sia
sola, ovvero se ad altri mali congiunta: per
esempio se dolga il capo, se sia aspra la lingua,
se tesi i precordi. Se duole il capo, d1 uopo è
mescolale insieme aceto ed olio rosato, e su di
quello versarlo : avere poi due pezzuole di li-
no che la larghezza e la lunghezza adeguino
della fronte, e ili queste tenerne a vicenda
l1 una in olio rosalo ed in acelo, 1" altra sulla
fronte : ossivvero apporvi lana sucida intinta
nel miscuglio istesso. Se Pacato irrita, liscias-
si puro olio di rosa ; e se questo pure la male,
si adopera olio acerbo. Se queste cose poco al-
leggino, si può pestare iride secca, o noci
amare, o qualunque erba delle rinfrescatile ;
ciascuna delle quali cose in aceto infusa ha
proprietà di sminuire il dolore, ma V una il
farà pia d' un'altra a seconda de1 soggetti.
Giova anche il pane immerso nel decotto di
papavero ovvero olio rosato con cerussa, o
schiuma d1 argento. Utile è anche V odorare
il serpillo o P aneto. Ma se gP ipocondri so-
no infiammati e dolenti convien prima sor-
porvi impiastri ripercussivi, perchè se fossero
calefattn i potrebbero i 1 i\ ocare maggior quan-
tità di materia. Allorché poi la prima violenza
della infiammazione è attutata giova il porvi
robe calde e mollitive, affinchè vengano al tut-
to dissipati i rimasugli dell1 infiammamento.
Oliatilo sono i segni di esso, rossore e luini-
dezza con calore e dolore: il che dimostra
«pianto andasse erralo Krasi.strato il qnalé es-
seri non darsi l'ebbre senza infiammazione.
Se v'ha pertanto dolore seii/a inliain ma/ ione,
non si deve applicar nulla , ini perocché la
lébbre medesima rimuove «pianto prima il do-
lore : e se non v" ha né infiammazione né léb-
bre, ma soltanto dolore ai precordi, si posso-
no usar tostamente fomenti caldi e secchi. Se
poi la lingua è arida e icabra, vuoisi deterge*
re prima con pannolino bagnato in acqua cal-
da, indi ungere di un miscuglio d' olio rosa-
to e ni. le. Il mele pur-.i. 1* «ilio rosato repri-
me, e al tempo istesso la che non dissecchi.
1. se non ic scabra, ma sì arida, detersa in
prima con una pezza, deve ungersi con olio
rosalo. In CUJ lia siala fusa ^^ poco di cera.
< ui i \i — Rrmviìia ronli, i fi tgU v, 0 Uod Ca». IL
fibre* prue, tdit.
— dira con tra il freddo che pre*
la I' !■' re.
Solet etiam ante febres < afri a ; idqae Suole innanzi alle febbri venirne anche il
\.l molestissimum morbi genus est. Obi id freddo, ed è esso stesso un male de* più mole-
' alni, olimi polionc prohibendui atgef iti. Quando si aap< Ila devesi vietare al maialo
est : haec enim palilo ante data, multimi malo
ndjicit. Item malurius veste multa tegendus
est : admovenda partibus iis, prò quibus me-
iuimus, sicca et. calida fomenta, sic, ne statini
vebementissimi calores incipiant, sed panlatim
increseant : perfricandae quoque eae partes
manibus unciis ex vetere oìeo sunt, eique adji-
ciendum aliquid ex calefacientibns ; conlenli-
que medici quidam una frictione, eliam ex
quolibet oleo, sunt. In liarum febrium remis-
sionibus nonnuUì tres aut qnatuor sorbitionis
cyatbos, etiamnum manente febre, dant; dein-
de, ea bene unita, reficiunt stomachimi cibo
frigido et levi. Ego tum hoc puto tentaiidum,
cuna parum cibus, semel et post febrem datus,
prodest. Sed curiose prospiciendum est, ne
terapus remissionis decipiat: saepe enim in
hoc quoque genere valetudinis jam minui fe-
bris videtur, et rursus intendi tur. ltaque ei
remissioni credendum est, quae eliam immo-
ratur, et jactationem, foetoremque quemdam
oris, (\aem o%nv Graeci vocant, minuit. 11-
lud satis convenit, si quotidie pares accessio-
nes sunt, quotidie parvum cibum dandura : si
impares. post graviorem, cibum ; post levio-
rem, aquam mulsam.
DF.LLA MEDICINA 99
qualunque bevanda, per motivo che ministra-
ta alcun poco innanzi, accresce fortemente il
male. Devesi simigliantemente coprirlo bene e
per tempo, ed apporre alle parti per le quali
si teme, fornente calde e secche, cominciando
con mite calore, che vuoisi poi bel bello au-
mentare. Si strofineranno inoltre quelle parti
con mani unte di vecchio olio, a cui sia mi-
schiata alcuna droga calefaciente. Alcuni medi-
ci si contentano di una sola fregagione falla di
qualsivoglia olio. Altri nelle remissioni di que-
ste febbri, avvegnaché pur sussista una condi-
zione febbrile, somministrano tre o quattro
tazze di brodo: dipoi cessata al postutto la
febbre, restaurano lo stomaco con cibo rinfre-
scativo e leggero. Io son d1 avviso che sia da
far ciò quando il cibo dato una sola volta, e
dopo la febbre poco giovi. Ma bisogna atten-
tamente guardare per non ingannarsi sul tem-
po della remissione ; imperocché anche in que-
sta generazione di mali spesse volte sembra
che la febbre già diminuisca, e di nuovo si au-
menta. Per lo che si deve credere a quella re-
missione che persiste pur qualche tempo, e
che diminuisce l1 ansietà, e quel tal fetore di
bocca, detto grecamente ozin. Se i parossismi
sono ogni dì pari, comunemente si conviene
doversi dare ogni giorno alcun poco di ali-
mento : se impari dopo il grave, il cibo ; dopo
il lieve, la mulsa.
Caput xii. — Cu ratio horroris infebribus. Cap. xii. — Cura del brivido nelle febbri.
Horror autem eas fere febres antecedi t,
quae certuni habent circuitimi, et ex toto re-
mi h.unt.ur ; ideoque tulissimae sunt, maxime-
que curationes admittunt. Nani ubi incerta
tempora sunt, neque alvi ductio, neque bal-
neum, neque vinum, neque medicamentum
aliud recle datar. Incertum est enim, quando
febris ventura sit : ita fieri potest, ut si subito
vcnerit. gamma in eo pernicies sit, quod au-
xilii causa sit inventimi. Nihilque aliud fieri
potest, quam ut primis diebns bene abslinea-
tur aeger ; deinde, sub decessu febris ejus,
quae gravissima osi. cibum sumat. Atubicer-
tu> eircuitus est, facilius omnia illa tentali! ur;
quia magia proponere nobis et accessionum et
decessionum vices possumus. In bis autem,
ciim in velerà verunt, utilis fames non est : pri-
mis lanl.ummodo diebus ea pugnandum est;
deinde- dividenda curatio est, et ante horror,
tum febris discntienda. Igilur cum primum
aliquis inliorruil, et ex horrore incaluif, dare
ei oportet potai tepidam aquam subsalsam, et
vomere cum cogere : nam fere talis horror ab
iis oritar, quae biliosa in stomacho resederunt.
Idem faciendum est, si proximo quoque cir-
cui tu aeque accessit : saepe enim sic Idiscuti-
lur. Jamque, quod genus febris sit, scile licci.
Jlaque sub exspeclalionc proximae accesàionis
11 ribrezzo precede pressoché quelle feb-
bri tutte, le quali hanno un determinato pe-
riodo, e che intermettono pienamente: laon-
de sono pochissimo pericolose, e facilissime a
risanare. Conciossiachè sendo indeterminati i
tempi, non si dariano convenevolmente né cri-
steri, né bagni, né vino o qualunque altro me-
dicinale : mentre è incerto quando la febbre
sia per assalirne: onde può addivenire che se
subito sopraggiugne, riesca perniciosissimo al
malato quell1 istesso che fu diretto a soccorso.
E niente altro può farsi, se" non se tenere ai
primi dì in rigorosa astinenza V infermo, di-
poi sul mancare della febbre più grave por-
gergli a mangiare. Ma quando costante è il
circolo, più agevolmente si praticano tutte
queste cose, perocché meglio conoscere pos-
siamo e il tempo deir accesso, e quello della
declinazione. Ma in queste quando che siano
inveterate, non è utile la fame; con essa si può
andar solo incontro al male ai primi giorni :
dipoi devesi partire la medicazione, e prima
cacciare il freddo, indi la febbre. Pertanto lo-
stochè taluno ebbe il ribrezzo, e da questo
passò al calore, è necessario elargii a bere ;i-
eqna tepida un po' salala, e cosi cingerlo a ri-
gettare, attesoché cotal ribrezzo vuole ripe-
tere sua origine da biliose materie che si sol-
C l I
quae tostare torli. i potest, dedueeridus in bal-
ìitiiui esl ; dandaque opera, ùl per lempus
horroris io solio sit. Si J.»i quoque sensori!.
nihilomiuus idem sub exspectat&one quartate
: àquidem eo quoque modo
ìs disoutltur. Si ne balneum quidem pro-
f ii i t. ani.- accessjonem album edat, aat bib.it
cali da Di aquam cuna piperò ; siquidem ea quo-
tsumpta ealorem movent, qui horr >rera
non .ìilmiiti:. Deinde eodem modo, quo in fri-
ptum est, antequam inhorrescere
possiti operiatur: fomentisque, sed protinns va-
lidìoribus, totani corpus circumdare conventi,
ynaximeque mvolutis exstinctia test i> <^t litioni-
1 Si nihilominus horror perruperit, molto
«»1«« > cale&ctd inte* ipsa vestimenta profìinda-
tnr, cui aeque ei caleiacientibus aliquid sit a-
< I i . • i i » i 1 1 1 ; adhibeaturque frictio, quantam is su-
stinere poterit, maximeque inmanibusel pe-<
dibus ; et spiri tum ipse oontineat. Neque <I« -
sistendum est. etiamsi Horror i -i : saepe enim
pertinacia |u va ntis malora corporis vincit.
si ipii-! «vuimiii- danda aqua tepida, ite-
rumque vomere cogendusest; utendumque
eisdem est, »I- • 1 1 < •• ■ borrór finiatur. Sci prae-
ler haec, ducenda alvus est, si tardi us horror
quiescel : siquidem id quoque exonerato cor-
pore prodest. I Ltimaque post baec auxilia
ioni, gesta tio el frictio. Cihus antera in ejus-
modi morbi] no ixime danduc est, qui mollerai
alvura praestet ; caro glutinosa ; vinum, rum
dabilur, uuslerum.
fermarono nello stomaco. Tal cosa Tarassi pu-
re, se il brivido febbrile sopravviene anche al
susseguente parossismo, perchè così spesse ba-
ie distogliesi. l'ai allora a chiarie si \ ime qual
sorta 'b febbre essa sia. Pertanto nell^aspetta-*
zione di un prossimo accesso che può soprav-
venire al terzo dì. si conduce 1 infermo al ba-
gno, e si procura che al tempo del ribrezzo
e' si trovi nel soglio. K se i\i pure I orripila-
mento il prende, faccia uulladimeno lo stesso
nelT espeltazione del quarto accesso, imperoc-
ché a questo modo si riesce talvolta a rimuo-
verlo. Se non fa nulla nemmeno il bagno,
mangi deàP aglio innanzi Inaccesso, ovvero be-
va acqua calda con pepe, lo quali cose muovói
no calore, pel (piale si esclude il ribrezzo. Di-
poi si ricopra prima che sopraggiunga il brivi-
do, siccome detto fu doversi taro nel freddo,
e si appongano subitamente sul corpo tutto
fomento di maggior forza preferendo mattoni
caldi e tizzoni spenti involli in pannolini. Se a
malgrado di tutto ciò ne vorrà il brivido, un-
gasi tutto il corpo sotto coperte con olio eal-
do, a cui sia parimente unita qualche sostanza
riscaldativi : e facciansegb* fregagioni laute
quante ne potrà sostenere, e in ispe/ialilà ai
piedi e alle mani, od in facendole l1 infermo
r a (tenga il fiato. Nò si deve sospendere, ancor-
ché ne venga il brivido perocché spesse volte la
ostinatezza nell' uso di ciò che giova, supera e
\ ince il malo.
So incontra che ei vomiti, irli si dee por-
gere acqua lepida; e sforzarlo i vomitar di
nUOVO, e far USO de' medesimi rimedi Tino a
che Y orrore non dia fine. Ma olirà questo ai
scioglierà il venire eu' erisleri. (piando Torro-
re tiri molto in lungo, attesoché anch' essi di
sgombrando il corpo, apportano giovamento.
Gli estremi rimedi appresso tutti questi sono
la gestazioni e la fregagione. Il nutrimento in
malattie di questa natura sia tale che favorisca
la scioltezza del ventre : e;inic glutinosa : t \i-
no, allorché sì darà, austero.
I
\V. Vili.
CurcUÌo q itotul'uinae. frbris.
CaP. \ui. — Della febbre quotidiana.
Haec ad • •min i cai i situi febrium perti-
inni : diteernendae (amen singulae sunt, sicul
rationem habenl dissimilem. Si quotidiana
iduo primo ma piopere ibsl inere opoi
set; tum cibis altero quoque dienti. si rea
baveli ■ l febrem experirì balneum
el v iiiiim ; magi que si horrore lublato li tee
apei est
Queste cose sf^artengono alle accessioni
d.llr febbri ì'i generale; necessario però • di-
stinguere le singole specie in quanto che cia-
scuna li» mi iip" proprio e particolare. Se è
cotidians bisogna ai primi tre dì stare in gran-
de astinenza, indi prendere alimento ogni duo
di s> la lebbre e già in \ eei I o.i la. tentare do-
po r accesso il bagno e il vino, tanto più se es-
sa sussiste, eziandio rimesso il brivido.
< ve viv — ('a rut io tiri intuir fièHt.
Si
e
— Pclla febbre terzana.
•i \ • ro tei i, ni i. •ni ••■ e\ loto "ii. i mitili. Se poi •• terzana squisitamente intemm-
■ut quartana < l liis diebus, el ambula- tenti ovvero quartana, fa d'uopo ni dì in-
tionibus uti oportet, aliisque exerciutionibu (are altri esercizi e le
il unctionibus. Quidam ex antiquioribus rae-
dicis Cleophanlus, in hoc genere morborum,
inulto ante accessionem, per caput aegrum
multa ealida aqua perfundebat, deinde vinum
dabat. Quod, quamvis pleiaque ejus viri prae-
cepta secutus est Asclepiades , recte tamen
praeteril : est enim anceps. Ipse, si tertiana fe-
bris est, tertio die post accessionem dici! al-
vuin duci ©pectore; quinto, post horrorem
vomitimi elicere ; deinde post febrem, sicut ilìi
mos fiat, adhuc calidis dare cibimi et vinum;
sesto die, in lectulo detineri : sic enim fore,
ne septimo die febris accedat. Id saepe fieri
posse, verisimile est. Tulius tamen est, ut hoc
ipso ordine ulanmr, tria remedia, vomitus, al-
vi ductionis, vini, per triduum, id est, die ter-
tio, et quinto, et septimo tentare : nec binimi,
nisi post accessionem, die septimo bibat.
Si vero primis diebus discussus morbus non
est, inciditque in vetustatem, quo die febris ex-
spectabitur,in ledalo se contineat: post febrem
periricetur: tum, cibo assumpto, bibat aquam;
postero die, qui vacai, ab exercitalione un-
elioneque aqua, tantum contento», conquie-
scat. Et id quidem optimum est. Si vero im-
becillilas urgebit, et post febrem vinum, et
medio die paulum cibi debebit assumere.
medicina ioi
unzioni. Un certo C leofante* mèdico antichis-
simo, spargeva in queste affezioni molt1 acqua
calda sul capo del malato, dipoi davagli del
vino. Asclepiade avvegnaché abbia quasi sem-
pre seguiti i precelli di quest'autore, tutta-
volta lia lodevolmente trascurato questo rime-
dio, siccome dubbioso e incerto. Egli, se la
lebbre è terzana, dice, doversi al terzo dì do-
po T accesso provocare il vomito : infine dopo
la febbre sussistendo ancora il caldo suo por-
gere alimenti e vino, siccome era uso di fare :
al sesto trattenersi in letto : di tal modo esti-
mava che la febbre non dovesse al settimo ri-
tornare. Egli è verisimile che ciò possa alcuna
volta addivenire. Più sicuro però si è con que-
st1 ordine far uso di tre rimedi, vomito, criste-
ri e vino per tre dì, cioè il terzo e il quinto e
il settimo: ne bere vino se non dopo il paros-
sismo del settimo giorno.
Se il male non resta vinto ai primi dì, ma
va invecchiando, deve F ammalalo nel giorno
in cui aspetta ^'accesso, tenersi in letto : dopo
la febbre si facciano le fregagioni, indi mangia-
to che abbia, beva acqua, e al susseguente dì
in cui è vacuo della febbre, si riposi da ogni e-
sercitamenlo e dall'unzione, ristringendosi sol-
tanto a bere dell'acqua. E questo è certamen-
te il meglio. Se poi proverà grave debolezza,
dovrà dopo la febbre prender del vino, e a
mezza giornata un poco d'alimento.
Caput xv. — Curatio quartanae febris. Cap. xv. — Della febbre quartana.
Eadem in quartana facienda sunl. Sed
rum haec tarde admoduun finiatur, nisi primis
dieljus discussa est, diligentius ab inilio prae-
cipiendum est, quid in ea fieri debeat. Igitur
si cui cum horrore febris accessit, eaque de-
siil. eodem die et postero tertioque continere
« ' debel, ci aquam lantumniodo calidam pri-
mo die post febrem sumere; biduo proximo,
quantum fieripotest . ne hanc quidem. Si quar-
to die cum horrore febris revertitur,vomere,sic
ut ante praeceplum est ; deinde post febrem,
modicum cibum sumere, vini quadratitela ;
postero tertioque die abstinere, aqua tant am-
modo (alida, si silis est. assuuipia. Septimo die
balneo frigus praevenire ; si febris redierit,
ducere alvum ; ubi ex co corpus conquieverit,
in unclione vehernenter perfricari ; eodem
modo sumere cibum ci vinum ; biduo proxi-
mo-se abstinere, frictione servala. Decimo die
rursus balneum experiri; ci, .si postea febris
accessit, aeque perfricari, vinum copiosius bi-
bere. Ac si pròximum est, ni quies tot dierum
et abslinentia cura ceteris, quae praeeipiun-
tur, febrem tollant. Si vero nibilominus rema-
nei. alimi ex loto sequendura esl curationfo
genus ; tdque agendum, ut, quod din snsii-
hendura est, corpus fatile sustineat. Quo mi-
nili eiiam curatio probari Heraclidis Tarentini
Le medesime cose si devono fare nella quar-
tana. Ma poiché suol essa durar lungo tempo
salvochè non sia fugata in principio, d'uopo
è al suo primo comparire, attentamente deli-
berare quello che vi si debba fare. Se la feb-
bre imperlanlo si affaccia con ribrezzo, subito
ebe è venuta meno, deve il malato stare in
quiete quel medesimo dì, e il susseguente e il
terzo, e prendere solamente dopo la febbre al
primo dì dell'acqua calda, e ne' due susse-
guenti neppur questa se è, possibile. Se al
quarto ritorna la febbre con ribrezzo, recere
com'è prescritto di sopra, indi cessata la feb-
bre prendere un modico cibo, ed un quartuc-
cio di vino : il giorno dopo e il terzo si are in a-
slinenza. bevendo solo, se ha sete, dell'acqua
calda. Nel settimo giorno si deve col bagno
prevenire il freddo, e se la febbre tornasse,
fare un cristeo, e quando il corpo si sarà dopo
tulio questo poslo in calma, farsi nell'unzione
fortemente strofinare, e nel medesimo modo
mangiare, e bere vino ; nei due dì susseguenti
stare in astinenza, ma seguitare la fregagione.
Nel decimo provare nuovamente il bagno, e
se in appresso ritorna la febbre, (are simi-
glian temente le strofina/ioni, e bere vino più
copiosamente. Cosi avverrà cke il riposo di
lanli giorni, e l'astinenza giunta alle allre pn -
debet, q-ii primis diebui dneendam alvum,
deiode abstinendam in septimura diero dixit.
Onci, ut suslinere aKquis possit, tamen, etiam
fobre Liberatus, vii rel'eeiioni valebit : adeo, si
febris saepius aecesserit , concidet Igitur si
tcrlio decimo die morbus manebit, balncum
ncque aule fefcrem, ncque post eam tentan-
dum erit ; uìm interdum jam horrore discus-
so : horror ipse per ea, quac supra scripta
sunt, expugnandus. Beinde post febremopor-
lebit ungi, el vebementer perfricari ; cibum
et validum, el fortiter assumere; vino ali
quantum libebtl : posterò die, cum satis quie-
\erit. ambulare, exereeri. ungi, perfricari for-
titer, cibimi capere sinc vino: tertio die absti-
n. iv. Quo die vero febrem exspeelabit, ante
■urgere, et exereeri, dareque operano, ut hi
ipsani exercitationera febris tempus incurrat:
sic enim saepe Illa discutitor. Ai si io opere
occupavi!, timi demoni se recipere. In ejus-
modi valetudine medicamenta sunt, oleum,
frictio, exereitatio, eibus, vimini. Si venter
adstrictus est, solvendus est. Sed haec facile
validiores faeiunt : si imbecillitas oceupavit,
pio exercitatione gestatio est: si ne liane qui-
d( ni suétinet, adhibenda tamen frictio est: si
haec quoque vehemens onerai, intra quietem
et nnctionem el cibami sistendum est ; danda-
■ue opera est, ne qua cruditas in quotidianam
id inalimi verta L \am quartana neniinem ju-
gulal : sed si ex ea facta quotidiana est. in ma-
lli aeger est : qnod tamen, Disi culpa vcl aegri
a vi ( in antisj umquam hi.
(..w. IVI. — Curar in (ìuarutn quartana-
Sì sì duae quartanac tunt, ncqui
quii proposut, exen itationcsadhiberi possunt;
;nii «\ I-.I-. quiesi < i e opus est, aut, si id diffi
I, leni ter ambulare ; considera diligen-
icr involutii pedibus el capite; quoliei febris
• ibum modicum Mimi
\ inii'ii ; i . !iqno ti i imbecillitai nr -
ibstinare. \ I li dune febres pene jun-
guntur. pò i utramqoe cibum sumere: deinde
1 1 movei i -ili pili et p
LIO
scritte cose, cacciano la febbre. Se. a malgrado
questo, la febbre persiste, allora ibrz'è gii tarsi
ad una medicina al tutto contraria, e adope-
rare sì che il corpo facilmente sopporti un male
che deve durar Lungo tempo. Quanto manco
perciò è d'approvare la medicatura di Eradi-
de da Taranto, il quale ai primi dì insegnava
doversi muovere di ventre co'lavativi, indi fa-
re astinenza fino al settimo dì. La quale asti-
nenza ove pure altri sopportar la potesse, a
gran disagio potrebbe, ancoraché liberato
dalla febbre, rimettersi in forze, e tanto più
decadrebbe, se gli accessi febbrili si ripetesse-
ro molle volte. Se adunque la febbre rimarrà
lino al decimoterzo giorno, non dovrà pro-
varsi il bagno né aranti ne dopo la febbre,
tranne che il brivido non sia già tolto di mezzo:
il brivido istesso vineesi per quei rimedi che si
sono esposti di sopra. Dipoi eessala la febbre
gioverà ungersi, e con violenza strofinarsi ,
prendere alimento nutritivo e copioso, bere
vino a sua posta ; nel susseguente dì dopo es-
sersi baslevoliiiente riposato, passeggiare, e-
sercitarsi, ungersi, e fortemente strofinarsi)
mangiare senza bere vino, e il terzo dì aste-
nersi. In quel giorno in che si aspetta la leb-
bre, prima levarsi dal letto ed esercitarsi, e
far che il tempo dell1 accesso cada Dell1 eserci-
zio istesso : perocché in tal guisa spesse Tolte
distogliesi. Ma se. nonostantel'accesso, soprag-
giunge nell'ano dell'esercitarsi, allora poi con-
viene darsi al riposo. In questa infermità i ri-
medi sono Polio, la fregagione, V esercizio, il
cibo, il vino. Se il ventre è costipato, devesi
tenerlo sciolto, Ma queste cose agevolmente l«i
fanno i soggetti robusti : a rincontro se \ lia
debolezza, tenga luogo d'esercizio la gestazio-
ne, e se non potrà ut anche sopportar questa,
(ara la fregagione : ove essa pure alquanto ga-
gliarda lo aggravi, forza è ristringersi al rw
poso, all'unzione, al nutrimento : ed aver cura
Che questo male per indigestione non trapassi
in lebbre eolidiana. Che la quintana ninno
ammazza, ma se essa si cambia in cotidiana, il
malato si ritrova i mal partito: il che però
non addiviene, se non per colpa dell' infermo
0 del curante.
Ca»i ìvl — Della quartana doppia.
Ma se l.i quai lana <• doppia, e se non si
possono usare quegli esercizi che io proposi,
.i bisogna riposarsi interamente, ovvero se ciò
.'• malagevole, pianamente passeggiare, poi se-
derai tenendo ben coperti i piedi e la testa:
tutte le volte che venuta e terminata è un1 ac-
ie, pigliare un moderato cibo e del \ i -
no, <• nel rimanente tempo astenersi, se non
prevale fiacchezza di forze* Ma te le due ac-
cessioni quasi si to< i uno prendere alimento
sci dopo la fine d' entrambi s quindi nell uvj
DKLI.A UBO ICC* A
io3
•tionem cibo uti. Cum vero vetus quartana
raro, uisi vere, solvatur ; utique eo tempore
attendendum est, ne quid fiat, quod valetudi-
nera impediat. Prodestque in vetere quartana
mutare subinde victus genus; a vino ad aquam,
ab aqua ad vinoni, a lenibus cibis ad acres,
ab acribus ad lenes transire ; esse radicem,
deinde vomere ; jureve pulii gallinacei ven-
trem resolvere ; oleo ad frictiones adjicere ca-
lcfacientia ; ante accessionem sorbere, vel ace-
ti cyalhos duos, Tel unum sinapis cum tribus
graeci vini salsi, vel mista paribus portioni-
bus, et in aqua diluta, piper, castoreum, laser
myrrbam. Per haec enim similiaque corpus
agitando» est, ut. moveatur ex eo statu, quo
detinetur. Si febris quievit., diu meminisse ejus
diei convenit; eoque vilare frigus calorem,
cruditalem, lassitudinem. Facile enim reverti-
lur, nui a sano aliquamdiu timetur.
Cap. ami. — Curatio quotìdianae febris^
quae ex quartana facto, est.
At si ex quartana, quotidiana facta est ;
cum id vilio incideril, per biduum abstinere
oportet, et friclioue uti ; aquam tantirmmodo
vespere potui dare. Tertio die saepe fìt, ne fe-
btis accedat: sed sive fuit, sive non fuit, cibus
post accessionis tempus est dandus ; et si nia-
net, per biduum abstinenlia, quarta maxima
imperali eorpori potest, et frictione quolidie
uleudum est.
tervallo degli accessi e muoversi alquanto, e
appresso L'unzione mangiare. Siccome poi ra-
ro è che un'inveterata quartana si sciolga pri-
ma della primavera, così è da schifare in quel
tempo tutto ciò che frastornar ne possa la
guarigione. E giova nell'invecchiata quartana
cambiare di tanto in tanto qualità di vitto ;
passar dal vino all'acqua, e da questa a quel-
lo ; dai blandi alimenti ad alimenti irritanti,
e da questi ritornare vicendevolmente a quel-
li : mangiare del rafano, poi vomitare; o
muovere il ventre con brodo di pollo : all'olio
per le fregagioni aggiugnere droghe riscal-
danti : innanzi l'accesso sorbire due bicchieri
d1 aceto e uno con senape e tre parti di vino
salso greco : ovvero uniti in egual porzione, e
nell'acqua disciolti, pepe, castoro, laserpizio e
mina. Per queste ed altre simigliatiti cose si
deve agitare e perturbare il corpo onde si ri-
muova da quello stato in che è rat tenuto. Se
la febbre è troncata, d'uopo è ricordarsi lun-
ga pezza il dì dall'accessione, e in quello schi-
vare il freddo, il caldo, l'indigestione ed la so-
verchia fatica. Che di lieve ritorna, ov' anche
dalla risanata persona non si abbiano per un
certo tempo i debiti riguardi.
Cap. xvn. — Della febbre cotidiana derivata
dalla quartana.
Se la febbre di quartana si è falla coti-
diana, appena che ciò interviene, bisogna per
due giorni astenersi, fare fregagioni, e bere
alla sera solamente dell'acqua. Assai sovente
incontra che al terzo dì la febbre non eom-
paja ; ma compaja, o no, il nutrimento vuoisi
dare trascorso il tempo del parossismo ; e se
essa sussiste, si convien ordinare la più gran-
de astinenza che si può imporre ad un uomo,
ed ogni dì praticare le fregagioni.
Caput xviii. — De tribus insaniae generi- Cap. xvm. — Delle tre generazioni di follia^
bus : et primo de ejus curationt, quae a e prima della cura di quella che da Gre-
graecis (pfé'vwriv dicitur. ci è detta frenesia.
Et febrium quidem curatio exposila est.
Supersunt vero alii corporis affectus, qui huic
superveniunt : ex quibus eos, qui certis parti-*
bus attignavi non possunt, protinus jungam.
Incipiam ab insania, primamque hujus ipsius
pattern aggrediar, quae et acuta, et in febre
est : Qfév»<rtv Graeci appellant. lllud ante o-
mnia icire oportet, interdirai in accessione
aegros desipere, et Locrai aliena. Quod non
quidem leve est ; ncque incidere potest, nisi in
febre rettemeli ti: non lamen aeqnae pestiferum
esl ; nani plerumque breve esse consiievit, ie-
vatoque accessionis impedì, protinus mens re-
dit. .Ncque iil genus morbi remedium aliud
detiderat, quam quod in enranda febre prae*
ceptum esl. Phreuesis vero Lum demmo est,
Ed ecco esposta la cura delle febbri. Ma
ad altri morbi va soggetto il corpo, fra i quali
intendo ragionar prima di quelli che a deter-
minate sedi non si possono ascrivere. E mi fa-
rò dalla demenza, primamente dicendo della
prima specie di questo genere che costituisci;
un morbo acuto e febbrile, dai Greci nomato
frenesia. Innanzi tulio si conviene sapere co-
me alcuna volta i malati nell'accesso farneti-
cano, e non connettono ne' loro discorsi, il
che non è lieve per certo : né ciò avvenir suo-
le che in una febbre sommamente gagliarda,
nulladimeno non è segno assolutamente fatale
.scudo per lo più breve, e la niente torna chia-
ra e serena tosto die si attuta V impeto della
febbre. Questa morbosa al'le/.ione non altro
1 8 \ CELSO
rum conlinu>i dementia osse incipit : autcom
ae^cr, quamvis adhaò sapiat, lamen quasdam
vanaa imaginel aceipil : per ice la est. ubi incus
illis iinaginibus addici a est.
Ejus antera pinta genera sunl ; siquidem
CX phrenelieis alii hilarcs. alii Iristqs sunl ; alii
iacilius continentur. et intra Verbo desipiunt,
alii consurguftt, et \iolenter quaedam maini
ta'-innt ; atipie ex bis ipsis alii nihil nisi im-
pelli peccanl. alii eliam arles adhibenl. sum-
uiamque speciem sanitaria in captandis malo-
rum operimi oecasionibus praebent ; sed exilu
deprehendttntnr.
El liis aulcm cos, qui intra verba desipiuni,
ani levi ter eliam marni peccanti, onerare aspe-
riorìbus coercitionihns saperi aeuofm est : èos
vero, qui \ i'dentiiis se geront, viueire nnivc-
nit, ne vel sibi vel alteri noceant. Neqae cre-
dendoli] est, si vinctusaliquis, dum levaci vin-
culis cupit, qnamvis prudenter et miserabili-
ter loquitur ; qoetturai is dolus insaqientis est.
Fere vero antiqui tales aegros in tenebrìa ha-
bebanl ; eo quod illis contrarium esse*, e\i« r-
reri, et ad quielem animi tenobras ipsas con-
ferre aliquid jndicabant Vi àaclepiades, tam-
quau tenebra ipsis terrentibua, in Lamine ha-
bendos eoa dixit. Neutrino autem perpetuum
est: alium enim lux. alium tenebrai- magis
turbanl : reperiunturque, in quibus nnllum
discriraen deprehendi, Tei hoc. tei ilio modo
possit. Optimum itaque est, ufrunnpie expe-
rii i : et bahere som, qui tenebras Imi rei. in
Ime: inni. qiM luccio, in tenebri S. \l ubi nnl-
lum tale divi mici) evi. BegeT, si vireshabel,
loco lucido ; si non li.ibel, obscuro continen-
ti us est.
Hemedii vero adliibere, ubi m;i\iine fu-
rof argot, lupervacuura est: simul enira fe-
bus quoque incresciL llaque tura nihil nìsì
eontmenuus aeger cet : ubi rero reepetilur,
festinanti r lebveniendum est. /ksclepiades per-
niile esse ,li\ii . |,,s languineni imiti, bc si
t' addentai ; i ..h ni beni s. rulli., quod nc-
que mtanii <ss. i. niai febre intenta ; ncque
sangui*, nisi iu remissione « iju . reete mittere-
tui Sed ipse in> bis somnum multa f rie t ione
ii ; i uni ci intentio i- brìs somnum im-
pediate et frictio non nisi in remissione ejui
ntilii wi. Itaque hoc quoque auxilium debu il
; «,» ' 1 1 « I igitur esl .' Multa iti pi ae< i-
pili p- 1 ii ni', i». i<- final aliai omiMi nd « l I
i •uiiuu.i . 1 1 1 i |U4 fi bi i • bah i tt mpora, » ju i-
rbnedio a Idimanda che quello ehe fu pre-
seritto nella cura della febbre. Vera frenesìa
poi si ha allorché comincia ad esservi una
continuata demenza, ovvero allorché l'am-
malalo avvegnaché per anche conscio di sé,
riceve alcune vane immagini; e perfetta fre-
nesia è allorquando la metile è assorta tutta
quanta in colali impressioni ed immagini.
Questa interinila è di molte specie, pe-
rocché Ira i frenetici altri sono allegri, altri
melanconici : ali ri docili, e sol folleggiano nei
ragionari : altri si levano mi. c colle mani l'an-
no alcune cosca violenza ; altri ancora fra que-
sti non delinquane se non in quell'impeto; altri
mettono anche in opera le afetuxie mostrando
OBI apparente buon senno nel cogliere le oc-
casioni di eseguire rei disegni, ara ali1 atto
vengono discoperti.
Ora quelli tra questi che non istanno a
martello parlando, od eziandio che lievemente
trascorrono colle mani, non accade aggravare
d'aspri ra£freuamen ti; quei bensì convien le-
gare che si comportano a violenza, onde né a
sé, ne altrui rechino danno. Né si deve Credi
re ad un avvinto farnetico che brama essere
dai lacci smollo, quantunque umile e sommesso
e1 parli, perciocché «picsla è I' us. ita fui beli. i
dei malli, db antichi ritenevano ordinai ir-
niente colai inalali tra le lem Ine, estimando
clic essere spaventali fosse ai frenetici cos.,
dannosa, e che la tenebrìa Conferisse non po-
co alla calma dell1 animo. Asclepiade ali1 in-
contro avvisando le leni lue islcssr qnal ci
gione di spavento, volle si ritenessero, al gran
Òbiaro. Ninna però di queste cose è canone
fisso : imperocché altri è più molestato dalla
luce, altri più dall' oscurità : e s% incontrano
taluni pe" quali è indifferente lo starà alla lu-
ce, o al hujo. Quindi savissimo consiglio si
è provare ora ì" una , ora l'altro; e india
luce collocare chi abborre V oscurità e nel -
l'oscurila chi non può soffrir ki luce. Ma non
essendovi tal differenza, se I infermo è in fbi
ta ponassi in luogo Incurie . Inaio, scalili
melili ali1 "scuro
Inutile è adoperar rimedi nel colmo del
furore, imperocché anche la lebbre allora li
esal la e si accresce. Quindi non altro vuoi farsi
che tenere .■ freno il malato: ma subito ohe
lo si. ito del male il permette, si convien dai di
piglio ai rimedi. asclepiade diate che trar san-
irueai frenetici è lo slesso ehe spegnerli, gui-
dato «Iti considerare che la demenza non va
uni disgiunta da nolente febbre, e che il san-
gue ii< «il si può congruamente liana-, se non
in ll.i remissione. In vece egli itudiavasì di
conciliare loro il sonno con lunghe fregagioni :
ma come l.i \iolcn/;i della lei. bri impedisce
il doinii re. e li fregagione convenevole non è
ie non nella dei (inazioni eoaii dot et le trascu-
ri h. questo pi< òdio. < !.. i.n « .nluu-
DELLA MEDICINA
oS
bus, etsi non remi t Ut, non lumen crescit : esl-
que hoc, ut non optimum, sic tamen secun-
duni remediis tempus. Quod si vires aegri pa-
tiuntur, sanguis quoque mitti debet. Minus
deliberari potest, aa alvus ducenda sit. Tum,
interposito die, convenit caput ad cutem ton-
dere ; deinde aqua fovere, in qua verbenae
aliquae decoctae sint ex reprimentibus ; aut
prius fovere, deinde tondere, et iterum fove-
re ; ac novissime rosa caput naresque imple-
re ; offerre etiam naribus rutam, ex aceto con-
tritara ; movere sternu tamen ta medicamentis
in id efficacibus. Quae tamen facienda sunt in
iis, quibus vires non desunt. Si vero imbecil-
litas est, rosa tantum caput, adjecto serpyllo,
similive aliquo , madefaciendum est. Utiles
etiam in quibuscunique viribus herbae duae
sunt, solanum et muralis, si simul ex utraque
succo expresso caput impletur. Cura se febris
remiserit, frictione utendum est ; parcius ta-
men in iis, qui nimis hilares, quain in iis, qui
nimis tristes sunt. Adversus omnium autem
sic insanientium animos gerere se prò cujus-
que natura necessarium est.Quorumdam enim
vani metus levandi sunt ; sicut in homine
praedivite famem timente incidit, cui subinde
falsae heredilates nuntiabantur : quorumdam
audacia cocrcenda est ; sicut in iis fit, in qui-
bus continendis plagae quoque adhihentur :
quorumdam eliam intempeslivus risus objur-
gatione et nimis finiendus: quorumdem di-
scutiendae trisles cogilationes ; ad quod sym-
pboniae, et cymbala, strepitusque proficiunt.
Saepius tamen assentiendum, quam repugnan-
duju est ; paulatimque, et non evidenter, ab
iis, quae stulte dicentur, ad meliora mens ad-
durrmi.i. Interdum eliam elicienda ipsius in-
teotio ; ut fit in hominibus studiosis littera-
i-iiiu. quibus libcr legitur, aut recte, si dele-
ctantur, aul perperam, si id ipsum eos ofifèn-
dit : emendando enim convertere auiaium iu-
cipinnt. Quin eliam recitare, si qua raemine-
runt, cogendi sunt. A.d cibum quoque quos-
dam non desiderantes reduxerunt ii, qui iu-
ter epulantes eos collocarunl.
Omnibus eero sicaffectissomnusetdimcilis,
< i praecipue necessarius est: sub hoc enim pie-
none sanescunt. Prodest ad id, atque etiam ad
uh nicin ipsam componendam, crociuum un-
Ceho.
(iue ? Molte cose si fanno veracemente a propo-
sito negasi precipitosi, che altrimenti fare non
si dovrebbero. La febbre continua ha pure i
suoi tempi, ne'' quali sebben non rimetta, non
si aumenta però, e questo è il tempo se uon il
migliore, idoneo almeno all'amministrazione
dei rimedi. Enel caso che le forze dell1 infermo
il permettano, devesi anche trar sangue. Man-
co è da stare perplessi, se debbasi evacuare
F alvo per via di cristeri. Dipoi trascorso un
giorno si convien radere la testa fino a cute,
indi fomentarla con acqua, entro cui siensi
bollile delle verbene di facoltà reprimente, ov-
vero prima fomentare, poscia radere, e da
capo tornare ali1 uso delle fornente, e ultima-
mente la testa e le narici ungere d1 olio ro-
sato : porgere alle nari ruta pestata tfoll'atee-
to, ed incitare sternuti con argomenti atti a
ciò, le quali cose nondimeno far devonsi in
coloro che non si trovano esausti di forze. Se
poi prevale la ^fiacchezza, umettare il capo
con olio rosato soltanto, unito al serpillo, o ad
alcun'altra simigliantecosa. Giovative sono an-
cora, comunque si ritrovino le forze, due pian-
te, il solano e la parielaria, quando espressone
il sugo, si sparge sul capo. Calando la febbre si
deve mettere in uso la fregagione,ma parcamen-
te però in que1 che sono troppo ilari, anziché
ne1 troppo tristi. Necessario è poi governarsi
verso gli animi di tutti i deliranti di questa
specie a seconda della natura di ciascuno. Im-
perocché si conviene rimuovere le vane te-
menze di certuni, siccome accadde in nomo
ricchissimo temente la fame, al quale dì tanto
in lauto si annunziavano delle false eredi! à. Di
alcuni mestiero è raffrenare l'audacia, siccome
fassi in coloro per temperare i quali si adoppi-
no persino le battiture: di certi altri si vogliono
rintuzzare anco le intempestive risa coi ripren-
dimeli ti e colle minacce: dall'animo diaìtri d'uo-
po è cacciar via i tetri e malanconici pensieri, al
clic mollo son confacevoli i musicali concenti e
il suono de1 cembali e i susurri. Deonsi con-
tuttociò più spesso assecondare che non con-
trariare, ed a [loco a poco, e non già indiscre-
tamente s1 ha a ricondurre la mente dalla stol-
tezza alla retta ragione. Qualche volta ezian-
dio richiamar giova la loro attenzione siccome
si fa cogli amatori delle lei lete, ai quali si leg-^'
gè un Mino bene, se gli diletta, o malamente
se lai lezione gli disturba ed annoja. percioc-
ché coli1 emendare corniciano a riflettere é
prestare attenzione. Di più si sforzino anche
a recitare a memoria, se mai si risovvengono
di alcuna cosa. Alcuni ricusatiti ogni alimen-
to, si sono infine traili a mangiare colPaverli
(aiti sedere Ira banchettanti persone.
I pazienti di (-osi Patta infermità quanto
è difficili; che dormano, altrettanto necessario
e loro il dormire stante che sogliono i più di
essi dormendo sanare. Giova ad invitare ~A
IoG GELSO
guentum cum irino in caput datimi. Si nihilo-
minus vigila nt,quidam sommino moliuntur po-
tili dand ) aquam, in qua papaver aut hyoscya-
musdecocta sii : aliimandragorae mala pul vi-
no subjiciiml : alii vel amomum, vel sycamini
lacrymara fronti inducant. Hocnomen apud
me licos reperio; sed cum Graeoì morum c-vv.ó.-
i ipellant, mori nulla lacryma est. Sic
atur lacryroa arboris in JEgypto
.un il>i fxofOTuxov appellane Plu-
rimi d ; iveris corlicibus, ex ea aqua
caput subinde fovent. àsclepiar
supervacua esse dixil ; quoniam in le-
11 saepe converterent. Praecepit autem
ni primo die, a cibo, polione, sonino abstine-
retur; vesnere ei daretnr potui aqua; tum
frictio admoveretur tenia, ut ne manum qui-
dem, qui perfricaret, Tehementer imprime-
rei ; postero deinde die, iisdém omnibus fa-
ci daretur sorbitio et aqua, rur-
trictio adbiberetur : per liane enim nos
rturos, ul somnus acceda t Idinterdum
! », ut, ilio confitente, nimia
frictio etiam lethargi periculum afferà t. Scd si
anus non accessit, tum demum illis me-
mdus esl : babita sedie il ea-
1 atione, quae bic quoque necessaria
ri obdormire volumus, excitare
tnus. Conferì etiara aliquid
iiiiiu silanus juxta cadens ; vel gesta tio
i isl cibum, et noctu ; maximeque suspensi le-
i- ti motus.
.si neque languii
neque mena constai, do-
ipitio inciso cucurbi-
I quae quia l« \.it naorbum,
Mofleratio
bo quoque adbibenda esl : Dam
■ •• ' . ne intaniti | ne-
qu< jejunio utique vexandut, ne imbecillitale
in cardiacum incida t. Opus est i il"1 infirmo,
mai imeque ! ione tquae mulste,
I ... me qua ter tettata
. • nuod ipa-
ti'iii I • re sin tebre inci-
pit, I' • ir. ( Sonsittil
Hi .-.ii.i conti the-
sonno, ed anche a racquietar la mente V un-
guento di croco coli* irino applicato alla te-
si.!. Se a malgrado ciò la veglh persiste, al-
cuni costumano provocare il sonno, dando a
bere dell1 acqua in cui sieno bollili papaveri
o jusquiarao: altri mettono sotto all' origliere
bacche di mandragora : altri pongono sulla
fronte amomo, ovvero gomma di sicamino.
Io riscontro questo nome presso gli scrittori
di medicina, ma i Greci denominando sicami-
no il moro, esso non rende lagrima che sia.
Però con questo nome disegnala viene la la-
grima di un arbore indigeno dell'Egitto, chia-
mato colà sicomoro. Molti coli1 acqua , in
che ha bollito la corteccia del papavero, van-
no facendo mercè una spugna fornente alla
testa e sul volto. Àsclcpiade sostenne queste
cose essere pericolose, perciocché spese volte
fanno mutare la frenesia in letargo. Insegnò
quindi che il primo dì dovesse L'ammalalo
astenersi dal bere, dal mangiare e dal dormi-
re : che alla sera se gli porgesse acqua a be-
ve : indisi sottomettesse ad una fregagione
soavissima in tanto che la mano stropicciati-
le non oprasse che una piacevole e dolce im-
pressione : il dì susseguente dipoi, ripetute que-
ste medesime cose, se gli amministrasse verso
sera brodo e acqua, e da capo si tornasse al-
l'uso della fregagione, per la quale noi facil-
mente conseguiremo che il sonno si affacci. Il
(piale alcuna fiala avviene, e sì profondo, che, a
detta di ksclepiade medesimo, può il troppo uso
• Ielle fregagioni condurre fino anche il perico-
lo di letargia. Ma ove pur il sonno non si
presenti, allora finalmente mestiero è incitar-
lo coi lucilie;, menti dinanzi proposti, usando
per altro la medesima moderanza che in que-
sto caso è necessariamente richiesta, per tema
non si possa più risvegliare chi solo voleasi far
dormire. Conferisce ■ conciliare il sonno an-
che un1 tcqna cadente preSSO ti malato; e
l'agitazione andando in lettiga dopo il cibo
e di scia, e sopra Ogn1 altra cosa I oscillamen-
to di wìì 1 I lo pensile.
Né e fuor di proprositQ, quando non siasi
prima cavato sai joe, né la incute serena, ne
il sonno comparso^ pori-cuna coppetta scari-
ficata alla \n\c.[. la quale poiché alleg
il male, pud anche procurare il sonno. Vuoisi
anco rispetto al nut riiuento uarc modi razio-
ne, imperocché né riempii' devesi il malato,
affinché non deliri, né col digiuna vessarlo,
onde pei di bolezzà non \en va i cadere in Ai-
liqno, Necessario è un sottii nutrimento, e
principalmente I" oso dei brodi e per bibita
dellt inni a. di che e a siiffìeicn/a darne di Vel-
ilo tre bicchieri due volte <• quattro la estate.
l ii altro genere di demenza che si pro-
trae più lungo tempo, perno bè ordinariamen*
te incomincia senza febbre, dipoi incita I. frgie-
ri febbriciatole, e consiste in una tristezza che
re. In hac utilis detractio sanguinis est : si
quid hanc prohibet, secunda, per album ve-
ra Iru.u vomkumque purgatio. Post utrumli-
bet. adhibenda bis die iridio est ; si magis
valet, frequens e tiara exercitalio ; in jejuno
vomitus : cibus, sine vino dandus ex media
matèria est. Quara qtioties posuero, sotre li-
cet, etiam ex infirmissima dati posse ; durane
ea sola quisulatur : valentissima tantummodo
esse removenda. Praeter baec, servanda al-
vus est quam tenerrima ; removendi terrores,
et potius bonas spes afferenda ; quaerendo dc-
lectatio ex fabulis kulisque, quibus maxime
capi sanus assueverat ; laudanda, si.qua sunt,
ipsius opera, etante oculos ejus ponenda ; le-
viter objurganda vana tristitia ; subinde ad-
monendus, in iis ipsis rebus, quae sollicilant,
cur potius laetiliae, quam sollicitudinis caus-
sa sit. Si febris quoque accessit, sicut aliae fe-
bres curanda est.
Tertium genus insaniae est ex bis lon-
gissimum ; adeo ut vitam ipsam non impe-
diat : quod robusti corporis esse consuevit.
Hujus autem ipsius species duae sunt. Nani
quidam imaginibus , non mente falluntur ;
quales insanientem Àjacera vel Orestem per-
cepisse poetae ferunt : quidam animo desi-
piunt. Si imagines fallunt, ante omnia vi-
dendum est, tristes an bilares sint. In tristi-
lia, nigrum veratrum dejectionis caussa ; in
h ilari tate, album, ad vomitum excitandum,
dari debel : idqne, si in potione non accipit,
pani adjiciemlum e t, «pio facilius fallat. Nani
si bene se purgaverit, ex magna parte mor-
bum levabit. Èrgo etiam si semel datura ve-
ratrum parum profecerit, interposito tempore
iterum dari debet. Ncque ignorare oportct,
leviorum esse morbum rum risii, quam serio
insanientium. lllud quoque perpetuimi est in
omnibus morbis, ubi ab inferiore parte pur-
gandus aliquis est, venlrcm ejus ante solven-
dum esse ; ubi a superiore comprimendum.
Sisero consilium insanientem fallii, tormen-
ta quibusdara optime curatur. Ubi perperam
aliqnid dixit, ani fecit: fame, vinculis, pla-
gts coercendus est. Cogendus est et attendere,
ei e'discere aliquid, et meminisse : sic enim
liei, ut paulaiini metti cogatur considerare,
quid factat. Sul/ilo etiam terreri, et expave-
leere, in hoc morbo (yrodesl : el U'vv quidquid
aiiiiiiurri rehemenler perturbat. Potest enim
quaedam fieri mula I io, cum ab co stalo niens,
in quo fnerai. abducta est. Interest etiam, ia
incesine caussa subinde rideai, au moestui
deroissnsque sii : nam demens Kilaritas terro-
i'i)iis iis. de quibus sopra dixi, melius cura-
MEDICINA io7
sembra procedere dall1 atrabile. In quest' affe-
zione profittevole è la missione del sangue. Cbe
se alcuna circostanza vietasse il farla, prima ne-
cessario è l'astenersi, dipoi purgarsi con l'ellebo-
ro bianco e col vomito, e fatte entrambe queste
cose si praticberà due volte il dì la fregagione: se
il malato è forte e vigoroso, utile è pure un fre-
quente esercizio, il vomito a digiuno, e un cibo
senza vino, di mezzana hùtritura. Ogni volta
eh' io ragionerò degli alimenti di questa quali-
tà, giova sapere cbe si possono dare anche di
debolissima nutritimi. purché non si usino so-
li, esclusi soltanto quelli della più forte. Oltra
tutto questo, usar si vuole ogni studio di man-
tenere lubrico il ventre, fugare dall'animo del
malato ogni timore, anzi suggerirgli motivi di
buona speranza : divertirlo con novelle e giuo-
chi, de' quali soleva dilettarsi da sano ; enco-
miare le opere loro, se ne hanno qualcuna, e
mettergliele dinanzi agii occhi : riprendere
dolcemente la*vana loro melanconia ; quindi
far loro sentire che in quelle cose istesse per
cui si affannano non è motivo di afflizione,
ma d' allegrezza. Se sopravviene la febbre, si
curerà siccome le altre febbri.
Altra razza pur avvi di pazzia assai più-
durevole in tanto cbe non reca impedimento
niuno al proprio vivere. E questa usa cogliere
i temperamenti robusti. Due ne sono le specie.
Altri sono illusi da vani fantasmi senza essere
alienali della mente, tale appunto era Y insa-
nia di Ajace e d' Oreste siccome riferiscono i
poeti ; altri hanno alienata la mente. Se sono
ingannati da false immagini, prima di tutto si
vuol osservare, se melanconici, ovvero allegri.
Nella melanconia bisogna amministrare Pelle-
boro nero a provocare le egestioni ; nell1 ila-
rità il bianco ad incitare il vomito : e se l' in-
fermo non lo vuol prendere in bevanda, si u-
nisce al pane, onde più facilmente ingannarlo.
Che se ben bene si purgherà, la malattia ver-
rà in gran parte a cessare. Il perchè se V elle-
boro dato una sola volta poco giovò, trascorso
alcun tempo si tornerà a reiterarne 1' ammini-
strazione. Rileva sapere essere la pazzia alle-
gra più lieve ehe la melanconica. E regola co-
stante in tutte Le malattie ehe se vuoisi purga-
re qualcuno per di so-ìto, se gli deve prima
sciogliere il ventre;, e se per di sopra, devesi
ristringere. Se poi l'ammalato vaneggia per
alienazione di mente, ottimamente si cura eoa
certi tormenti : e ove dira o faccia fuori di
senno, si convien raffrenarlo eolla fame, coi
lacci, colle percosse. Si deve sforzare a stare
al Icnlo, ed apparare alcuna cosa, ed a rimem-
brarsela : così avvina che appoco appoco te-
mendo, forzalo sia a riflettere a ciò che fa.
Giova eziandio in questo male e l1 improvviso
terrore, e il subitano spavento, in una parola
tulio ciò cbe perturba, e scuote con veemenza
lo spirilo. Conciossiachè si j>uò così operare
CELSO
tur: si nimia tristilia est, prodesk lenis, seti
inulta bi* die iridio ; ilcni per capul aqua
frigida infusa, demissumque corpus in aquam
et oleum.
Illa communi» sunt : insanientes vebe-
menter exerceri deberì : multa frictione «ti;
neque pinguem cameni, neque vinum assu-
mere : «ibis nii post purgationem, ex media
materia, quam levissimis; nonoportere esse
rei solos, rei inter ignotos, rei inter eos,quoj
aut contemnant, ani negligant; mutare de-
bere regiones, el ri mens redit, annua pere-
grinatione esse jactandos.
Baro, sed aliquando tamen, e\ metu de-
lirium nascitur. Quod genns insanientium,
specie simile, similique victus genere curan-
dum «si : praeterquam quod in hoc insaniae
. n< re solo recte vinum da tur.
Caf. VX. — De cardiacis.
His morbis praedpue contrarium osi id
L'oiiii'.. quod xapcT/wxoV a Graecis nominnlur ;
quamvis saepe ad eum phrenetici transeunl :
siquidem meni in illis labat, in hoc constat.
Td autem nihil aliud est, quam nimia irabecil-
Iitas corporis, quod, stomaebo languente, im-
modico sudore digeritur. Licetque protinus
scire pi « ise, obi renarnm exigui imbecillique
pulsus sunl : sudor autem supra consnetudi-
■ i modo, el tempore, e\ toto thorace,
el i rvicibus, atque etiam capite prorumpit,
pedihns lantnramodo el cruribus siccioribus,
atque frigentibus. kcutique morbi genusest.
( mi. ilio prima est, snpra praecordia imponere,
primant, cata plasmata : secunda, sudo-
rera prohihere. Id praestal acerbura oleum,
i, rei mei imi ni. ani myrteum '• quorum
aliquo corpus leniter perungendum. ceratum-
que - \ aliquo horum tum imponendum <•>!.
Si rador vincit, delinendus homo osi rei g]
i rei < iraolia creta, \< I
etiam rabinde horum pulvere respergendus.
Idem praestal pulvis ex contritii aridi myrti
i ci rubi foli! . aul ei austeri el boni \ ini ari-
lia -uni. «pi. ir si de-
al dis cs». quilibel ex \ i.« pulì is in-
Super haec vero, quo noinui corpus
insudet. lei i reste deb( I li »co
1 i tenti bus, si,-, ni per*
fiatili quoque al iquii acceda t. Tertiura atrxi-
lium est, imbecillitati |a< entii i ibo i inoque
cambiamento tale, per cui la mente sia ritrat-
ta da quello stato, in che già era. Rileva anco-
ra se l'ammalalo a quando a (piando rida sen-
za cagione, o se giacesi avvilito e mesto : pe-
rocché la pazzia allegra vie meglio si cura per
quelle minacce che poco additilo io ricorda-
va : e se v'ha soverchia tristezza, fa prò una
blanda, ma lungamente continuata, fregagio-
ne reiterala due volte il giorno: ed ugual-
mente il versare sul capo acqua fredda, e il
corpo immergere in acqua ed olio.
E sono regole generali: doversi i demen-
tì gagliardamente esercitare, usar molto le
strofinazioni, non mangiare carne grassa, uè
bere vino, prendere appresso ia purga un ali-
mento de' leggierissimi della mezzana nutri-
tura : non lasciarli mai soli, né tra ignote per-
sone, o con quelle, cui non istimano, o tengo-
no a Vile : far loro spesso cambiar aria, e se la
mente ritorna serena tenergli ogn' anno occu-
pati e distratti in un ameno viaggio.
Raramente, ma pur lai fiala, dalla temen-
za ne nasce il delirio. 11 qual genere di follia
essendo della stessa specie de* sovrammento-
vatì, curasi col medesimo governo di vivere,
con questo divario che in questa sola maniera
d" insania Ottimamente si ministra il vino.
Cap. xix. — Della cardialgia.
A queste affezioni è in particolar modo
contraria quella specie di malattia, che \ i«'H
chiamata cardialgia dai Greci, quantunque
in <ssi soventi volte incorrano i frenetici; pe-
ne in quella la mente è perturbata e scon-
volta, in onesta a rincontro ferma e serena.
Questo male in nuli1 altro consiste che in una
estrema spossatezza del corpo, il quale, lan-
guidissimo essendo lo stomaco, si discioglie, e
stempera per soverchio sudore. A uolsi sapere
prima di tulio esservi siffatto malore, allor-
quando i polsi sono piccioli v debolissimi, il
sudore olirà il consueto, e pel modo e pel
tempo, dal tronco e dal (olio e fin dal capo si
effonde, asciutti e freddi sono i piedi e le ".nu-
be. E questo male è degli acuti. La cura pri-
ma sia nell" applicare sullo stomaco de' i .. li
plasmi riperciissivi ; dipoi arrestare il sudore.
\dii ipie a CIÒ V (dio acerbo, od il rosalo, o il
melino, od il mirtino, con alcuno de1 (piali
ugnare tlevesi dolcemente il corpo ; indi ip
poi* VÌ de! cerotto Composto ("li taluno di essi.
S.' il sndoi- persìste (le tesi spalmare la persona
di gesso, o ih lìiargìrio, o di iena ciraolia, od
i l.i di M" una o dell1 ali i.i «li que-
ste cose laii- in polvere. Vale egualmente a
qilcsl'uono la po]\nv delle fogli P snelle di
mirto o di rovo, o di feccia scia tri vino an-
noiente : e simiglienti .dire robe, in
i delle «piali e buona ani In- qualsia "-.dia
polvere de!!., strada giltafavi sopra. Olire a
succurrere. Gibus non multus quidem , sed
saepe tamen nocte ac die dantlus est, ut nu-
triat, neque oneret. Is esse debet ex infirmis-
sima materia, et stomacho aptus. Nisi si ne-
cesse est, ad vinum festinare non oportet : si
verendum est, ne deficiat, tum et intrita ex
hoc, et hoc ipsum austerum quidem, sed ta-
men tenue, meraculum, egelidum subinde et
liberaliter dandum est; adjecta polenta, si
modo is aeger parum cibi assumi t ; idque vi-
num esse debet, neque nullarum virium, nc-
que ingentium ; recteque tota die ac nocte,
vel tres heminas aeger bibet*, si vastius cor-
pus est, plus etiam. Si cibum non accipit, per-
unctum ante perfundere aqua frigida conve-
nit, et tum dare. Quod si stomachus resolu-
tus parum continet, et ante cibum, et post
cura sponte vomere oportet, rursusque post
vomitimi cibum sumere. Si ne id quidem man-
scrit, sorbere vini cyathum, inlerposifaque
hora sumere altcrum. Si id quoque stomachus
reddiderit, totum corpus bulbis conlritis su-
perillinendum est : qui, ubi inaruerunt, effi-
ciunt, ut vinum irt stomacho conlineatur, ex-
que eo toti corpori calor, venisque vis redeat.
Ultimum auxilium est, in alvum ptisanae vel
alicae cremorem ex inferioribus parlibus in-
dere : siquidem id quoque vires tuetur. Ne-
que alienum est, naribus quoque aestuantis
admovere, quod reficiat ; id est, rosam et vi-
num ; et si qua in extremis partibus fri-
gent, unctis et calidis manibus fovere. Per
quae si consequi potuimus, ut et sudoris im-
petus minuatur, et. vita prorogetur, incipit
jam tempus ipsum esse praesidio. Ubi in tuto
esse videtur, verendum tamen est, ne in eam-
dem imbecillitatem cito recida t : itaque, vino
tantum remoto, quolidie validiorem cibum
debet assumere, donec satis virum corpori re-
deat.
medicina 109
questa affinchè il corpo meno sudi, vuoisi te-
nerlo lievemente coperto, collocare il malato
in luogo non caldo con finestre aperte, onde
vi spiri e penetri pur alcun soffio d' aria. In
terzo luogo si deve provvedere alla spossatez-
za dell'infermo con nutrimento e vino. Por-
ger cibo non molto, ma spesso così la notte
come il dì, acciocché ristori e non aggravi.
Esso si conviene di sostanze leggerissime e
confacevoli allo stomaco. Se necessità non ci
stringe, non si deve troppo presto sommini-
strare il vino : se si teme non le forze venga-
no a mancare, mestiero è dare ad ogni poco o
del pane inzuppato nel vino, o lo slesso vino
austero però, ma leggiere, piuttosto puro, tal-
volta tiepido, e in copia, giuntavi, se l1 infer-
mo prende poco alimento, farina di grano to-
stato ; e questo vino non deve essere né trop-
po, né poco potente ; e l'infermo ne berrà ot-
timamente tra la notte e il dì tre emine, ed
anche di più se è di vasta corporatura. Se ri-
fiuta il cibo, unto innanzi il corpo, si deve a-
spergere d' acqua fredda, e allora gli si dà.
Che se lo stomaco illanguidito poco ritiene, si
convien che avanti o dopo il mangiare, spon-
taneamente vomiti, e appresso il vomito torni
da capo a prender cibo. E se neppur questo
sarà ritenuto, se gli farà bere un bicchier di
vino, e trascorsa un' ora ne berrà un altro, e
se anche questo verrà rigettato, si deve tutto
il corpo ricoprire, e spalmare di cipolle peste,
le quali, essiccandovi sopra, adoperano sì che
lo stomaco ritenga il vino, e così ritorni ih.
tutto il corpo il calore, e nei polsi la forza. Ul-
timo sovvenimento sono i cristeri di decozio-
ne d'orzo o di spelta, in quanto che tai cose
valgono a sostenere le forze. "Né è disutile re-
care al naso dello avvampante infermo cose
ristoranti siccome sarebbe olio rosato e vino,
e se fredde avesse le estreme parti si convien
fomentarle colle mani riscaldate e unte. Per
le quali provvidenze se ottener potremo che
si menomi il sudore, e si prolunghi la vita, già
il tempo che si è guadagnalo comincia esse
stesso ad essere un rimedio. Allorché e' sem-
bra fuori di pericolo, si deve tuttavia temere
che non ricada ad un Ira Ito nella medesima
spossatezza, perlochè lasciato soltanto il vino,
prenderà ogni dì un nutrimento più sostan-
zioso, infino a che il corpo non abbia ripreso
sufficienti forze.
Caput, xx. — De lethargicìs.
Alter quoque morbus est, aliter phrene-
tico contrarius. In eo diffieilior somnus, prom-
])i;i adornnem audaciam mena est; in hoc mar-
cor, et inexpugnabilis pene dormienti neces-
sit.is. AtiOapyov Graeci nominant. Aique id
quoque genus acutum est, et nisi snecurritur,
celeriter jogulat. llos aegroa quidam subinde
Cap. xx. — Della letargia.
Avvi un' altra malattia altrimenti con-
trari,! alla frenesia. In questa molto «Ufficile ;
il sonno, l'animo presto ad ogni audacia : il
quella v' ha languore ed abbattimento, ed u-
na (piasi insuperabile tendenza al sonno:!
Greci la dicono letargia. Essa è questa puffi
una specie diurnale acuto, e che uccide in pc~
elei tare nitunlur, admotis iis, per qnae ster-
nutaraenta evocantur, et iis, quae odore foedo
movent ; qualis est pix cruda, lana succida,
piper, vera tram, castoreum, acetum, album,
i epa. Juxta etiam galbanum incendunt, ani pi-
los, aut conni cervinum : .si id non est, quodli-
bel aliud. Uaec enini cimi comburuntur, odo-
rem tbeduni movenl. Tharrias vero quidam,
accessionis id malum esse di\it,levarique, cura
« \ decessi! : itaqae eos, qui subinde excitant,
sine usu male habere. Interest antera, in de-
pergiscatur aeger, an, cimi febris
non levetnr, ani levata quoque ea somnus ur-
geat. Nani ri expergiscitur, adhibere ei, ut so-
pito, supefvacuum esl : i.e.uie enim vigilando
inelio r iit ; sed per se, si raclior esl, vigilai.
Si vero conlinens ei somnns est, utique pxci-
landus est ; sed iis temporibus, quibus febris
levissima est. ut ci excernal aliquid, et sumat.
Rxcital antera validissime repente aqna frigi-
da infusa. Posi remissionem itaque,perunctuui
òleo inulto corpus, tribus ani. quatuor ampho-
ris totum per caput perfuudendum est. Sed
hoc utemur, si aequalis aegfo spiritus erit, si
mollia pi a ecordia : sin ali ter haec erunt, ea
poi ima. qnae supra compreliensa sunt. Et,
quod ad soranum qnidem pertinet, cornino-
dissima haec ratio est. Medendi antera caussa,
capai radendum ; deinde posca fovenduni est,
in qua laurus, aut ruta decocta sii : altero die
imponéndum castoreum, aut ruta e\ aceto
contrita, aul lauri baocae, aut Inderà cura ro-
tti el aceto, Praectpueqoe proficit, et ad exci-
landuni hominem, naribus admotum, et ad
norbura ipsum depellendum, capili frantivi
impositum sinapi. Gestatio etiam in hoc mor-
bo prodesl : maxiraeque opportune cibos fla-
tus, i'l est, in remissione, «pianta maxima in*
vinili poterit. Vptissiraa aulem sorbi tio est,
d morbus decrescere incipial : sie. ni si
quo lidie gravis accessio est, haec < j i •«> i i » ! i<- de-
tur : si altera is, p isl graviorem, sorbitio, posi
leviorem, i tulsa aqua. Vinum quoque cum
tempestivo cibo datum non mediocri ter adju-
\ai. Quod si posi longai febres ejnsmodi tor-
por accessit, cetera aadera serranda sunt sante
Bccessionem intem,tribusquatuorveboris,ca-
i. ti venter adsti ictus est, mixtum cum
leammonia ; si non est, per se ipsam «uni a-
|ua dandura est Si pi ai cordia mollia sunt,
ibis utendum est plenioribns; si «Ima. in
isdì mi lorbitionibus su itinendura ; bnponen-
lumque praecordiif, <pn.il simul et reprima 1
•i craoUiat.
L S O
co d'ora se non si corre incontanente al ripa-
ro. Alcuni si adoprano ad incitare tratto trat-
to i malati con sostanze provocanti la starnu-
tazione, e di quelle che muovono colla fetide/. -
za del loro odore, siccom' è la pece cruda, la
lana sucida, il pepe, T elleboro, il castoro, l'a-
ceto, l1 aglio, la cipolla. Abbruciano anche
presso al malato galbano, o peli, o corno di
cervo ; e in disagio dì questi qual siasi altra
cosa, che come loro abbruciando tramandino
fetido odore. Vii eerto Tania avvisò la letar-
gia essere un accesso di febbre, e dileguarsi al
unir di quello : e perciò poco esperti essere
coloro che si studiano di riscuotere di tanto in
tanto i letargici. Importa assai di notare, se
r ammalato si riscuota dal sonno, al terminar
dell1 accesso, o se continua comeché cessalo a
rimanerne aggravato. Imperocché se si risve-
glia è inutile curarlo come se fosse assopito,
meni re che non istarà meglio tenendolo sve-
gliato, ma se sta meglio, si desterà da sé. Se
poi il sonno lo occupa continuamente, allora si
che vuoisi desiare ; ma ciò tare eoiiviensi al
tempo in che la l'ebbre è lievissima, acciocché
egli il ventre Sgravi e prenda cibo. Desta \ i-
vamente l'acqua fredda gittata improvi Isa-
mente addosso. Dopo la declinazione pertanto
unto ben bene il corpo, si versano sul capo tre
o quattro anfore di aequa fredda. Ma ciò fare-
mo, se ha L'infermo eguale il respiro, e molli
i precordi ; che se altrimenti più appropriali
saranno i rimedi sposti più sopra. K perciò
che spella al sonno, questo è il più utile {:<)-
Verno. \d Oggetto DOI di curarlo, si rade il
capo. Indi si fomenta con posca, in cui sia sia-
to bolblo del lauro 0 della lilla. Nel susse-
guente di \i si apporrà del Castoro <> «Iella ru-
ta pestata cali' aceto, ovvero bacche «li lauro,
ovvero edera con olio rosalo ed aceto, e special-
mente vale ed a riscuotere «lai sonno, ed a \ ila-
cere la malattia is tessa la senape retala alle
nari e posta sul capo e sulla fronte, incora ri-
traesi giovamento dalla gestazione, e sopra
Ogni COSa fa bene il cibo acconciamente dalo
cioè (piando la febbri è nella massima remis-
sione. Non v'ha e. .sa più atta del brodo fino a
che il male non comincia i diminuire, cosic-
ché se ogni «li l' accesso è grave, si sommini-
stra Ogni «lì: e se ai inorili alterni, dopo il pili
grave il brodo, <• dopo il più'lieve L'acqua me-
lala. Lnche il vino «I ii" i suo tempo col cibo
presta non tenue aiuto. Se la letargia venne al
segnilo «li lunghe febbri, si dovranno pratica-
re l«- altre medesime cose : li devi dare tre <>
«piatirò ore innanzi l'accesso, se il venire è
costipato, < I '1 castoro mescolato alla scammo-
i e questi non v ' è, si t\.\ di per sé nell'a-
« qua. s<- i pi i ■« ordj sono molli, si deve far nso
<li alimenti sostanziosi ; se duri si stara ai soli
brodi, «• si ipplii bei à ai pi « eoi dj alcuna cosa
nolliente insieme, e i Ipen tissivo.
vullx aiEmeoA
GaplT xxi. — De hydropicis.
Gap. xx(. — Della idropisia.
Sed hic quidem acutus est morbus. Lon-
gus vero fieri potest, eorum, quos aqua in ter
cutem male habet ; nisi primis diebus discus-
sus est : ò fluirà Graeci vocant. Atque ejus
tres species sunt. Nam modo, ventre vehe-
menter intento, creber intus ex motu spiritus
sonus est : modo corpus inacquale est, tumo-
ribus aliter aliterque per totum id orienlibus:
modo intus in uterum aqua contrahitui% et
moto corpore ita movetur, ut impetus ejus
conspici possit. Primum rv^iiravirtw. secun-
dum, \Bvx.c$\£y{uaTiav vel otto <?u%x.a\ tertium,
dvxtTM Giaeci norninarunt.^ Communis ta-
men omnium est humoris nimia abundantia ;
ob quam ne ulcera quidem in bis aegii facile
sanescunt. Saepe vero boc malum per se inci-
pit : saepe alteri vetusto morbo, maximeque
quartanae, supervenit. Facilius in servis, quam
in liberis tollitur: quia, cum dcsideret famem,
si lini, mille alia taedia, longamque patientiam,
promptius iis succurritur, qui facile coguntur,
quam quibus inutilis libertas est. Sed ne ii
quidem, qui sub alio sunt, si ex toto sibi tem-
perare non possunt, ad salutem perducuntur.
Id coque non ignobilis medicus, Chrysippi di-
scipulus, apud Antigonum regem , amicum
quemdam ejus, notae inlemperantiae, medio-
criler eo morbo implicitum, negavit posse sa-
nari. Cumque alter medicus Epirotes Philip-
pus se sanaturum polliceretur ; respondit, il-
luni ad morbum aegri respicere ; se, ad ani-
Diiim. Neque euro res fefellit. Ille enim cum
stimma diligentia non medici tanturamodo,
sed etiam regis custodi retur, tamen malag-
mata sua devorando, bibendoque suam uri-
nara, in exitium sese praecipitavit. Inter ini-
tia tamen, non difficillima curatio est, si im-
perata sunt corpori quies, sitis, inedia : at si
malum invetera vii, non nisi magna mole discu-
tilur.Melrodorum tamen, Epicuri discipulum,
ferunt, cum boc morbo lentaretur, neque ae-
quo animo necessariam sitim sustineret, ubi
din abstinerat, bibere solitum, deinde evome-
re. Quod si redditur, quidquid receptum est,
multum taedio demit ; si a slomacbo retenlum
est, morbum auget : ideoque in quolibet ten-
ta ndum non est.
Sed si febris quoque est, baco in pri-
mi! submovcnda est per eas. raliones, per
quas huic succurri posse proposilum est:
Ma questa infermità è delle acute. Lunga
però può farsi quella di coloro che sono infer-
mi per acqua effusa tra cute, se non vien dis-
sipala ai primi dì : i Greci la chiamano ìdrope.
Di questa tre sono le specie : talora il ventre
fortemente teso fa sentire un continuo suono
interno per V agitamento dell1 aria ; talora il
corpo è ineguale per intumescenze nate in
ogni parte di esso di varia mole e figura : ta-
lora l'acqua si raccoglie nel ventre, e si muo-
ve muovendo il corpo in tanto che si può
scorgerne l1 ondulazione. Pei Greci chiamasi
timpanite la prima, leucoflemmazia od ana-
sarca la seconda, ascite la terza. Cagione co-
mune di tutte è la soverchia ridondanza degli
umori, per cui anche le piaghe in quest'infer-
mi malagevolmente risanano. Questo malore
or di per sé comincia ; or sopravviene a qual-
che altra vecchia infermità, in ispecie alla
quartana. Questa malattia si toglie più age-
volmente negli schiavi che non nei liberi, poi-
ché la medicatura richiedendo che si sopporti
la fame, la sete e mille altri fastidi, e una diu-
turna sofferenza, più spedilamente si presta
ajuto a quelli che facilmente si sottomettono,
anziché a coloro che godono di una dannosa
libertà. Ma neppure si risanano quelli, i quali
si vivono sotto la podestà altrui, ov1 essi non
sappiano moderare sé stessi. E perciò un me-
dico di nobil fama discepolo di Crisippo appo
il re Antigono asserì non potersi risanare un
certo personaggio amico di questo re, medio-
cremente occupato da questo male, siccome
quegli che si vivea intemperantemente. Ed a-
vendo un altro medico di Epiro, chiamato Fi-
lippo, promesso di risanarlo, e1 prese a dirgli,
voi riguardate alla natura del male, io alla di-
sposizione dell' infermo. L' esito mostrò real-
mente che non si era ingannato : imperocché
quantunque custodito fosse con estrema caute-
la non pur dal medico, ma anche dal re, non-
dimeno col divorare i suoi impiastri, e col be-
re la propria orina, precipilò sé stesso. INel
suo principio tuttavia, non è di cura troppo
scabrosa, se al paziente vicn prescritto riposo,
sete, inedia. Ma dacché il male è fatto vecchio,
e1 ci vuol tantissimo a domarlo. Conluttoció e1
si narra che Metrodoro, discepolo di Epicuro,
travagliato essendo da questo malanno, e non
polendo sopportare la necessaria sete, egli do-
po essersi astenuto lungo tempo, era uso bere,
poi vomitare. Se si rigetta tutto quel che si è
preso, mollo tedio si toglie : ma se lo stomaco
alcuna cosa ritiene, il male si accresce ed im-
pererò non è da provare indisi in (amente in
tutti.
Ma se v'è anche la febbre, si dovrà prima
d'ogn1 altra cosa rimuoverla con quei mezzi
che si son delti convenire per la cura di essa :
C E 1 S O
si sinc febre aeger est. tum demum ad ea ve-
niendum est, quae ipsi morbo mederi soleut.
Alque hic qaoque quaecuinque species est, si
nondum nimis occupavit, iisdem auxiliis opus
est: multimi ambulandum, currendum aliquid
est : superiore» maxime partes sie perfricandae,
al spiritimi ipse contineal ; evocandus est su-
dor, non per exercilalionem tantum, seil etiain
in arena calida, \el laconico, vel elibano, simi-
libusque aliis ; maximeque uliles naturales,
et siccae sudaliones sunt, quales super Baia*
in myrtis habemus. Balneum, atque omnfs hu-
mor alicnus est. Jejuno recte calapolia dan-
tur, facta ex absiutlui duabus. mvrrhae terlia
parte. Cibus esse debet ex media quidem ma-
teria, sed tamen generis durioris : polio non
ultra danda est, imam ut vitam sustineal ; o-.
plimaque est quae urina in movet. Sed id i-
psura tamen molili cibo, quam medicamento
nielius est. Si tamen res coget, ex iis aliquid,
qnae id praestant, crit decoquendum, eaque
aqua potai d.uida. Vide n tur autem barn- l'a-
caltatem babere iris, nardum, crocimi, cinna-
momam, amomum, casia, myrrha, balsamum,
galbanom, ladanom, oenanthe, panaces, car-
damomum, bebenus, cnpressi semen, ava ta-
minia, a-ru^iict àypiuv Graed nominant, a-
brotonnm, rosae folia, acorum, amarae nuces,
tragoriganum, styrax, costura, funci quadrali
et rotondi semen : illuni xuirlifov lume vxoì-
vov Graed vocanl : qaae quoties posuero, non
quae hic uascuntur, sed, qaae inter aromata
afferuntar, significabo. Primo tamen, quae
levjssima ex bis sunt, id osi, rosae folia, vel
nardi spica, leni. nula sunl. Vimini quoque uti-
le est austerum, sed quam tehuissimum. Com-
modum esl etiam, lino quotidie ventrera me-
lili, et, qna oomprehendil alvum, noi. un im-
ponere ; posteroque die ridere, plenius corpus
est, au extennetnr : id enim, quod extenuatur
medicinam sentii. Ncque alienum est, metili
e1 potionem ejus, el urinano : nam si plus hu-
nioris excemitur, quam assumitur, ita demum
secundàe valetudine spes est. Asclepiades in
eo, qui ex quartana in bydropa deciderai, se
abstinentia bidui, el frictione usura; tertio die
jam 'I febfe el a qua liberalo, ci bum el \ imi m
dedisse! memorile prodidit.
Hactenui communiter de orani specie
praecipì potasi: si vehementius malum est,
didui 1 nda ratio 1 ni andi est. Ergo si inflatio,
1 doloi crebei est, ntilis quotidianus,
ani altero quoque die posi cibom, vomitai
di ut it ùcci s calidisque utendura est. SI
per haec dolor non uuitur, ucci lariaa untai»
al contrario se l1 infermo ne è senza, si passe-
rà allora ali1 uso di que' rimedi, die son usi
guarire V idropisia. E qui ancora qualunque
ne sia la specie, quando non abbia presa so-
verebia consistenza sono richiesti i medesimi
ajuli : passeggiar molto, correre alquanto,
stroppicciare le parti superiori principalmen-
te, e in questo mezzo deve V infermo rat tene-
re il nato, provocare il sudore non solamente
coli1 esercizio, ma sì anche col bagno di calda
arena, o della stufa o del forno, e con altret-
tali mezzi, e sovra! lutto utili sono i naturali e
secclii sudatoj che noi abbiamo sopra Baja nei
mirteti. Il bagno ed ogni umidità sono con-
trari. Assai giovano dale a digiuno pillole
composte di due parti d1 assenzio ed una di
mirra. L'alimento esser deve di mezzana nu-
tritore, però consistente e duro: a bere si dà
quanto appena basta a sostenere la vita : e ot-
timo è ciò che muove l1 orina. Ma la secrezio-
ne dell1 orina meglio favoriscasi con cibo che
con medicina : tuttavia se la circostanza urge,
si fa bollire alcuna sostanza godente di cotai
virtù, e si porge a bere di quesl" acqua. Sem-
brano avere tal facoltà V iride, il nardo, lo
zafferano, il cinnamomo, T amomo, la cassia,
la mirra, il balsamo, il galbano, il ladano, re-
nante, il panare, il cardamomo, l'ebano, il se-
me del cipresso, l'uva tamiuia, della greca-
mente stqfisagria, L'abrotano, le foglie della
rosa, V acaro, le mandorle amare, l'origano,
lo stirace, il costo, i semi del giunco quadrata
e ritondo, quello dai Greci appellalo cipero e
questo sellino : delle quali due sostanza- Ogni
qualvolta farò menzione intenderò non quelle
che nascono fra noi, ma quelle elicci vengono
recate fra gli aromi. Gontuttociò da principio
cimentar si vogliono quelle che sono le più
piacevoli, come le foglie di rosa, ovvero la
spiga nardo. Il miio ancora e soave e auslcro
fa prode, ma parco più che mai. Egli è altresì
ben l'alio misurare ogni dì il ventre con filo»,
e contrassegnarne la grossezza : e il dì susse-
guente ritornare a vedere sesia più pieno. 0
.se si estenui : perocché estenuandosi vuol dire
che i rimedi adoperano. Ne trascurar devesì
di pur misurare il beveraggio e l'orina del
malato, poiché se quel che si rende, supera
quel che si piglia, v1 è allora speranza di rua-
rigione. Riferisce àsclepiadè aver cidi tatto
uso in uno clic dalla quartana eia caduto nel
r ìdrope, per due di dell' astinenza <■ della
ione : al terzo liberata e dalla (rebbi e e
dall'acqua avergli accordato alimento e vino
I/e sino a qui sposle cose adattare si pò
sono ,-,,! ogni specie d' idropisia ! se poi il ma
le è gravissimo, devisi usare in ciascuna una
medicazione particolare. Se imp 1 tanto è una
ini esoenza d'aria, <• che per essa si provino
1 ,, Minuti doloi 1. proficuo e il vomitare tutti
i di. od ogni due dietro il mangiare: fot l«»
DELLA MEDICINA
ne ferro cuourbitulae : si ne per has quidam
tormentum tollitur, incidenda cutis est, et tum
his utendum. Ultimum auxilium est, si cu-
curbitulae nihil profuerunt, per alvum infon-
dere copiosara aquam calidam, eamque reci-
pere. Quin etiam quotidie ter quaterve opus
est uti frictione vehementi, cum oleo et qui-
busdam calefacientibus : sed in hac frictione
a ventre abstinendum est . Imponendum vero
in euro crebrius sinapi, donec cu lem erodat;
ferra mentisque candenlibuspluribus locis ven-
ter exulcerandus est, et serranda ulcera diu-
tius. Utiliter etiam seilla cocta delingitur. Sed
diu post has inilationes abstinendum est ab
omnibus intlantibus.
Afc si id vitium est, cui Xzt/xo<p\iiJKxr i 'em
nomen est, eas partes, quae lumenl, subjicere
soli oportet ; sed. non nimium, ne febriculam
incendat : si is vehemenlior est, caput velan-
dum est : utendumque frictionem, madefaclis
tantum manibus aqua, cui sai et nitrum et
olei paulum sit adjectum ; sic, ut aut pneriles
aut muliebres manus adhibeantur, quo mol-
lior earum tactus sit : idque si vires patiunlur,
ante meridiem, tota hora ; post mcridiem, se-
mibora fieri oportet. Utilia etiam sunt cata-
plasrnata, quae reprimimi ; maximeque si cor-
pora tenerioia sunt. Incidendum quoque est
super taluni, quatuor fere digitis, ex parte in-
teriore, qua per aliquot dies frequens hurnor
feratur ; atque ipsos tumores incidere altis
plagis oportet: concutienduraque multa gesla-
tione corpus est ; atque, ubi inductac vulneri-
bus cicatrices suift, adjiciendum et exercita-
tationibus et cibis, donec corpus ad pristinum
habilum revertalur. Cilxis valens esse debet,
et glutinosus, maximeque caro : vimini, si per
stotnaclmm licci., dnlcius ; sed ita, ut invicem
biduo triduove, modo aqua, modo id bibatur.
Prodest etiam laetucae marina e, quae grandis
juxla miire nasci tur, semen, cum aqua potui
dalum. Si valens est, qui id aceipil, el seilla
cocta, sicut supvr. dixi, dilingitur. Auctoresque
rnulli sunt i > 1 fi ; 1 1 \ s vesicis pulsando lumores
esse. Si vero id morbi genus esl, quo in ule-
rum multa aqua, contraili tur, ambulare, sed
magis modiee oportel ; malagrna, quod dise-
rai, imp esilimi habere, id<me ipsum superim-
posijo triplici panno, fascia, non nimium la-
men vehementer. adstrìngere : qaod a Thar-
ria profectum, servatum cs^c a ploribus TÌdeo.
Si jet ur. aut liem-m affrelum t*>se. manifestimi
esl, ficom pioguem cóntusam, adjecto melle,
■uperponere. Si per talia auxilia venter non
Hccatur, sed lumini- nihilominus abundat, ce-
leri«jri via succurrere, ut is per venlrcm i-
psuweniitlalur. Ncque ignoro, Lrasistralo dis-
Celso.
menli caldi e secchi. E qualora per V applica-
zione di essi, il dolor non venga a cedere si
deve ricorrere alle coppette incruenti : e se
nemmeno esse cessano il tormento, d1 uopo è
allora usarle colle scarificazioni. Quando le
coppette non arrecano sollievo, ultimo salu la-
re ripiego si è l1 introdurre pel ventre molta
acqua calda, e ritenervela. Similmente uopo è
fare gagliardi fregamenti tre o quattro volte
il dì con olio e cose calefattive, ma le frega-
gioni non si devono fare al ventre ; bensì sur
esso imporre replica lamento della senape, in-
fino a che roda la pelle : ed esulcerare in più
luoghi il ventre medesimo .con ferri roventi,
e le ulcere conservare aperte per lungo spazio
di tempo. Con assai prò spalmasi anche la cu-
te di squilla colla. Ma per lunga pezza dopo
cotali enfiamenti da schifar sono tutte le so-
stanze ventose.
Ma se è quel vizio che dicesi leucojlem-
inazia^ bisogna esporre al sole le parti enfia-
te : ma non troppo, onde non ne insorga qual-
che moto febbrile : se il sole è soverchiamente
cocente, ricoprire la tòsta, e fare delle frega-
gioni servendosi delle mani bagnate soltanto
neir acqua, a cui sia giunto del sale, o del ni-
tro, ovvero un poco d'olio: a meglio sarà
l1 adoperare a tale uffizio le mani eli donne, o
di fanciulli, siccome quelli il cui talto è più
molle : se le forze il sostengono l'arassi innan-
zi il meriggio una fregagióne per lo spazio di
un'' ora, e dopo se ne fa un1 altra per mezz1 ora.
Proficui ancora sogliono essere i cataplasmi
ripercussivi, e specialmente se dilicata è la
persona. Si farà pure un incisione circa a
quadro di la sopra il calcagno nella parte in-
terna, donde sgorgherà fuori per parecchi dì
di moli1 umore : e sulle parti slesse tumefatte
si convien fare profonde incisioni, e scuotere
fortemenle il corpo colla gestazione, e subito-
che rammarginate si sono le falle incisioni, si
accrescono i cibi e gli esereilamenli infinal-
tanto che il corpo sia ridotto ali1 abito di pri-
ma.. L' alimento vuol essere glutinoso, forte
e carneo principalmente, e se lo stomaco il
può patire, datassi vino abboccalo : ma sì
adoperando che per due o tre dì beva ora
dell' acqua, ora di quello a vicenda. Anco-
ra rende giovamento il seme della lattuga
marina, che alla cresce sulle riviere del ma-
re, dato in bevanda eoli1 acqua. Se robusto
è colui che prese il seme, spalmasi, come del-
lo è di sopra, di squilla colta. Ivi autori
t' ha assai, insegnanti doversi percuotere
le intumescenze con vcssiehc ripiene d1 a-
ri.i. Se poi è cpiella specie d1 idropisia, in
cui molt1 acqua si accoglie nel ventre, si de-
ve passeggiare, ma con più moderazione : ap-
pórre al ventre un cataplasma digestivo, e
sorposlovi un panno a tre doppi comprender-
lo con fascia, non però troppo stretta, la qual
i5
n4 c E L
plicuisse liane curandi viam : mòrbo in eniui
hunc joeinoris pti ta vi t : ila illuni esse sanan-
duin ; Ir us tracj ne aquam emilli. quae. \itialo
ilio, subinde nascatur. Sci prinium. non hu-
jus visceri* ooios hoc vitium est : nani el lieri*
alicelo, et in totius corporis malo habitu fit.
Deinde, ut inde coeperil. lamcn arpia nifi e-
mittitur, quae conlra naturani ibi substitit, et
jocinori, ci ccteris interìoriboì parlibus noeet.
Convenitene, corpus nihilorainus esse cura n-
dura. Ncque enim sanat emissus humor. sed
medicinae locum facit, quatti iulus inclusus
impedit. Ae ne illud quidem in conlrovcrsiam
venit, gain non omnes in hoc morbo sic cura-
ri possint, sed juvenes robusti, qui vel ex loto
pareut febre. vel certe salis liberale* intermis-
sione» habeut. Nani quorum slomachus cor-
ruptOJ est. qui\c ex atra bile bue decidcrunt,
quive raalum cprporìs habituiH haben', ido-
nei buie curationi non sunt. Gibus autem, quo
die primuin humor emissus est. supervacuus
est nisi si vires desuot : msequentthus *I ifl >n ~^.
ct is, el vinum meracius qui lem. sed non ita
multimi dari debet, paulalimquc cvoe.nidus
aeger est ad exercitation^s frieliones, solem,
•udationes, fatigatioues, et idoneos cibos, do-
I loto c&rtVulescat. Batn min ramni res
amat ; frequenliorem in jejono vnmitum. Si
aelas est, in mari n, ilare ennmodum est. Obi
convalidi aiiquis. din (amen alieniis eì veneri*
lisus est.
cosa, proposta da Tarria, la vedo segni «a da
buon numero di medicanti. Se v'ha mani-
festi in<li/.i ohe il fegato e la milza aleno vizia-
ti. \i si pongono sopra fichi grossi ammaccali,
e mescolali al mele. Se a malgrado questi ri-
medi il ventre non si prosciuga, ma pur l'a-
cqua abbonili. bisogna soccorrervi con un mez-
zo più spacciato dando uscita ali1 acqua per lo
ventre medesimo, lo so troppo bene che que-
sto governo di cura non andava a genio di
Erasislrato, perocché avvisava questo male
provenire dal lei.', ilo: or doversi queste viscere
sanare : che inuiiincnte ri vuotano le acque,
perocché magagnato che sia il fegato, esse
poco a poco ritornano. Bla. prima di tutto que-
sta malattia non è di questo solo visi ere. inge-
nerandosi sovente e per affezione di milza, e
per mala disposizione di tutto il corpo. Dipoi
benché di colà abbia preso origine, tuttavia,
se non si evacuano le acque che contro natu-
ra vi stagnano, nuocono e al fegato e alle
altre interne parti : nondimeno necessario è
correggere il reo abito del corpo. Imperoc-
ché non é 1' estrazione delle acque che risana,
bensì porge luogo ali1 operazione dei rimedi,
cui s'oppone Tumore raccoltovi. E né qui
pure cade vertenza veruna, che non lutti si
possano curare ad un modo in questa malattia,
ma sì i giovani robusti, i quali siano o al lutto
privi di lebbre, od abbiano delle intermissioni
discretamente lunghe. Gonciossiacbè coloro i
quali hanno mal affetto lo stomaco ovvero
quelli elio itali" al labile caddero idropici, e
quei di Irisl" abito del corpo, non sono abili a
questa cura. 11 cibo poi é inutile in quel dì in
cui si sono cavate le aeque salvoehè non inan-
ellino le tor/.e : ne" consecutivi devesi dare e
Cibo e vino pretto : non però hi soverchia ru-
pi;! ; e poco a poco richiamar 1" infermo alle
fregagioni, agli esercì lamenti, all'esposizione al
sole, ai sudori, alle navica/ioni ed agli appro-
priati nutrimenti, infìtto a che lo n recw a
sanità perfetta. Il caso vuole raro il bagnarsi,
frequente il vomitare n digiuno. Se è «li stato,
è ottimo il nuotare in mare. ()\ ' al.'ro siasi ri
stabilito da questa malsania, deve pure per
gran tempo fuggire i diletti venerei.
Cap. IVIt Di', tnhr. et rjns ÌBjtciebuS.
<'\e. wii. Della talic sue spezie e cure.
Diutiua laepe el perieulostm labe
raaJ< babel quo invasi!, itque hujus qu
olun ni. I uà ,s\ imo < >rrm<
V
qiccies mini, i uà esi qu<
alitili", ci iialitialiltr scinper aliquiluis d ■•• i
dentibwv nullfa ver., in eoram Un uno iuJk un
III. un, Mimma mane, oi'ilur : el. uisi .,.•< n | ,
tur, Louil li oc Gì aed i •■ ini-, I •
duabns feri de < ni ri incida re eonsuevit. ini
« m0i ninno liiiimr alnpns muuis. ani avidila-
I' ninna plu . ipiain di 1- ; I minti ili \. I.
li a lun^o. e con vie maggior pericolo
i mal lei mine riduce chi ne è ooanpi t
piesla pur inoli,- v,.,io |c specie. I DS è
pO ii< n si nodi isee. e noli
r
i.i i.ii.i
so. Di
quella m cn
subentrando nuove particelle in luogo di quel-
teche n vanno naturalmente e del continuo
disperdendo, un'estrema magrezza ne viene.
ti r infermo se non si sussidia, pei isoe, I Greci
li dicono atrofìa. Proviene d'ordinario da
di
o |" i • liè altri per soverchia lem.i
DELLA -MEDICINA
quod deest, infirmai ; Tel, quod superat, cor
rumpitur.
n5
Altera species est, quam Graeci x«-
y^iav appellant : ubi malus corporis habitus
est ; ideoque omnia alimenta corrumpuntur.
Qnod fere fìt, cum longo morbo vitiata cor-
pora, etiamsi ilio vaeant, refectionem tamen
non accipìunt ; aut cum malis medica mentis
corpus affectum est ; aut. cum diu necessaria
defuerunl ; aut cum inusilatos et inutiles cit>os
aliquis assumpsit, aliquidve simile incidi t. Huic
praeter tabem, illud quoque nonnumquam ac-
cidere solet, ut per assiduas pustulas, aut ul-
cera, summa cutis exasperetur, vel aliquae
corporis parles intumescant.
Tertia est, longeque periculosissima species,
quam Graeci tpOia-tv nominarunt . Oritur fere
a capite: inde in pulmonem destillat. : huic e-
xulceratio accedit ; ex bac febricula levis fif,
quae etiam, cum quievit, tamen repetit ; fre-
quens tussis est: pus exscreatur; interdum
cruentum aliquid. Quidquid exscreatum est,
si in ignem impositum est, mali odoris est : 1-
taque. qui de morbo dubitant, bac nota utun-
tur. Cum haec genera tabis sint, animadver-
tere primum oportet, quid sit, in quo labore-
tur. Deinde, si tantum non ali corpus appa-
ret, caussam ejus attendere ; et si cibi minus
aliquis, quam debet, assumit, adjicere , sed
paulatim : ne si corpus insuetum subita mul-
titudine oneraverit, concoctionem impediaf.
Si vero plus justo quis assumere solitus est,
abstinere uno die ; deinde ab exiguo cibo in-
cipere ; quotidie adjicere, donec ad justum
modum perveniat. Praeter haec convenil am-
bulare locis quam minime frigidis, sole vita-
to ; per manus quoque exerceri : si infirmior
est, gestari, ungi, perfricari, si potest, maxime
per se ipsum, saepius eodem die, et ante ci-
bum, et post eum. sic, ut inlerdum oleo quac-
dam adjiciantur calefacenlia, donec insudet.
Prodestque jepino prehendere per mullas par-
tes cutem, et attrabere, ut relaxetur ; aut, im-
posita resina et abducta, subinde idem facere.
Utile est etiam iuterdum balneum, seti po*t
cibimi cxiguum. Alque in ipso solio recte cibi
aliquid assumiteli* ; aut. si sinc hoc frictio fuil,
posi eam protinus. Cibi 'vero esse debent e*
lis. qui facile concoquuntur. qui maxime a-
lunt. Ergo vini quoque, sed austeri, necessa-
rius usus est. Movenda urina.
mangia meno, o per troppa avidità più di quel
che deve ; così o ciò che manca, ne infievoli-
sce, o ciò che sopravanza,corrompesi.
L' altra, che nel favellar de1 Greci appel-
lasi cachessìa, si è quando predomina mal
abito del corpo, per cui tutti gli alimenti si
corrompono. Il che suol avvenire allorché vi-
ziati i corpi per lungo malore, ancorché que-
sto rimosso sia, non si nutricano : o per esser
stati usati perniciosi medicinali ; o per essere
mancate da tempo le cose necessarie; o per
aver altri fall1 uso di cibi insoliti ed insalubri,
°K qualsiasi altra causa somigliante. Si con-
giungono talvolta al malo abito del corpo, ol-
tre alTinlabesceriza, spesse ulcere o pustole che
la pelle difiormano, ovvero si fanno tumide
certe parti del corpo.
La terza e di tutte la più pericolosa è
quella alla quale si dà appo i Greci il nome di
tisi. E.^sa ha per lo più cominciamento dal ca-
po : indi si gitta sul polmone., che da ulcera-
mento è assai tosto preso, donde leggièr feb-
bretta cessante sì, ma ritornante, prolissa tos-
se, espettorazione di marcia, talora mista di
•sangue. Quello che viene espurgato, se si butta
sul fuoco, manda malvagio odore : quegli
impertanto che dubitano della malattia, ricor-
rono a questo segno. Essendo queste altret-
tante maniere d'intabescenza, si convien prima
di tutto esaminare qual sia quella ond' altri è
colto. Scorgendo esservi soltanto difetto di
nutrizione, bisogna indagare la cagione, e
se altri piglia meno alimento di quel che è
d'uopo, aggiugnerne, ma bel bello, onde non
resti, venendo il corpo contro suo solilo da su-
bila sovrabbondanza aggravato, impedita la
digestione. Se poi altri sia usato mangiare più
del convenevole, farlo astenere per un dì, indi
principiare da un tenue cibo, ed ogni dì accre-
scerlo insino a che si giunga ad una tempe-
rata misura. Oltre a lutto questo rileva il pas-
seggiare in luoghi men freddi possibile, schi-
fando il sole: ancheesercilarsi in opere di ma-
no, e se debole farsi portare, un'^ers1. stro-
picciarsi massime di per so. potendo, più vol-
te lo slesso dì sì avanti che dopo il paslo^
a£ghi£Miendo talora sii* oliti robe riscaldati-
vi affimbè si sudi. Ed è proficua prova il
pigliare, sendo il malato ancor dieiuno, colle
mani la pelle in diversi luoghi, e tirarla a se,
onde la si rilasci; ovvero apporvi della re-
sina, e distaccamela, ripetendo ciò di tempo
in tempo. Itile è ancora in certi casi il ha-
£ no fatlo però dopo un tenue pasto. E puos-
si Pel bagno islesso prendere alcun alimen-
to ; o se falla ria fregagione sne/a mangia-
re, ma n«iar tosto appresso. 1 cibi si convien
che sieuo Hi .-nuvole roncuc cimento, nutriti-
vi e sostanziosi. Il perchè necessario è anche
1' uso de! vino, ma austero, e devonsi provo-
care le orine.
CELSO
At si malus eorporis habitus est. primam
abstinendum est; delude alvus «Incenda, tum
pania ti m cibi «laudi. adjeetis exercitationibus,
unctionibas, frietionibus. Utilius his frequens
balneam est. sedjcjunis; etiam usque sudo-
ìvjn. Cibis vero opus est copiosis, variis, boni
succi, quique etiani minus facile eorrumpan-
lur, vino austero. Si nihil reliqua protìciunt,
sanguis mittendns est; sed paulatim, quoti-
dieque pluribus diehus, cum co, ut cetera
quoque eodein modo serventur. Quod si ma-
li plus est, et vera phthisis est io ter inili.»
protinus occurrere necessarium est : »«que
enini tacile is morbus, cum inY»*t?raveril ,
evinci tur. Opus est, si vires paduutur, longa
nagiratione , coeli mufauone, sic ut den-
sius quam id est. ex quo discedi t aeger, pe ta-
llir: ideoqae apóssime àlexaadriam ex Italia
itili-. Perequa id posse inter principia corpus
pali debet, (Mini liic morbus aetate lìrmissima
maxime oriatur. id est. ab anno duodevicesi-
rao ad annuin quintino et triecsimum. Si id
i .11 1 m , illitas non sinit, nave tamen non longe
pesta ri commodissimum esl : si navigationem
aliqua res prohibet, lectiea, vcl alio modo cor-
pus movinliiii) est Toma negotiis.abstinen-
'limi est, omnibusque rebus, quae sollicitare
a nini ara possimi ; somao ìndnlgenduna : ca-
vendae destillationes, ne. si quid cura levarli,
c\aspciv i! : el Db id vitanda erudi'as. siinul-
que et sol el frigna : os obtegendum, fauees
velandae, tussicula suis remediis Bnieuda : ri,
quamdiu quidèra febricula incorsai, baie ìn-
Lerdani abslinentta, interdum etiam tempesti-
vis cibis medeudum ; eoque tempore bibeod i
aqua. J.ac quoque, qnod in capitis dolori bus,
et in aeulis febribus, et per eas l'irla nimia
siti. ac, sivc praecordia tumeot, aire biliosa
urina est. sive aanguia llu\it, pio veneno
esl : in |>lilbisi I.iiim'ii. sica! in omnibus lon-
gis difncilibusqae Gebriculis, recto dui p<>-
letL Quod si febrii ani Dondura incorsai, nul
i 'in reroistt, .1 ca trend uni est ad mbdicaa
exen .1 iliones. inaxiroeque ambulaliooes ; item
lenea frictiones. Baloeum alienum est. Cibua
♦•sic diluì primo acer, ut .illiuui. porram
1! )M • ip-uiil . \ .urto, vii CI <ndrin iiiluhus,
«> iniiiii. I 1 luca : deinde lenis. ut sorbiti.» ex
' vcl ex >b( .1. \r\ ex amylo, [ade adje-
eto. Idem oryxa quoque, «•'. si taihil alimi
est, fai [>r irsi ii. rum invicela modo his cibis.
modo ilbi nlendura esl ; adjiciendaqoe quee
dia i\ media materia, praecipaeque ( vcl ex
1 n bell'ini. \i I piscicnhis. i I !
india. Farina 1 ii ira 1 tim sevo "villo ceprinove
mix la, deiode incocta, prò medioameoto est.
Vìoum usuali debet leve, auateruJUi
ila se il niale è nel reo abito del corpo
si convicn prima di tutto astenersi, dipoi
sciogliere co' cristGri il ventre, indi poeo
i poco ministrare il mangiare, associandovi
le unzioni, i frenamenti, gli esercizi. Più di
queste cose sono giovevoli le frequenti ba-
gnature, ma a digiuno fino al sudore. 1 cibi
uopo è ebe sieno copiosi, variati, di buon
succo, e di pia* ebe men facilmente si cor-
rompano, e il vino austero Se le altre cose
nulla giovano, è necessario Irar sangue, ina
poco alla volta ; ed ogni dì per più giornk
si facciano unitamente al salasso, le altre co-
se al medesimo modo. Che se il male è di
maggiore intensità, ed è la verace tisi, bi-
sogna tosto provvederci alla prima : peroc-
ché non è di agevole sanamento morbo tale,
allorché sia invecchiato. Fa d'uopo, se le
forze il comportano, di lunga navigazione, di
mutamento d'aria sì che l' infermo si reehi
in parte, ove l'aere sia più grosso di quello
donde si dipartì : laonde a gran prò si na-
viga dall'Italia in! Alessandria. E deve per lo
più poter da principio reggere ad un tal
viaggio nascendo questa malattia general-
mente nell'età più l'erma, cioè dall'anno vige-
simosecondo al trigesimoquinto. Tuttavia se
la debolezza non lo permette, gioverà pur
assai farsi recare in barca per pieciol tratto :
e se alcuna cosa si oppone all'andar per
acqua, vuoisi muovere ed agitare il corpo in
lettiga, o in altra guisa : ultimamente schi-
fare devoosi gli a Bari, e tuttocào che può ce-
giocare ansiose cure d'animo: dormire a
grand' agro: evitare le infreddature, onde
non si perda quel vantaggio, che per la cu-
ri si fosse ottenuto: e- perciò imporla guar-
darsi dall'indigestione e dal sole e del fred-
do : velare la bocci, coprire il collo ; alla
tossetta por termine cngli appropriati rime-
di : e per lutto il tempo che dura la lenta
febbre, vi si presterà soccorso ora col l'asti-
nènza, -ori ambe OOgli alimenti ministrali a
dibiio tempo, ed in quel mezzo bere del-
l'acqua. Il latte del pari, il quale si tiene per
veleno ne' dolori di testi e Delle febbri acute
<• nell'ardente sete incitata per esse, ed ogni
qualvolta sono tumidi b?I' ipocondri, o biliosa
V orine, •> v'ha (lusso di sangue, pnossi util-
mente somministrare nel morbo tisico non
allramcnti che in tulle le lunghe 8 pertina-
ci 1. diluvile. Che se l< febbre 0 non compaja
per anche, «> già declinò, ai convien passare
all'ilio di m dei. ite esercitazioni, massima*
mente I passeggi, ed agualmenta alle piace-
voli fregagioni, Il bagno discnnvicnc< Il cibo
vuoisi dapprima acre, siccome l'aglio, il [tor-
io e questo in aceto; ovvero li cicorea, il
basilico, la lattuga in esso; blando dappoi,
• ii . orna d brodo d'orzo, o d'elice, 0 di ami-
do giuut ) al latte 11 liso pure e sr mn\
DELLA MEDICINA 1 1 <)
v'è al Irò, il farro adopera lo stesso. Indi a
vicenda ora di questi cibi, ora di quelli è
da usare: unendovi alcuna cosa della classe
mezzana, e della prima specialmente il cer-
velletto, il minuto pesce o colali altre cose.
Si dà eziandio per medicamento la iarina
mischiata col sevo di pecora o di capra, poi
cotta. 11 vino deve beversi leggiero ed austero.
Hactenus non magna mole pugnalur ; si Fin qui la lisicbe7za si oppugna senza
vehementior noxa est, ac neque iebricula, ne- troppo sforzo: ma se l'affezione è molto eonsi-
que tussi» quiescit, tennarique corpus appare!, derubile, e che né la febbre lenta cessi, ne la
validioribus auxiliis opus est. Esulcerandoli] tosse, e il corpo mostri d1 estenuarsi, mestie-
est ferrò candenti, unoloco sub mento, altero in ro è aver ricorso a dei presidi vieppiù effi-
gutture, duobus ad mammam utramque ; ilem caci. È necessario far con ferro infuoca-
sub imis ossibus scapularum, quas ùfxo'n'kc.'rag to un'ulcera sotto il mento, un'altra alla gola,
Graeci vocant, sic, ne sanescere ulcera sina- due all'una e all' altra man niella, ed altret-
mus, nisi tussi finita : cui per se quoque me- tante al basso delle ossa delle scapole, dette
dendum esse, inani festum est. lune ter qua- grecamente omopìata ; facendo poi in ca-
terve die vehementer txtremae par Ics per- mera che lali ulcere non si cicatrizzino in-
fricandae, thorax leTÌ manu pei tractandus, finattanto che guarita non sia la tosse, con-
post cibum intcrmiltenda hora, et pei frican- tra la quale è chiaro doversi ministrare una
da mira, brachiaque: interpositis denis die- cura particolare^ Allor si fanno tre o quattro
bus. demittendus est aeger in solium, in quo
sit aqua calida et oleum : celeris dici us bi-
benda aqua; tum vimini, si tussis non est,
potui frigidum dandum ; si est, egelidum.
Utile est etiam in remissionibus, quolidie ei-
bos dari : frictiones gestationesque si» Hi Ver
adbiberi : eadem acria quarto, aul quinto die
sumere: interdum herham sangninalem ex
acelo, vel planlaginem esse. IVlcdicamentum
est etiam vel planlaginis suceus per se*, vel
marrubii rum melle inroclus ; ita ut illus
cvatbus sorhealur. liujus cochleare plenum
paulatim delingatur ; voi inter se mixta. et
incoela resinae terebinthinae pars dimidia,
hutvri et roeilis pars altera. Praecipua tamen
ex bis omnibus sunt rictus, vehiculum, et
navis ; et sorbi t io. Alvus cita ulique vitanda
est. "Voniitus in hoc morbo frequens, perni-
ciosus est, maximeque sanguinis. Qui meliu-
sculus esse coepit. adjicere debet oxercilaho-
nes, fwctiones, eibos : deinde ipse se, sup-
presso spiritu, perfricarc ; diu abstinere a vi-
no, balneo, venere.
capot xxm. — De comitìali morlo.
volte il dì fregagioni forti e gagliarde sulle
estremità del corpo : il torace con mano leg-
giera trattare: un'ora dietro il pasto stro-
picciale le gambe e le braccia . Trascorsi
dieci dì si fa discendere l'infermo in un ba-
gno d'acqua calda e d'olio: ne' seguenti dì
non bere che acqua: poscia se non v 'è tos-
se, vino freddo, altrimenti tiepido. Ancora
giovevole è dar mangiate ogni dì negli sce-
mi della febbre : e similmente praticar le
fregagioni e le gesta/ioni, e prendere al quarto
o quinto dì le cose acri già dette: e man-
giare di lempo in t<mpo erba sanguinella,
ovvero piantaggine infusa in aceto. Ancora
buon rimedio è. il succo di piantaggine di
per sé, ovvero quello del marrubio collo col
mele : di quello se ne avvalla un bicchiere,
di "questo se ne lambe un colmo cucchiajo
appoco appoco, e questi succhi mischiati in-
sieme, e crudi si uniscono ad una mezza
parte di resina di trementina, ed una di bu-
tirro e mele. Contultociò i principali sussidj
fra tutti questi sono il vit\o, l'andare in coc-
chio, il navigare ed i brodi farinacei. Si deve
schifare con ogni cautèla la scioltezza del
ventre. 11 frequente vomitare in questa ma-
lattia è pernicioso, e massimamente il vomi-
tar sangue. Allorché l'inférmo comincia a
slare un podici lo meglio, aumentar deve gli
esercizi, le fregagioni, gli alimenti: indi rite-
nendo il fiato, stropicciarsi da sé. ed astener-
si per lungo spazio di tempo dal vino, dal
bagno e dalla venere.
cap. xxni. Bella cura del malcailuco.
Inter notissimo! morbosi est etiam is, qui Ira le più conosciute malattie evvi quel*
cornilialis, vel major nominalur. Homo subito la che diecsi morbo comiziale, o maggiore.
concidit; ex ore spumae movenlurj deinde La persona impensatamente cade: sor^onglì
I l8 CELSO
interposito tempore ad se redit, et per se ipse
consurgit. Id genus saepius viros, quam fé mi-
nai, oeeupat. Ac solet quidem etiam longum
esse, usque ad mortis diem, et vitae noti pe-
riculosura ; interdum tamen cuin recens est,
hominem consumit : et s.iepe eum, si reinedi.i
noti sustulerunt, in pueris veneris. in puellis
menstruorum initium tollit Biodo cam disten-
tione nervorum prolabitnr aliquis, modo si ne
illa. Quidam hos quoque iisdem. quibus le-
ihargicos, excitare conanlnr : quod adniodum
sapervacuum est ; et quia ne lethargicus qui-
dem his sanatur ; et quia, cum possi! ille num-
<jiiam expt rgisci, atipie ita fame interire. hic
ad se utique revertitur. Ubi conoidi! aliquis,
si nulla nervorum distenlio accessit, utique
sanguis mitti debet : si accessit, non utique
mittendus est, nisi alia quoque hortantur. iSe-
ccssariuni autein est. (lucere alvum, vel nijro
veratro purgare, vel utrumque lacere, si vires
patiuntur : lune caput tender*, oleoque et ace-
to parungere, cibum post diem tertium, si-
niul transiit hora, qua ooncidit, dare. Neque
sorbitiones autem his, aliique molles et faci-
le» cibi, neque caro, minimeque suilla coti-
venit; sed tnediac materiae: nam et viribus
opus est, et cruditates cavenlae sunt. Cum
quibus funere oportet solem. halneum, ignem,
omoiaque ealefaoientia, item frigus, vilumi,
vpnerem, loci praeeipitii oonspeetam. ornuium-
que terrenlium, vomitare, Ir ssita dine m. sol-
iicitudines, negotia omnia. Ubi terlio die ci-
bus datus est. inlermittere quartana, et invi-
cem alterum quemque, eadem hora cibi ser-
vata, donec quatuordecim dies transeant. Quos
ulti morbus eveessit, acuti vim deposuit : ac,
si manet, curandai jam ut lonejus est Qaod
si, non quo die primum id inoidit. mediani
■OOessit, se l is. (|ui cadere consuevit. ei Ira*
ditoi est; proti nus eo renare vietai habito,
qui supra comprehensus est. exspeetandus est
dies, qua prolabatar; atendumque tum vel
sanguini* mistione, vel daetione alvi, vel ni-
gro veratro, sicut praceeptum est : insequen-
tilms deinde « 1 ì<- 1 >ws. per, eoe <ilms qnoa pro-
posni. vitaiis omnibus, qoae caveoda dixi, nu-
triendua est Si par hsec morbm finitili non
fuerit, oonfoaienduni «-ri t ed album teratrnmì
■e ter quoque sul quater eo nteuduro, non
Ili inultis interpositis diebus; sic tamen. ne
iterueo unquani iumat,nisi ooneiderit. Medili
.-ni i '-ni diesili virus ejus «inni nutriendan; qui-
b N -diiii. praatec <•■<*< quae raprs saripte sunt,
adjectis. 1 bi mane experrectus est. corpus
ejttl bniter ex oleo volere, cum Capite 9XM*
pio \rn!r'\ pai mulcc (l ur : tum ambulatone
quam maxime laflgl Bl reati Statar : post
ambiilalioncm loro lapido vdiemeuler et diu,
M non minili ducenti»-*. Disi infunili» erit,
perfrteetan dai adi par caput multa iqut fui*
fidi pei fundatur ; pattinili cibi usiumut; cou-
bave alla bocca: dipoi trascorso alcun tem-
po ritorna in sé, e di per sé si leva. Questo
male occupa più spessamente gli uomini che
le donne. E suole anch' essere sì lungo da
continuare fino alla morte, e senza nuocere
alla vita: alcuna volta però quamP è recen-
te distrugge P uomo : e talvolta questa ma-
lattia, cui non valsero a domare i rimedi,
è tolta dal primo giugo ere della pubertà nei
fanciulli, e dal comparire de'meslroi nelle zit-
telle. Altri cade ora con distendimento di
nervi, ed ora senza di esso. Alcuni si ado-
perino ad eccitare questi cogP istessi argo-
menti, onde si sogliono risvegliare i letargi-
ci: lo che è al tutto inutile, a perchè con
essi non si risana neppure un letargico, e
perchè intervenir potendo eh1 esso non si ri-
desti più e così perir di fame ; un epile ti
tico all' incontro ritorna costantemente in sé.
Quando altri cade a terra, se non soprav-
vengono convulsioni, devesigli cavar sangue: ;
se ne sopravvengono, non si deve, salvo che
non vi sieno altri indicanti . Cosa essen-
ziale è muovere il ventre co1 erisleri e ool-
l1 elleboro nero purgare, ovvero far Timo
e Pallio concedendolo le forze: dipoi ton-
dere il capo, ed ungerlo d1 olio e d' aceto :
dar mangiare dopo il terzo dì, trascorsa Né
sia Torà, in otti suol venire P insulto, che
dicavoli sono in questa infermità la sorbi
zione, od altri molli e facili alimenti, mia
carne, e tanto meno la porcina, ma si richie-
dono cibi di menano nutricamento, stante
che e d* un lato si vogliono fiancheggiar le
fona, e dal!" altro schifare le indigestioni.
Con infermi sì fatti si convieni fuggire il so-
le, il bagno, il fuoco e le cose riscaldanti :
medesimamente il freddo, il vino, il coito,
P aspetto di un precipizio, e d,oggetii spa-
ventevoli, il vomito, la stanchezza, le ansio-
se sollecitudini, gli ettari tutti. Allorcliè al
tarso dì è stalo dato mangi ire, devesi trala-
sciare al quarto, <'d B vicenda un dì sì I al-
tro no. e sempre alla medesimi ora, tanto
che traiCOrrìnO quattordici dì. Ove la malat-
tia abbia trascorso tal termina, ha deposta
la forza di male .culo, e se persevera, vuoisi
allora curare come mal lungo. Che se il me-
dio non accorse il dì. in cui P nonio per
la primi volti cadde, ma fagli affidato chi
■'ii abitualmente <• oso ci lere, prescritta in-
nanzi quella miniera di ritto da noi sorra-
sposla. vi date aspettare quel dì. nel quale ca-
drà, ed allora si lisa il salasso, i crateri, (»
P elleboro nero, siccome è prescritto: indi ai
lutsecuenti dì si deve nutrirà dì quegli eh-
mentì i he li inno proposti, lasciate al tutto
e faffgita quelle <(»sc clic dissi doversi evita-
re. Se per P uso di qumta il mal nuli ceesa,
si dee ricorrere all'elleboro Iunior) : ed am-
Bjiaislrarlo anche Uni o quattro volte non
DELLA MEDICINA
quiescat rursns ante noclera ambulatione uta-
lur : iterum vehementer perfricetur, sic ut
neque venter, neque caput contingalur: post
baec coenei; interpositisque tribus aut qualuor
diehus, uno aut altero acria assumat. Si ne
per haec quidem fuerit liberatus, caput radat ;
uniratur oleo vetere, adjecto aceto et nitro;
frapponendo troppi dì fra l1 una e 1' altra, in
modo però che non ne prenda più, se pur
non ricadesse. Nei dì intermedi d'uopo è
rinvigorire le forze del malato con adattalo
alimento, al quale oltra le robe superiormen-
te proposte, si aggiunga alcun1 altra cosa. La
mattina tosto che è desto, gli si spalma soa-
perfundatur aqua salsa ; bibat jejumis ex aqua veniente il corpo d'olio -vecchio, compreso
castoreum ; nulla aqua, nisi decocta, polionis
crassa utatur. Quidam iugulati gladiatoris ca-
lido sanguine epoto tali morbo se liberarunt :
apud quos miserum auxilitfm tolerahile mì-
serius maluin fecit. Quod ad medicuni \ero
pertinet, ultimum est, juxta talum, ex utro-
que crure paulain sangui ni s mittere; occipi-
tjum incidere, et cucurbitulas admovere; ler-
ro candenti in occipilio quoque et infra qua
sumraa vertebra curri capite commillitur, adu-
rere duobus locis, ut per ea perniciosus hu-
mor evadat. Quibus si finitum malum non
fuerit, prope est ut perpetuai m sit. Ad levan-
dum id, tanturnroodo utenduni erit exerci-
tatione multa, frictione, cibisque iis, qui su-
pra comprehensi sunt ; praecipueque vitanda
omnia, quae ne fierent, excepimus.
1 capo, salvo il ventre: ìndi si deve fare una
lunghissima passeggiata e diritta : dopo il pas-
seggio si freghi in luogo tiepido con veemen-
za, e per lungo tratto, e non meno di du-
gento volte, tranne che non sia scemo di for-
ze : indi si sparga in gran copia acqua fred-
da sulla testa: prenda un poco d'alimento;
si riposi: e innanzi notte passeggi di nuo-
vo, e torni da capo a strofinarsi gagliarda-
mente, eccettuato il capo ed il ventre; appres-
so queste cose ceni : e trappassati tre o quat-
tro dì faccia uso di cibi acri per uno o due.
E se neppure ad onta di lutto questo se ne
è liberato, si tènda il capo, si unga d' olio
vecchio giuntovi ;iceto e nitro : si asperga
d'acqua salata; beva a digiuno del castoro
nell'acqua; e niun' acqua se non cotta usi
a bevanda. Alcuni si liberarono da questa
malattia bevendo il sangue caldo di un ucciso
gladiatore; nei quali un orrido rimedio ren-
dè più orrido un tollerabil male. Perciò poi
che si appartiene al medico, ultimo ripiego
è trarre un poco di sangue presso il calca-
gno d' ambidue i piedi : fare delle incisio-
ni alla nuca, ed apporvi delle coppette: con
ferro rovente abbruciare in due luoghi l'oc-
cipite, ed anche più al basso là dove la prima
vertebra si unisre al capo, onde così fuor
esca il pernicioso umore. Co' quali ajuti se
non cessa, si può riguardare per male pres-
soché insanabile. Converrà soltanto a fine di
palliarlo, usare l'esercizio, molte fregagioni,
e quegli alimenti che si sono proposti di sopra,
e in particolar modo scansar quelle cose che
ho, siccome nocevoli e da non farsi, eccet-
tuate.
cip. xxiv. — De
regio ìtior
Lo.
/Eque nolus est morbus, quem interdum
arquaturn, interdum regium uominant. Quera
ilippocrates ait , si post septimum diein fe-
luicilante aegro supervenit, tatuai esse, mol-
libus tantumrnodo praecordiis substarilibus :
Diodt's, ex tato, si post febrem orilur, etiam
prodeste; n posinone febris, ecciéere. Co-
lo* auteni curi) morituri» detegìl , maxime
oculorurn, in quitta* , quod album esse- de-
bet, fit Juctuni. Soletuue accedere et sitis ,
et dolor capiti», et freqoens lingaita* , et
praecordioruii) de* tra parie durities, ci, ubi
copporis vehemens molus est, spiritus diffì-
cullas, membrorumque icsolutio : alque, ubi
cap. xxiv. Della cura àelV itterìzia.
Nolo egualmente è quel malore che ora
itterico, ora regio si appella. 11 quale Ippo-
crate dice essere senza pericolo ogni qual-
volta sopraggiugne ad un febbricitante dopo
il settimo dì ; solamente che si mantengano
avelli i precordi. Dìocle ferinamente avvisa
clic ;mzi pur giovi nascendo dietro la feb-
bre : e che uccida te la febbre vien dopo.
11 colore, e massimamente quello degli occhi,
nei quali quel che è bianco fasti giallo, pa-
lesa questa malattie. E suol essere accom-
pagnata da sete, da dolor di capo, da sin-
ghiozzo frequcnle, e da durezza all'ipocon-
drio destro, e quando l'agitazione del cor-
CELSO
diutius manet morbus, tolum corpus cuna
pallore quodara inalbescit. Pwmo die absli-
nere aegra m oportet: secando ducere al-
vu-n : tum, si febris esl, eam victus genere
discutere; si non est, seammoniam potui da-
re , vel cum aqua betam albani contri tarn ,
vel cu'ii aqu i mulsa nuces amaras, absinlhium,
anisum, sic ut pars hujus minima si t. Ascle-
piades aquam quoque salsam, et quidem per
biduum . purgationis cnissa bibere cogebit ,
iis, quae urinam movent. rejectis Quidam,
soperioribus omissis, per haec, et per eos ci-
bos, qui extenumt, id;m se cjn<e [ili dieunt.
Ego ulique, si salis viriu n est, validiora; si
parum, imbecUliora auxili a praefero. Si pur-
galio i'uit. post eam triiluo primo modice ci-
bum oportet assumere ex inedia materia, et
vinuni bibere graecum salsura, ut resolutio
venlris maneat : tum altero triduo validiores
cibos, et carnis quoque aliquid esse , intra-
que aquam manere : deinde ad superius ge-
nus victus referti, cum eo, ut magia satie-
tur ; omiss > graeco vino bibere integrami
auslerum ; atque ita per haec variare, ut in-
terdum acres quoque cibos interponat, inter-
<lum ad salsam vinum redeat. Per omne ve-
ro tempo* utendum est exercitatione, friclio-
ne; si hiems est, balneo ; si aestas, frigidis
nalatimibus ; Iecto etiara, et conclavi cullio-
](•. Insù, joco, lu lis, lascivia, per quac mens
exhilaretur': ob quae regius morbus dictus
videtur. Slalagma quoque, quod digerat, su-
per praecordia datam prodesl; vel arida ibi
ficus impjsita, si jeeur aut licuis all'eclus esl.
r.KV. xxv. — De elephantin.
Ignotal aulem piene in Italia, frequen-
ti limai in qoibusdara regionibui is morbus
est, que, n %y ip'tvTi'tTtJ Greeoi rocanl ; itque
lougij adnumeritur. Tptum corpus affi situr
ii i ni osi • 'pi >que ritieri dicantur. Summs
p n i e >rp »ria crebrai inactlai crebroique tu-
i, ,:, i • rub ir earnm peulatini in alrona
tur : Mirimi • ontii inae |u i
liter crassa , tenuta, dura . moltiaque , quasi
s<|iia:ni i quìboi I ira ei tip «retar : oorpu ieme<
•, ■ >., iacee, p lei intumeseunt: <• 1 »i ve-
lai ni. ri. iis rst , digiti in menibui pedinati
<|n<: sul» tumore condaaaur, febrw ulti oritur^
quae tacile tot malis obrulum hominem con-
pò è grandissima anche de difficolti di re~
spiro, e paralisia delle membra : e qualora il
male lunga pezza continui, si diffonde su tut-
to il corpo un pallido gialloce. Il primo dì
deve l1 infermo astenersi, nel secondo pren-
dere nn cristere ; indi se v1 è febbre, fugar-
la coli' adeguala norma del vivere: se non
v1 è dare della scatolaio nea in bibita, ovvero
bietola bianca trita con acqua, ovvero man-
dorle amare, assenzio, anisi nella mulsa, con
questo che T ultimo ingrediente ne formi la
menoma parte. Aselepiade forzava i suoi am-
malati ad ingollar anche dell1 acqua salata
p.u* du» dì affine di purgarli, rigettalo tutto
ciò che provoca le orine Alcuni, lasciati da
banda i rimedi proposti di sopra, dicono con-
seguirsi il medesimo effetto dai diuretici e dai
cibi estenuanti. In quanto a me preferisco,
se sufficienti sono le forze, sovvenimenli più
generosi e forti, e se scarse più gentili e blan-
di. Se si è ministrala una purga, si convien
dopo di essa ai primi tre dì prendere mo-
dico cibo di mezzana mi tritura, e bere vino
greco salalo per* mantenere le scioltezza del
venire: indi ne1 susseguenti Ire cibarsi di ali-
menti più sostanziosi e con essi anche delle
carni, e Ira essi non bere che acqua, in ap-
presso riprendere il primiero lenor di vita,
nutrendosi però di più: e dimesso il greco,
bere vino schietto austero : e così andar va-
riando con queste cose sì che frammetta an-
che de' cibi acri, e talora ritorni al vino sa-
lalo. In ogni tempo p >i si vuol usare l'eser-
cizio e la fregagione, e se è di verno il bagno :
se di state le fredde immersioni : di più col-
locare lo infermo in letto e in camera ele-
gantemente adorni, e con geuial compagnia ;
e con sollazzi o giuochi e passatempi e diletti
tener lo spirito sempre ga>o e allegro, per le
quali cose e' sembra «che sia derivato il nome
di morbo regio. Gi,ova nuora porre un im-
pietro risolutivo lugl' ipocondri, ovvero dei
fichi secchi, se il fegato 0 la milza si ritrova-
no effetti.
cap. xxv. Dell<i cura delV elefantiasi.
Oliasi sconosciuto in Italia, frequenlissi -
mo in eerte oonirede è quel morbo che dei
Greci è detto eUfmntiasi; e questo ti aono-
V(.,,, fra i cronici. Tutto il corpo rimane af-
fetta ifl modo she le osse, a (pianto di' ■csi.
,.,■• restano viziate. La superficie del corpo si
ricopre di m icebie e di lu noci, il color ros-
10 delle 'pi •!' ipp "■ > appoco cambiasi >" ne-
ro •. l«i cute inegu ilmente dente, tenue, dura e
molle nudisi in e. rio '|ii.l modo iquemmo-
i ( l aspra ; il corpo dimagra, le faccia, le
sui e i piedi s'intumidiscono ; e questo ma-
lore invecchiali lo, !<• dite oVpiedi i delle ma-
ni si appiattano sotto le inlumcscenzc, e ne
sumit. Frotinus ergo inler inilia sanguis per
biduum mitli debet, aut nigro veratro veu-
ter solvi : adhibenda tam , quanla sustineri
potest, inedia est: paulura deinde vires re-
tìciendae, et ducenda alvus : post haec, ubi
corpus levatura est, utendura est exercitatio-
ne, praecipueque cursu : sudor primum la-
bore ipsius corporis, deinde etiaro siccis su-
dationibus evocandus : frictio adhibenda: mo-
derandumque inter haec, ut vires conserven-
tur. Balneurn rarum esse debet ; cibus sine
pinguibus, sine glutinosis, sine inflantibus: vi-
num, praeterquam primis diebus, recte datur.
Corpus contrita plantago et illita optime
tueri videtur.
Cap. xxvi. — De attonitis.
Altonitos quoque raro videnuis, quorum
et corpus et mens sturpet. F'rt inlerdum ictu
fulminis, interdum morbo: àironrXn^l av hunc
Graeci appellarti. His sanguis mittendus est:
veratro quoque albo, vel alvi ductione uten-
dura. Tura adhibendae frictiones, et ex me-
dia materia minime pingues cibi ; quidam
etiam acres;,et a vino abstinendum.
Gap. xxvii. — De resolutione nervorum.
i . At resolutio nervorum frequens ubi-
que morbus est : sed interdum tota corpora,
interdum partes infestat. Veteres auctores illud
à'rro'jrXti^iav hoc truqàXua-iv nominaverual :
nunc utrumque ira^óXvaiv^ appellari video.
Solent autera, qui per omnia membra ve-
hemenler resoluli sunt, celeriter rapi: ac si
correpti non sunt, diuìius quidem vivunt ;
sed raro tamen ad sanilatem perveniunt, et
plerumque miserum spintóni trahunt, me-
moria quoque amissa. In partibus vero num-
quam acutus. saepe longus, fere sanabili* mor-
bus est. Si omnia membra vehemenler reso-
luta sunt, sanguinis detractio vel occidit, vel
liberat: aliud cuiationis genus vix uncuarn
sanitatem restituit, saepe n)ortera tantum dif-
ferì, vitam interim infestat. Post sanguiuis
missionem, si non redit et motus et mens ,
nihil spei superest; si redit, sanitas quoque
prospicitur. At ubi pars resoluta est, prò vi
et malo corporis, vel sanguis mittendus, vel
alvus ducenda. Cetera eadem in utroque ca-
su facienda sunt : siquidem vitare praecipue
convenit frigus ; paulatimque ad exercita-
tiones revertendum est, sic, ut ingrediatur
ipse protinus, si potest : si id crurum imbe-
cilli taa prohibet, vel gestelur, vel molu le-
di concutiatur : tum id membrum, quod de-
ficit, si potest, per se ; sin mirras, per alium
movealur, et vi quadam ad consuetudinem
Celso,
DELLA MEDtCWA 121
insorge tal febbricciatlola che di leggieri trae
al sepolcro V uomo da cotanti mali gravalo e
oppresso. Devesi tosto da principio cavar san-
gue per due dì, o sciogliere il ventre coll'el-
leboro nero, indi fare astinenza la maggiore
possibile, poscia un poco restaurar le forze,
e con cristeri muovere il ventre: appresso
queste cose reso più mite il male gitlarsi alle
esercitazioni, alla corsa specialmente ; provo-
care dapprima il sudore colla fatica del pro-
prio corpo, dappoi anche colle secche stufe;
usare le fregagioni ; e in mezzo a queste cose
temprarsi sì da non estenuar le forze. Usar
bagno non accade che di rado : gli alimenti
non grassi, non glutinosi, non ventosi. 11 vi-
no, tranne i primi dì convenevolmente si dà:
la piantaggine pesta e spalmala sembra otti-
mamente correggere e curar la pelle.
Cap. xxvi. Degli istupiditi e loro cura.
Anche gli attoniti si vedono di rado,
quelli cioè ai épiali s' istupidisce il corpo e
la mente. Fassi ciò talora per colpo di ful-
mine, talora per malattia denominata greca-
mente apoplessia. A. cotai malati deesi cavar
sangue, dare V elleboro nero, o lavativi : in
appresso strofinazioni, e porgere alimenti non
grassi, di nutritura mezzana ; alcuni anche di
acre qualità; dal vino astenersi.
Cap. xxvii. Della paralisia.
i. Ma la risoluzione dei nervi è un ac-
ciacco frequente in ogni luogo. Essa ora per-
vade il corpo tutto, ora certe parti. Gli an-
tichi autori chiamarono quella apoplessia, pa-
ralisia questa. Al presente vedo entrambe
esser dette paralisi. Quelli i quali vengono
per tutte le membra fieramente assaliti da
stupore, sogliono in brievissimo d'ora mo-
rirne : ma se si sottraggono al primiero im-
peto, vivono lungamente : raro è però che
risanino a perfezione, e per lo più menano
vita languida e stentata con perdimento an-
che della memoria. La paralisi parziale non
è mai acuta, spesso lunga, quasi sempre in-
sanabile. Se tutte le membra sono cadute in
risolvimento, la cacciata del sangue o risana
o uccide : per nuli1 altra cura puossi forse ri-
vocare a sanità V infermo, non di rado si dif-
ferisce di tanto la morte, rimanendone in que-
sto mozzo offesa la vi'a. Se dietro li missio-
ne del sangue non fa ritorno sì il moto co-
me il discernimento, non v1 è nudla a spera-
re ; se ritorna, scorgesi pure probabile il ri-
sanamento. Allorquando si ha una paralisi
parziale, vi si ripara a ragguaglio della for-
za del corpo e del male cacciando sangue, ed
evacuando co' cristeri l1 alvo. Si devono fare
in ambi i casi le altre medesime cose: im-
perocché bisogna soprattutto schifare il fred-
do, e appoco aj :o ritornare agli esercizi
16
CELSO
suam redeit. Prodest eliara torpentis mem-
bri summam cutem exasperasse . vel urticis
caesam, vel imposito sinapi, sic ut, ubi ru-
bere coeperit corpus, haec removeantur. Scil-
la quoque contrita, bulbique contriti cum
tliure recte imponunlur. Neque alienimi est,
resina cntem terlio quoque tlie diulius vel-
iere, pluribns etiam Jucis; aliquando sine t'er-
ro cucurbilulas admovere. Unclioni ver > a-
ptissimum est vetus oleum, vel nitrum aceto
et oleo admixtum. Quin etiam fovere a qua
calida marina, vel, si ea non est, tamen sal-
sa, magnopere necessarium est. Ac si quo lo-
co vel naturales, vel etiam maini factae la-
les natationes sunt, iis potissimum utendum
est; praecipueque in his agitanda membri,
quae maxime deficiuut: si id non est, bal-
neum tamen prodest. Gibus esse debet ex
media materia, maximeque ex venatione ; po-
lio, sine vino, aquae calidae: si tamen vetus
morbus est, interponi quarto vel quinto die
purgationis caussa vinum graecum salsum po-
lest. Post coeuam utilis vomitus est.
De dolore neryorum.
cosicché cammini bentosto se, può, da per se ;
se la fievolezza, delle gambe ne lo impedisce,
si faccia portare, ovvero scuotere ed agitare
col movimento del letto : indi la parte stu-
pefatta giova, potendo, muoverla da sé ; in
caso contrario farnela muovere da altrui: e
usarle per così dire violenza, ond1 essa alla
consuetudine sua ritorni. Ancora fa prò ir-
ritare la cute dello intorpidito membro, sia
battendolo con ortiche, sia apponendovi della
senape, le quali poi si rimuovono tosto che
la pelle principierà a rosseggiare. E anche
ben indicala la squilla contusa postavi sopra,
ed i bulbi con incenso ammaccati. Né è mal
convenevole stimolar lungo tempo la cute ogni
tre dì con gomma, anche in più luoghi : ed
una tal volta imporre le coppette secebe. Per
la unzione poi proprissimo fra tutti è V olio
vecebio, ovvero nitro mescolato con olio ed
aceto. Anzi è sommamente necessario far sul-
le parti delle fomentazioni d1 acqua calda ma-
rina, e in difetto di questa, d'acqua salala.
E se si trovano in alcuna parte piscine na-
turali od anche artificiali ili tal fatta, di que-
ste si convien preferibilmente usare, e in essi
le membra inferme in ispeeial modo agitare ;
e se noti ve n' è copia, giova tuttavia il ba-
gno. Il cibo esser dee della mezzana classe
principalmente di cacciagione: la bevanda di
acqua calda senza vino : se però la malattia
è acuta, si può onde rendere libero l1 alvo,
interporre ogni quattro o cinque dì del vino
greco salato. Dopo la cena è utile il vomi-
tare.
Dolori di nervi.
2. Intcrduni vero etiam nervorum (Io-
Imi- miri tolet. In hoc CASO non vomere, non
medicamentis uria. un movere, qoq exercita-
tionc sudorem , ut quidam praecipìuot ,
expedit. Bi benda «qua est bis die : in le-
< lulo leni ter saiis dm corpus perfrteandura
est, 'binde r.l.nto spiriti! : ali ipsa c\cr-
citatione potiui superiora partes raoven-
dae: baloeoraro utendum: mutandum iub<
inde peregrina tionibus coelum. si dolor est,
e.i iosa pars une ole,,, nitro ex aqua perun-
reo la est ; deinde intolvend .. el lubjicien
>\.t prua i lems. ei siilplmr. atque Uà id suf.
fumigandolo ; idqoe aliquandiu faciendum .
•ed jejuno, cum bene jtm concoueriJ Cueur-
1, lini...- quoque laepe dolenti parti adraoven
ini. pulsaodusque leniter inflatii su i-
< i- bubolii is loi ii. est i lile est etiam se-
\ un. miscere i uro hyo •< .ami .1 m i, , •• , a
Irilis -e. mini, ii . ,,l Q m;,|Ml Q ii Q
' ine imponi aqu .. m qua mi-
pimi aeco lom ut. 1 Iripuli quoque reute im .
ponnntur aqa i i riida n pi Li, ani bitumen
< imi hordetoea farina mixtum. itqoe io ipso
'imo dolore, uteodum gesta lionc \.
2. Talvolta insorge anche il dolor dei
nervi. In questo disconviene, siccome certi
insegnano, il vomitare, il provocare con me-
dicamenti P orina, coli' esercizio il sudore.
Devesi bere acqua, e «lue volte il di stando
in letto stropicciar dolcemente il corpo per
un tempo diserei, imeni e 1 1 m ir ' » : dipoi rite-
nuto il fiato, Dello stesso esercitarsi, muove-
re piuttosto le parti superiori : fu- uso rara-
mente del bagno, i- spesso mutai viaggiando
aria e paese. >c ii fa seni ire il dolore. biftOr
gna stropicciare quella parte istessa con acqua
ni tra la senz'olio: dappoi s'involge, t vi si
soli, .incile una dolce br .ce. Milh quale si v;»
i-iti. indo dello /olio, on. le ne riceva il \apo-
M- i si continuane queste fumicazioni i"'1
alcun tempo, ni. ;. digiuno, fatta ebe aia già
I. digestione. Qualche tolta anche la
prò apporre .11.. parte dolente delle coppe t-
ie. e percuoterla dolcemente con vesciche «li
bue ripiene d'aria I t ile pure si è di fare un
miscuglio di puh eguali di sevo a di semi
pesti di jusquumo e d'ortica, ed applicarve*
lo : Imiieiil.ii l.i con acqua in cui sia bollilo
dell,, golfo, Amie- vi si pongono laudi \«d-
hementi est: quod in aliis doloribus pessi-
mum est.
De tremore nervorum.
3. Tremor antem nervorum aeque vomi-
tu medicamentisque urinam moventibus in-
tenditur. Inimica etiam habet balnea, assas-
que sudationes. Bibenda aqua est : acri am-
bulatitene utendum; item unctionibus, fri-
ctionibusque, maxime per se ipsura : pila,
similibusque snperiores partes dimovendae ;
cibo quolibet utendum, dummodo concoctioni
utique studeatur ; secundum cibum, curis
abstinendum ; rarissima venere utendum est.
Si quando quis in eam prolapsus est, tum
oleo leniter diuque in lectulo perfricari ma-
nibus puerilibus potius , quam virilibus ,
debet.
De suppurationibus internis.
4. Suppurationes aulem, quae in aliqua
interiori parte oriuntur, ubi notae fuerìnt,
primum id agere oportet per ea cataplasma-
ta, quae reprìmunt, ne coilus inutilis male-
riae fiat ; deinde, si haec vieta sunt, per ea
malagmata, quae digerunt, ut dissipelur.
Quod si consecuti non sumus, sequitur, ut
evocetur: deinde, ut maturescat. Omnis tum
vomìcae finis est, ut rumpatur, indiciumque
est pus vel alvo vel ore redditum. Sed'nihil
facere oportet, quo minus, quidquid est pu-
ris, excedat. Utendum maxime sorhilionibus
est, et aqua cali da. Ubi pus ferri desiil,
transeundum ad faciles quidem, sed lamen
validiores et frigidos cibos, frigidamque a*
quam, sic ut ab egelidis tamen inilium fìat»
Primoque cum melle quaedam edenda, ut
nuclei pinei , vel graecae nuces , vel avel-
lanae : postea snbmovendum id ipsvim, (juo
ma tarlai induci cicatrix possi t. Medicamene
tum eo tempore ulceri est, succus assumplus vel
porri, marrubii, et omni cibo porram ipsum
adjcclum. Opprtebil autem uti in iis partibus,
quae non afficiuntur, frictionibus ; item am-
balationiboi lenibas : viiandumque erit. né
vel lnctando, vel currendo, vel alia ralione
sanescentia ulcera exasperenlur. In boc enim
norbo pernicioso^, ideoque omni modo ca-
vendus sauguinis vomitai est.
DELLA MEDICINA 123
mente degli olricelli ripieni d'acqua calda,
ovvero del bitume mescolato a farina d'or-
zo. Ma egK è appunto nell' attualità del do-
lore che si deve usare gagliarda gestazione,
la quale in altre generazioni di dolori è som-
mamente contraria.
Tremore de"1 nervi.
3. Il tremore dei nervi si esacerba si-
milmente col vomito e 00' medicamenti pro-
vocanti le orine. Avversi eziandio sono ì
bagni e le stufe secche da sudare. Vuoisi
bere acqua, passeggiar molto ed ungersi pu-
re, e stroppicciarsi specialmente da se : tene-
re in molo le membra superiori col giuoco
della palla, ed altri somiglianti esercizi: far
uso di qualsivoglia alimento, pnrche s'in-
tenda ad ismaltirlo. Dopo il pasto darsi al
dolce oblio delle cure ; assai raramente ab-
bandonarsi ai sensuali dilettamenti. E se al-
tri ad essi si dette in braccio, allora devesi,
stante in lettof fare soavemente e lunga-
mente strofìnature con olio, preferendo mani
fanciullesche alle virili.
Suppurazioni interne.
l\. Le suppurazioni3 che nascono in al-
cuna interna parte, dacché ce ne rendiamo
accorti, fa d' uopo imprima con impiastri ri-
percuzienti, impedire non si faccia raunanza.
di nociva materia : indi se questi non fanno
effetto, procurar di dissiparla con cataplasmi
digerenti : che se non sì riesce a conseguire
tal cosa non rimane altro che di attraila
ali1 esterno, dipoi farla maturare : il fine dì
ogni vomica allora è che si rompa : ne fa
indizio la marcia che si rende per l1 ano o
per la bocca. Si eonvien poi non far cosa
che impedir possa la libera uscita della mar-
cia. Devesi usare principalmente di brodi
farinacei e d'acqua. Allorché la marcia cessi
di colare, d'uopo è passare all'uso di cibi
agevoli sì a digerire, ma nutritivi, e freddi;
e bere similmente acqua fredda in modo
però che si cominci da cose tiepide. Si deve
ma ng'ure dapprima alcuna cosa con mele,
come pinocchi o noci greche, o nocciuole :
poscia rimuovere tutto c?ò che indurre po-
tesse troppo presto la oieà'frice. Allora rime-
dio per T ulcera è il sugo del porro o del
marrubio, e giova di pur mischiare del por-
ro istcsso agli pimenti lutti. Sarà altresì op-
portuno fare, nelle parli che non sono affet-
te, piacevoli fregagioni : c<?sì parimente andar
soavemente passeggiano1*: e si dovrà pren-
der guardia a non i-iciprignirc le rammar-
ginanti ulcere, sia eorrendo, sia lottando, o
per qualsivoglia vltra guisa. Che in questa
malattia il vom/lo di sangue è pernicioso,
ed impennò devesi per ogni modo schifare.
A. CORN. CELSI
DELLA MEDICINA
DE MEDICINA
DI AULO CORN. CELSO
LIBER QUARTUS
LIBRO QUARTO.
Cap
L — De Immani c.orporis interiori-
bus sedibus.
Hactenus reperiuntur ea genera mor-
borum, quae in totis corporibus ita sunt, ut
iis certae sedes attignali non possint ; none
de iis dicam, quae sunt in partibus. Faci-
lius aatem omnium Interiornm morbi cura-
tionesc|ue in notitiam venient, si prius Co-
runa sedes breviter ostendero. Caput igitur
eaqne, quac in ore sunt, non lingua tanta n -
modo palaloque tenuinantur ; sed e ti a no,
anatema oculis noslris cxposila sunt. In
dextra sinistraque circa gutlur venae gran-
des ; quae <r<pxyÌT(Jci nominantur ; itemque
arteriae, quas xa^urt fas vocant, sursum pro-
cedente* ultra aurei feruntur. At in ipsis
cerricibes glandnlae positae sunt, quae in-
lerdum com dolore fatarne xml Deindedao
Minerà indpinnt: alierum, asperam arteriara
nominanl ; alterna, itomachnm. Arteria exte-
rior ad reotrìculom fertur; ill.i fpiritum, li ic
(ibiirii reeipit. Quibnfcnm di terme viac sint,
noacoennt, exlflfta in arteria sub ipsis
uodbuf lingua eat ; quae, cum spiramus, ai-
tolltnr ; curri dbcMi potioncraqne affami*
miM, arleriem cljpdU. Iosa antem arteria,
''"' '■• et cartilaginosa in gattnre attor-
!•' ; ,'''1, ''•"» p " libai reti Hi. Constai < \ cir-
«iiiis qoibm li. ii, compofitii ad imaginem
••Minia vertebrarnm, qnae in ipiof sunt:ita
1 «nen, <»t « \ ( CX| >rtore uptra ; » inte-
'■■ itomt< I" mado berli sii : eaque de-
al endeni i l pi le orftia cum polmone bora
Cap. I. Delle parti interne del corpo.
Insino a qui si trovano quelle atTe/ionì
ebe tutto il corpo investono ih lanto che non
si può loro assegnare una determinata sede:
ora dirò di quelle che sono proprie a cia-
scuna parte. Ma per agevolare il conosci-
mento delle malattie delle interne parli e
loro cura, giovami esporre in pria brieve-
mente le parti in cui hanno sede. Il capo
adunane, e quelle cose che sono nella borra
non finiscono soltanto alla lingua e al pala-
to, ma fin là dove può giugner V occhio.
Sono a sinistra ed a destra lurido il collo
grandi vene* denominate sfagitidi\ ed arte-
rie pure che si chiamano carotidi, le (piali
in alto ascendendo si recano oltre alle orec-
chie. Som» pure nelle fauci alcune ghiando-
le, che talvolta s' intumidiscono e dolgono :
in appresso due canali prendono rominciu-
inento, chiamalo P uno Binerà arteria, eio-
fago l'altro. L'esperà art-ria, che è più e-
fterna, si reca al polmone; l'efofago, che è
più interno, al ?enlricnJo: quella addoce fa-
ria, qUCftO il riho. Nfl luOgQ ove questi due
canali facenti due diverse strade, si con giun-
gono, v'ha nel!" asper i arteria entro le lan-
ci una linguetta, la quale nel respirare si
innalza, e nel mangiare <• bere, chiude Pa«
Spera arteria. <v>ues|a poi lilla dura e carti-
laginea, s'ingrossa sul davanti della golf",
e nelle restanti pai ti e deprefsa. Effa Gon-
fia di anelli tatti lilla foggia di quelle vrr-
iiiittitur. ti ipongiofus,VJeoqoe spiritai cape*, teine, che nella spini sono: con qneeto di-
ti ■» tergo si, in it [pai jufotof, [a dnai nbraf,
ungnl i- imiI.mI .e m ido, di iditur. Unir cor
ano torneai, natara mufenJaeom, in necton
tnb ùnlfteriore mamma situai ; Juofqec quasi
vai io pero «In- nella parte anteriore n-
SCOntrafi aspra r disuguale; nella postei io-
re, OfC fi Unisce alT esofago, levigata e li —
Mia e discendendo al petto co' polmoni
rentriculos habet. At sub corde atque pul-
raone, transversum ex valida membrana se-
ptum eat, quod a praecordiis ulerum diducit,
idque nervosum, mullis eliam venis per id
discurrentibus a superiore parte, non solum
intestina, sed jecur quoque lienemque di seter-
nit Haec viscera proxime, sed infra tamen
posila, dextra sinistraque sunt. Jecur a dex-
tra parte sub praecordiis ab ipso seplo or-
sura, intrinsecus cavum, exlrinsecus gibbuta
est : quod prominens leviter ventriculo insi-
det, e in quatuor fibras dividitur. Lx infe-
riore vero parte ei fel inhaeret. At iienis si-
nistra, non eidem septo, sed intestino in-
nexus est, natura mollìs et rarus, longiludi-
nis crassitudinisque modicae; isque paulum
a costarum regione in uterum excedens, ex
maxima parte sub his conditur. Atque haec
quidem juncta sunt. fienes vero diversi;
qui 1 uni bis sub imis costis inhaerent, a parte
earum rotundi, ab altera resini ; qui et ve-
nosi sunt, et ventriculos habent, et tunicis
super conteguntur. Ac viscerum quidem bae
sedes sunt. Stomachus vero, qui inlestino-
rum principium est, nervosus a septima spi-
nae vertebra incipit ; circa praecordia cum
ventriculo commitlitur. Ventriculns autem,
qui reeeptaculum cibi est, consta t ex duo-
bus tergoribus ; isque inter lienem et jecur
positus est, ulroque ex his paulum super eum
ingrediente. Suntque etiam membranulae le-
nues, per quas inter se tria isla connectun-
tur, jungunturque ei seplo, quod lrans\er-
sum esse, supra posui. Inde ima ventricidi
pars paulum in dexteriorem partem conver-
sa, in summum intestinura eoa retato r. Flanc
juncturam vruXcofo'v Graeci vocant, quoniam
porlae modo in inferiores parles ea, quae
exereturi sumus, emittit. Ab ea jejunum in-
teslinum incipit, non ita implicitum : cui ta-
le vocabulum est, quia numquam, quod ac-
cipit, continet ; sed piotinus in inferiores par-
tes transmittit. Inde tenuius inteslinum est,
in sinus vehementer implicitum : orbes vero
ejus per memhranulas singuli cum interiori-
bns connectuntur ; qui in dexteriorem par-
tem conversi, et e regione dexterioris coxae
finiti, superiores tamen partes magis com-
plent. Deinde id intestinum cum crassiore
altero transverso commitlitur, quod a d ex tra
parte iucipiens, in sinisleriorern pervium et
longum est, in dexleriorem non est ; ideoque
caecom nominatiti'. At id, quod pervium est,
late fusum atque sinualum, minusque quam
superiora intestina nervosum, ab ulraque
parte huc atque illue volutimi, magis tamen
sinisteriores infeiioresque parles tenens, con-
tineit jecur atque ventriculum : deinde cum
quibusdam membranulis a sinistro rene ve-
nientibus jungilnr; atque bilie dextra rHQT-
valum in imo diri^itur, qua extcrnil j ideo-
DELLA MEDICINA 125
s'innesta. Questo viscere ebe è spongioso, e
per conseguente capace d'aria, e che al dor-
so della spina aderisce, si diparte in due lo-
bi a guisa d' un' unghia di bue. Al polmo-
ne sta annesso il cuore di natura muscoloso
che giace nel petto sotto alla sinistra mam-
mella : esso ha in sé due seni, o diremo due
ventricoli. Sotto il cuore ed i polmoni v' è
un setto trasverso di assai forte membrana,
che T imo ventre divide dal petto : e ner-
voso com'è, pur discorrono per esso di mol-
te vene: esso separa dalla parte superiore
non solo le intestina, ma anche il fegato e
la milza. Queste viscere prossime ad esso, ma
però al di sotto, giacciono a destra e a si-
nistra. 11 fegato che è alla diritta sotto i
precordi a contatto del diaframma, è nella
faccia inferiore concavo, siili' esterna con-
vesso : la sua parte prominente s'appog-
gia lievemente al ventricolo, e in quat-
tro lobi si divide . Dalla sua parte in-
feriore gli sia attaccato il fiele. La milza
poi alla stanca non si appoggia al medesimo
setto, ma all'intestino ; floscia e poco di sua
natura compatta, di mezzana lunghezza e gros-
sezza : essa poco discostandosi dalla regione
delle costole entro l'addomine, sotto di quel-
le si asconde in gran parte. Tutte queste so-
no fra loro unite. I reni al contrario sono
due, e separali : essi poggiano ai lombi sot-
to l'ultime coste: dalla banda di queste sono
ri tondi, dall'altra curvi: essi son vascolosi,
ed hanno dei ventricoli : e superiormente
vanno ricoperti da membrane. Questa è la po-
sizione delle viscere. L'esofago poi che è il
principio delle intestina, è nervoso: inco-
mincia alla settima vertebia della spina, im*
bocca il ventricolo attorno i precordi. 11 ven-
tricolo che è il ricettacolo del cibo, è com-
posto di due tuniche : giace fra il fegato
e la milza : e tutti e due si distendono un
poco sopra di esso. V hanno anche delle
tenui membranelle, onde si connettono que-
sti tre fra di loro, e si congiungono a quel
setto trasverso già detto di sopra. Dipoi la
parte più bassa dello stomaco rivolta un po-
co verso la destra, rislringesi nel primo in-
testino. I Greci chiamano questo ristringi-
mento piloro, perocché a guisa di porta tra-
smette alle parti inferiori quelle materie che
evacuare dobbiamo. Da esso nasce il <1 i «in-
no intestino, non così circotif oliato , e che
porta questo nume, perchè non ritiene le ma-
terie che riceve, ma prestamente le trasmet-
te alle inferiori parli. Indi prende origine
L'intestino gracile maravigliosamente intrica-
to negli anfratti : ciascuno de' suoi giri si
connette per via di gentili membrane agl'in-
feriori : e quésti rivolti verso il lato destro,
e circoscritti Halla regione dell' anca destra ,
non però vie margiormente riempiono Jc par-
120 CELSO
que id ibi rectum intestinum noininatur.
Contegit vero universa haec omentum, ex
inferiore parte laeve et strictum, ex superio-
re mollius; cui a'ieps quoque innascitur ;
quae sensu, sicut cerebrum quoque et me-
dulla, caret. At a renibus lìngula e venae,
colore albae ad vcsicam fcruntur : oJpwT>7faj
Graeci vocant, quod per eas inde descen-
deiitcrn urinarti in vesicam destillare conci-
piunt. Vesiea autem in ipso sinu nervosa et
duplex, cervice piena at que carnosa, jungitiiE
per venas cimi intestino, eoque osse, quod
pubi subest : ipsa soluta atque liberior est :
alitcr in viris atque in feminis posita. Nana
in viris juxta rectum intestinum est, potius
in sinistrano partein inclinata; in feminis su-
per genitale earum sita est, supraque lapsa,
ab ipsa vulva sustinetur. Timi in masculis
iter urinae spatiosius et compressius a cer-
vice hujus descendit ad colern : in feminis
brevius et plenius, super vnlvae cervicem se
ostcndit. Vulva autem in virginibus quidem
a Imoduni exi^ua est: in mulieribus vero,
nisi ubi gravidae sunt. non multo major,
quam ut manu comprebendatur. Ea, recta
tenuataque cervice, quem canaletti, vocant,
conlra mediani alvum orsa, inde paolo QQ ad
dexleriorem coxam convertitili-; deinde su-
per rectum intestinum pregressa, illis ferai-
nae latera sua innectit. Ipsa antera ilia inter
COXas et pobem imo venire posila sunt. A
qnibns ac pnbe abdoraen sorsnm versus ad
praecordu pervenit : ab ex te ri or e parte, e-
videnti cute, ab interiore levi membrana in-
clnsnm, qnae omento jungitur; nr-firóvuios
autem a Graecis nomiualur.
Caput n. — De curationibus morbofumt
(/i/i ntucuntut 'i capite.
i. Ilis vcluti in conspectnin qneradam,
1 1 ii iicmis idre enrtoti n< i esaarinm i it, ad lo
■ media sàngui ii um libonotkun partiom
ti superne. Dipoi questo si congiugne all'al-
tro più ampio intestino posto trasversalmen-
te, il quale dal diritto lato incominciando, è
aperto e lungo dalla banda sinistra, altri-
menti nella destra, e perciò chiamasi cieco.
Il lato che è pervio, è assai dilatato e sinuo-
so, e meno nervoso delle superiori intestina,
e dall' una parte e dall'altra in qua e in là
ripagato, più però il sinistro lato occupan-
do che non il destro, va a conlatto del fe-
gato e del ventricolo, dipoi si congiunge con
diverse membranette provenienti dal sinistro
rene; e quindi ripiegato a destra dirigesi
verso il fondo, donde si vola : e perciò dato
è a questo tratto il nome di retto intestino.
Tutte queste cose le ricopre l'omento, nella
parte inferiore liscio e compatto, umilissimo
nella superiore: e«li è quivi dove s'ingene-
ra l'adipe, il (piale egualmente che il cer-
vello e la midolla, è priva di senso. Da cia-
scun rene inoltre parte un canale di color
bianco, che va alla vesoica. chiamalo dai Gre-
ci uretere, perchè si avvisano per questi ca-
nali discendere l'orina in vescica. La vescica
poi, nel fondo del ventre, di natura nervosa
e di due membrane composta, col collo den-
so e carneo si unisce mediante alcune vene
coli' intestino e con quell'osso che soggiace
al pube: essa è sciolta e llultuante pel ven-
tre, e diversamente posta negli uomini da
quel che è nelle femmine. Imperciocché ap-
po (pulii è situala lun^o L'intestino retto,
inclinata piuttosto alla sinistra : appo queste
giace sopra gli organi della generazione, e di
sopra sciolta è sorretta dall'utero slesso.
Inoltre il condotto dell' orina più lungo e
angusto negli uomini disrende dal collo del-
la vescica fino all' apice del pene ; nelle don-
ne più breve e più ampio si fa vedere so-
pra il collo della matrice. La matrice nelle
vergini è di picoiolissima mole ! nelle donne,
in fuor di (piando son gravide, non è si gros-
sa da non potersi capire colla mino, Essa
col eolio retto e prolungato, cui ilieoiio c.i-
ii. ile. nata verso il mezzo del ventre, si pie-
ga, indi alquanto verso l'anca diritta, e pro-
gredendo poscia sull'intestino u-llo, connet-
te i suoi lati agl'ilei della donna. La situa-
zione degl'ilei e nell'imo ventre fra ' nan-
clii e il nube. Dagl'ilei e dal pube estenden-
doti l'adiloniiiie all' insù perviene ai prce ir-
di: all'esterno e ritenuto e compreso dalla
nelle, siccome si offre all' occhio : all'interno
<l.i mia .solili membrana ohe si congtaoge allo
orni ilio, dai Greci chiamata peritoneo.
C\r. ii. — Delle malattie della tenta e.
loro e tira.
\. Renate ancate oott croati dinanzi agli
occhi, (pianto basta a sapersi da ohi deve cura-
re, dirò de'iimcdi delle ij Ugole parli viziate
exsequar, orsus a capite : sub quo nomine
mine significo eara partem, quae capillo te-
gitur: nam oculoruni, aurium, denlium do-
lor, et si quis similis, alias erit explicandus.
De capitis dolore.
MEDICINA I 27
e inferme, cominciando dal capo: sotto il
qual nome intend' ora quella che è ricoper-
ta dai capelli : giacché il dolor degli occhi,
degli orecchi, de'denti e d'alcun altro simile,
se v'ha, sarà sposto altrove.
2. In capite autem interdum acutus et
pestifer morbus est, quam ■x.c<pa\ai'av Graeci
yocant: cnjus notaesunt, horror validus, ner-
vorum resolutio, oculorum caligo, mentis
alienatio, vomitus, sic, ut vox supprimatur ;
vel sanguinis ex naribus cursus, sic, ut cor-
pus frigescat, anima deficial : praeter haec,
dolor intolerabilis, maxime circa tempora vel
occipitium. Interdum autera in capite longa
imbecillitas, sed neque gravis, neque perieu-
losa, per hominis aetalem est : interdum gra-
vior dolor, sed brevis, neque tamen morti-
ferus ; qui vel vino, vel eruditale, vel frigo-
re, vel igne, aut sole contrahitur. Hique o-
mnes dolores, modo in febre, modo sine hac
sunt; modo in toto capite, modo in parte;
interdum sic, ut oris quoque proximam par-
tem exerucient. Praeler haec etiamnum in-
venitur genus, quod potest longum esse; ubi
humor cutem inflat, eaque intumescit, et pre-
menti digito cedit : v$Qoxi<pa\ov Graeci ap-
pellane Ex bis id, quod secundo loco posi-
lum est, dum leve est, qua sit ratione cu-
raudum, dixi, cum persequerer ea, quae sani
homines in imbecillitate partis alicujus facere
deberent. Quae vero auxilia sint capitis, ubi
cum febre dolor est, eo loco explicitum est,
quo febrium curatio exposila est. INunc de
ceteris dicendum est. Ex quibus id, quod acu-
tum est, et id, quod supra consuetudinem in-
tendilur, idque, quod ex subita causa, etsi
non pestiferum, tamen vehemens est, primam
curationem habet, qua sanguis mittatur. Sed
id, nisi intolerabilis dolor est, supervacuum
est : satiusque est abstinere a cibo : si fieri
potest, etiam a polione ; si non potest, aquam
Libere. Si postero die dolor remanet, alvum
ducere, sternuta meni a evocare, nihil assume-
re, nisi aquam. Saepe enim dies unus aut al-
ter totum doloreni hac ratione discutit; uti-
que si ex vino vel eruditale origo est. Si ve-
ro in liis auxilii parum est, tonderi oportet
ad cutem : deinde considerandum est, quae
caussa dolorem excitavit.'Si calor, aqua frigida
molla* per fondere caput expedit; spongiam
concava m imponere, su binde in aqua frigida
expressam ; ungere rosa et aceto, vel polius
liis linciano lanam succidali! importerei aliave
refrigerantia calaplasmata. Al si frigna nocuit,
capnl oportel perfundere aqoa calida marina,
vel certa lalla, ini io qua laurea decocta sii;
inni <a[ ut vebementer perfrìcare : deinde ca-
lido oko implere et veste velare. Quidam
Cefalgia.
2. Nel capo insorge tal fiata un acuto e
pestifero morbo, che i Greci nomano cefalal-
gia. I segni del quale sono un forte brivido,
un rilasciamento universale, abbagliamento
d'occhi , alienazione della mente e vomito ,
tanto che si perde l'uso della favella : ovve-
ro fassi tal getto di sangue dalle narici che
il corpo divien freddo, la persona cade in de-
liquio : a questi accidenti si aggiunge un in-
tollerabil dolore, massimamente alle tempie
ed all'occipite. Alle volte si prova' nel capo
una lunga debolezza, ma ne grave né peri-
colosa, e che dura tutla la vita : talora un
dolor più grave*, ma breve : non però mor-
tifero, accagionato da vino o da indigestio-
ne, o da freddo, o da fuoco, o da sole. E
questi dolori sono ora con febbre, ora sen-
za : e talvolta in modo che ne sono crucia-
te anche le parli propinque alla bocca. 01-
tra queste se ne dà un' altra specie che può
esser lunga : ed è quando un umore fa en-
fiar la cute, la quale si rende tumida e cede-
vole al dito premente: chiamasi dai Greci
idrocejalo. Indicai già come si debba cura-
re la seconda specie di dolore , purché sia
leggiero, colà dove divisai queUo che si deve
fare dalle persone sane nella debolezza di
quella parte. Quai sussidi poi si convengono
al dolor di capo , allorché è con febbre, il
dissi là dove sposta fu la cura delle febbri :
ora devesi dire delle restanti specie. Fra que-
ste quella che è acuta, e quella che fuor del-
l'usato si fa intensa, e quella che insorge
per una subitanea cagione, tuttoché non mor-
tifera, veemente pur essendo, riconosce nel-
la cacciata del sangue la principale medica*
tara. Ma essa, tranne che il dolore non sia
intollerabile, è superflua, e basta astenersi dal
cibo ; e se si può anche dalla bevanda , in
caso che no, non bere che acqua. Se il do-
lore continua al susseguente dì, far cristeri,
provocare sternuti , non pigliar che acqua.
Imperciocché spesso interviene che con que-
sta norma in un dì o due si sciolga il do-
lore, massimamente ov'e'sia provenuto da
vino, o da mala digestione. Che se piccolo
giovamento si é tratto da questi provvedi-
menti, fa d' uopo radere fino a pcUe la le-
sta, poscia indagare qual cagione abbia ge-
nerato il dolore. Se calore, giova spandere
in gran copia acqua fredda sul capo : appor-
vi una spugna concava , bagnata ogni poco
in acqua fredda: ungerlo d'olio rosalo e di
120 CELSO
etiam id devinciunt ; alii cervicalibus vesti-
raentisque onerai, et sic levantur ; alios ca-
ltela cataplasmata adjuvant. Ergo etiara, ubi
canata incognita est. videre oportet, refrige-
rantia magis, ari calefacientia leniant, et iis
liti, quae experimenfum approbarìt. <U si pa-
rurn causa discernitur, perfundere caput, pri-
mom aqua e «li da, sicut sopra praeceplum est,
Tel salsi, vel ex lauro decocta ; turn frigidi
■ >•. a. Illa iu omni vetusta capilis dolore com-
muuia sunt : sternutameola excitare, inferio-
res pirtc^ vehementer perfricare , gargariza-
re iis. quae salivam inoveut, cucurbitulas
temporibus et o:cipitio a Imovere, sanguinem
ex naribus detrahere, resina subiude tempora
pervellere, et imposi! > sinapi esulcerare ea,
quae male habeut ant^ linleolo subjecto, ne
eehemenJier arrodat; candentibus fertamen-
tis, ubi dolor est, 'ulcera excitare ; cibum
petmodicum cum aqua sumere : ubi levatus
est d dor. in balneum ire, ibi multa aqua,
prius calid», deiude frigida per caput por>
fundi ; si discusso! ex loto dolor est, etiam
ad vinum reverti ; sed postea semper, ante-
quarn quid juam aliud, aquam bibere. Dissi-
mile est i<l genus, quod humorem in caput
contrahit. In boc tonderi ail cutem neeessa-
rium est; deinde imponere sinapi, sic, ut
exnlceret: si i « 1 parami profilili, scalpello uten-
<lum est. Illa cum bvdr >picis coraniunia suut,
ut exerceatur, insudet, veliemeuter perfrice-
tur, eibis potionibusque utatur uriuam prae-
cipue raoventibus.
Caput ih. De morbo, qui circa faciem
nasci tur.
Circi (adoni vero morbus innascitnr ,
qu< ui * ir mei x>jvixòv rTioriiii'i' itemlaint ls
CQOI i oli feffl libri nntur: os rum molu
q a odano perrertituri ideeerae ntJiil alimi est,
quam distootio uri-, tceedil «iridi colori a
in naia loloqne corporei mutino ; somnes
in fir< >nir»iii est. In hoc langeinern mittore
optimum est: si noilum ©o malora u«m csi.
ducere itaui ; li ne i le quia* • a disco mmi
■ !■ » rojatro roeailaai movere. Praeter
hafe, nercs^ariiim est vitarc solem, lassilndi-
nem, viuutn. Si discussili lns non est, uten-
aceto, o meglio ancora imporvi lana sucida
intrisa di essi, ovvero altri impiastri di qua-
lità rinfrescativa. Ma se freddo, si conviene
getlare in sul capo dell'acqua di mare cal-
da, od almeno salata, ovvero acqua in cui sia-
si cotti» del lauro : indi fortemente stropic-
ciarlo, poi ungerlo d'olio caldo, e ricoprir-
lo. V1 ha anche taluni che stringono con un
laccio la testa : altri la caricano di guancia-
li e di panni : e per tal modo ne rimango-
no sollevati: ad altri infine apporta giova-
mento l'applicazione di caldi impiastri. Si con-
viene imperciò , allorquando ignota ne è la
cagione, sperimentare se più giovino i riscal-
danti, o i rinfrescanti, e di quei far uso che
T esperienza approverà. Ma se poco si ravvi-
sa la cagione, si deve, com'è prescritto di so-
pra, versare sul capo prima dell'acqua calda
o salata, o entrovi bollito del lauro : dipoi
della fredda posca. In ogni inveterato dolor di
capo sono comuni le seguenti cose : eccitare
sternuti, stropicciar forte le parti inferiori :
gargarizzare con sostante atte a muovere la
saliva, porre le coppette alle tempie ed all'oc-
cipite, trar sangue dalle narici, divellere ad
ogni tratto le tempie traendo via a forza i
cerotti adesivi di resina, ed esulcerare le par-
ti dolenti coll'applicazione della senape, a cui
si sottopone innanzi un pannolino, acciocché
non si faccia troppa erosione: fare con fer-
ri roventi delle colture ; pigliare modicissi-
mo cibo, bever acqua : menomato il dolore
andare in bagno, ed ivi spargere di molai
aequa per la testa dapprima calda, indi fred-
da : se il dolore è disciolto al tutto, ritor-
nare anche all' uso del vino, ma in appres-
so bere sempre dell' acqua innanzi ogu altra
cosa. Diversa è quella malattia che formasi
dall'umore nel capo. In questa e necessario
raderlo lino a pelile, dipoi apporvi della se-
nape sì che esulceri : esc ciò poeo giova, si
deve lai uso del l'erro. Rimedi comuni agli
idropici sono 1' esercizio . il sudore, le ga-
gliarde fregagioni, e l'uso dei cibi e beveraggi
in particolar ino lo provocanti le orini».
Cap. ih. — Di una infermità nella fascia.
La farcia poi va soggetta ad un male, il
<pnle dai Greci chiamasi spasmo cinico. Ra-
tea OSSO Oliali sempre con febbri acuta. La
bocca devìs dal suo sesto coti no earto quel
moto, ed inaper ciò litro non è ebe ano sti-
ramento dell- Labbra, Il calori ili rieo e di
latta il corpo si cambia sreqoantamante: il
malato è sempre inchinalo al sonno. I/emis-
sione del '-in. or e in quelli melatili l'otti-
me dei rimedi : se non cede ad essa, <\ pas-
si ai ertiteli : < se neppM eoo ciò si dilegua,
si provoca il vomito coll'elleboro bianco. 01-
DELIA MEDICINA
dnm est cursu ; frictione in eo, quod lae«um
est, leni et multa; in reliquis partibus bre-
viore, sed veheraenti. Prodest etiam muovere
sternutamenta ; caput radere ; idque perfun-
dere aqua calida, vel marina, Tel salsa, sic ut
ei sulphur quoque adjiciatur ; post perfusio-
nera iterum perfricari ; sinepi manducare;
eoderaque tempore affectis oris partibus ce-
ratum, integris idem sinapi, donec arrodat,
imponere. Gibus aptissimus ex media male-
ria est.
Caput iv. De resolutione lingua e.
At si lingua resoluta est, quod inter-
dum per se, interdum ex morbo aliquo fìt,
sic, ut sermo homiuis non explicetur ; opor-
tet gargarizare ex aqua, in qua vel thymum,
vel hyssopum, vel nepeta decocta sii ; aquam
bibere ; caput, et eos, et e», quae sub men-
to sunt, et cervicem vehementer perfricare ;
lasere linguam ipsam linere ; manducare ,
quae sunt acerrima, id est, sinapi, album, ce-
pam; magna vi luctari, ut verba expriman-
tur ; exerceri retento spiritu ; caput saepe
aqua frigida perfundere; nonnumquam mul-
tam esse radieulam, deinde vomere.
129
tre a quesle cose d'uopo è schifare il sole,
la stanchezza, il vino. Se con tutti questi ar-
gomenti non è vinto, si deve usare la corsa: la
fregagione dolce ma lunga nella parte offesa:
nelle altre parti più breve, ma gagliarda.
Giova pure provocare gli sternuti, radere il
capo, ed aspergerlo d'acqua calda marina, o
salata almeno, a cui si può anche unire del-
lo zolfo : dopo l'aspersione stropicciar di nuo-
vo: mangiar senape, enei medesimo tempo
porre del cerotto sulle parli affètte della
bocca, e sulle non affette della senape, in-
finattanlo che esulceri. Il cibo proprissimo
si è quello della mezzana classe.
Cap. iv. Della paralisi della lingua.
Ma se la lingua è fatta paralitica, acci-
dente che talora vien da se, talora per alcuna
malattia, in guisa che l'uomo non può arti-
colare gli accenti, bisogna gargarizzar acqua,
in cui sia colte* o del timo, o dell'issopo, o
della niepita : bere acqua : stropicciar a for-
za il capo e la faccia, e quelle parli che sono
poste sotto il mento e il collo: spalmare la
lingua istessa di laserpizio : mangiar sostan-
ze acerrime, quali il senape, 1' aglio, la cipol-
la ; sforzarsi quanto più si può di accentua-
re le parole : esercitarsi a ritenuto fiato ; spar-
gere sovente d' acqua fredda il capo : una tal
volta mangiar del rafano in copia, dipoi vo-
mitare.
Cap. v. De destillatione ac gravedine. Cap. v. Del catarro e del? infreddatura.
Destillat autem humor de capite in-
terdum in nares, quod leve est ; interdum in
fauces, quod pejus est; interdum etiam in
pulmonem, quod pessimum est. Si in nares
destilla vi t, tennis per has pituita proflnit. ca-
put leviter dolel, gravitas ej'us sentilur, fre-
quenta sternutamenta sunt. Si in fauces, has
exasperat, tussiculam movet. Si in pulmonem,
praeter sternutamenta, et tussim, est etram
capitis gravitas lassitudo, sitis, aestus, biliosa
urina. Aiiud autem, quamvis non multum
distans, malum, travedo est. Haec nares clau-
dit, vw:em obtuudit, tussim siccam movet :
sub eadem salsa est saliva, sonant aures, ve-
nae moventnr in capite, torbida urina est.
Haec omnia v.o?u%<us llippocrates nominai :
nunc video apud Graecos in gravedine hoc :
nomen scrvari ; destillativnem, x.rtraTrayuòi'
appellare Hnec autem et brevia, et, si ne-
glecta sunt. longa esse consuerunt. Nihil pe-
stifèrum est, nisi quod pulmonem exnlcera-
vit. Ubi aliquid ejusmodi sensimus, protinus
ahstinere a sole, balneo, vino, venere debe-
mus ; inter quae anctione, et tssaeto cibo ni-
hilominus utilioet. Ambulalione tantum acri,
«ed tecta utendum est, et post cani, caput
Celso.
Dal capo distilla un umore quando nelle
nari, il che è lieve, e quando nelle fauci , il
che è peggio, e quando anche ne' polmoni ,
cosa pessima. Se nelle nari distilla, scola da
esse un tenue moccio, il capo leggiermente
duole, vi si prova senso di gravezza, s' hanno
spessi starnati. 9e nelle fauci, le inasprisce, e
destasi picciola tosse. Se nel polmone , oltre
la sfernutazione e la tosse, v' è anche gravez-
za di capo, lassezza, sete, calore, orine biliose.
L' infreddamene di testa è un altro male ,
quantunque non guari dissimile. Questo ser-
ra il naso , rende fioca la voce , eccita tosse
secca : la saliva in quest' affezione è salata, le
orecchie suonano, le arterie del capo vibrano,
l'orina è torbida. Tutti questi accidenti sono
da Ippociate compresi sotto il nome di coriz-
za : presentemente veggo conservarsi presso
i Greci questo nome nell'infreddatura : e chia-
marsi catastagmo la distillazione. Queste in-
disposizioni sogliono esser brevi, ma se tra-
scurale, lunghe. Niuna però è mortifera, tran-
ne quella che esulcera il polmone. Tostochèci
accorgiamo d' esser colli da taluno di questi
malanni, dobbiamo immantincnle guardarci
dal sole, dal vino, dal bagno e dalla venere :
'7
CELSO
atque os supra quinquagies perfrieandum. Ka-
roquc tì't. ut si biduo, vel certe triduo no-
bis lernperavimus , id vitine? non levetur.
Quo levalo, si in deslillatione crassa facla pi-
tuita est, vel in travedine nares magis patent,
balueo ulendum est, multaqqe aqua prius ca-
lida, post egelida, fovendutn os caputque;
deinde cum cibo pleniorem vimini bibendum.
At si aeque tenuis quarto die pituita est, vel
nares ae(|ue clausae videnlur assumendum est
vioum aminaeum austerum ; deinde rursus
biduo aqua ; post quae, ad balneuiu et ad
consuetudinetn reverlendum est. Nequc ta-
jnen illis ipsis diebus, quibus aliqua omitten-
da sunt, expedit tarnquatn aegros agere ; sed
celerà omnia quasi sanis facienda sunt, prae-
terqinm si diutius aliquem, et vehementius
ista sollicilare eonsuerunt: huio enim quae-
dim curiosior observalio necessaria est.'.Igi-
tur huic, si io nares vel in tan-cs destilla-
\il. praeter ea, (|uac sopra reluli, prolinus
primis diebus mulino) ambulandum est; per-
fricandae veliementer inferiores partes; le-
vior Iridio adhibenda thoraci erit, levior ca-
pili ; denienda assueto cibo pars dimidia; su-
ineud.i ova, am\lum, similiaque, quae pilui-
tam t'aciunt erassiorem ; siti conila. Ottani*
maxima sustineri polest, pugnandum. Ubi per
haec idoneus aliquis balneo factus, eoque usus
est, adjiciendus est cibo piseiculus ani caro,
sic tamen, ne prolinns juslus modus cibi su-
nialnr : vino meraco copiosi 01 utendum csl.
Al bi io pulmooem quoque destinai, molto
magi* el ambulatione et fridione opus est,
eaderaqoe adhibita ratiooe io cibis, si non ->a-
tis ìlli proficiunt, Bcrioriboi u tendono est ;
magis sonino iudulgendum, abstinenduraque
i ik_'oIììs omnibus; aliquando, sed scrius. bal-
neum tcnlandnm. In travedine aulcm. pri-
mo die uoiesoere, ncque esse, ncque bibule.
caput velare, faiices lan.i cinu mlair: postero
• li turgore, abstioere a polione, «ut, si res
ul. non ultra Iknii iti.im aquae assume-
re : t'Hn) do- pania non iti umilimi c\ parte
interiore cum piseiculo, vel levi carne lume*
re. .1 < | ti .1 mi bibeie: si cpiis mI>ì temperate uo:i
j. 'il uciit, quo minus plcuiore virtù iiLiliic,
vomere: obi io balneuiu veniam est, molta
« all'I i iqu i Cepttl et u* Inveir- iisqiie :id siido-
rem,; Uun ad vinato ridire. Post quae vis
lini potisi, ut idea incommodum inuir.it:
ul'-nluiii rnl .ibis frigidi»,
.il pili. levibus, bumore qaem mioimo1 ser-
In. Uouiltiis . vi-rril.ilioiiibuvqur , qu li-
ni 'mini tuli |euefe reletauliaù necessarjac
Milli.
tra cui si può nulla-di meno usare l'unzione ed
il consueto cibo. Soltanto passeggiar torte ,
ina al coperto: e dopo il passeggio lare più
ili cinquanta perfricazioni al capo e alla fac-
cia. E raro avviene che governandoci noi tem-
peratamente per due o tre dì al più , nou
resti questo mal sollevalo. 11 che avvenuto,
se nella distillazione la mucosità è divenuta
densa, o nell1 infreddatura intasate le nari ,
devesi far uso del bagno, e con moli1 acqua
prima calda, poi tiepida fomentare la faccia
e la testa : dopo di che si può bever vino
con un più largo alimento. Ma se il moccio
al quarto giorno è tenue sì come prima, o
le nari alla stessa guisa intasate, si deve pren-
dere del vino aniineo austero, dipoi per due
dì bere nuovamente dell'acqua: dopo le
quali cose ritornare all'uso del bagno, ed al
consueto tenore. Né dittavi» bisogno è in
quei medesimi dì ne' quali si devono trala-
sciare alcune cose , di regolarsi intorno al
modo di vivere come ammalali : ma fare le
altre cose tulle quasi si fosse in sanità, salvo
ebe tali incomodi per lungo tempo, e con
veemenza non sieno usi d'imperversare: im-
perciocché in questo caso è necessaria una
più esatta e scrupolosa osservanza. Per la
qual cosa, oltre a quello che ho riferito di
sopra, deve il malato, se ha la distillazione
nel naso o nelle fauci, incontanente ai primi
dì passeggiar molto; fare gagliarde fregagio-
ni alle parti inferiori ; più leggiere al petto ,
alla faccia e al capo : ridurre alla metà il con-
sueto alimento : prendere delle uova, dell' B-
mido e simigliatili cose che più crassa renda-
no la pi lui la : e tollerar la sete (pianto più può.
Allorché taluno per questi mezzi si sia messo
in grado di prendere il bagno , e lo abbia già
preso, deve arrogere all' usato cibo \in pc-
vrtto, o della carne osservando però di non
trascendere tosto la debita misura dell' ali-
mento: e usare più Illusamente del vino pu-
nì. Mi m: distilla mirili' nel polmone, drvc.si
a più forte ragione ricorrere e li passeggi e
.illr fregagioni : ed osservate in quanto ai cibi
l«- medesime regole, se attesti bastantemente
non giovano, .se ne usano di più seri : dor-
mir si deve di più. ed astenersi degli aflari
d1 ogni ipeoic : alcuna volta, ma più lai di ,
provare il bagno. Neil infreddilura poi al
primo di riposarsi, non magiare oc bere,
ricoprirsi il capo. a ciucerei il collo dì le-
ne: il Musegoeote di levarsi; eeieoerei detta
bevanda: <■ se l« s' ite ilryigeaà, noe bere
più 'I un' emina d' acqua J al lei /o di man-
giare ima non grossa quantità di midolla di
pane con un pesi mimo. ,> oon carne dilica-
ia e tenera, e bere aeqna : se allri non so-
pra astenersi dall' usare un meo copioso ali-
melilo. COU VÌeil rln- \omiti: r disceso nel
l.ij-no. fomentare con mullaiqua laida il < a-
Caput vi. De cervicìs rnorbis.
A capite transitus ad cervicem est ; quae
gravibus admodum morbis obnoxia est. Ne-
que tamen alius importunior acutiorque mor-
bus est, quam is, qui quodara rigore nervo-
rum , modo caput scapulis, modo menlum
pectori innectit, modo rectam et immobilem
cervicem intendi t. Priorem Graeci Òtt:<7$c-
tovov insequcntem H^nr^orOórovìv ultimum
Tc'ravov appellant : quamvis minus subtiliter
quidam indiscretis bis nominibns ulunlur. Ea
saepe intra quartum diem tollunt : si hunc
cvaserunt, sine peri culo sunt. Eadem omnia
ratione cnrantur; idque convenit. Sed Ascle-
piades utique mittendum sanguiuem credidtit :
quod quidam utique vitandum esse dixerunt,
eo quod maxime tum corpus calore egeret ;
isque esset in sanguine. Veroni boc quidem
falsum est. Neque enim natura sanguinis est,
ut utique caleat ; sed ex iis, quae in bomine
sunt, bic celerrime velcalescit, vel refrigescit.
Milti vero necne debeat, ex iis inlelligi potest,
quae de sanguinis missione praecepla sunt.
Utique autem recte datar castoreum, et cum
boc piper, vel laser : deinde opus est fomento
humido et calido : itaque plerique aqua ('ali-
da multa cervices subinde pcrfundunt. Id in
praesentia levat ; sed opportuniores nervos
frigori reddit : quod utique vitandum est.
Utilius igilur est, cerato liquido primum cer-
vicem perungere: deinde admovere vesicas
bubulas vel utriculos oleo «alido repletos, vel
ex farina calidum cataplasma, vel piper ro-
tundum cum fìcu contusum. Ulilissimum ta-
men est, humido sale fovere: quomodo fìe-
ret, jarn ostendi. Ubi eprum ali quid factum
est, admovere ad ignem, vel si aestas est, in
sole aegrum oportet : maxinieque oleo vele-
re; si id non est, syriaco ; si ne id quidem
est, adipe quam vetustissima cervicem. et sra-
pulas, et spinam perfricare. Friclio rum omni-
bus in homine vertebris utilis sit. tum iis
praccipue. quae in collo sunt. Ergo die nocle-
quc. interpositis tamen quibusdam tempori-
bus boc remedio utcndnrn est : dnm inter-
millitnr. imponenduiti malagma aliquod ex
èilefacientibas. Cavendom vero precipue fri*
gus : idcoque in co conclavi, in quo cubabil
• ejrer, ignis continuo 3, esse debebit, rnaxime-
que tempore antelucano, quo praccipue fri-
DELLA MEDICINA j <$ t
po e la faccia fino ad eecilare il sudore :
poscia rimettersi ali1 uso del vino. Appresso
queste cose appena è possibile ebe tal inco-
modo perseveri: ma ove pur si mantenga,
converrà usare alimenti freddi, asciutti, leg-
gieri, di pochissima umidità, bere men che
fia possibile: e non tralasciare gli esercizi
eie fregagioni, le quali in ciascuna di queste
malattie sono indispensabili.
Cap. vi. — Delle infermità del collo.
Dalla testa si fa passaggio al collo, il
quale è sottoposto a gravissime infermità.
Niun'altra però ve n'ha più molesta ed acu-
ta di quella che con certa rigidezza di ner-
vi ora inflette il capo alle scapole , ora il
mento al petto, ed or ne distende il collo
diritto ed immobile. La prima specie diconla
i Greci opistotono, la seconda emprostoto-
no, la terza telano', benché taluni meno
scrupolosi si servono indistintamente di que-
ste denominazioni. Questi mali spesse volte
entro quattro giorni tolgono di vita : se tra-
passano questo termine sono scevri di peri-
colo, lutti questi si curano allo stesso mo-
do, e di ciò si è d'accordo. Asclepiade però
fu d'avviso doversi necessariamente cavar
sangue : lo che per molli sostiensi non do-
versi fare per la ragione che in questo ac-
cidente principalmente ha il corpo bisogno
di calore, e che questo stia nel sangue. Il
che è falso al tutto : imperocché non è il
sangue di natura tale ch'esso sia caldo, ma da
quelle cose che sono nell'uomo, esso o si
riscalda o si raffredda in un tratto. Se con-
venga poi cacciar sangue o no, si può rile-
vare da quel che si è prescritto intorno al
salasso. Certo sì convenevolmente si sommi-
nistra il castoro, e con esso il pepe e il la-
serpizio : dipoi necessario è un caldo e te-
nue fomento: per lo che la maggior parie
dei medici sparge per lo collo ad intervalli
moltissima acqua calda. TI che sollievo arre-
da sull'istante medesimo, ma dispone i nervi
a risentir di più l'azione /lei freddo, che
devesi certamente fuggire. E più utile, dun-
que, ungere dapprima il collo con liquido ce-
rotto, poscia apporvi delle vesciche bovine,
o degli otricelli pieni d' olio caldo, ovvero
un caldo impiastro di farina, ovvero dei fi-
chi con pepe ritondo pesto. Conliillociò nul-
la cosa v1 ha di più giovevole delle fornen-
te d' umido sale, le quali come far debban-
si, già il mostrai. Fatta alcuna di queste co-
se, d'uopo è esporre P infermo al fuoco, e
se è di state, al sole, e soprattutto largii
fregagioni e al rullo, e alle scapole e alla spi-
na con olio vecchio, ed in sua mancanza di
olio di Siria, e se anche di questo non ve ifè
copia, con grasso vecchissimo. Come la fru-
j32 CELSO
pus inlenditar. Neque inutile cr\\^ caput at-
tOMom haberc. idque irino vel cyprino ealido
madefaeere, et superimposito pileo velare;
nouDumquain etiam in calidom oleum totum
descendere, vel in aquam calidam, in qua
foenum graecum decocluira sit, et adjecta olei
pars terlia. Alvus quoque dacia saepe supe-
riores partes resolvit. Si veroeliam vchemen-
tius dolor crevit, admovendae cervicibus cu-
curbitulae sunt, sic, ut cutis incid.itur : ca lem
aut ferramenti! aut sinapi adurenda. Ubi le-
vatos est dolor, moverique cervix coepit, sci-
re licet, cedere remediis m orbano. Scd din
^ ìtaadus cibus, quisquis maadendus est. Sor-
bitionibus ulendum, itemque ovis sorbilibus,
aal mollibus; jus al'ujuod assumendum. Id si
bene processerit, jamque ex toto recte se ha-
bere cervices videbuntur, incipiendum erit a
pulticula, vel intrita bene madida. Celerius
lamen etiam panis mandendus, quam vinum
gustandum : siquidem lmjus usus praecipue
pei iculosus ; ideoque in longius tempus dif-
fercndus est.
< MI T \ li.
- /)<• fata -inni morbis. et pri
mum de angina.
gagione è utile a tutte le vertebre nell'uomo,
così in ispecial modo a quelle che sono nel
collo. 11 perchè e di dì e di notte, a «erti in-
tervalli per altro, devesi mettere in uso cotal
presidio ; e nel tempo che non si adopera ,
porvi un qualche malamma composto di so-
stanze riscaldative. Principalmente poi evitar
bisogna il freddo, ed imperciò in quella ca-
mera in cui giacer«à il malato, convien che vi
sia continuo fuoco, e particolarmente sul far
del giorno, quando il freddo è più intenso.
Non sarà pur inutile tondere il capo ed un-
gerlo d' olio caldo, d' iride, o di cipro, e co-
prirlo quindi con berretto : alcuna volta an-
cora calare in un bagno d1 olio caldo, ovvero
da decozione di fieno greco aggiuntavi una
terza parte d1 olio. Anche muovere il ventre
co' crisleri vale spesse volle a sciogliere le
parli superiori. Se poi il dolore crebbe anche
a più veemenza, si applicheranno al collo cop-
pette scarificate, e la pelle dello stesso si ab-
brucerà o con ferri roventi o con senape. Su-
bito che il dolore si allevi, e che la cervice
cominci a muoversi , si può arguire «he il
male sia per cedere ai rimedi. Ma per lunga
pezza schifar devesi il cibo, che richiede ma-
sticazione. Si convien far uso di brodi, e co-
sì pure d'uova sorbibili, e d'altre simigliatili
cose : e prendere qualche sugo. Quando sotto
questo tenore le cose vadano prosperevol-
menlc, e che già si scorga essere il collo ri-
dotto in buono stato, si dovrà cominciare da
una minestrina, o zuppa ben brodosa. Si po-
trà però ritornare più presto a masticare il
pane che a gustare il vino : perciocché l1 uso
di questo è singolarmente più pericoloso, ed
imperciò bisogna astenersene j>er lungo
tempo.
Ci
Delle in fermi tu delie fauci
prima JeW andina.
Di hoc totem morbi genus circa totano
r ci \ h cm . sii ,ilt<M uni. atipie pesi i le in in acu-
lumque, in fancibns esse eonsiir vii . Nostri an-
simili vocent : apud Gracco i nomea, proat
speri. -, est. Interdum enin aeque rabor ,
ne. pie Iunior iillns appaici ; sci corpus .iri-
dimi < >l , VÌI s|,iriliis tialiitnr , un mina
so|\ niitiir: id vuvciyw VOCant Inlei diini lin-
i lucesquc cum ruborc intumescunl ,
\.,\ niliil significai, oonli vertuntùr, tacici
pallet, singultusque est : id tuvéyx* 'ocalur.
Illa oommunia sunt: aeger non cibiim deve
rare, non podonem poteat \ > | > i i ì t • i s ejus io-
lercluditar. Levius est, ubi tumor lantum-
modo ci ruboi i it, < atti « non icquantai : ni
T*faat/véyXm> appcllant. Quidquid est, »i vi-
ro» patiuntur, languii miUeodai est, li non
ubandat; leeundun est, ducere al tubi. Cu-
curbitula quoque reck lub mento, et circa
dome questa infermità attacca tutto il
collo, così altra tonalmente funesta ed acuta
sigile inveslirc le fauci. I nostri la chiamano
angina, appo i Greci ha nome dalla specie.
Imperocché talora non apparisce uè rossore
né tumore alcuno, ma il corpo è arido, appe-
na si può trarre il fiato, le membra si rilas-
itooj questa essi la dicono finanche; talora
la lingua t le i iucì si enfiano con rossore, la
Mire e mancliev ole . c|j ocelli si stravolgono,
il viso impallidisce, e v'ha linghioaxo : questa
« In. oliasi ii nani he. (Questi sono i segni co-
muni ; T ammalalo non può trancino! t ire ne
(ilo in bevanda, e se ili serra il respiro. Il
m. de e più lieve, allorché \ é soltanto l'efta-
1*1 nIo e il rossole, e non gli litri mentovili
lenti: i questa la dicono parasinancha.
Di qualunque ragione sia I1 enfine, se le for-
ze il sostengono, si COfifien Urti sangue, di-
DELLA MEDICINA l33
poi muovere co1 crisi eri l'alvo. Si appone ot-
timamente attorno alle fauci , e sotto il men-
to una coppetta , onde tragga in fuora ciò
che cagiona lo strozzamento. Uopo è dipoi
lare umide fomentazioni, perocché le secche
gravano il respiro. Mestieri è dunque sorpor-
vi delle spugne, che tratto tratto s' immergo-
no preferibilmente in olio caldo, anzi che in
acqua calda : di grandissima utilità qui pure
è il caldo vapor del sale. Ultimamente è gio-
vativo il gargarizzare con mulsa, in cui siasi
cotto dell1 issopo, o della niepitella, o del ti-
mo, o dell1 assenzio od anco della crusca, ov-
vero dei fichi secchi : appresso queste cose
ungere il palato o di fiele di toro, ovvero di
quel farmaco che è composto di more. Si può
anche utilmente aspergere le fauci di sottilis-
sima polvere di pepe. Se con tai cose si viene
a guadagnar poco, ultimo rimedio è fare in-
cisioni discretamente profonde sul collo, sotto
Je mascelle, e nel palato presso all' ugola, ov-
vero incidere quelle vene che stanno sotto la
lingua, acciocché per queste ferite vengasi a
dare esito al male. Ove per colali prove ì'in-
fermo non resti sollevato, possiamo arguire
doverne rimanere oppresso. Se poi per essi
si riduce a miglior condizione, e le fauci co-
minciano a ricevere sì l'aria che il cibo,
egli è facile il ritorno a piena sanità. E tal-
volta anche la natura ne porge ajuto , se
il male trapassa da un'augusta ad un'ampia
sede : giova imperiatilo sapere che insorgen-
do rossore e tumidezza agl'ipocondri, le
fauci rimangono libere. Per quantunque mez-
zo poi sollevate vengano queste patti, si de-
ve cominciare da cose umide, e in ispecie
dalla mulsa cotta : dappoi prendere cibi mol-
li, non acri infino a che le fauci non sien
tornate al pristino loro stato. Odo dire vol-
garmente che chi mangia un rondino di ni-
do va esente dall'angina per tutto l'anno:
e questo conservato nel sale, allorché ne as-
sale questa malattia, abbrostolirsi, e il car-
bone di lui stemperare nella mulsa, che si
dà per bevanda e aver giovalo. Avvegnaché
i medici non facciano menzione di questo
rimedio nei volumi loro, io tutlavolla giu-
dicai bene inserirlo nella presente mia ope-
ra, e perchè ninn danno puole dall'uso suo
avvenirne, e perché il trovo preconizzalo
tra il popolo da persone meritevoli di fede.
Caput viii. — De ilifficultate tpirandi. Cap. viii. — Della difficoltà del respiro.
fauces admovelur, ut id, quod strangulat,
evocet. Opus est deinde fomenlis humidis ;
nam sicca spiritum elidunt. Ergo admovere
spongias oportet, quae melius in calidum
oleum, quam in calidam aquam subinde de-
mittuntur : efficacissimi usque est hic quoque,
salis calidus succus. Tum commodum est ,
hyssopum, vel nepetam , vel thymum , vel
absinthium ; vel etiam furfures, aut ficus ari-
das, cum mulsa aqua decoquere, eaque gar-
gariz-are: post baec, palatura ungere vel Ielle
taurino, vel eo medicamento, quod ex moris
est. Polline etiam piperis id recte respergitur.
Si per heac parum proficitur, ultimimi est,
incidere satis altis plagis sub ipsis maxillis
supra collimi , et in palato circa uvam , vel
eas venas, quae sub lingua sunt ; ut per ea
vulnera morbus erumpat. Quibus si non \\ie-
rit aeger adjutus, scire licet, malo victum es-
se. Si vero his morbus levatus est, jamque
fauces et cibum et spiritum capiunt, facilis ad
bonam valetudinem recursus est. Atque in-
terdum natura quoque adjuvat, si ex angu-
stiore sede vitium transit in latiorem : ilaque
rubore et tumore in praecordiis orto, scire
licet fauces liberari. Quidquid autem eas le-
varli, incipiendum est ab humidis, maximc-
que aqua mulsa deceda : deinde assumendo
molleset non acres cibi sunt, donec fauces ad
pristinum habilum revertantur. Vulgo audio,
si quis pullum hirundinis ederit, angina loto
anno non periolitari ; servalumque eum ex
sale, cum is morbus urget. comburi earbonem-
que ejus conlrilum in aquam mulsam, quae
potui datur, infriari et prodesse . Jd cum
idoneos auotores ex popolo habeat , n^que
habere quidquam pericoli possi t, quamvis in
monumentis medicorum non legerim, tamen
inserendum buie operi meo credidi.
Est eliam circa fauces malum , quod
apud Graecos ■tiod alindque romen babet,
proni se in tendi t. Omnc in difficoltate spi-
ramli consisti! : sed bare diim modica est,
ncque ex tolo strangolai, èvanrvoia appella-
tur: cum vchemciilior est, ut spirare aeger
sine sono et anhelalione, non possi», àcrCpa;
Insorge pure intorno alle fauci un altro
male, al quale i Greci danno ora un nome,
ora un allro, secondo la varia sua intensi-
tà . Esso consisle Bill1 ambascia del respi-
ro: allorché essa é modica, e non minaccia
totale soffocazione, appellasi dispnea: ma
quando è sì veemente the l'infermo respi-
l3^ CELSO
rum accessit id quoque, ne nisi resta cervi-
ce spiri tus trahatur, ò^Oótrvoiit. lix quibus id,
quod primum est, potest distrai trahi ; duo
insequentia acuta esse consuerunt. His com-
muni « sunt : quod propter auguslias, per
quas spiritus evadit, sibilimi edit, dolor in
pectore praecordiisque est, interdirai etiam
in scapulis, isque modo decedit, modo rever-
titur ; ad haec tussicula accedit. Auxilium est,
nisi ahquid prohibet, in sanguini* detractio-
ne. Ncque id satis est, sed lacte quo pie ven-
ter solvendo! est. Liqaaaida alvus, in ter da ni
etimi dacenda; quibus extenaatnm corpus
incipit spiritsa trattare commodius. Caput
rateai in lecto sublime babendara est: Ura-
ni fomentis, cataplasm atisque calidisaut sie-
cis , aut etiam humidis a djuvandus est; et
postea vel malagma snperirapoaendom, vel ce-
ratimi ex cyprino, vel irino ungento. Samen-
da deinde jejuno potui mal sa aqua, cum qua
vel hjatopos od a, rei contrita capparis ra-
dix sii. Delingilur cliam uliliter autem ni-
trum, aut nasturtium al barn frictum, deinde
contritum et cum melle mixtum: simulque
coquuntur mei, galbanum. resina terebinthi-
na, et ubi coierunt, ex his, quod febee ma-
gnitudinem babet, quotidie sub lingua liqua-
tur: aut sulphuris ignem non experli scrupu-
li partem sextam abrotoni scrupulum in vini
cyatbo terunlur, idque tepefactum sorhetur.
list etiam non vana opini*, vulpinum jecur,
ubi siccurn et aridum factum est, eoa tondi
oportere, polentamque ex eo potioni asper-
gi ; vel ejusdem polmoneni quani reeentissi-
munì assum, sed sine» ferro coctnni, edendum
esse1. Praeter liacc, ■orbitiooibas et leaibai
cibis iitendum est; interdum vino tenui au-
stero ; nonnumqiiain vornitu. Prosimi etiam
quacumque Drittata moretti : sed nibil ma-
"«s. quam amhiilatio lenla pene usque ad
lassiludinem ; friclio limila, praeeipue infe-
norimi parlium, vel in sole, vel ad ignem,
rt per se ipsum, et per alios, usque ad su-
dorciu.
rar non possa senza sibilo, e senza anda-
mento chiamasi asma : e quando si aggiun-
ge questo ancora , cioè che non si possa
trarre il respiro se non a collo eretto, orto-
pnea. La prima di queste può durar lungo
tempo ; le due susseguenti sogliono essere
acute, liceo ciò che v1 ha di comune in esse:
per le angustie onde vien fuora il fiato, il
respiro manda un sibilo: avvi dolore al pet-
to ed ai precordi : alruna volta anche agli
omeri: e questo ora dipartesi, ora ritorna :
a tutto ciò si aggiunge della tosse . Nella
cacciata del sangu.*, se non v' è indicazione
contraria, sta il soccorso. Ma non basta : si
deve anche sciogliere il ventre col latte ,
muoverlo talvolta anco coi eri steri : per le
quali Cose estenuato il corpo comincia a più
agiatamente respirare. Il capo poi anche
stando in letto, si vuol tenere elevato : il pet-
to confortare con fomenti e cataplasmi cal-
di, secchi od anche umidi : e dopo apporvi
0 un malamma, od almeno un empiastro di
unguento ciprino o d1 iride. Dipoi prendere
per bevanda a digiuno della mulsa . colla
(piale siasi cotto dell' issopo, o la radice pe-
sta di capperi. Si lambe pure con profitto
o nitro, ovvero nasturzio bianco fritto, indi
pesto e mestato con mele : e similmente si
fanno cuocere mele, galbano. resina di tere-
binto, e dacché queste sostanze si sono be-
ne incorporale, si prende di questa mesco-
lanza ognidì la grossezza di una fava, che
si fa disciogliere sotto la lingua : oppur si
pestano di zolfo ver fi OC il sesto di un dena-
ro, e di abrotano un denaro e in un bicchier
di vino reso poi tiepido si sorbisce Egli è
anche opinione non vana, che il fegato di vol-
pe secco ed arido cbVsso sia, si debba pestare,
e Spargente col beveraggio fatto di esso la
polenta: ovvero mangiare il polmone freschis-
simo dello stesso animale arrostilo, ina colto
sema Ferro. Oltre queste con si nsaoo mine-
strine, ed alimenti tenui ; talvolta vino leggie-
ri austero; e alcuna lilla li romiti. Attenni
giovano latte quelle cose clic provocano le
orine, ma nulla meglio d* una dolce cammi-
nai ' quasi finn a slanchez/.i : e le molte fre-
gagioni singolarmente «He parli inferiori fat-
te .1.1 sé. o ad litri, stando il sole osi fuoco,
fino al sudore.
Cavi e i\. — De faueium txulctrutiom
Caf. iv
Deir ulcerazione delle lanci.
In interiore viro faaciora parte ioterdnm
exttlcatatso case eoaaaevit. In hta plerique ex-
trinsecas cataptatmatis c»IMis, romentianoe
hnmidis olnntur: volani etiara vaporerò on*
lidum ore recipi : per noae roolliorei alii par-
Nclla interna parte delle lanci suol tal-
volta formerai un eeolcefamento. li questo
i più adoperano esteriormente cataplasmi
Baldi ed umidi fomenti. Prescrivono ittOttfl
di respirare vapori e, il. li, per le (piali cose
tei « Il lieri dieiiril, nppnrtuniorrsque vilio altri dicono farti più molli quelle parli, e
i ho hirrniti. Sed a] bene vlteri frigni potetti più disposte al gii inerente male, mi sr s|
lui.-» Hit pracsidia I fi melin ejus est, supcrva- pttd Bttfl tutta certezza scansare il freddo, i
DELLA MEDICINA l35
cua suol. Utique aulem perfricare fauces pe- detti rimedi sodo sicuri ; e se si teme, sono
disutili. Egli è senza dubbio cosa pericolosa
stropicciar le fauci, perocché ciò fa esulce-
rare. Né utili sono quelle sostanze che pro-
vocano le orine, perchè possono, uscendo
fuori del corpo, estenuare anche quivi la mu-
cosità che è meglio di conservare. Asclepia-
de, autore esimio di assai cose che noi stes-
ulla noxa comprimi ulcera. Sed id supprime- si abbiamo seguile, dice doversi sorbire ace
riculosum est: exuleerat enim. Neque ulilia
sunt, quae urinae movendae sunt; quia pos-
sunt, dum transeunt, ibi quoque pituitam
exleDuare, quam supprimi melius est. Asele-
piades inullarum rerum, quas ipsi quoque se-
cuti sumus, auctor bonus, acetum ait quam
acerrimum esse sorbendum : hoc enim sine
re sanguinem potest; ulcera ipsa sanare non
potest. Melius huic rei 1) cium est ; quod idem
quoque aeque probat : vel porri, vel marru-
bii succus, vel nuces graecae cum tragacanlho
contritae et cum passo mixtae, vel lini semen
contritum et cum dulci vino mixtum. Exer-
citatio quoque ambulandi currendique neces-
saria est: friclio a pectore vehemens toti in-
feriori parti adhibenda. Cibi veio esse debent
neque nimium acres, neque asperi; mei, len-
ticula , tragum, lac, ptisana, pinguis caro ,
lo fortissimo, perchè con esso, senza danno
nessuno, si ripercuotono le ulcere. Ma l'a-
ceto può sì stagnare il sangue, non già sa-
nare le ulcere. A quest1 uopo più acconcio è il
licio, che pure lo stesso Asclepiade commen-
da : ovvero il sugo del porro o del marru-
bio, o le noci greche trite con adraganti, o
mischiale coli1 uva passa, o il linseme am-
maccalo ed impastato con vino dolce. Ne-
cessaria è altresì 1' esercitazione del passeg-
giare e del correre ; e le fregagioni gagliar-
praecipueque porrum, et quidquid cum hoc de fatte dal petto a tutta la parte inferiore.
mixtum est. Potionis quam minimum esse
convenit. Aqua dari potest, vel pura, vel in
qua malum cotoneum, palmulaeve decoctae
sunt. Gargarizationes quoque lenes : sin hae
parum proficiunt, reprimentes utiles sunt.
Hoc genus neque acntum est, et potest esse
Gli alimenti poi non deAono essere né trop-
po acri né aspVi : il mele, le lenticchie, il
trago, il latte, l'orzala, le carni grasse, sin-
golarmente i porri, e che che sia preparalo
con essi. Si convien bere manco che sia pos-
sibile. Si può bere acqua pura, o veramente
non longum : curationem tamen maturali), ne quella in cui siensi cotte mele cotogne, o
vehemeiiler et diu laedat, desiderat. dei datteri. Giovano altresì gargarismi blan-
di, ma se essi poco giovano, si rifugge con
prò agli astringenti. Questa specie di male
non è acuto, e puote essere non lungo : non-
dimeno ricerca, e vuole una sollecita medi-
calura, onde né troppo, né per lungo tem-
po affligga.
Cai-et x. — De tlissi.
Cap. x. Della tosse.
Tussis vero fere propter faucium exul-
ceratiouem molesta est; quae multis modis
contrahilur. Itaque, illis restitutis,ipsa finitur.
Solel tamen interdum per se quoque male ha-
bere ; et vix, cum velus facta est, eliditur. Ac
modo arida est. modo pituitam citai. Oportet
h\ssopum altero quoque die bibere ; spiritu
relenlo currere, sed minime in pulvere; ac
lcctione uli vehementi, quae primo impedi-
tur a tussi post eamvincit: tum ambulare:
deinde per manus quoque exerceri, et peclus
din perfricare: post haec. quam pinguissimae
ficus uncias tres ; super prunam incoclas, es-
se. I'raeter huec, si humida est, prosunt fri-
ctiones validae. cum (juibusdam calefacienti-
bus, sic, ut caput quoque simul vehenienler
perii icetur : ikrii cucurbitulae pectori admo-
lae ; sinapi ex parte exleriore faucibus impo-
si! uni. donec lev iter exuleerel ; polio ex meni-
tha, DBcibusque praecit el amylo ; primoque
usainpUis pania aridus, deinde stliquis cibus
hni.s. Ai si tìcca lussis est, cua ee vehemen-
liv>inie urgel, adjuvat vini austeri c)alus as-
La tosse è, per lo più, molesta per l'ul-
ceramento delle fauci: e questa conlraesi in
più maniere. Iinpertanto sanate quelle, essa
cessa. Suole non però anche assai volte per
sé travagliare, ed allorché è fatta antica, a
slento si toglie. E desa ora è secca, ora
provocante spurghi. Fa d' uopo bere un dì
sì, e un dì no decozione d'isopo; correre
rilenendo il fiato, ma lungi dalla polvere :
leggere ad alta voce, nel quale esercizio in
sulle prime ne fa impedimento la tosse, ma
in seguito la vince: quindi passeggiare, po-
scia esercitarsi eziandio in opere di mano, e
lungamente stropicciare il petto; appresso le
(piali cose si devono mangiare Ire once di
fichi grassissimi alquanto cotti sulla brace .
Olirà tutto questo, se la tosse è umida, fanno
prò le veementi fregagioni con sostanze ri-
scaldative: e queste estese nell'egual mo-
do anche fino al capo: {stessamente le cop-
pette al petto: la senape imposta alla parte
esterna delle fauci in.sino a che lievemente
esulceri: una bibita fatta di menta, di no-
l3G CELSO
snmptus; Jum ne amplili* id, interposito tem-
pore alijuo, qaam ter aut quater fìal:item
laseris quam optimi paulum decorare opus
est ; porri vel marrubii succum assumere ;
scillam «Mingere; acetum ex ea, vel certe
acre sorbere, aut cum spica alili contriti duos
vini cvathos. Utilis etiam in ornai tussi est
percgrinatio, navigalio longa, loca maritima,
natalioiies : cibus itcrdum mollis, ut malva,
ut artica; ioterdum acer, ut lac cum allio
coctura : sorbitiones, quibus laser sit ailjeclum,
ani io quibus porrum iucoclum labuerit: o-
vum sorbite, sulphurc adjecto: potui prirnum
equa calida, deiade iuvicem aliisdiebus haec,
aliis viuum.
ci greche • d1 amido : e dapprima mangia-
re pine asciutto: dipoi alcun cibo ammol-
liente. Ma qoaodo la tosse è secca, nel tem-
po de' suoi più violenti accessi , giova un
bicchiere di vino austero, purché noi si pigli
più di tre o quattro volte, e con qualche in-
tervallo di tempo : d' uopo è parimenti tran-
gugiare un po' di laserpizio del più squisi-
to : prendere sugo di porro, o di marrubio,
masticare della scilla, sorbire aceto scillino,
od almeno qualche cosa di acre : ovvero due
bicchieri di vino con uno spicchio d'aglio
pesto. Ancora è utile io ogni tosse il viag-
giare: il molto navigare, l'abitare alla ma-
rina, il nuotare ; i cibi talora umettativi
siccome la malva, l'ortica; talora acri come
il latte colto con aglio, i brodi a cui sia
giunto il laserpizio, o ne' quali il porro cot-
to siavisi disfatto: le uova tresche giuntovi
dello zolfo; a beveraggio prima dell'acqua
calda; indi a vicenda altri dì questa, altri dì
vino.
Caro? 11. — De sanguini* sputo.
Hkfagis terrori pò test aliqnis. cum san-
guinem exspnit : sed id modo minus, modo
plus pericoli habet. Kxil modo ex gengivis,
modo ex ore: et quidem ex hoc. interdilli)
etiam copiose, sei bine lussi, sine ulcere, si-
ile gingivarum ullo vitio : ita ut nihil exseree-
ttir : veruni ul e\ iiarihus aliquando, sic ex
ore prorumpit. Ytque ìaterdam saagais pro-
fluit, ìaterdam simile aqaae qaiddam, in qua
caro receas Iota est. Nonnumquam aulem is
a summis (àucibus feri tir, modo exulcerata
«•a pule, modo non esulcerala ; sed autore
xcw.in alicujus adaperto, ani tabercalis qui*
basdam oatis, exque bis sangaioe erum pente.
Quod ubi ineidil, ncque lae lil polio ant ci-
bus, ne pie qaidquam, ul ex ulcere, exsorea-
t'ii . \h |'i 11!» vero, gutture el arteriU exul-
ceratis, frequeos lussls laaguiaem quoque
extundit: interdum etiam fieri solet, al aut
'■V pillinone, ani c\ pectore, ani c\ I ilere. ani
ei jociaore feratar: saepe feminae, quibus
sanguii per meastrus oon respaadet, baac
exspaunt suctoresque medici sunt, velexesi
parte atiqua saagaiaem esire, vel rapta. rei
"re iliciiju. venie pilefacl ». Primani cT/a.3^'.»-
in I imi (wi>i/,i.nii mi »va?ófAOTU> ippel
I "ii. l Itimi i ■ nocel ; prìra i gravissime.
I lepe auidera evenit, ali sanguinea) pu -
pi l'oc interdam autem, qui saagaiaem
il \ iletndinera prò-
fuit. Sed i ■ i ■ | | ni. si pus, si In >os
est, proal sedei ipsa esj >' * \ iri i el p iriculo-
tera aorb m a n laat. s' i er i languii
■ il ni. expe litiui • i rem Lium el iims
est. Ne pi i ign • ■ t iì op i |'iil» i i (lue
t§ i -!-:. i ii | ùb il spia i i ilet, co-
Cap. xi. — Dello sputo di sangue.
Più motivo di spaventarsi ha ehi sputa
sangue: ma quest' accidente porta seco ora
maggiore, ora minor pericolo. Proviene esso
quando dalle gengie, quando dalla bocca ; e
da questa anche in copia, ma senza tosse,
seoza ulcere, senza rixio di sorte alcuna al-
le gengive, sicché nnlla si espelle, ma (.une
viene il sangue dal naso, così alle volte dal-
la bocca. E talora (luisce sangue, talora co-
lai sangue simile all' acqua, in cui siasi la-
vala della fresca carne. Ma non di rado pro-
viene dall'ime fauci, ora ulcerata, ora non
ulcerala cotal parte ; ma o da un' aperta boc-
cuccia di alcuna vena, ovvero da {tubercoli
forma ti visi, sboceìaati sangue. Il che avve-
nendo né il mangiar nuoce, né il bere ; nò
gli spurghi rassomigliaoo ■ (pici d' un' ul-
cera. Alle volte poi anche un tossir frequen-
te, esulcerata la gola e qualche arteria, treg-
ge fuora il sangue: si danno anche dei e.isi,
in mi si derivi 0 dal polmone, o dal petto,
0 dal lato, <» dal legato : spessii lì ite le fem-
mine, cui non corrisponde il sangue pei me-
strui, il rigettano per gli spuli. E v' ba scrit-
tori medici i quali die ino uscire il sangue,
o da uni parte corrosa, ovvero rotta, o del-
l'apertesi boccaccia di alcuna vena. La |>n
mi ,hiìif,ì\:. li leCOnda riti, la lena aua-
s farnesi la chiamano. 1/ ultima è al lutto
ni lOCUa : infestissima la primi. Addiviene .is
su sovente poi che il langUS semiti la mn
, I talora iufricient«mente open'» i prò
della silnie ohi il sangue istesso soppresse.
Mi |e si, -ii . susseguite ulcere, se ipuli pu-
rulenti, se tosse, '"■ vengono, seoondoche è
li sede in-, \..nc e pericolata infermità. S<*
xaeve, aut post cursum Yehemerotem vel am-
inilalionem, dum febris absit, non esse inu-
tile sanguinis mediocre profluvium: idque
per urinam redditura ipsam quoque lassitudi-
nera solvere: ac ne in eo quidera terribile
esse^ qui ex superiere loco dec'«'i:* • sl tamen
in ejus urina nihil n<— * *".: neque vomi.tum
hujn<: afl^e penculum, etiam cum repetit, si
ante confirmare et implere corpus licuit ; at
ex toto nullum nocere, qui in corpore robu-
sto, neque nimius est neque tussim aut calorem
movet. Haec pertinet ad universum : nunc ad
ea loca, quae proposui, veniam. Si ex gingivis
exit, porlulacam manducasse satis est. Si ex
ore, continuisse eo merum vinum : si id parum
proficit, acelum. Si inter haec quoque gravi-
ter erumpit, quia consumere hominem potest,
commodissimum est, impetum ejus, admota
occipitio cucurbitula, sic, ut cutis quoque
incidatur, avertere. Si id mulieri, cui men-
strua non feruntur, evenit, eamdem cucurbi-
tulam, incisis inguinibns ejus, admovere. At
si ex faucibus, interioribusve partibus proces-
sit, et metus major est, et cura major adhi-
benda. Sanguis mittendus est; et si nihilo-
minus ex ore processit, iterum tertioque, et
quotidie paulum aliquid : protinus autem de-
bet sorbere vel acetum, vel cum thure plan-
taginis aut porri succum ; imponendaque
extrinsecus supra id, quod dolet, lana succida
ex aceto est, et id spongia subinde refrige-
randum. Erasistratus horum crura quoque
et femora brachiaque pluribus locis deliga-
bat. Id Asclepiades, adeo non prodesse, etiara
iniraicura esse proposuit. Sed id saepe com-
mode respondere experimenta testantur. Ne-
que tamen pluribus locis deligari necesse est:
sed sat est infra inguina, et super talos, sum-
mosque humeros, etiam brachia. Tum, si fe-
bris urget, danda est sorbi tio, et potui aqua,
in qua aliquid ex iis, quae alvuni adstringunt,
decoctum sit: at. si abest febris, vel elota all-
ea, vel panis ex aqua frigida, et molle quoque
ovum dari potest, potui, vel idem, quod su-
pra scriptum est, vel vinum dulce, vel aqua
frigida. Sed sic bibendum erit, ut sciamus,
buie morbo siiim prodesse. Praeter haec, ne-
cessaria sunt quies, securitas, si lenii um. Ca-
put hujus quoque cubantis sublime esse de-
bet; recleque tondetur. Fa ci e saepe aqua fri-
gida fovenda est. At inimica sunt vinum, baf-
neum, venus, in cibo oleum, acria omnia,
item nalida fomenta, conclave, calidum et in-
clusimi, multa veslimenta cor pori injecta, e-
tiam frictiones. Ubi bene sanguis cotiquievit,
tum vero incipiendum csi a brarbiis, cruri-
busque ; a thorace abstincndum. Jti hoc casu
per liiemem, locis maritimis; per aeslatem,
mediterraneis opus est.
Celso
DELLA MEDICINA 187
poi non viene che sangue, più spedito è il
rimedio ed il risanamento. Né si vuol igno-
rare che un moderato uscimento di sangue^
purché non siavi febbre, suol essere di gio-
vamento a quei che usi son perderlo, o a
quelli cui duole la spina, o i fianchi, o do-
po una veemente corsa, o passeggiata : e che
il sangue renduto per orina scioglie anche
la stanchezza medesima : né è pur da temer
gran fatto in chi cadde da un1 altura, salvo
se nell' orina non sppaja alcun altro seigno :
né adduce pericolo il vomito di esso, ancor-
ché si vada ripetendo, tuttavolta che il cor-
po abbia innanzi tempo di ristorarsi, e rin-
terrar le forze : od è a pezza esente da pe-
ricolo, se dato che robusto sia il corpo, non
è strabocchevole, né muove tosse o calore.
Queste cose partengono al generale : ora ver-
rò a quei luoghi che ho divisati. Se il san-
gue esce dalle gengive, basta il mangiar del-
la portulacca. Se dalla bocca, tener in essa
del vino puro ; se il vino fa poco, deir ace-
to. Se, a malgrado queste cose, il sangue con-
tinua a largamente sgorgare, potendo ciò
ridurre all'estremo l'infermo, ottimo espe-
diente sarà di divertirne l1 impeto col porre
una coppetta scarificata alla nuca. Se interi
vien questo a donna, cui siensi soppressi -
mestrui, si convien porne pur una tagliata
alle anguinaja. Ma se deriva dalle più inter-
ne parti come maggiore è il pericolo, così
maggiore vuoisi la cura. Si deve trar san-
gue, e se nnlladimeno continua il sangue a
sgorgare, d'uopo è il dì seguente e il terzo,
ed ogni dì ripetere inpicciola quantità il sa-
lasso : deve poi tantosto sorbire o dell'aceto
o succo di piantaggine ovvero del porro con
incenso : ed esternamente sorporre sulla par-
te dolente lana sucida intrisa d'aceto, la
quale vuoisi a volta a volta rinfrescare con
ispugna. Erasistrato allacciava inoltre in pa-
recchi luoghi le gambe, le coscie e le brac-
cia. Asolepiade sostenne che ciò oltre al non
giovare, riesce anche dannoso. Ma i fatti at-
testano che tal cosa reca spesse fiate ottimo
effetto. Non è necessario però dì fare que-
ste allacciature in molti luoghi : basta sotto
alle anguinaja, e sopra i calcagni, agi» omeri,
ed anco alle braccia. Quindi se la febbre è
violenta, devesi somministrare «lei brodo, e
bere dell' acqua, nella quale siasi bollita al-
cuna di quelle sostanze, che ristringono il
ventre: ma se febbre non v1 ha, si può mi-
nistrare o spelta bollita, o pane inzuppato
in acqua fredda, od anche un uovo tenero :
per beveraggio o quelto che è notato di so-
pra, o vino dolce, od acqua fredda. Ma co-
sì si dovrà bere che non ci scordiamo esse-
re la sete giovevo/e in questa infermità. Ol-
tre a tutto questo s> richiede quiete, fidan-
za, silenzio. L'infermo stando in Ietto deve
18
i38
CELSO
Cap. xii. — De stomachi morbis.
Faucibns subest stomachus; in quo plnra
Innga vitia incidere consuerunt. Nani modo
ingens calor, modo inflatio, hune, modo iu-
tlaramatio, modo exulceratio afficit : inter-
duin pituita, interdum bilis oritur : frequen-
tissimumque ejus raalum est, quo resolvitur;
neque ulla re magis aut afficitur, aut cor-
pus afficit. Diversa autem, ut vilia ejus, sic
ctiam remedia sunt. Ubi exaestuat, aceto cum
rosa extrinsecus subinde fovendus est : im-
ponendusque pulvis cum oleo : et ea cata-
plasmata, quae simul et reprimunt et emol-
liunt. Potui, oisi quid obstat, egelida aqua
praestanda. Si ioflatio esl, prosuut admotao
< ueurbitulac ; ncque incidere cutem Decesse
est: prosunt sicca et calida fomenti, sed nop
\ flMinrnli.s-.ima. Interponeuda abstinculia est.
I lilis in jejuno polio est absinlliii, aut livs-
-supi, aut ratae. bxercitatio primo lenis, de-
iode major adhibeDda est ; maximeque, quae
superiore*; paries, moveal : c| u »1 genus in
omnibus stomachi vitiis aptissiroam est. l'o^t
exercitationera opus est unctiooe, frictione;
bai aea quoque DoaoDmqoam; sed rarius; in-
I- l'Inni ii\i dactione ; «ibis deinde calidis
neque ioflantibus ; eod< ine modo oli<lis
potionibaa, plinto aquie, post, ubi resedil
inllatio, vini austeri. Illml quoque in onnii -
l.us itomtchi \itii« praecipiendum est, ul
q'«.» modo le quisque aeger refecerit, eo sa-
nus 'ii.iinr : ii mi redit baie irabecillitas sua,
nisi livi.u, defeoditur bona valetodo, qui bua
• ■ .l.l.i.i eet \ i si inil immatio aliqua esl .
qoam fere lumov 1 t -lo! ir lequitur, prima
•uni quies el ibstinentii, lana solphuratn
I I •' • I juno ..l.Miilliium. Si ,r I .,• - 0
in .11 lumi ni g I. iceto .un rovi siihiude fo-
veodui esl dei \ò* , ibis qoidera utendum
est modi* i ■ ira pò u u.| , N , , ,, <>\\ rtntecus
Duae 11,11:1 .1 repi inajnl •( emolliunl : dein-
«A hi ut. | Uim calidii CU buina
« itapUsoi 'li-. '|'i !■• rc)iq«iai digeranl : ini i
•bini >i\ n d t snd i i ki1 | , ,.v, rcil itio.
« I « 'bus pleoior. \i ,Uo sforni'
' bum mie lai ■' '. in i, ,, faci . | , Mlll; |lll(
anche tener la Usla elevata, ed è ben fatto
di raderla. La faccia vuoisi sovente spruz-
zare di acqua fredda. Il vino, il bagno, il
coito, gli alimenti conditi ad olio* le sostan-
za, «„,.;. aoche i caldi fomenti, una camera
calda, e tm^. ~hjusa^ |K soverchie vesti o
coperte ed anche le f.«0-,cipni sono contra-
rie. Quando Io sputo sanguinoso aie «»n^to
del tutto, allora poi s1 incoraincieranno te
fregagioni alle braccia ed alle gambe, scansato
il petto. In quest'infermità fa prò, e conferi-
sce il tempo estiviale, il soggiornare entro
terra, e di verno alla marina.
Cap. xii. Della infermità dello stomaco.
Alle fauci soggiace lo stomaco, nel quale
sogliono aver sede molti malanni e lunghi.
Attesoché ora è affetto da immenso calore,
ora da ventosità, ora da infiamraamento, ora
da ulcerazione : talora ne lo ingombra la pi-
tuita, talor !a bile : e il malor suo più fre-
quente quello è di rilasciarsi ; e niuno avve-
ne che più di questo travagli lo stomaco, od
alteri il corpo. Come poi diverse sono tra
loro queste malattie, così richiedono cure
diversi?. Allorché lo stomaco è preso da ar-
dore, si deve spesse volte fomentare per di
fuori di aceto rosato, ed apporvi polvere di
rose con olio, e sovrapporvi degl1 impiastri
di facoltà mollitiva e ripentissi va insieme
Per bevanda porgere, se nulla vi osta, acqua
gelata. Se avvi ventosità giovano le coppella
che non importa tagliare, e giovano i caldi
e secchi fomenti ma non soverchio forti. Fra
queste cose conviene interporre l'astinenza.
Giovevole è una bevuta d1 infusione d1 assen-
zio, o d1 isopo, ovvero di ruta a digiuno. Si
vuol praticare dolce esercizio in prima, indi
più forte, e massimamente tale che metta in
moto le parli superiori ; la qual ragion d1 < -
sercizio e convenévolissima in lutto le iodi-
sposizioni di stomaco, appresso I* esercizio
«r uopo è ungersi, e stropicciarsi, prender
anche uni lai volti il bagno, ma raramente:
tentare «li tinto in tadto l'alvo co" (-risieri :
dipoi far oso di cibi, non ventosi, e nel me-
desimo modo usar calde pozioni, primi d'a1-
Cqua, menomata poi 1, ventosità, di vino an-
atro. Quello ebe vuoisi inoltre inculcale in
tulle le passioni dello stomaco, si è ebe quel
governo onde il malata si ristabilì, si prose-
gua <la lui fitto sino : perocché il male ili
lieve ritorna, quando la ristabilita sanità non
si difenda con quei medesimi presuli ondr es-
sa ricuperata tu. Mi se v'è innammaiione, a
< ni per ils ito sussiegnoQo gonfiamento e
dolore, !>■ prime cose da imporsi sono la
quiele < |» astinenza; l<> involgere lo stomaco
<b lana solforata, l' isseaaia ;■ dìgitiao. Se lo
Stomaco è tormentalo da ardore, dv.vc.si ."I in
DELLA MEDICINA jg
in faucibus ex ulcera tis praecepta sunt. Exer- tervalli fomentare di aceto rosato: dipoi far
citatio, frictio inferio.rum partium adhiben- uso di un modicissimo alimento: applicarvi
di fuori sostanze, che insiememente ristrin-
gano ed ammolliscano : poscia rimosse via
queste, adoperare de' cataplasmi caldi di fari-
na, che dileguino le reliquie del male : ogni
tanto incitare l'alvo co1 «risteri : fare esercizio
e mangiare di più. Nel caso p0i che un'ul-
cera infesti lo stomaco, si devono €qre presso-
ché le medesime cose, che prescritte c; sono
nelle fauci ulcerate. Usar si vuole 1 esercizio,
e la fregatura delle parti inferiori : mangiar
£Ìbi glutinosi e molli, ma entro i termini
della sobrietà : tutte le acide ed irritative so-
stanze iscbifare : bere, se non v' è febbre, vi-
no dolce, e se questo genera flati, almeno
da ; adhibendi lenes et glutinosi cibi, sed ri-
trai satietateni : omnia acria atque acida re-
movenda ; vino, si febris non est, dulci, aut,
si id inflat, certe leni utendum; sed neque
praefrigido, neque nimis calido. Si vero pi-
tuita stomachus impletur, necessarius modo
jejuno, modo post cibum vomitusest: utilis
exercitatio, gestatio, navigatio, frictio ; nihil
edendum, bibendumque, nisi calidum ; vita-
tis tantum iis, quae pituitam contrahere con-
suerunt. Molestius est, si stomachus bile vi-
tiòsus est. Solent autem ii. qui sic tenlatur;
interpositis quibusdam diebus, liane, et qui-
dem, quod pessimum est, atram vomere. His
recte alvus ducitur : potiones ex absinlhio del vino delicato ed accostante, ma non trop-
dantur: necessaria gestatio, navigatio est; si
fieri potest, ex nausea vomitus : vitanda cru-
ditas : sumendi cibi facile» et stomacho non
alieni, vinum austerum. Vulgatissimum vero
pessimumque stomachi vitium est. resolutio,
id est, cum cibi non tenax est, solelque de-
sumere ali corpus, ac sic tabe consumi. Huic
generi inutilissimum balneum est ; lectiones,
exercitationesque superioris partis necessariae;
item unctiones, frictionesque. His perfundi
frigida, atque in eadem natare; canalibus
ejusdem subjicere etiam stomachum ipsum, et
scap
ali
con tra sto-
magis etiam
machum est; consistere in frigidis, medie
tisque fontibus, quales Culiliarum Sumbrui-
narumque sunt, salutare est. Cibi quoque as-
sumerli sunt frigidi, qui polius difficulter
coquuntur, quam facile vitianlur. Ergo ple-
rique, qui nihil aliud concoquere possunt,
bubulam coquunt. Ex quo colligi potest, ne-
que avem, neque venationem, neque piscein
«lari debere, nisi generis duriosi. Potili qui-
dem aptissimum est vinum frigidum. vel « er-
te bene calidum, meracum. polissirnuni rhe-
ticum,vel allobrogieurn. aliud ve. (jiiod etausle-
rum et resina conditimi est; si id non esf.quam
asperrimum, maximeque signinum. Si cibus
non continetur, danda aqua, et elicieudus
plenior vomitus est, iterumque dandus cibus;
et tum admovendae duobus infra stomachimi
digitis cucurbilulae. ibique duabus aul Iri-
biis horis continendae sunt. Si simul et vo-
mitus et dolor est. imprenda supra stornai
churn est lana succida, vel spongia ex aceto,
vel cataplasma, quod refrigeret : perfricanda
vero non din. sed vehernenter brachia et
crura et calefacienda. Si plus doloris est,
infra praecordia quatuor diijilis cucurbitnla
utendum esl : el protinus dandus panis ex
pofea frigida: si non continuil, posi vomi-
Imiii leve aliquìd ex iis. quae non aliena sto-
maeho sinl: si ne id quidem lenuit, singoli
cvailii vini, singulis interpositis horis, douec
stomachus consista l. Voleua etiam uicdica-
po freddo, ne troppo caldo. Se poi lo stoma-
co si riempie di pituita, necessario è quando
a digiuno? e quando appresso il pasto, vo-
mitare : profìcua l'esercitazione, la gestazio-
ne, la navigazione, la fregagione: nulla man-
giare, nulla bere se non caldo : schivare sol-
tanto qualle cose che sogliono generar pitui-
ta. Più d'assai funesto è quando lo stomaco
patisce congestione di bile. Quegli che da que-
st' incomodo sono molestati, sogliono a capo
di alquanti giorni recere bile, e, quel che è
peggio d'assai, atrabile. A questi mollo con-
gruamente si fanno de' cristeri : si dà a bere
un' infusione d' assenzio : necessaria è la ge-
stazione, Ja navigazione, ed il vomitare, se
riesce in forza della nausea : evitare l' indi-
gestione : prender cibi facili a digerire, e con-
faceli ti allo stomaco, e vino austero. Ma il più
comune e il più funesto vizio dello stomaco
è la rilassatezza, vale a dire quando esso non
rattiene gli alimenti, cessa di nutrirsi, e cosi
precipita nella tabe. A questa razza «li male
.P. .
è mimicissimo i! bagno : utile il leggere, e
V esercitare le parli superiori : 'stessamente
le unzioni e le freghe: a quest'infermi rie-
sce salutifero l'essere spruzzali d'acqua fred-
da, e il notare in essa: e l' istesso st' m»co
soggettare alle docce della medesima aequa,
e più ancora il far piombare la doccia fra le
scapole dicontro allo stomaco: il fare immer-
sioni in sorgenti fredde e medicate, quali
quelle di Cutilio e di Sumbi;uina. Eziandio
gli alimenti si convien prenderli freddi, e piut-
tosto tali che con difficoltà si smaltiscano,
anzi che di troppo agevole coi rompimeli!»'.
Il perchè la più parte di quei che nuli' altro
possono digerire, digeriscono la carne di bue.
Dal che si può inferire non doversi né uccel-
lo, io- salvalìcina, né pesce dare, a meno che
non sia di qualità molto dura. Per bevanda
copvenienlissimo è il vino freddo, od almeno
il vino ben ealdo puro, in ispeeie quello del-
la K</.ia o dell' Allobrogc, od altro qualsiasi
austero e r esiliato : qualora non se ne abbi'»
,/Jo CELSO
mentum est, radiculae succus : valentius, aci-
di punici mali, cimi pari modo succi, qui ex
dulci punico maV> est, adjeclo etiam intubi
succo, et menthae, sed hujus minima parte;
quibus taotumdem, quantum >n bis omni-
bus est, aquae frigidae quam oplime misce-
tur. Id enim più* quam vinum ad compri-
mendum stomaclium potest. Supprimendus
autem ?o*nitus est, qui per se venit, etsi
nausea est. Sed si coacuit intus cibus, aut
computruit, quorum utrumlibet ructus osten-
dit, ejiciendus est; protinusque, cibis as-
sumptis iisdem, quos proxime posui, stoma-
chus restiluendus. Ubi sublatus est praesens
metus, ad ea redeunduni est, quae supra
praecepta sunt.
Cap. xiii.
De luterum doìoribus.
Siom i. -li ii ^ lateribui cingi tur; aiquc in
bis quoque vchrinciili s dolorCS CSSC consue-
runt. VA iiiiliunt vel ex (rigore, vcl c\ ictO,
nlmio (iiisu, rei ci morbo <,v>t : sed
intcrdnm id mainai intra dolorem est, isqne
moda in l'-. mòdo e Ieri ter solvitar; intèr-
dam ad perniciera qaoqae procedit, oritur-
atus ni. .il. iis, qui tXìupitixòì b Grae-
« i% nominatai . rfoic dolori lateris, febrii el
toatii iccedit; el per haoc exsereatur, *>i to-
lerabilii iiM.rl.ii, csi, pituita; li grafia, lan-
ini u Interdum etiam no i tossii i it, qu te
nihil emolitnr: idqoe primo titio gra?ius,
sei andò I ilei ibiliai i • K. m< dinm vi
"' igni ii i ecentii dolorii, mngnii misiai .
Ai, live lettor, uve veluitior earai est, vel
wpertacoom, vcl pernm id auxiliom est:
di tal sorte, si prende del più aspro, e mas-
simamente il vino di Signa. Se il cibo non
è ritenuto, si dà dell'acqua, e si provoca co-
pioso il vomito, e di nuovo gli si ministra
da mangiare : dipoi si pongono le coppette
due dita sotto lo stomaco, le quali vi si de-
vono ritenere per due o tre ore. Se avvi
vomito insieme e dolore, necessario è porre
sopra lo stomaco della lana ancor sucida, ov-
vero una spugna imbevuta d'aceto, o un im-
piastro di qualità rinfrescativa : si vogliono
inoltre stropicciar non lungo spazio di tem-
po, ma sì con forza le braccia e le gambe,
e riscaldarle. Se il dolor si fa più gagliardo,
si attacca una coppetta quattro dita sotto Io
stomaco, e si porge tosto ali1 ammalato del
pane inzuppato in fredda posca. Se lo riget-
ta, se gli darà in appresso alcun cibo de' di-
licati e leggieri ebe si confanno allo stoma-
co : se neppur questo fia ebe il ritenga, si
farà bere ogni ora un bicchier di vino, infino
a ebe il vomito non sia cessalo. Valoroso me-
dicamento si è pure il sugo di rafano : più
valoroso ancora il sugo della melagrana aci-
da, mischiato a dose eguale coti quello della
melagrana dolce, giuntovi anche quello di ci-
corea e di menta, ma di questo la minima
parte: a queste cose si può ottimamente ag-
giungere tant1 acqua fredda, quant' è il peso
di ciascuno degl1 ingredienti. Imperocché esso
più che non il vino, può rassodare lo stoma-
co. Il vomito poi che insorge spontaneo, date-
si sopprimere : ma se v'è nausea, e se P ali-
mento si è inaci. lilo. o corrotto, 1' uno e l'al-
tro dei quali casi cel fanno riconoscere i rutti,
si deve trar fuori col vomito, e tosto con quei
medesimi cibi clic ho dianzi proposti, rista-
bilire lo stomaco. Rimosso il momentaneo
pericolo mestiero è rimettere senza più il
malato a quelle cose che sono stale ingiunte
di sopra.
Cap. xiii. Dei dolori del petto.
T,o stomaco è circondalo dalle coste ; e
quivi incora sogliono desiarsi (ieri dolori.
nascono questi o per freddura, o per colpo,
o per violenti riiis.i. .. .1.1 malattia: ma tal-
volta tutto il male ristrignesi al dolore, e
qneslo ora tardi, or tostamente si scioglie :
alcuna fi. ila si av.in/i .i mortifera gravezza,
e ne insorge quell'acuto malore detto pl*u~
risia dai Greci. I questo dolor <!i costa si
congiunge tri. lue e tosse: e per questo, sé
il male e l li, ciclo, si Sporga «lilla mUCOSÌU ;
se grave del sangue, alcuna volta la tosse &
secca, e nulla si purga: e questo caso è pio
grate <lol primo, pia tollerabile del secondo.
i iodati del sangue è il rimèdio di no
lori'- e recente dolore. Ma se è lieve molto,
od invetrialo, L.otal soccorso od o superfluo
DELLA MEDICINA
confugiendumque ad eucurhitulas est, ante
summa cute incisa. Recte etiam sinapi ex a-
ceto.'super pectus imponitur, donec ulcera
pustulasque excitet; et tum meilicatnentum,
quod humorem illuc citet. Praeter haec, cir-
cumdare primum opportet lafus hapso l;mae
sulphuratae : deinde, cum paulum infl;imma-
tio se remisit, siccis et calidis fbmentis u ti.
Ab his transilus ad malagmata est. Si vetu-
stior dolor remanet, novissime resina ini po-
si ta discutitur. Utendum cibis potionibus-
qne calidis; vitandum frigus : inter baec
tamen non alienum est extremas partes oleo
et sulpbure perfricare. Si levata tussis est,
leni lectione liti ; jamque et acres cibos, et
vinum meracius assumere. Quae a medicis
praecip'iuntur, ut tamen sine his rusticos no-
stros epota ex aqua berba trixago salis ad-
juvet. Haec in omni lateris dolore com mu-
li ia sunt : plus negotii est, si acutus quoque
morbus is faclus est. In hoc, praeter ea, quae
supra posita sunt, haec animadvertenda sunt:
ut cibus sit quam maxime tenuis et lenis,
praecipueque sorbitio, eaque ex ptisana po-
tissimum, aul jus in quo porrus cum pullo
gallinaceo coctus sit ; idque non nisi tertio
quoque die detur, si tamen per vires licebit:
potui vero acjiia rpulsa, in qua hvssopum,
aut ruta decocla sit. Quae quibus tempori-
bus danda sint, ex ratione vel adauctae, vel
levatae febris apparebit, sic. ut in remissio-
ne quam maxima denlur: cum eo tamen, ut
seiamus, non esse ejus generis tussi aridas
fauces commitlendas : saepe enim, ubi nihil
est. quod exscreetur, conlinuatnr, et stran-
gulat. Oh quam caussam, dixi etiam pejus id
genus esse tussis, quod nihil, quam quod
pihjilam moveret. Sed hic vinum sorbere, ut
supra praecepimus, morbus ipse non palifur:
in vicem ejus, ere m or ptisanae sumendus esl.
Ut his aulem in ipso morbi fervore sustinen-
dus aeger est, sic, ubi paulum is se remisit,
alimenta pleniora, et vini quoque aliquid da-
ri potest ; dum nihi! detur, quod aut refri-
geret corpus, aut fauces asperet. Si in re-
f'-olione quoque manserit tussis, intermi ttere
oportebil uno die ; posteroque, cum cibo vi-
ni paulo plus assumere. Atque incipiente quo-
nue tussi, tum non erit alienum, ut supra
quoque positura est, vini cyathos sorbere ; sed
in hoc ggaere valetudinis, dulco, vel certe le-
ne rorrimodius est. Si malum inveteravit, a-
ihlcliro vichi corpus firmandum est.
o tardo : e sì convien rifuggire alle coppette
tagliate. Congniamente pure si applica della
senape sul petto digerita in aceto, che vi si
lascia perfino a che abbia esulcerato, e fatto
vescica: indi ci si appone un medicamento che
tragga a sé della materia. Oltre a questo devon-
si prima circondare i lati con fascia di lana
solforata: dipoi attutatasi alquanto l'infiam-
mazione fare calde ed asciutte fomentazioni:
e da queste passare all'uso degl'inipiaslri mol-
litiivi. Se il dolore inveterando perseveri, sì
dissipa ultimamente con porvi sopra della re-
sina. Far uso di cibi e beveraggi caldi, e schi-
fare il freddo: in mezzo a queste cose non
è fuor di luogo fregare le estreme parti con
olio e zolfo. Alleviata la tosse, esercitarsi 8d
una soave lettura, e cominciare a prendere
cibi agri e vino puro. Queste regole vengo-
no prescritte dai medici: i nostri villici però
senza di queste ritraggono sufficiente sollie-
vo dal prendere la decozione dell'erba tris-
saggine. Questi è la norma comune in tutte
le doglie di fianco : ma più malagevole ne è
la cura, ove pur esso siasi fatto malattia acu-
1a. In questa olire le predette cose convien
servar le seguenti : che gli alimenti sieno te-
nui, e gentili il più possibile, e che si faccia
uso di decozioni farinacee, e singolarmente
d' orzo, ovvero sugo di pollo entro bollitovi
del porro : e questo anche non diasi se non
al terzo dì, ove per altro attese le forze, sia
ciò permesso : per bevanda poi della roulsa,
in che sia decollo dell' isopo, o della ruta.
In quali tempi dar si convengano queste ro-
be, apparirà dall'ordine delle esacerbazioni
e delle diminuzioni febbrili, avvertendo di
som ministrai le al tempo della massioa re-
missione: con questo però che si ponga men-
te non doversi in questa condizione di tosse,
lasciar che s' inaridiscano le fauci : imperoc-
ché spesso addiviene che la tosse perseveri,
e minacci anche soffogazione, avvegnaché nul-
la siavi da spurgare. Per lo che io dissi es-
sere più rea quella razza di tosse, in cui nien-
te si spula, di quella che è accompagnata da
sputi pituitosi. Ma questa malattia non so-
stiene che si beva vino, come si è prescritto
nel semplice dolor de' lati : in sua vece pren-
dere si deve del cremor d'orzo. Siccome poi
nella massima violenza del male devesi so-
stentar P infermo con queste cose, così riràes-
so che siasi il male alquanto, se gli può ac-
cordare un più nutritivo alimento, ed ambe
un tantin di vino, purché inni se gli dia cosa
che raffreddi il corpo, ed inasprisca le fauci.
Se la tosse sussiste anche nella convalescenza
converrà astenersi per un dì. ed il seguente
prendere col cibo un po' di vino. Ma ina-
sprendosi la tosse da rapo, non sarà mal pro-
prio fai bere qualche bicchier di vino, come
»i è pur fermo di sopra : ma in questa qua-
C ■ L S O
lità di male, è più laudabile il vino dolce, o
delicato almeno. Se la lossc si è l'atta vieta,
devesi rinfrancare il corpo col modo di vive-
re desìi atleti.
Cap. xiv. — De viscerum morbi*
de pillinone.
et pruno,
A compagine corporis ad viscera trans-
cundum est, et in primis ad pulmonem ve-
niendum ; ex quo vehemens et acutus morbus
oritur, quem nrcpnrvzuuoviv.òv Graeci vocant.
Ejus haec conditio est: pulmo totus afficitur:
hunc casum ejus subseqaitur lussis, bilem vel
pus trahens, praecordionim totiusqae peclo-
ris gravitai, spiritus diffi calta*, magnae fe-
bres, continua vigilia, cibi fastidiarli, tabes.
Id genus morbi plus pericali, quaoa doloris,
habet. Opportct, si satis validae vire« suul,
sanguinem mittere: sin rainores, cueurbitulas
sine ferro praecordiis ad move re. Tura, si sa-
tis valet, gestando aegrum. digerere : si pa-
rura, intra domum tamen dimovere. Polionem
autera hyssopi dare, cum quo ficus arida si t
incocla ; aut aquam malsani, in qua vel hys-
sopum vel ruta decocta sii; frictione uli diu-
tissime in seapulis, ppoxime ab his in hraehiis et
etpedibnseteruribus,lenitercontrapulnionem;
idque bis quotidie facere. Qnodad cibura vero
pcrtinet, huic nec salsi* opus est, ncque acribus
ncque amaris, neque alvum acUtrin genti bus,
aed paulo lenioribus. Ergo primis diebus dan-
<1a esl snrbUio ptisanae, ve! alicae, vel oryzae,
cara qua recens adeps coda si t : cum bue, sor-
bile ovrnn. nuclei pinci ex molle, panii vel do-
ta alica ex aqua molai : potui deinde non so-
limi para aqua, sed etiara malsa egelida, aut,
si aeslas esl, eliam frigida ; nisi quid obstat.
Baco antera altero quoque die, increscente
morbo, dar..- iatii esl : ubi in incremeoto con-
stiti!, quantum res patii nr. ab omnibus ahsti-
nendum est, praeterquara aqua egelida. Si vi-
re< desunt, adjavandae inni aqua raulsa, Pro-
snntqne ad versus dolores imposi la .alida fo-
menta, vel est, quac simul e! reprimimi et 6-
molliunt : prodejl impositui saper pectus sai
bene contri tns. cnm cerato mixtus; quia levi-
t.-r .ni. in crodit. coque imn.-lum material- ,
quo pulmo ventar, evocai. Olile ttiam ali-
qnod mahgma ,.S| ,.x -,js q0ae ,,, ,i, .,•;.,,„ tra-
buni. Neqne attenuai est, dura premil mor-
bus, claoiii fenestris aegrura oontinerc : obi
paulum levatui est, ter ani qaatet die, fene-
stris aiiqaantaftn spertis, parvum serem ra i-
; Dein le in refei tione pluribui di. 'bus a
ilxtinere; resi itione. frictione uti; sor-
bitionibos el priorìbaj cibisadjii ere, es oleri-
bm p orrum. <\ < u ne QOgulaS, <•! siimm i 1 ri i ri -
< nioriiru. itque pisci, ni,,, liq ,,i dia inliil ai-
si molle i t li bc mattai
Cap. xiv. Delle infermità de\isceri, e pri-
ma del polmone.
Dal connesso del corpo si vuol far tra-
passo ai visceri, e in primo luogo venirne ai
polmoni, donde nasce un acuto e gagliardo
male «he i Greci chiamano peripneumonia^
del quale questa è la condizione. Tutto il pol-
mone è affetto : a quest1 accidente tien dietro
la tosse, per la quale si manda fuori o bile,
o materie marciose: v'ha senso di peso ai
precordi e al petto: ambascia di respiro, feb-
bre intensissima, veglia continua, avversione
al cibo e per ultimo la tabe. Questo malanno
trae seco più pericolo che dolore. Egli è di
uopo se le forze sono sostenute, cavar san-
gue, e se depresse, porre sopra i precordi [e
coppelle secche. Poscia se l1 infermo trovasi
discretamente in forze, risolvere la malattia
colla gestazione; se lìacco muoverlo per casa.
Se gli fa bere una decozione d1 isopo e «li
fichi spechi, ovvero acqua mulsa, nella quale
siasi fatto bollire isopo, o ruta. Giova per
lunghissimo spazio di tempo fare delle fre-
gagioni al!.» spalle, poi da queste alle braccia,
ai piedi, alle gambe, e soffregare anche pia-
namente il [ietto, e questi frega menti ripe-
terli .lue volte al di. Per ciò che spetta alla
dieta, non convengono né alimenti salati, ne
acri, ne amari, né costrettivi il mentre, ma
un poebetto dolci ed umettanti 11 perché ai
primi dì voglipnsi dare brodi d'orso, odi
spelta, 0 «li riso, entro cui sìa colf.» del grasso
fresco. Con questi un uovo a bere, de' pignoli
Col mele, del pane ovvero dell1 aliea lavata in
acqua mulsa : dipoi per bevanda non pur del -
T acqua pura, ma anche della raulsa tiepida, e
se è di slate anche fredda, purché nulla vi
osti. Queste COSe SÌ possono dare un di si. e
uno no neir incremento del male: (piando la
malattia risia nel suo colmo, conviene, pe*
quanto la cosa il <• importa, aatenersi <]■* ogni
alimento, eccettuata l'acqua tiepida Se le
forza decadono, si vo-limo sostenere colla
inulsa. Ed arrecano sollievo i fomenti ealdi
posti sulla parie .1 .lente. 0 che ehe altro che
ripercustìvo sia. ed ,m illiente ad un tempo».
Gi. .va il mie soldi. mute trito, e posto unito
al cerotto sui petto, perocché leggermente in-
fiammi la ente, e cola ehiami V impelo della
materia, ohe opprime il petto Proficuo è pure
alcun malemma confetto di robe che attrag-
gono materia. E mentre il male fortemente
incalza, non è fuor di proposilo tenere I1 in-
terino a finestre chiuse, ma quando già e al-
quanto declinalo, ì'a prò, tenendole socchiuse,
DELLA MEDICINA l43
accogliere aria pura Ire o quattro volte al
giorno. Ultimamente nella convalescenza bi-
sogna astenenersi per più dì dal vino : mette-
re in uso le fregagioni e la gestazione: ai
brodi ed ai primi cibi aggiugnere fra gli er-
baggi il porro, e tra le carni i piedi, e le parti
lendinose, e dei pesciolini, sicché per lunga
pezza non si prenda cibo che non sia molle
e lenitivo.
Cap. xv. Del mal di fegato.
Ancora un male di un altro viscere, cioè
del fegato ugualmente ora è lungo, ora acu-
to : i Greci 1' appellano epatico. V è un do-
parle sub praecordiis vehemens dolor est ; lore forte sotto i precordi dalla parte destra,
idemque ad lalus dexlrum, et ad jugulum, il quale si distende al lato deslro, e al giugo-
humerumque partis ejusdem pervenit : non- lo, e ali1 omero della medesima banda : noli
numquam manus quoque dextra torquetur : dirado s'intorpidisce la mano destra e visi
horror validus est : ubi male est, bilis evomi- congiunge un intenso ribrezzo. Quando è gra-
tur : interdum singultus prope strangolai. Et ve, si vomita della bile : alle volte il singhioz-
haeo quidem acuti morbi sunt. Longioris ve- zo ne minaccia^ strangolamento. Questi acci-
CArtrr xv. — De Jiepatitide.
Alterius quoque visceris morbus, id est,
jocinoris, aeque modo longus, modo acutus
esse consuevit; *r7raT/xoVGraeci vocant.Dextra
ro, ubi suppuralo in jocinore est; dolorque
modo finitur, modo inlenditur ; dextra parte
praecordia dura sunt, et tument; post cibum
major spiritus difficultas est ; accedit maxil-
larum quaedam resolutio. Ubi inveteravit ma-
lum, venter et crura pedesque intumescunt;
pectus atque bumeri, circaque jugulum u-
trurnque extenuatur. Initio sanguinem mitte-
re optimum est : tum venter solvendus est,
si non potest al iter, per nigrum veralrum :
imponenda extrinsecus cataplasmata, prjmum
quae reprimant, deinde calida, quae didu-
cant; quibus recte iris vel absinthium adjici-
tur : post haec, malagma. Dandae vero sorbi-
tiones sunt, omnesque cibi, et calidi, et qui
non mudlum alunt, et fere qui pulmonis quo-
que dolori conveniunt ; praeterque eos, qui
urinam movent, polionesque ad id efficaces.
L tilia in hoc morbo sunt ihymum, satureia,
hvssopum, nepela, amylum, sesamum, lauri
baccae : pini flos, hcrba sanguinalis. mentha,
ex malo cotuneo medium, columbae jecur re-
cens et crudurn : ex quibus quaedam per se
esse, quaedam adjicere vel sorbitioni vel po-
lloni licei; sic tarnen, ut parce assumanlur.
N'eque alienum est, absinthium contrilum ex
nielle et pipcre, ejusque catapotium quotidie
decorare. Abstiuendum Ulique est ab omni-
bus frigidi* : ncque enim res ulla magis jccur
laedit. Frictionibus ulendum in extremis par-
tibus: vitandus omnis labor, omnis vebemen-
lior inoiu*: rie spiritus quidem diutius con-
rinendus est Ira, trepidatio, pondus , ictus,
cursus, inimica sunt. Perfusio eorporis mulla
prodest ex aqua, si lii. ma est, calida ; si aestas,
lepida : item liber*Hì unclio, et in balneo su-
<lor. Si vriD jecur vomica laboral. eadem Pa-
cienda sunt, quae in ceteris inlerioribus sup-
piirationibus. Quidam eliam contra id scal-
pello aperiunl, ci ipsaiD vomicam adurunl.
denti sono indizi di male acuto. Di lungo poi
alloichè siavi nel fegato imi ascesso, e il do-
lere ora cala, ora cresce: 1' ipocondrio destro
è duro ed enfiato: appresso il cibo T amba-
scia del respiro è maggiore: si arroge a que-
sto una certa floscezza delle guance. Resosi
inveteralo il male, il ventre, le gambe, i piedi
s'intumidiscono, intanto che il petto e le
spalle e i contorni del giugolo si vanno dima-
grando. Sul principio convenienlissima è la
missione del sangue, indi si deve solvere il
ventre : se non si può altrimenti, coli' ellebo-
ro nero: porre all'esterno impiaslri prima
ripercussivi, dipoi caldi di virtù dissolutiva,
ai quali ottimamente si unisce dell1 iride o
dell'assenzio: dopo di che un malamma. Si
vogliono poi dare dei brodi, e gli alimenti
tutti e caldi e di "tenue nutrilura, e per la
massima parte di quei che convengono altresì
al dolor polmonare: ed oltre questi quei che
provocano le orine, e beveraggi ancora a ciò
efficaci. Utili in questa malattia sono il timo,
e la santoreggia, l' isopo, la iwepita, l'erba
sanguinale, la menta, la parte di mezzo della
melagrana, il fegato di colomba fresco e cru-
do : di queste robe allre si prendono da sé,
altre giova unirle al brodo o alla bevanda,
con questo però che se ne prenda in piccola
quantità. Né disutile é d'ingojare ogni dì
una pillola d'assenzio pestato, e misto al me-
le e al pepe. Si deve l'uomo astenere dalle
cose fredde, perchè ninna cosa v' ha che più
offenda il fegato. Si vogliono fare fregagioni
alle estremità : schivar la fatica d'ogni ma-
niera, ogni violento moto, né ritener troppo
a lungo il respiro. La collera, lo spavento,
il portar pesi, i colpi, la corsa sono contra-
Giovamente arreca V aspergete il corpo
d acqua, se è «li verno caldi
pidl : né mcn giovativi è I.
1 IMI
di stale lie-
ga unzione
H
CELSO
e il sudare nel bagno. Nel caso poi che nel
fegato si abbia una vomica, mestiero è fare
quelle istesse cose che in allre interne sup-
purazioni si fanno. Taluni oltracciò aprono
colla lancetta Jicontro alla vomica, indi ab-
bruciano.
Caput xvi. — De lìcnosis.
At lienis ubi iffèctui est, inlumescit, si-
mulque cimi co pars sinistra ; eaque dura est,
el prementi renitilur : venter iutenlus est;
aliquis eliatn cruribus tamorest: ulcera aut
omiiino udii sanescunt, aut certe cicatrice ni
\i\ reciptuul : in intenta a mbul iiioue cur-
suque dolor et quaedam difficullas est. Hoc
vii uni quies auget: ilaque exeivilalione et la-
bore opus est ; Inbila tanien ratione, ne fe-
brem ista, si nimium processerint, excilent.
I octiones, frictionesque, et sudores necessa-
ri! sunt. Dulcia omnia inimica sunt ; item lac
ci caseus : acida autem maxime conveniuut.
Ergo acetoni acre per se sorberc, et magis
etum, <pi ) 1 scili» couditn.-n est, expedi t.
Kdenda suol salsameiita, vel oleae ex muria
dura ; tinclae iu aceto fiducie, intubique ex
eodem, bette ex sioipi, asparago!,' armoni-
ci;), pastinaca, augnile, rostra, aves macrae,
ejui lera generis renatio, l'otui vero jejnno
nari debet ahsinlhium incoctum : at post
cibimi, equi a terrario fabro, in (pia candens
ferrimi suliiride tinclimi sii: baec cui ni vel
praecipoe lieuem coércet. Quod animadrer-
su il est in iis ani in alibus, quae «pud hos h-
broi educata exignos lienes babent. Potest
ctiam ilari viiium tenue, austcruin; oinuiaque
in ciliis et p ili onibus. quae urinae niovendae
su n i . Praecipueerae ad id vaici rei trifolii se-
ni-n, rei « ti min u ni . rei ipktm, rei lerpyllum,
vel cytisus. rei portulaca., vel nepete, tei
tlivinimi. rei livssipum, vel satureia: baec
caini inde commodissirae ridetur liumorcm
'■ducere. Lienis quoque bubulus utililer esili
da tur; praecipueque eruca el nssluctium lie-
uem extenuaut. Imponendo quoque extrinse-
CUS SUIlt, rpi le levili, l'il ev il n _• ueil I < » ci p li-
moli», quod fWfoflÓXmof diacci rocant \ &t
ex lini ei oasturiii temine, quo vinum et
oleum adiieilur: ti t ex dipresso viridi, el ari-
d.i ii> ii : tìi e\ naapi, cui ieri htretoj i reni-
boi qua ili p irs p ni leris ad j ieitur, leritiirque
in sole. .-I protinni imponitor. Nfultii lue mo-
dis lune rei eappari api est : nini el ipsuui
CDQ1 Cibo IN in i '•. <-| ni ii ri a m ej us clini acelo
•orberà con a i lira est Qaia eii.un extrinse-
cut radice a conti itam1 \ el i orticeaa ejai eoa
furuiribus, io! iptu a i ippari cu D Ile coo-
tritum impanare exp lit, Iftalagmiti quoque
Iiuw rei api ailllir.
Cap. xvi. — Degli intaccati nella milza.
Mala milza quand' è affetta, s" ingrossa,
e insiem con essa la parie sinistra-, e questa
è dura e renitente al latto: il veutre <» teso
e i piedi alquanto enfiati: e le piaghe o no»
risanano, od almeno appena si riducono a ci-
catrice : correndo, o Fortemente passeggian-
do si prova dolore ed una certa difficoltà. Il
riposo aumenta questo malanno: il perchè
giova esercitarsi e faticare, usando non però
sì fatta moderazione, acciocché per essi non
si desti febbre. Necessarie sono le unzioni, le
fregagioni, i sudori. Tutte le sostanze dolci
pregiudicevoli : egualmente il latte ed il for-
maggio : le acide sono appmprialissime. La-
onde è espediente Iranghiollire aceto forte
puro, o meglio ancora quello che è confetto
coli i scilla : mangiar salumi, olive addolcite
in salamoili carica, della lattuga e della cico-
rea macerate ni aceto, della biela condita col-
la senape, degli sparagi, degli armoracci. delle
pastinache: rispetto alle sostanze animali,
mangiare i piedi, e le ganasce, gli uccelli ma-
gri, e il salvaggiume della medesima qualità.
Per bevanda si dà a digiuno una decozione
d'assenzio: ma dopo il pasto dell'acqua di
fabbro, entro cui sia stalo più volle estinto
un ferro rovente : imperocché questa più di
qualunque altro rimedio ristringe la milza,
essendosi osservato esilissima averla quegli
animali che si vivono presso dei fabbri. Si
può anche somministrare «lei vino tenue au-
stero, e si per cibo come per beveraggio,
cose che innovino le orine: ed in particola!"
modo cospirano a questo scopo i semi del
trifoglio, O il cornino, o l'appio, 0 il serpil-
lo, o il citiso, o la porlulacca, 0 la niepila,
o il timo, o Pisopo, o li santoreggia: pe-
rocché e1 pare che queste ottimamente es-
pellino per quella via l' u noie. Si da pure
,i mangiare utilmente uni milza di Ime. ma
in precipuo mi In solrono il tnmor della
Blilzi la nichel la ed il crescione. Si voglio-
no aiiclie porri- al ili fuori de' dissolventi :
se ne compone uno d* UnguentQj e »!i d.il-
teri clic dai Greci diresi i/ìi'i ahoUlllO^ o\ ve
io ili seme di lino e di ci i cui *i
aggiunge vino ed olio: ed alti ose ne la di
i e di fichi secchi : e si fi pn«
. i ien ipc . alia quale, si mescoli una
,|n ni . pai le ,| I p s> di sevo dei reni di
bacco, e ii pesta il sol.-, e tostamente si ap-
pone 1.1 i capperi il posiono adoperare a
DEALA MEDICINA ì^S
quest1 effetto : e in molte guise> perocché non
solo è utile mangiarne insieme al cibo-, ma
sorbirne la salamoja coli1 aceto. Che anzi pur
giova l' impiastrarvi esternamente la radice
pesta, o la corteccia di essa colla crusca, ov-
vero il cappero medesimo ammaccato col
mele. Si manipolano anco dei malagmi con-
facevoli a quest'affezione.
Caput x\ui. ■— De renum morbis.
Àt renes ubi affecti sunt, diu male hn-
bent. Pejus est, si frequens biliosus vomitus
accedit. Oportet conquiescere : cubare mol-
liter: solvere alvum ; si aliter non respondet,
atiam ducere : saepe desidere in aqua calida :
neque oibum, neque potionem frigidam assu-
mere : abstinere ab omnibus salsis, acribus,
acidis, pomis: bibere liberaliter : adjicere mo-
do cibo, modo potioni piper, porrum, feru-
lam, album papa ver, quae maxime inde uri-
nam movere consuerunt. Auxilio quoque his
exulcera tis sunt, si adhuc ulcera purganda
sunt, cucumeris semina detractis corticibus
sexaginta, nuclei ex pimi silvestri duodecim,
anisi quod tribus digitis sumi possit, croci
paulum, contrita et in duas mulsi potiones
divisa. Si vero dolor tantum levandus est,
ejusdera cucumeris semina triginta, iidem
nuclei viginti, nuces graecae quinque, croci
paululum, contrita et cum lacte potui data.
Ac super quoque recte quaedam malagma-
ta injiciuntur; maximeque ea, quae humori
extrahendo sunt.
Caput xviii. — De intestinorum morbis :
et primo cholera.
A visceribus ad intestina veniendum est,
quae sunt et acutis et longis morbis obnoxia.
Primoque faoienda mentio est cholerae ; quìa
coramune id stomachi atque intestinorum vi-
tium videri potest. Nam simul et dejeclio et
vomitas est: praeterque baec inflatio est, in-
testina torquentur, bilis suprainfraque erum-
pit, primum aquae similis, Jeinde ut in ea
recens caro Iota esse videatur, interdum alba,
nonnumquam nigra, vel varia. Ergo eo no-
mine morbum hunc ^oXg'pa»/ Graeei 'nomina-
runt. Praeterea vero, quae supra comprehen-
sa sunt, saepe ctiam crina rnanusque con-
trahuntur, urget silis, anima deficit: quibus
ooncurrentibus. non mirtini est, si subito quis
morilur. Neque (amen ulli morbo minori mo-
mento succurritur. Protinus ergo, ubi ista
eoeperunt, aquae tepidae quam plurimuin bi-
bere oportet, et vomere. Vix unquam sic non
vomitus seqnitur; sed eliamsi non incidit,
Celso.
Cap. xvii. Dei morbi alle reni.
Le reni poi una volta che sono affette,
lungo tempo soffrono. Peggio è se vi si ar-
roge frequente vomito bilioso. Bisogna ripo-
sare^ coricarsi su molle Ietto : sciogliere Tal
vo: se ciò non corrisponde all'intento ricorrere
anche ai cristeri : spesso immergersi in a-
cqua calda : non prendere ne cibo, ne bevan-
da fredda : astenersi da tutte robe salate,
aspre, acide e dai frutti : bere largamente,
unire quando al mangiare, quando al bere,
del pepe, del pprro, della ferula, del papa-
vero bianco , cose tutte usate a provocare
principalmente le orine. Ancora fanno prò al-
le reni ulcerate, le cui ulcere non siano per
anco deterse , sessanta semi di cocomero
scorzati , dodici pinocchi di pino salvatico,
d' anisi quanti se ne può prendere con tre
dita, e un poco di zafferanno, pestato il tut-
to, e di viso in due bevute di mulso. Se poi
accade di mitigare soltanto il dolore, si pe-
stano trenta semi del medesimo cocomero,
venti de1 medesimi pinocchi, cinque noci
greche, un pò1 di zafferanno, e «i danno a
bere col latte. Ma giovano ancora cert' im-
piastri postivi sopra, specialmente quei che
hanno efficacia di attrarre gli umori.
Cap. xviii. Delle infermità delle intestina,
e prima della colera.
Dai visceri si passa alle intestine, le
quali sono esposte sì ai lunghi come agli a-
culi morbi. E in prima si deve far menzio-
ne della colera , perchè si può riguardarla
per un male così comune allo stomaco, come
alle intestine. Imperocché evvi insieme e vo-
mito e degestione, ed oltracciò gonfiamento, e
tormini : si getta bile per di sopra e per disot-
to, prima somigliante all'acqua, dipoi rassem-
bra a lavatura di fresca carne, alcuna fiata
bianca, alle volte nera, o di vario colore.
Per lo che i Greci danno a questa malattia
il nome di colera. Oltre agli indienti acci-
denti spesso ancora le gambe ed i piedi pa-
tiscono stiramento: una sete intensa ne preme
e ;thv;»; sopravvengono deliqui d'animo;
alla cospirazione de' quali non è a maravi-
gliare, se altri subitamente muore. E con-
tutlociò a nuli' altro malore si «occorre, e
si ripara con minoro apparalo. Tosto duu-r
*9
l46 C E L
miscuisse tamen novam materiara corruptae
prodest ; parsque sani tatis esl, Tornitura esse
supprcssurn. Si id incidit, protinus ab o;uni
potione abstinendum est. Si vero tonnina
sunt, oportet frigidis et humidis foruenlis sto-
niachurn fovere ; vel, si veuter dolet, iisdera
egelidis, sic, ut venter ipse mediocriter calen-
tibus juvetur. Quod si vehementer et vomi-
lus, et dejectio, et sitis vexant, et adirne sub-
cruda mot, quae Tornuutur, nondum vino
maturum terapus est: aqua, neqne ea, ìpsa
frigida, sed polius egelid.i dandaest: adino-
Tenduraque naribus est pulegiuni ex aceto,
Tel polenta vino aspersa, vel mentha secun-
dura naturara est. At cura discussa cruditas
est, tura magis verendum est, ne anima defi-
ciat. Ergo tura confugiendura est ad vinum.
ld esse oportet tenue, odoratimi, cura aqua
frigida niixtura; vel polenta adjecta, vel mei-
le quoque assumere expedit: quotiesque all-
eluiti aut stomachus, aut venter effudit, toties
per haec vires restituere. Erasistratus primo
tribus vini guttis, aut quinis aspergeudara po-
lionera esse dixit ; deinde paulatim merum
adjiciendura. Is, si et ab initio vinum dedit,
et raelura cruditatis secutus est, non sine
caussa fecit; si veheraentera infìrmitatem adjn-
Tari posse tribus gutlis puta\il, erri vii. At si
iuanis est homo, et crura ejus contrahuntur,
interponenda polio absiulhii est. Si extremae
partes corporis frigeut, ungcndae sunt calido
oleo, cui cerae pattinai sii adjectum, caKdisque
foruentis nutriend ie. Si ne sul) bis quidem
qaies facte esi, extrinaecns conti.» rentricalum
ipsan eucurbitula admovenda est, aut siuapi
snpt rimponenduin. Lbi is constitit, dormire
oportet : postero die utique a potione abeti-
nere: die tertio in batneum ire: paolatimse
cib • refìoere : ibmno quisquis facile adqaie-
scil; itemqm lassitudine et innovo. Si poti
•nppreseam cholcram rebrìcola m mei, alvum
duci necetsarinm est: tnm cibii rinoqoe uten-
dum cai.
s o
que che questi acciìlcnli si affacciano, biso-
gna bere acqua tiepida in grandissima quan-
tità, e recere. Non interviene quasi mai che
non ne seguiti di tal modo il vomito: uà
comeehè non avvenga, giova nulladimeno il
mischiamento di novella materia alla corrot-
ta: ed è parte di sanità l'essersi soppresso
il vomito. Se poi sopravviene, d1 uopo è as-
tenersi incontinente da ogni beveraggio.
Quando vi sono tormini, giovano allo sto-
maco fomenti umidi e freddi ; ovvero tiepi-
di in caso che il ventre dolga sì che il ven-
tre istesso risenta sollievo da cose mezzana-
mente calde. Nel caso che imperversino fie-
ramente e il vomito e le degestioni e la se-
te, e che le materie che si vomitano siano
tuttavia crudette , non è per anche giunto
il tempo pel vino: si deve apprestare acqua
non fredda, ma sì calduccia : recare alle na-
ri del puleggio macerato in aceto, o polen-
ta aspersa di vino, ovvero della menta così
com'è naturalmente. Ma rimossa la crudità,
allora è a temere vieppiù non sopravven-
ga un deliquio. Gonvicn irnperciò ricorrere
tostamente al vino, il quale importa che sia
odorifero, e leggiero, e annacquato d* acqua
freddai coi li addice lodevolmente aggiu-
gnervi o della farina d1 orzo abbrustolita,
ovvero pigliarlo col mele: ed ogni volta
che o per lo stomaco, o per lo ventre alcuna
cosa si evacua, confortale, e ristorare le for-
ce con qucs'i mezzi. Erasishalo disse doversi
prima aspergere 1j bevanda di tre gocetc o
cinque di vino, indi poco a poco aumen-
tar la dose. Egli se in sul principio ha dato
il vino in piccola quantità temendone in li-
gestione, saviamente adoperò : ma se si av-
visò potersi sovvenire ad una estrema debo-
lezza con tre gocciole di vino, a gran pez-
za errò. Ma se la persona è esausta, e le
gambe di essa si contraggono, dereai inter-
porre una pozione iV assenzio. Se le parti
estreme del corpo sono fredde, si vogliono
ungere d' olio caldo, misto ad un poco «li
cera, e il calor mantenervi QOfl cable fomen-
ta/ioni. Se neppvr per queste cose non fa ri-
torno la calma, si deve pene una coppetta
alla regione iiteeta del ventricolo. o torporvi
della senape. Allorché il vomito e cessalo, si
COQTÌen dormire, astenersi il susseguente dì
dal bere, il ter/o andare in bagno « restau-
rare MpOCO appoco coli" alimento le forze, e
col tonno chi pnote agevolmente dormire ■.
oltracciò' schisa ra la ilancbezsa ■ il freddo.
Soppressa la colera, ae persiste piccola ich-
hivti.i. neceaairia è sgombrare il ventre coi
criitcri, indi mangiare e Iure vino.
DELLA MEDICINA
l47
Cap. xix. — De caeliaco ventriculi
morbo.
Cap. xix. Del morbo celiaco dtl ventricolo.
Sed hic quidem morbus et acutus est, et
inter intestina stomachumque versatur sic, ut,
cujus potissimum partis sit, non facile dici pos-
sit. In ipsius vero ventriculi porta consistit is,
qui et Iongus esse consuevit: x.oi\iaxò$ a Grae-
cis nominatur. Sub hoc venter indurescit, do-
lorque ejus est: alvus nihil reddit, ac ne spi-
ritual quidera transmittit : extreraae partes fri
gescunt : difficulter spiritus redditur. Commo-
dissimum est inter initia calida cataplasmata
toti ventri imponere, ut dolorem leniant:
post cibura vomere, atque ita ventrem exi-
nanire : proximis deinde diebus cucurbitulas
sine ferro ventri et coxis adraovere : ven-
trem ipsum liquare dato lacte, et vino salso,
frigido ; si tempus anni patitur, eliam viri-
dibus ficis ; sic tamen, ne quis aut cibus,
aut humor universus detur, sed paulatira.
Ergo per intervalla temporis sat est cyathos
binos ternosve sumere, et cibum prò por-
tione bujus ; commodeque facit cyatho la-
ctis cyathus aquae mixtus, et sic datus : cibi-
que inflantes et acres utiliores sunt; adeo
ut lacti quoque recte contritura alium adji-
ciatur. Procedente vero tempore, opus est
gestari ; raaximeque navigare ; perfricari ter
aut quater die,"sic, ut nilrum oleo adjicia-
tur ; perfundi aqua calida post cibum ; de-
inde sinapi imponere per omnia membra,
excepto capite, donec arrodatur et rubeat ;
maximeque si corpus durum et virile est ;
paulatim deinde faciendus est transitus ad ea,
quae ventrem comprimunl. Assa caro dan-
da, valens, et quae non facile corrurnpalur ;
potui vero, pluvialis aqua decocta, sed quae
per binos ternosve cyathos bibatur. Si velus
vitiura est, oportet laser quam optimum ad
piperis magniludinem devorare : altero quo-
que die vinum vel acjuam bibere : interdum
interposito cibo, singulos vini cyathos sorbe-
re : ex inferiori parte io fondere pluviatilem
egelidam aqoam, maximeque, si dolor in i-
rnis partibus remanet.
Cap. xx. — De tenuioris intestini
morbo.
Ma quest'infermità è ed acuta certamen-
te, ed ha sua sede fra le intestine e lo sto-
maco, sì che non è lieve cosa l1 affermare a
qual parte precipuamente appartenga. Sul-
l'ingresso del ventricolo poi stanzia quel ma-
lore, che suole esser lungo, e che presso i
Greci ottiene il nome di celiaco. In questo
il ventre s' indurisce e duole : l1 alvo è costi-
palo affatto, e neppur V aria espelle : le estre-
me parti intirizziscono: con difìcoltà si respi-
ra. Utilissimo riesce in sul principio porre
caldi impiastri su tutto il ventre, onde cal-
mino il dolore: dopo il cibo vomitare; e
così sgombrare il ventre; ai dì consecutivi
apporre al ventre ed alle cosce delle coppet-
te incruenti : solvere l1 alvo medesimo mini-
strando del latte, o del vino salso freddo; e
se la stagionerò dà, anche dei fichi freschi
con questo però che né il mangiare, né il
bere si dia lutto in una volta ; ma appoco
appoco. Egli è pertanto a sufficienza pren-
dere ad intervalli due o tre bicchieri di be-
vanda, e T alimento a ragguaglio di essa: ed
opera utilmente un ciato d'acqua mescolato
ad uno di latte, e dato a bere : ed assai gio-
vevoli sono gli alimenti ventosi ed acri, onde
che si dà con profìlto anche Taglio pesto
unito al latte. Di lì ad alcun tempo è neces-
saria la gestazione : e principalmente il na-
vigare ; fare fregagioni con olio e nitro tre
o quattro volte il dì ; spargere d' acqua cal-
da il corpo dopo aver mangialo : poscia su
tutte le membra, tranne il capo, mettere del-
la senape perfino a che intacchi, ed infiammi;
massimamente se il corpo è duro e virile:
indi si passa bel bello ali uso di ciò che vale
a costringere il ventre. Si dia carne arrostita
e sostanziosa e forte, che non sia facile a cor-
rompersi : per bevanda poi acqua piovana
cotta, ma che si beva a tre o quattro ciati
alla volta. Se vieto è il malanno, giova tran-
ghiottire del laserpizio molto ottimo alla
grossezza di u-n grano di pepe : ogni due
giorni bevcr vino, ed acqua ; talora fra il pa-
sto sorbire un bicchier di vino per volta:
introdurre per la palle d abasso acqua pio-
vana tiepida, e massimamente se rimane nel-
le ime parti alcun dolore.
Cap. xx. — Malattia de IT intestino
tenue.
Tnter ipsa vero intestina consistimi duo Entro le slesse intestine poi hanno se-
morbi ; quorum alter in lenuiore, alter in de due malattie, delle quali una Del tenue,
plcniore est. l'rior aeulusest; insequens es- l'altra nel crasso. La prima è acuta, la se-
se lonc/us potest. Dioeles Caryslius tenuioris tonda può esser lunga. Dioele Carislio chia-
intettioi morbum p^cTa-joy, plenioris éiXidv mò il mal doli1 intestino gracile cordapso,
l'jB CELIO
nominavi*. A plerisque video mine illuni
priorem é/XìoV, hunc xoXtxóv nominari. Sed
prior modo supra umbilicum, modo sub um-
bilico dolorem movet. Fit alterutro loco in-
flammatio : nec alvus nec spìritus infra trans-
mittilur: si superior pars aflecta est, cibus,
si inferior, stercus per os redditur; si utrura-
libet, ve»us est. Adjicit pcriculo vomitus bilio-
sus, mali odoris, aut varius, aut niger. Rerae-
dium est, saogatnem mittere; vel cucurbi-
tulas pluribus locis admoverc, non ubiquo
cute incisa : id enim duobus aut tribus lo-
cis salis est : ex ceteris spiritum evocare a-
bun le est. Turn animadvertere oportet, quo
loco malum sit : solet enim contra id turae-
re. Kt si supra umbilicum est, alvi ductio
utilis nou est : si infra est, alvum ducere, ut
Erasistrato placai t, optimum est; et saepe
id auxilii satis est. Ducitur autem percolato
ptisune cremore, cum oleo et raelle, sic, ut
praeterea nihil aidjiciatnr. Si nihil tumet,
duas maiius inponere oportet supra summurn
ventrem, paulatimque deducere: invenietur
enim mali locus, qui necesse est renitatur ;
et ex eo deliberar! poterit, ducend.i, necne,
alvus sit. Illa communia sunt: calida cala-
plasmata admovore. eaque imponere a mam-
mis usque ad inquina et spinano, ac saepe
mutare: brachia cruraque perfrirare : demit-
tere tolum hominem in calidum oleum: si
dolor non quiescit, ctiam in alvum ex parte
inferiore tres aut quatuor cyalhos calidi o-
lei dire I !ii per haec eooteoati sumus, ut
jam ex inferiore parte spiritus transmitlalur,
offerre potui niulsum tepidum non multimi:
rum ante magna cura vitandum est, no quid
hibaf. Si id commode cessit, adjicere sorbi-
tionem. Ubi dolor et fcbricnla quicrunf, tum
dtmom uti cibo pleniore ; sed ncque influite,
rff m • doro, ncque valido, ne intestina ad-
irne imbecilla 1 ■icdantur". Potui vero nihil,
praeter qn.joi parrai iqaraL Nani sive qaid
rinolenftnm tire acidam est, i<l buie morbo
elieoam est. Ac pottea auoaue sitare opor*
tei liiln'Mnn, ambulationem, gestationem, ee-
te corporìi motns< Nano Cicale i<l ma-
lora redtrc consoevil ; «i stoe cum frigni
viliit. aite aliqaa jàm jactatio, n i si bene jam
tonfimi iti^ intestinis, rerertitnr.
del crasso ileo. Vedo ora dai più denomi-
narsi ileo quel primo, colico questo. Ma la
prima risveglia dei dolori quando sopra, quan-
do sotto r ombilico. Si 'accende in arabidue i
luoghi infiammazione : non si rendono per in
basso ne materie fecali, né ventosità : se è af-
fetta la parte superiore si rimette per bocca il
mangiare; se la inferiore, gli escrementi:
se da ambe parti, lungo è il male. Accresce
il pericolo il vomito bilioso, di mal odore,
o di color vario, o nero. Il rimedio è ripo-
sto nella missione del sangue, o veramente
nel porre ventose in più luoghi, senza però
tagliarle in ogni parte, bastando ciò in due
o tre luoghi : negli altri di soverchio è at-
trarre lo spirito . Dipoi si' deve por mente
in qual luogo risieda il male; imperocché ivi
dicontro suole enfiare : e se giace sopra il
bellico, non fa alcun prò l1 uso dei cristeri ;
se sotto, prestantissima medicina è siccome
avvisò Erasitrato, e dessa è sovente di un
bastevole a j irto. I cristeri poi si fanno di de-
cozione d1 orzo colata con olio e mele, e
nulla più. Se non compare tumore, convien-
si recar le due mani sulla parte superiore
del ventre e adagio adagio scorrere al bas-
so, che si troverà il luogo del male, il qua-
le per necessità si sentirà renitente, e da ciò
si potrà far giudizio, se devesi o no solve-
re co' cristeri l1 alvo. Generali cose sono que-
ste: porre impiastri caldi dal pelto fino al-
le anguinaja ed alla spina, e cambiarli spes-
so : stropicciare le braccia e le gambe, met-
tere l'infermo in un bagno d'olio caldo:
qualora il dolore non si lenisca, s1 introdur-
ranno anche nel ventre per la parte inferio-
re tre 0 quattro eiati del medesimo olio
Quando la mercè di queste cose conseguito
siasi che dal podice lì mandi fuori dell'aria,
si porga a bere del mulso tiepido in modi-
ca quantità, pereiocehè prima dì tutto de-
visi far si COBI Ogni sfolto che nulla beva.
Che se questo felicemente avviene, si pass»
ali1 uso della lorbixione. Toaloehè il do-
lore e la febbricciatola cessarono, allora
poi mangiare pia largamente, ma non cote
rentose, ni dure, né forti acciocché te inte-
stine per meo debill e fiacche non ne ri-
mangano offése. Per bevanda poi noli' altro
< she acqna pura. Concionitene quel ehi* é \i-
ooso ed acino ■ qneita malsania è inconve-
nevole. Oltredtcbé conrien pare attenerti dal
bagno, dalla corsa, dalla gesta/iene «• da
Ogn1 altro movimento del corpo, atteso ehc
questo male suol leggermente recidiv art) ! I
se non sono bene riconfortati gì1 intestini,
esiO i itomi per pnCO che altri si esponga al
freddo od a qualche agitazione
DBLLA MEDICINA
149
Caput. **'• — De morbo intestini plenioris. Gap. xxj. — Malattia dell'intestino crasso.
Is autem morbus, qui in intestino ple-
niore est, in ea maxime parte est, quara cae-
cam esse proposui. Vehemens fìt inflatio, ve-
hementes dolores, dextra magis parte : inte-
stinum, quod verti videtur, prope spiritura
elidit. In plerisque post frigora cruditatesque
oritur, deinde quiescit; et per aetatem saepe
repetens sic cruciat, ut vitae spatio nihil de-
mat. Ubi is dolor coepit, admovere sicca et
calida fomenta oportet; sed primo lenta, de-
inde validiora ; simulque frictione ad extre-
mas partes, id est, crura brachiaque materiam
evocare : si discussus non est, qua dolet cu-
curbitulas sine ferro defigere. Est etiam me-
dicamentum ejus rei caussa comparatum,quod
y.o\ixòv nominatur. Id se reperisse Cassius
gloriabatur. Magis prodest potui datum : sed
impositum quoque exlrinsecus, digerendo
spiritum, dolorem levat. Nisi finito vero tor-
mento, recte neque cibus neque potio assu-
mitur. Quo victu sit utendum iis, qui hoc
genere tentantur, jam mihi dictum est. Con-
fectio medicamenti, quod xoXixòv nominatur,
ex bis constat. Costi, anisi, castorei, singu-
lorum p.* in. petroselini den. in. piperis lon-
gi, et rotundi, singulorura p. * n. papaveris
ìacryraae, junci rotundi, myrrbae. nardi, sin-
gulorum p.* vi, quae melle excipiuntur. Id
autem et devorari potest, et ex aqua calida
siimi.
Caput xxn. — De torminilus.
Proxima bis inter inleslinorum mala tor-
mina esse consueverunt : ivazvn^ia Graece
■vocatur. Intus intestina exulcerantur ; ex bis
cruor manel; isque modo cum stercore ali-
quo semper liquido, modo rum quibusdam
quasi mucosis excernitur : interdum simnl
quaedam carnosa descendunt : frequens deji-
ciendi cupiditas, dolorque in ano est: cum
eodem dolore exiguum aliqnid emitlitur ; at-
que eo quoque tormenlum intcndiltir; i<l<jiic
j)ost tempus aliquod levalur ; exiguaque re-
quies est: somnus inlerpellalur : fcbricula
orifnr : longoque tempore id malum, cum
inveteravi!, rat t olii L hominem, aut etiam si
fìnitur, excruoiat. Oporlot in primis conquie-
scere ; siquidem omnii agitatio exulcerat :
deinde jejunum sorbere vini cyalhum, cui
contrita radix quinque folii sit adjccla : im-
ponere cataplasmata super ventrem, quae re-
primunt ; quod in suporiorihus vcnlris mor-
bis non expedit : quotiesque desidil. sublue*-
re aqua calida, in qua decoctae vcrbcnac sint ;
Questa infermità poi che è propria del-
l'intestino crasso, risiede specialmente in
quella parte che notai esser cieca. Ne segui-
ta un considerabile enfiamento, dolori atro-
ci, e più dal lato destro : l'intestino che sem-
bra contorcersi, quasi ne toglie il fiato. ISei
più vien dietro a freddi presi, ed a indige-
stioni : indi si calma, e ripetendosi tratto
tratto nel corso della vita ne crucia sì, ma
da non abbreviare di nulla i propri giorni.
Tosto che questo dolore insorge, la d'uopo
porvi ealdi e secchi fomenti : miti dappri-
ma, forti dappoi, e nel medesimo tempo per
mezzo delle fregagioni rivocare la materia
alle estreme parti, vale dire alle gambe ed
alle braccia : se il dolore non si è dissipato,
giova là dove si sente, attaccare delle cop-
pette secche. "V'è anche un medicamento im-
maginato per questo male, del quale Cassio
gloriavasi d'esserne l'inventore. Desso è più
giovativo dato in beveraggio, ma anche po-
sto all' esterno mitiga il dolore rimovendo
le ventosità. I^on si può né cibo, o bevanda
lodevolmente prendere se cessalo non è il
crucio . Di qual cibo debbano usare quelli
che vanno soggetti a questa sorta di male,
fu da me già dichiarato. 11 medicamento co-
licon si compone con costo, anisi, castorio,
ciascuno denari 3 ; prezzemolo, denari j ;
pepe lungo e rotondo di ciascuno den. 2;
lagrime di papavero, giunco rotondo, mirra,
nardo, di ciascuno den. 6; il tutto da pren-
dersi col mele, o neh" aqua calda.
Cap. xxij. — Della dissenteria.
I tormini fra le malattie degl' intestini
si avvicinano di più ai predetti : sono chiama-
ti in greco dìsenteria. Si ulcerano per en-
tro le intestine, donde ne proviene del san-
gue : e questo si rende ora con poche fecce
sempre disciolte, ora misto a delle mucosità:
qualche volta discendono insieme come dei
pezzetti di carne : avvi voglia continua di
andar del corpo, e dolore all'ano: e col do-
lore medesimo si evacua qualche cosuccia, e
per esso si fa anche più intenso il tormento,
il quale dopo alcun tratto si mitiga, ma per
brieve ora : il sonno è interrotto, nasce lcg-
gier febbricciattola ; e ques/a malattia lunga
pezza continuando o term/na colla morte, o
avvegnaché si sciolga , prosieguo a cruciar
la persona. Bisogna prima di lutto slare in
riposo, perciocché qualunque movimento e-
sulcera : avallare dipoi a digiuno un bicchier
di vino, in cui giunla sia radico Ai cinque
foglie polverizzata : appone impiastri riper-
cusiivi sul ventre, il che è illaudevok «clic
IOO
CELSO
portulacam vel coctam, Tel ex dura maria
edisse ; cibos potionesque eas, quae adslrin-
gunt ;ilvum. Si vetustior morbus est, ex in-
ierioribus pnrtibus tepidum intendere vcl
plisanae cremorem, vel Iae, vel adipem liqua-
tam, fd ruedullam cervinam, vel oleum, vel
cum rosa butyrum, vel cum eadem album
crudum ex ovis, vel aquam, in qua lini se-
men decoctum sit; vel, si somnus non acce-
di t, vitellos cum aqua, in qua rosae fiorii
folia coda sint. Levant euiin dolorem baec,
et mitiora ulcera efficiunt ; maximeque utilia
sunt, si cibi quoque secutum fastidium est.
Themison muria dura quam asperrima sic
titendum memoriate prodidit. Cibi vero esse
debent, qui lenite* ventrem adslringant. At
ca, quie urinam movent, si idcoasecuta suut,
in aliarli partem bumorem avellendo, pro-
sunt; si non sunt consecuta, noxam augent :
itaque nisi in quibus proni pie id Tacere eon-
suerunt, non sunl adbi benda Polui, si febri-
cula, esl, aqua pura Gelida, vel ea, quae ipsa
quoque adslringat, dari debet : si non esl,
vioum leve, austerum. Si pluribus diebus ni-
hil remedia alia juverunt, velusque jam vi-
tium est, aquae bene frigidae polio assumpta
ulcera adstringit, et inilium sceundae vale-
tu linis facit. Sci ubi venlcr suppressus est,
protintn ad calidam polionem reverlendum
•St. Solet autein interdum etiam pulris sa-
ries, pessiiniqne odori* deseeoaerc : solet pa-
ni languii profluere, Si superbis vitiam est,
aivns equa melsa duci debet; tona deinde
eadem infondi, quaesupra comprchensa sunt.
\ tlensqne est etiam adversus rancerem inte-
stiimrum. minii ^Irba cum salis beniina con-
triti, ri muta bis aqua in alvum datar. At
h languii profloit, cibi polinnoaquc esse de-
bent, quae adstringint,
snmmentovate malattie di quella regione: ed
ogni qualvolta ai va del corpo lavarsi con
calda decozione di verbena : mangiare della
portulacca cotta, o confettata in salamoja
forte: usar cibi e beveraggi costrettivi. Se
il male è antico, intromettere per le parti
inferiori o tisana tiepida d' orzo, ovvero del
latte, o grasso liquefatto, o midolla di cer-
vo, o dell'olio, o del butirro con olio rosa-
to, oppur con questo l'albume dell'uovo
crudo, ovvero decotto di linseme : o vera-
mente se il malato non donne, de' tuorli
sbattuti Dell'acqua, in cui abbiano bollito
foglie del fior della rosa. Imperocché queste
cose alleviano il dolore e rendono più be-
nigne le ulcere; e soprattutto riescono pro-
iìcue qualora vi si congiunga anebe l'avversio-
ne al cibo. Temisone insegnò doversi usa-
re in questo caso «Iella salamoja dura for-
tissima. Gli alimenti voglionsi di qualità clic
costringano dolcemente il ventre . Ma quei
sì che muovono le orine, se ciò effettua-
no col divertire in altra parte V umore,
fanno prò, altrimenti accrescono la noce-
vole cagione : per lo che non sono da u-
sare se non in quelli, presso i quali soglio-
no operar ciò prontamente. Per bevanda,
vuoisi, se v' ha picciola febbre, dare acqua
pura calla, oppure di sorta che anch'essa,
ristagni il ventre: se non v'ha, si ministra
del vino leggiero, austero. Se in capo a più
dì non abbiano giovato questi rimedi, e se
il vizio è già inveteralo, una bevuta d' a-
cqua ben fredda riserra le ulcere, il che è
principio di risanamento. M» tostochè il ven-
tre è costipato, devesi ritornare incontanen-
te all'uso dell'acqua calla. Qualche volta
ancora si rende della sanie corrotta e letcn-
tissima : e talvolta ne fluisce schietto sangue.
Nel primo caso vuoisi muovere il ventre
colla mulsa ; allora poi infondere le cose me-
desime poste di sopra. l\d anelie un pezzet-
to di minio pesto con un' emina di sale, se
si dà sciolto ncir acqua per eristere, vile an-
sai conta* le ulcere dògi1 intestini, àia se
fluisce sangue, i cibi B le bevande vogliono
essere di virtù costrittiva.
Caput xxi.i. _ J)e \eK>itatv. intrstinnrum.
M t'inivnihiis inlerdum inlestinorum
''•vita, nrilur qua coni i nere nihil possimi
et qoidquid assi.,,, timi est, imperfeetoni pro-
Unas redduat b. iaterdura ■egras trthit, in-
lr "biro preci ipita.. In boc ntiqoa sdbibcre
coorte! eomprlmcntts : quo fteilios tanna li
;' l'pll-l irilr>-vtil)is vis SI». Erg* (t Slipei |,..-
■Im pon ii ur sm .pi : ennlceratequc sale, mi-
>. quod humorem pvneeti et <\ verbo
•os decoeta ■ stree desidat ; et cibos potio-
», minai quae .ihiiui «lstrin-uut ; et
Cap. x\nr
D Ila li e nte ria.
Dei tornarti ne nesce ben sovente Is lu-
bricità degl1 intestini : in cai non possono
ritener nulla, 6 immantinente rendono mal
digerito tatto ebe è preso. Questo malanno
talora itresoim di InngO i malati; talora a
precipitose morte <;ii tregge. In questo bi-
logna lente pio adoperare gli astringenti «
onde ridonare agi* intestini l'or/a di ritenere
■gevolraente alcune cose. PereM si pone sul
petto delle senape, ed escoriets Is pelle vi
m appone ou malamma che a se tiri V inno-
DELLA MEDICTWA
i5r
frigidis utatar perfusionibns. Oportet tamen
prospicere, ne simul his oranibus admotis,
vilium contrarium per immodicas inflationes
oriatur. Paulatiru ergo firmari intestina de-
bebuflt, aliquibus quotidie adjectis. Et cum in
ornai fluore ventris, tum in hoc praecipue
necessarium est, non quoties libet desidere,
sed quoties necesse est ; ut haec ipsa mora in
consueludinem ferendi oneris intestina de-
ducat. Alterino quoque, quod aeque ad omnes
similes affectus pertinet, in hoc maxime ser-
vandum est ; ut, cum pleraque utilia insua-
via sunt, qualis est plantago, et rubi, et quid-
quid malicorio mixtum est, ea potissimum
ex his dentur, quae maxime aeger volet :
deinde, si omnia ista fastidiet, ad excitandam
cibi cupiditatem, interponatur aliquid minus
utile, sed magis gratum. Exercitationes et fri-
ctiones buie quoque morbo necessariae sunt ;
et cum bis sol, ignis, balneum, vomitus, ut
Hippocrati visum est, etiam albo veratro, si
celerà parum profìcient, evocatus.
re: e il malato sieda in acqua cotta di ver-
bena, e prenda cibi e beveraggi costipativi
l'alvo, ed usi fredde aspersioni. Fa d'uopo
per altro avere attenzione, che adoprati tut-
ti ad un tempo questi presidi non ne nasca
per enorme enfiamento vizio contrario. Per
lo che si vorranno poco a poco rinforzar
le budella colla giornaliera aggiunta di^qual-
ebe rimedio. E come in qualsivoglia pro-
fluvio del ventre, così in questo principal-
mente d'uopo è andare al cesso non quante
volte ne vien voglia, ma sol quante la ne-
cessità ne sforza, acciocché questo indugiar
medesimo ritragga le intestine ali1 abitudine
di ritenerne il peso. Un' altra attenzione che
pur si appartiene di egual diritto a tutte le
affezioni consimili, in questa sovrattutto si
deve avere , che essendo per lo più pro-
ficue le cose spiacevoli al gusto, come la
piantaggine e le more salvatiche, e tutto ciò
in cui entra la scorza del granato, quelle tra
queste a preferenza si esibiscano, le quali
l'infermo aggradirà maggiormente: poscia
se tutte queste il nauseeranno, ad oggetto dì
riconfortargli l'appetito, s' interponga alcuna
cosa men profìcua, ma sì più grata. Le eser-
citazioni e le freghe sono anch' esse neces-
sarie in questa malattia, e con esse il sole >
il fuoco, il bagno, il vomito siccome parve
ad Ippocrate, provocalo anche coli' elleboro
bianco, ove dagli altri vomitivi non siasi
ottenuto sufficiente effetto.
Caput xxiv. De lumbricis alvum
occupantibus.
Nonnumquam autem lurabrici quoque
occupant alvum ; bique modo ex inferioribus
parlibus, modo foedius ore redduntur : atque
interdum latos eos, qui pejores sunt, inter-
dum teretes videmus. Si Iati sunt, aqua po-
tili dari dobet, in qua Iupinum, aut corlex
mori decoctus sit ; aut. cui adjectum si t con-
trilum vel hyssopum, vel piperis acetabulum,
vel scammoniae paulum. Vel eliara pridie,
cum mullum album ederit, vomat : postero-
que die mali punici tenues radiculas colli-
gat, quantum manti coraprehendet ; eas con-
lusas in aquae tribus sextariis decoquat, do-
nec tartia pars supersit; huc adjiciat nitri
paulum, et jejunus hibat. Inlerposilis dein-
de tribus borì*, doas potiones sumat, aut a-
quae, vel muriac durae sit adjecta ; tum de-
sidat, snbjecta calida aqua in polve. Si vero
teretes sunt, qui pueros maxime exercent, et
eadem «lari possunt. et qnaedum leviorajut
contrituro seroen urticae, aut brassicac, aut
cumini (uni aqua, vel inculila rum cadcrn,
v»1! abstnthiurn decoct.um, tèi hyasopnra ei
«'qua mulsa. vel naslurlii scmen cum accio
Coniatalo. Edisse etiam et Iupinum, et al-
Cap. xxiv. — Dei lombrici dimoranti
nelle intestina.
Alcuna volta anche albergano dei lom-
brici nel ventre ; e questi talora si gettano
fuori per le parli inferiori, e talora più lai-
damente per la, bocca : e ne abbiamo veduti
ora dei piani, che sono più malvagi ; ed ora
dei ritondi. Se sono piani, si deve prescri-
vere acqua in cui sien colli dei lupini , o
della scorza di moro: ed a cui sia aggiunto
dell' isopo ammaccato, o un accetlabulo di
pepe , od un poco di scamonea. Ovvero la
persona, mangialo il dì innanzi molt* aglio,
vomiti : e il seguente prenda un manipolo
di minute radichete del pomo granato , e
infrante si fanno bollire in tre sesterzi di
acqua fino a che ne rimanga la terza par-
te : vi si aggiunge un poco di nitro , e la
beva a digiuno. Valicale poi tre ore prenda
due bevute d'acqua, a cui sia aggiunto del
sale , o una terza parte di salamoja forte :
indi si sieda In un bacino pieno d' acqua
calda. Se poi sono di quei rilondi, dai quali
son principalmente molestali i fanciulli , si
[tossono ministrare e le medesime cose, e
delle più blande siccome il seme d' ortica
pestalo, o del cavolo, o del cornino ncll' a-
l52
liuiu prodesl
dedisse.
e r r. 5 r>
vcl ia alvum oleum subter
Cap. xxv. — De tenesmo.
Est autem aliud Ievius omnibus proxi-
mis, da quibus anpra dictam est, quod m-
vìtuÒv Gricci vocant. id neque aeutis ncque
longis morbU adnumeraei debci, cum et fa-
cile tollatur, neque unquam per se jugulet.
In hoc neque alque in tonninibus frequens
desidendi cupidità* est; aeque dolor, ubi a-
liqaid excernitur. Descendunt autein pilui-
tae mucisque sirailia, interdum etiam leviler
subcruenta: sed his interponunlur ponnum-
qnaaa ex cibo quoque recte coacta. Desidere
oportet in aqua calida ; saej)iusque ipsum a-
num nutrire ; cui plura medicamento idonea
sunt : butyrum cum rosa; acacia ex aceto li-
onata! emplastrnm id, quoti r-r^apotouay.ov
Graeci vocant, rosa, liqnatum; alumen lana
circum latum, et ila appositum ; eademque
ex inferiore parte indila, quae torminum au-
xilia sunt ; caedera verbenae decoctae, ut in-
feriores partes foveantur. AUcrnis vero die-
Jms eque, alterni* leve et austerum viuuru
bibendum est. Polio e^se debet egelida vi
frigidae propior; ratio victus talis, quale m
ad tonnina supra praccepiraus.
Cap.
-- D
e ventri* fin tu.
Lettor fti.iiii, dnoo reeent1 dejectio est,
obi el li'i'ii'li il viis ; et aaepiut, quarti et
' i line, ferine : atqne interdnm teiera-
bilia dolor est, interdnm gravissimus; ìdqne
p ia eat. Sed nno die Sa are <1\ ara i lepe
prò v iletadine est ; atqne eli un pluribus,
doni fobrii absit, el intra itptimnm dieoa
il eon |niei it. Purgetnv entra corpne, el ,
qnod infoi laesnrum erat, ntiliter effundilur.
Veruna ipatium periculotnra eal : ìnterdam
enini t <»r ii» i r ii te febrionlai exeitat, vireeque
consuaait, Primo die qnieaeere sin. tati nc-
que imp in a veni 1 1 ■ probibere. Si |
di iit 1) line > nii. pnalnm albi oapei
in msit, ebetin -i e Boa iole n n ciba id
[iam e potioae Po taro die, ti nihilominui
1 1 > | ' il 1 1 1 1 1 1 1 1 -
igentti <il»i inni I
balneom ire : rebemenler ora i i i»i lei i ri o-
trera p ■ lumbos, scapu-
1 I | M I 1 . - • riois nli M I veni n- n | oli
trahcnlilms , vino non multi, meri
equa, o della menta parimente nell'acqua, od
asseniio cotto, o dell1 isopo nella roulsa, o
semenza di crescione trita in aceto. Giova
ancora mangiare dell'aglio, e dei lupini,
ovvero introdurre dell'olio pel ventre.
Cap. xxv. — Del tenesmo.
Avvi un'altra malattia più lieve di tut-
te le ultime suddescritte, la quale dai Greci
si chiama tenesmo. Questa non deve né alle
acute, né alle lunghe annoverarsi , coucios-
siachè e leggiermente rimuovesi, e non mai
per sé ne uccide. In questa non altrimenti
che nella dissenteria f1 è una continua voglia
di scaricarsi, e similmente dolore ogni qual-
volta si scarica il ventre. Poi ne vengono
per imbasso robe simili alla pituita, e al
moccio, talvolta anche materie sanguinose :
ma tra queste tratto a tratto s' interpon-
gono anche delle fecce ottimamente confi-
gurate. Giova sedersi in acqua calda, e più
spesso medicare Pano medesimo, a cui mol-
te v'ha di convenevoli medicine: il butirro
coli' olio rosato, l'acacia stemperala io acelo,
e quell'impiastro che pe' Greci è detto te-
trafarnitico, liquefatto in aceto: l'allume
disteso sulla lana, e così posto: e le mede-
sime cose valevoli per la dissenteria iniet-
tate per di sotto : e la decozione medesima
di verbena a fomentare le parti inferiori.
Vuoisi poi bere a vicenda un dì acqua e un
dì vino leggiero e austero. La bevanda es-
ser dove tiepida, e quasi fredda : il modo
del vivere quale il prescrissi nella dissen-
teria.
Cap. xxvi. — Del flusso di ventre.
Ancora più lieve, finché recenlc si è il
flusso: allorché e liquido è l'alvo, e le usci- *
te più spesse che non sogliono, e 1' eOCOIO*
pagna quando no dolor tollerabile, quando
un gravissima; e. ciò e peggio. ^1> IVO re
sciolto il ventre per un «lì solo è talfiaaa
salutevole: anche per più, purché' non *ia-
\i febbre, e che dentro il iettino cessi. Im-
perecchè il corpo riessi i purgare, ibarae-
sandosi utilmente 'lì ciò che rimanendo en«
ini, ne avrehb ne durando lunga
pesta è pericolo > , peco che tali "li i inetta
«li isentei ia e febbri i le forte i ontuma. Il
pi mio -li basta il ripoi n • , e non proni
le uscite 'li « »rpo, Oi • di far
nso del bagno, prendere un poco d1 ali
melilo m e i listono non pare isti tersi dal
io ni ■in e, m i 'o ;'' 'I 'I bere. Nel seguente
giorno pei • randa 1 1 •■><■< orrenu . dei esi
parimenti itare in riposo, e prendere ^m
pò1 d'alimenta <li qualità oostrettiva. Alter-
zi di lodare ìa ba^no, stropicciare gtfUtrf
postero quoque «Ne fluet, plus edisse, sed vo-
mere etiam. Ex tote, donec conquiescat, con-
tra sili, fame, vomilu niti. Vix enim fieri
polest, ut, post hanc animadversionera, al-
tus non contrahatur. Alia via est, ubi ve-
lis suppriraere : coenare, deinde vomere : po-
stero die in lecto conquiescere ; vespere un-
gi, sed leniter : deinde panis cicca selibram
ex vino amineo mero sumere; tum assum
aliquid, maximeque avem ; et postea vinum
idem bibere aqua pluviali raixtum : idque
«sque quintura diem facere, iterumque vo-
mere. Frigidam autem assidue potionera es-
se debere, conlra priores auctores Asclepia-
des affirmavit, et quidem quam frigidissi-
roam. Fgo experimentis quemque in se cre-
dere debere existimo, calida potius, an fri-
gida utalur. Interdum autem evenit, ut id
pluribus diebus neglectum, curari difficilius
possit. A. vomilu oportet incipere : deinde po-
stero die vespere tepido loco ungi : cibum
modicum assumere, vinum meracum quam
asperriraum ; impositam super ventrem ha-
bere cum cerato rutam. In hoc autem afife-
ctu corporis neque ambulalione, neque fri-
elione opus est : vehiculo sedisse, vel rnagis
etiam equo, prodest : neque enim ulla res
magis intestina confirmat. Si vero etiam me-
dicamenti* utendura est, aptissimum est id,
quod ex pomis fit. Vindemiae tempore in
grande vas conjicienda sunt pira atque mala
silvestria : si ea non sunt, pira tarentina vi-
ridia, vel signina, mala scandiana, vel ame-
rina, myrapia ; hisque adjicienda sunt coto-
nea, et cum ipsis corticibus suis punica, sor-
ba, et, quibus magis utimur, etiam tormina-
lia, sic, ut haec tertiam ollae partem teneant :
tum deinde ea musto implenda est : coquen-
dumque id, donec omnia, quae indila sunt,
liquata, in unitatera quamdam coeant. Id gu-
stui non insuave est ; et quandocumque opus
est, assumptum leniter, sine ulla stomachi no-
ia, ventrem tenet. Duo aut tria cochlearia
uno die snmpisse, salis est. Alterum valentius
genus : myrtì baccas legere, ex his vinum
exprimere, id decoquere, ut decima pars re-
maneat, ejusque cyathum sorbere. Tertium,
quod rpiandocurnque fieri polest: malum pu-
DÌcam excavare, exemptisque omnibus semi-
nibus, ra<#mbranas, quae inter ea fuerunt,
iterum conjicere : tum infundere cruda ova,
rudiculaque misccre : deinde malum ipsum
super prunaio imponcre; quod, dum humor
ini us est, non adurilur : ubi siccum esse coe-
pit, removere oportet, exlraclumquc cochlea-
ri, quod intus est, edisse. Aliquibus adje-
ctis, majus momentum habet : itaque eliain
in pi pera tum ccjftjicitor, misccturque cura
sale et pipere. est quid r\ bis edeudura est.
Pulticala etiara, cum qua pantana ex favo
teiere coctum sii, et Icuticula cum walico-
Celio,
DELLA MEDICINA l53
damente tutte le parti salvo il ventre: av-
vicinare al fuoco le reni e le spalle : man-
giare sì ma cose costringenti il ventre , e
bere vino non in troppa quantità, ma puro.
Se il dì susseguente seguita ancora la diar-
rea, mangiare di più, ma oltracciò vomita-
re. Egli è appena possibile che dopo tanto
conflitto, il ventre non si ristringa. Ve una
altra via, ove tu voglia sopprimere il flusso :
questue di cenare, dappoi vomitare: il se-
guente dì guardare il letto, in sulla sera
ungersi, ma dolcemente : indi poi prendere
circa mezza libbra di pane inzuppato in vi-
no amineo puro : quindi qualche arrosto, a
preferenza un uccello, e poscia bere del
medesimo vino annacquato con acqua pio-
vana : e far ciò fino al quinto dì, e rivo-
milare. Asclepiade , contra il parere degli
antichi autori, sostenne doversi mai sempre
usare bevande fredde, e fredde al maggior
segno possibile, lo son d'avviso che ciascu-
no debba in le provare, se fredda o non
piuttosto calda sia da usare. Ma incontra talo-
ra che questo male per più dì trascurato si
possa più difficilmente guarire. Fa d'uopo
cominciar dal vomito : dipoi alla dimane
sulla sera ungersi in luogo tiepido: mangiar
parcamente : bere vino pretto del più aspro:
tener in sul ventre della ruta con del cerot-
to. In quest** affezione né i passeggi conven-
gono, né le fregagioni; giova il moto in ca-
lesse ; e più ancora il moto a cavallo : nul-
T altra cosa essendovi , che più di questo
doni forza agl'intestini. Se poi occorre di
usare anche dei medicamenti, convenientissi-
mi son que1 fatti di frutta. Nel tempo della
vendemmia si pongono in un gran vaso pere
e mele salvaliche : in disagio di queste delle
pere tarantine acerbe, o signine, e delle mele
scandiane, o amerine e delle mirapie : a que-
ste si aggiungono mele cotogne , e melagrane
colla lor buccia, delle sorbe, e ancora delle
torrainali, di cui facciamo più uso, sì che que-
ste occupino la terza parte del recipiente: al-
lor si empie di mosto , e si fa bollire finailan-
to che disfatte le cose tutte poste là entro, sia-
no una massa uniforme. Questa non è spiace-
vole al gusto, e ogni qualvolta ne vien biso-
gno, presane una piccola quantità stagna il
ventre senza alcun nocumento dello stomaco.
Bastano due o tre cucchiaj per giorno. Altro
medicamento più forte : si raccolgono bacche
di mirto, e da queste se ne spreme il vino che
si cuoce fino a residuo della decima parte, e
di questo se ne beve un ciato. Un altro che in
qualsivoglia tempo può farsi, si è di sventrare
una melagrana, e tratti fuora tutti i semi ri-
mettervi di nuovo le membrane che fra quel-
li stavano : indi vi si pongono uova crude, e
si agitano con ispatola : ciò fatto collocasi la
melagrana islessa sopra le biage, la quale iu-
20
,54
rio cocta, escomiai rubique in aqua decada,
et ex oleo atque aceto assuiupta, efficacia sani
atque ea aqua, io qua vel palmulae, vel ma-
lum cotoneutu, vel arida sorba, vel rubi de-
cocti sunt, potata: quod genus sifilitico, quo-
lies potionem dandam esse dico, quae ad-
stringat. TiìIìgì quoque hemiua iu vino a-
luiueo austero decoquitur ; idque trilicum
jejuno ac silienli datar; superque id. vi-
num id sorbetur : quod jure valentissimi*
medicamentis adnuinerari potest. Atque etiaiu
potui datar viuuin siguinum, vel rcsiuatuin
austerum, vel quodlibet austeruin. Contun-
di tur que cum eortieibus, seminibusque suis
punicuru malum, vinoque tali miscelili- : il-
que vel meruru sorbet aliquis, vel bibil mix-
tum. Sed medicamenti:» uti , nisi in vehe-
luentibus inalis, supervacuutn est.
e e l » o
Caput xxvii. — De vulvae morbo.
fina t tanto che v1 è dentro dell1 umore, non si
abbrucia: allorché comincia ad essere secca
convien ri tea roda; e con oucchiajo estratto ciò
che v' è dentro si mangi». Colla giunta di al-
cuna cosa ha maggior efficacia : il perchè an-
che s' immerge in una salsa di pepe, e si me-
scola con sale e pepe, e si avvalla così. Anche
una pastiglia, con cui sia bollito un pochetto
di vecchio favo, e lenticchie cotte colla scor-
za della melagrana , e le cime del rovo decot-
te nell'acqua, e manicate con olio ed aceto ,
sono di grande virtù : e bevuta quell'acqua
io cui sicn cotti o dattili, o mele cotogne, o
sorbe secche, o rovo : la quale confezione in-
tendo ogni qualvolta dico doversi dare una
pozione costreltiva. Ancora si cuoce una emi-
na di grano nel vino amineo austero, e a di-
giuno ed a chi ha sete si dà questo grano, e
con esso si beve il vino: questo si può a ragio-
ne annoverare fra i più valorosi medicamenti.
Si porge anche del vino di Segni, ovvero del
vino resinato austero, od austero qualunque.
L si pesta eolla sua scorza e co1 suoi semi una
melagrana, e si mescola a tal vino, e 1' uomo
il beve puro, Oppure misto. Ma far uso di me-
dicamenti, salvocliè nei mali fortissimi, è cosa
superflua.
Cap. xxvii. Del mal della matrice.
1. Lx vulva quoque feminis vehemens
malum nascilur : pro\imeque ab gtomacho,
vel affiatar hacc, vel corpus affici t. Interdum
etiam sic exaniinat, ut tainqu ini corniti. di mor-
bo prosternai. Distai (amen hic casus, eo quod
ncque orlili \< rluntur, neespumae prolluunt,
in .: ih i \i dUteodootur -. sopor tantum, est Id-
que quibusdam remioii crebro revertena per-
ii ' unni est. l'I.i incidi I, si salis vi riunì est, san -
■Mih iiihMh i ljuv.it : si p§l u in est. cucili bit u la e
i. uni ii dengendac sunt in inguintbus. Si diu-
ii alioqui jacere consuevit,
.nlinov ■ poetet naribui exsujoctara ex lu-
cerna linnmeiitniiK vel aliud <\ il-, quie Ine-
diorii esse odorii retuli, quod mulierem ex-
eitet. Ldemqoe aqoae quoque frig dae perfu-
sio effieit. àdjavatqne i al i contrita cum me\-
l' . rei e\ . \|»uiii> ceratum, rei qaocUibel ca-
lidiiiu et ti u n j 1 1 1 ti ni cataplasma, nataralibu*
pube teiuis iui[. usituiii. Inter baec etiam, pei
. mi is et poplitei oportel I binde, ubi
•I • !i » | i| • unii iileuduiii viniuii est in
l'.luiu animili, eli ohm < |fO| idem 000 ic\.-i
tiiur: tiniioiir quotidic utenduno lotioi qui*
ih- In i 1)1 'BOI iv |> pUC \ I I 0 I ' "I I 'il, il pO-
pliluro : abate! media materia dandu
apei iuiiim veni i em tei lio quoque ani
quarto dia imponi aduni, dooe< i 01 pus ru-
i ìi durities m inai rn »llire i oraroode ri
im ni l \> demi ■•>■■■ deind
trituui ; et cera alba atque i^ bilia i ei \ ina
i. Anche dalla matrice nasce alle femmine
un forte male: e dopo lo stomaco la prima od
essa patisce, ovvero essa stessa disordina , e
commuove il corpo. Talora anche toglie i sen-
si così che stramazza la donna (ione nel mal
caduco. Differisce però colai accidente in (io
che uè gli «.echi si stravolgano, uè la bocca fa
schiume, né v" ha distendimento di nervi : so-
lo v1 è il sopore. Questo malanno ad alcuno
femmine spesso ritornando, dura per tutta la
vita. Allorché Sopraggiugne, se le forze noi»
sono deficienti, la cacciata del sangue vale as-
sai : in caso contrario si pongono le coppello
Igl1 inguini. Se o per lungo spazio di tempo
gi i e assopita, (J se per altro fu solita giacer-
vi, fa d1 uopo recare alle nari un lucignolo
estinto di un lume . Of fero alcun-1 altra cosa.
che mandi fetido odore, onde riscuola la don-
na. Il medesimo fa pure l'acqui fredda spruavi
/.;itale in volle I lile è altresì la rutfa amiiiae-
cata col nule, od il (ciotto ciprino. |o qualsivo-
glia altro Cataplasma umido e (aldo posto al-
le parli naturali lino al pube. In questo me/
/., si i on viene incora stropicciar le cosce «■ le
ai nocchie. Dipoi dacché in se rinvenne, biso-
gne Melarle il vino per un anno. aACOTchc il
mo insulto non le ritorni più : si soglio-
no usare le fregagioni i tatto il corpo, in po-
ti, oi.u modo al ventre ed ai poplilti i dure ali-
menti della (lasse me/./.ana : v o^'iii Ire 0 qual
Irò di porre della M DAfU in sul vcutic lino a
cani irino, aut sevum taurinum vel caprium
cura rosa mixtum. Dandum otiam potui vel
castoreum est, vel gith, vel anethum. Si pa-
rum pura est, pungetur junco quadrato. Si
vero vulva exulcerata est, ceratura ex rosa
fìat, et recens suilla adeps, et ex ovis album
roisceatur, idque apponatur; vel album ex
ovo cura rosa mixtum, adjeclo, quo facilius
consistat, contritae rosae pulvere. Dolens ve-
ro ea sulphure suffumigari debet. At si pur-
galo nimia m uberi nocet, remedio sunt cu-
furbitulae, cute incisa, inguinibus vel etiam
«ub mammis admotae. Si maligna purgatio
est, subjicienda sunt coeunlia.
Id faciunt etiam albae olivae, et nigrum pa-
paver cura melle assurnptum, et gurami cura
trito semine apii liquatum, et cum cyatho
passi datum. Praeter haec, in omnibus vesi-
cae doloribus idoneae poliones sunt, quae ex
odoribus fiunt, id est, spica nardi, croco, cin-
riamo, casia, similibusque : ideraque etiam dc-
cocta lentiscus praeslat. Si tamen intolerabi-
lis dolor est, et sanguis profluit, e tiara san-
guinis detractio apta est ; aut. certe coxis ad-
motae cucurbitulae cute incisa.
BELLA MEDICINA 1 55
che la parie si faccia rossa. Se rimane della
durezza, sembra che ottimamente mollifichi il
solano infuso nel latte, e quinci ammaccato e
mescolato a cera bianca, a midolla di cervo e
pomata d1 iride : oppur sevo taurino o capri-
no con olio rosato. Dassi altresì a bere deco-
zione di castoro, o di nigella o d'aneto. Se la
donna ha delle impurità , si purga col giunco
quadrato. Se poi esulcerata è la matrice, si
compone un r cerotto d'olio di rose, e si me-
scola insieme fresco adipe porcino, ed albumi
d'uovo, e si applica : ovvero albume d uovo
mescolato con olio rosato giuntavi , perchè
prenda più facilmente consistenza, polvere di
fiori di rose. Se la matrice duole, devonsi fa-
re fumigazioni di zolfo. Ma se nuoce alla don-
na la soverchia purgazione, vi si ripara attac-
cando delle coppette incise alle anguinaja, od
anche sotto le poppe. Se il purgamento è di
rea natura, fa mestieri mettere nelle parti ge-
nitali de' coagulativi (i). Producono questo
anco le olive bianche, ed il papavero nero pre-
so col mele, la gomma stemperata col seme
pesto doppio, e dato in un bicchier di passo.
Olirà questi rimedi sono in tutti i dolori del-
la vescica acconcie le bevande fatte di sostan-
ze odorifere, come sarebbe la spicanardi, il
croco, il cinnamomo,'!» cassia e smaglianti : la
medesima virtù la gode anche la decozione di
lentisco. Se però il dolore è intollerabile, e i
sangui fluiscono, convenevole è anche la mis-
sione del sangue, od almeno le coppette scari-
ficate alle cosce.
De urinae nimia profusione.
2. At cum urina super potionum rnodum
etiam sine dolore profluens maciem et peri-
culum facit, si tenuis est, opus est exercita-
tione et frictione, maximeque in sole, vel ad
isnem : balneum rarum esse debet, ncque
longa in eo mora : cibus comprimens : vimini
austerum meracum, per aestatem, frigidari),
per hiemem, egelidurn ; sed tantum, quantum
minimum sit. Infima alvus quoque vel du-
cenda, vel lacte purganda est. Si crassa uri-
na est, vehementior esse debet et. exercita-
tio, et frictio : longior in balneo mora : ('ibis
opus est teneris : vinum idem. In ulroque
morbo vitanda omnia sunt, quae urinam mo-
vere consuerunt.
Della soverchia profusione delV orina.
2. Ma l'orina fluendo oltre la misura della
bevanda ancorché senza dolore, cagiona maci-
lenza e nocumento ; se dessa è tenue convie-
ne esercitarsi, e fare delle fregagioni massima-
mente al sole od al fuoco: prendere di rado il
bagno, e non farvi lunga dimora: cibi costri-
gnenli , vino austero puro , freddo di slate,
tiepido di verno, ma solo nella menoma <m..ii-
tità possibile. Vuoisi inoltre sgombrar 1 alvo
co1 cristeri, o purgarlo col latte. Se l1 orina è
crassa, più gagliarda si conviene l'esercitazione
e la fregagione : più lunga fa permanenza nel
bagno : i cibi vogliono esser tenui, il vino lo
stesso. In entrambi i casi schifar si deve tutto
che è usato provocar le orine.
(i) Qui v'ha nel testo una lacuna, in Jallic
cui si doveva comprendere la line delle ma- della
della matrice, ed il principio di quelle
> eteica.
i5G
CELSO
Caput xxviii. — De semini 's nirnia ex Cap. xxviu. — Del profluvio eccessivo
naturalibus profusione. del seme dalle parti naturali.
Est etiani eirca naturalia vitiura, nimia
profasio serainis, quod sine venere, sine no-
cturnis imaginibus sic fertur, ut, interposto
spatio, tabe hominem consumai. In hoc af-
fectu salutare sunt vehementes frictiones,
perfusiones, n:\fationesque quam frigi di ssi-
mae : neque cibi, nec polio, nisi frigidi as-
sumpla. Vitare antera, oportet cruditates, et
omnia influiti» : nihil ex iis assumere, quae
contrari ere sejmen videntur ; qaalia sunt, si-
Iigo, limila, ova, allea, amvlum, omnis caro
glutinosa, piper, eruca, bulbi, nuclei pinci.
Nequc alienum est, foverc inferiores partes
aqoa tfeoocta ex verbenis comprimentibus ;
exiisdem aliqaa cataplastnata imo ventri in-
guinibusqoe circamuare ; praecipueque ex
aceto rata m : vitare et ne supinus obdormiat.
Le parti naturali ancora vanno soggette
ad un vizio che è la soverchia profusione del
seme, il quale senza venereo diletto e senza
notturne immagini per guisa fluisce, che a
capo di alcun tempo ne fa perir di labe. In
quesl' affezione sono salutifere le fortissime
fregagioni, Io spargersi, e il nuotare in acque
freddissime ; e nuovo alimento e niun beve-
raggio pigliare che freddo non sia. Mestieroò
inoltre fuggire \c. indigestioni, e tutte le so-
stanze ventose: e non prender ninna di quel-
le che sembrano poter accrescere la copia del
seme : quali la siligine, il fior di farina, le uo-
va, la spelte, V amido, ogni carne glutinosa,
il pepe, la ruchetta, i bulbi, i pinocchi. E non
è illaudabile fomentare le parti d'abbasso con
decozioni d'erbe costrettile, e impiastri fatti
di esse erbe apporre agi1 inguini ed all' imo
ventre : e singolarmente la ruta infusa in ace-
to, e guardarsi bene a non dormir supino.
Cam r xxiw — De coxarum morbi s. Cap xxix. — Delle mal itlie delle cosce.
Supercst, ut ad extremas partes corpo -
ris veniam, quae articulis inter se conseruu-
tur. Inilium a coxis faciam. Harum ingens
dolor esse consuevit : isque hominem saepe
debilitai, et qoosdam non dimittit. Eoque i«l
genns dimcilliraecuratnr, qnod fere posi lon-
gos morbos vis pestifera huc se inclinai : quae
"t alias parte! liberat, sic hanc ipsam quo-
qae afXeelam prehendit. Fovendum primum
aqna ealida esi ; deinde atendum calidis c<\-
taplasmalit. Maxime prodesse videi nr, aut
«•uni hordeacea farina, aut eum ficu ei aqua
i raixtus capparis cortex concisus ; vcl
l"lii farina ex vino dilulo corta, et mixta
«'um aridi (".•••<- • : qnae quia refrigescuut, ira-
ponere noeta mafagmata eommodius est. Ina-
lae qnoqne radii contata, et postea ex vino
austero' corta, et late saper coxa ni imposi ta,
inter valentissima auxilìa est. Si ist.i non i .1-
verunt, sale calida et bamido aieuduai est.
5i nec sin quiden lìnitus dolor est. .mi iu-
nior ei eeeedit, incisi ente admovendae sunt
csjcnrbitnlae ; movends orina, alvns, li coio-
i est, dacen ds Diti unni est, et in ve-
I eri hai qa >qa m irhii , ni icissimam, tribus
"il < | m tino | . ,.,,,,. catera caa-
dentinai I pi imeni i i esuli et ire. Fri l
quo iac al radura est, ai ixime in sole. . i <• .
nera die eptns ; quo I u iliui • i. quei
ondo no lernnl digeranlnr: eaqoe. li nulla
1 1 : on q.sis coxis: si esl
teris partihus adhibenda est Cerni vero sae-
i ' r indura can lenti feri ami n -
at m ' ria inaltlli evocetur, illud km r-
Resla ora che ragionisi fier me delle estre-
me parli del corpo, le quali si enunci Inno Ira
sé per via d1 articoli. E mi farò dalle cosce. In
queste suole insorgere un veement issimo do-
lore, che spesso storpia il malato, e in certuni
dura per sempre. E quest'ai ciacco malagevol-
mente si cura, perciocché per 1" più dopo diu-
turni morbi la infetta malizia quivi fa impeto,
e si ratina : la quale come delibera le altre
parli, cosi assale quesf Messa tutta Via affètta.
Devesi sulle prime far fomenti d'acqua calda,
passar poscia all'uso di caldi impiastri I". sem-
bra sopra ogni rosa far pio la scorza dei cap-
peri sminuzzala, ed intrisa o con farina d'or/o,
o eon fichi colli in acqua : oppa re la farina
del loglio cotta oel vino annacquato, e mesco-
lala con fecali secca, i quali malanimi poi-
ché li raffreddano, toma più utile porli di
uniti». V'ha puri- infra i più valenti aiuti
la radice d1 inula trita, a poscia in xino Bo-
llerò cotta, ed impiastrala su tutta la coscia.
Se tutti questi rimedi non giungono a ri-
muovere il dolore, devesi f»r uso del s de
amido e cai I" E se ne neppnr cosi viene
il dolore :| i ■ in i che ri si aggiunga lo
eoli inolilo ii mei tei .omo le ventose i la -
gì io : si provocheranno le orine; i se Palvo
è costipato, li muoverà co'crUteri Estremo
rimedio .d anche ne1 vecchi malanni eini i
cìssimo, e r addustare eoo ferri roventi in
Ire 0 «pillilo luo-lii l.i coscia. Vuoisi anco-
ri fu l.' freghe, massimamente al sole, e
pio volte lo slesso di. acciocché più facil-
mente ài sciolgano quegli amori <l>c per
DELLA MEDICINA
petuum est, non, ut primum fieri polest, hu-
j^is generis ulcera sanare : seti ea trabere, do-
nec id vitium, cui per haec opitulamur, con-
quiescat.
Caput xxx. — De genuum dolore.
Coxis proxima genua sunt ; in quibus
ipsis nonnumquam dolor esse consuevit. In
iisdem autem calaplasmatis cucurbitulisque
praesidium est : sicul eliam, cimi in humeris,
aliisve commissuris dolor aliquis exortns est.
Equi tare fi, cui gcnua dolent. inimicissimum
est. Omnes autem ejusipodi dolorcs. uhi in-
veteraverunr, vix citra uslioiiem hniunlur.
Caput xxxi. -f- De manuum et pedi/m
artici/lo ruma uè vitiis.
In manihus pedibusque arliculoium vi-
tia frequcntiora lon»:ioraque soni ; quae in
podagris ohiragrisve esse consuei uni. La raro
Tel castratos, Tel pueros ante feminae coitimi,
Tel rnulieres, nisi quibus menstrua suppressa
sunt, tenlant. Ubi sentiri coepcrunt, sanguis
miltendus est : id enim inler initia statini
factum, saepe annuam, nonnurrquam perpe-
tualo valetudinem bonam praestat. Quidam
eliam, cum asinino lacte epolo sese eluissent,
in perpetuum boc malum evaserunt. Quidam,
cum loto anno a vino,mulso, venere sibi tem-
porasscnt, securitatem totius vitae conseculi
sunt. Idque utique post primum dolorcm ser-
Tandum est, eliamsi quievit. Quod si jam
consueludo ejus facta est, polest quidem ali-
<iuis esse securior iis temporibus, quibus do-
lor se remisit : majorem Tero curarci adhibe-
re debet iis, quibus id revertilur; quod fere
vere autumnove fieri solet. Cum vero dolor
urget, mane geslari di bel ; deinde ferri, inam-
bulatione leni se dimovere, et. si podagra est,
interposilis temporibus exiguis, imiccm mo-
liti s( d< re, inodo ingredi ; tum, anlequam ci-
bum capiat, sine balnco, loco ealido leniler
perfricari, rodare, perfundi aqua egelida, de-
inde cibimi sumere ex media maleria, inler-
positis rebcM ut inani movenlibus; quoliesque
plenior est, evomere. Ubi dolor vehemens
urgel, interest, «'ne I umore is sii, an (amor
cum calore, an Iunior jam eliam obealluerit.
Nam si iunior nnlliM esl , calidii fomenlis
opus esl. Aquam marinaro, vel muriam du-
ram fervefaecre oportel , deinde in pelvcm
conjicere, ef, (imi jam homo pali polest. pe-
157
lo ispissimenlo dettero occasione al male: e
queste se non vi sono esulcerazioni, si pra-
ticheranno anche sulle cosce islesse, e se vi
sono sulle rimanenti parli. Egli è generale
avvertenza dovendosi più volte con ferro ro-
vente incendere alcuna parie , onde trarne
la nociva maleria, di non sanare quesle ul-
cere sì tosto come potrebbesi, ma mante-
nerle aperte persino a che vinto resti quel
male, a cui si va riparando con esse.
Cap. xxx. — Del dolore delle ginocchia.
Alle cosce prossime sono le ginocchia,
nelle quali pure suole non rade volle de-
siarsi dolore. Ne1 medesimi impiastri, e nelle
coppelle si raggira la cura ; siccome è pure
dei dolori delle spalle, o (Fallre arlicolazio-
ni. 11 cavalcare per quei che hanno doglie ai
ginocchi, è nimicissimo. lutti i dolori poi
di questa falla invecchiali che siano , non
cessano quasi* mai senza il fuoco.
Cap. xxxi — Delle malattie delle mani,
dei piedi e delle giunture.
le mani ed i piedi vanno soggetti a
malallie articolari, e più frequenti e più diu-
turne: queste si riferiscono per lo più alla
podagra od alla chiragra. Esse rado infesta-
no gli eunuchi, od i fanciulli innanzi la pu-
bertà o le donne, eccetto quelle cui si so-
no soppressi i mestrui. Subito che comin-
ciano a farsi sentire ,. devesi Irar sangue :
quest'operazione falla tosto in sul principio
ne preserva ben sovente per un anno, e tal-
volta per sempre. Alcuni coli' essersi ben
purgati col latte d'asina, scansarono in per-
pcluo questa malaltia. Altri coli' essersi a-
stenuti per un anno intero dal vino, dal
mulso e dalla venere, si assicurarono dagli
insilili di essa per lui la la vita. IVI a conviene
assolutamente mettere in esecuzione tal co-
sa dopo il primo ai lacco, ancoraché sia pas-
salo. Che se poi questi mali si se» o fatti
abituali, può altri invero esser più sicuro
in que'lempi, ne'quali sogliono calmarsi, ma
bisogna usare maggior avvertenza in quelli,
ne1 quali hanno per usanza di ritornare : il
che intervenir suole in primavera, od in au-
tunno. Quando poi il dolore incalza, devesi
di mallina farsi portare in lettiga, od usa-
re altra maniera di gestazione; dipoi fallo-
si trasferire al luogo del passeggio, ivi muo-
versi a lento passo; e se è podagra ha pic-
cioli intervalli di tempo, a vicenda ora se-
dersi, ora camminare; indi prima che pren-
da alimcn lo, e senza fare il bagno pian pia-
no stropicciarsi in luogo caldo, sudare, gil-
tarsi addosso dell'acqua tiepida : poscia man-
giare rose di mezzana nudrilura interpolati-
Ì38 CELSO
des demittere, superque pallam dare, et vesti-
mento legere ; paulatim deinde juxla labrum
ipsum ex eadem aqua leniter infonderò, ne
calor intus destituat; ac deinde noctu cata-
plasmata calefacientia iinponere, maximeque
hibisci radicem ex vino coctam. Si vero Iunior
calorque est, utiliora sunt refrigerantia, recte-
qae in aqua quam frigidissima articuli conti-
nentur ; sed neque quotidie, neque diu, ne
nervi lae 1 antur. Imponendnm vero est cata-
plasma, quod refrigeret : neque tamen in hoc
ipso diu permanenlum ; sed ad ea traineun-
dum , quae sic reprimunt , ut eraolliant. Si
major est dolor, papaveris cortices in vino
coquendi, miscendique cimi cenilo sunt, quod
ex rosa factum si t : vel cerae et adipis suillae
tantumdem una liquandum, deinde bis vinum
miscendum. atipie ubi. quod ex eo imposi-
tum est, incallii t, deti'HÌiendum, et subinde
aliud imponendnm est. Si vero tumores e tiara
obc.illuerunt, et dolent. levat spongia impo-
sita, quae subinde ex oleo, et aceto, vel aqua
frigida exprimitur; aut pari portione inter
se mixta pix, cera, alumen. Sunt etiam plura
idonea manibus pedibusqne malagmata. Quod
si nihil superimponi dolor patitili-, id, qood
sine tumore est, fovere oportet spongia, quae
io aquam calidam demillatur. in qua rei pa-
paveris cortices, vel cucumeris sii vestris radix
decocta si t ; tum inducere art iculis eroeum
min succo p ipaveris et ovillo lacte. Al si iu-
nior est, foveri qaidem debet aqua egelida, in
qua Icntiscus, aliare verbena ex reprimenti hus
deeocta si t : induci vero medica montoni ex
nueibus amarli cara aceto tritìs:aut ex ce-
russa, cui con trita e herbae maraHi succus si t
adjectus. Lapis etiam, qui cameni etédit,
«picm 7ay<oz>rxyov Groeci rOCant, eXClSUS, sic,
ut pedei capiat, demissoi eos, cerni dolent, re-
lentoi [ne ibi levare consuevìt Earqoo in Asia
lapidi a sin gratis est. Ubi dolor et in Hai nmal io
s-' remisernnt (qood intra dics quadraginta
tii. nisi \ ii in in hominis accessi i ) modicii exer-
« ii etionibns, abetinenri », unctionibua lenibos
ntendam est. sic, ut etiara scopo, vel liquido
cerato eyprino articoli perfricenlnr. Eqoitare
p . I igricii qooqoe sllennra est. Qnibni vero
artico lontra dolor eertii temporibus reverti-
tur, li os .iiiie el curioso vieta estere oportet,
ne inotilii materia corpori so persi t, el ore-
briore vomita; et. si quii es corpore reetas
est, vel alvi doctione uti, vel lacte porgeri.
Qoo l Brasistratus in podagricii ex polii • ne
i.i ini '■ s i H iijs i srsm pedes reple-
ret : l'imi evidens sii. ninni pnrgatione non
superiora lantani modo, led elitra inferiora
eiin miri.
do r uso di cibi provocativi V orina, e yo-
mitaro ogni volta sentesi ripieno. Allorché
il dolore vivamente ne crucia, egli monta
di esaminare se è #>nza tumore, e se il tu-
more è accompagnalo da calore, e se il tu-
more istesso si è già fatto calloso. Concios-
siachè se non v'ha tumore nessuno, d'uopo
è di caldi fomenti. Bisogna far iscaldare del-
l'1 acqua di mare, ovvero della salame)) a, poi
versarla in un catino, e subito che l'amma-
lato la può comportare , vi deve mettere i
piedi, e sopra stendervi una coperta, e co-
prir la persona cogli abiti : vuoisi dipoi
poco à poco versare pianamente presso al-
l' orlo del vaso della medesima acqua , ac-
ciocché il calore vi si mantenga costante-
mente : e poscia porvi alla notte impiastri
calefattivi, e specialmente la radico dV ibisco
cotta nel vino. Nel caso che v' abbia enfia-
gione e calore, sono preferibili gì1 impiastri
rinfrescativi, e con assai profitto s'immer-
gono le giunture nell'acqua freddissima ; ma
ciò né fare si vuol'* ogni dì, né per lungo
tempo, onde non s'induriscano le nervatu-
re. Conviensi poi porre un impiastro rin-
fresrativo, né in questo pur si deve per lun-
go tempo perseverare, ma vuoisi passare ;il-
I' aro di quelli che sono ripercossivi insie-
me ed ammollienti. Se il dolore è l'orto
molto, si fanno cuocere le scorze del papa-
vero noi vino . e si mescolano con cerato
fatto d'olio rosato: ovvero si fa liquefare
insieme cera e grasso di porco a parli egu •-
li, indi si mesce a queste del vino, e subi-
to che si è riscaldalo quello che vi si era
pOStO di questo preparato, si toglie via. e
ve se ne appone un altro. Se le enfiai uro
sono ancora callose e dolenti , reca sollievo
1' imporri una spunga inzuppala 0 d" olio,
o d'aceto, ovvero d' acqua fredda, e rinno-
vala di tanto in tanto : ovvero una mesco-
lanza di pece, cera ed allume ;i quantità c-
ifiiale. Più altri inainomi si trovano KnOttl
per l.i gotta de'piedi e delle mini. Che se
il dolore non può tollerare stenna cosa, quel-
li parte che è sente gonfiamento, bisogna
fonieiil. ir con ispOgOS , la quale l'immerge
in acqua calda, in eui si.i bollila corteccia
ili papavero, ,, radice di pocomero selvati-
co i dipoi ricoprire le articolazioni di zaffe-
rano misto ;il sugo di pena vero, ed al latte
•li pecora. Ma se s'hs enfiagione, vuoisi al-
lori fomentar d'acqui calduccia, nella qua-
li- sii collo del leulisco (il altra cnslringeti-
\,- \ ri li. mi. i j si copre poi il tumore con im-
pi estro di mandorle amare peste in ardo :
o veramente di cerussa, i cui giunto si.» il
silici, ili pai ii In ia. Anche quelli piclri rlic
mangia le carni, e che i Greci chiamano
tarcofagOi scavata In guisa che dei piedi
m. capevole, allorché questi presi da dolori
DE*LÀ MEDICINA l50y
vi si pongono, e vi si ritengono, suole re-
car sollievo; e perocché si trova nell'Asia
chiamala è pietra asio. Allorquando il dolo-
re e T infiammazione si sono calmati, il che
accade fra quaranta dì ( se non vi è slato
errore per parte del malato) si vuol fare
modiche esercitazioni , astinenza e blande
unzioni sì che si stropiccino le giunture co»
acopo, o con ceralo liquido di cipro. Il mo-
to a cavallo è ugualmente contrario ai po-
dagrosi. Quei che sono abituati a soffrire a
certi determinati tempi il dolor degli arti,
devono prima di questi tempi con esattissima
norma di vivere, e con frequente vomitare
far sì che non venga a formarsi nel corpo
un ragunamento di disutile materia ; e se si
teme dal lato del corpo, o muoverlo coli' u,so
de1 cristeri, o purgarlo col latte. Alla qual cu-
ra Erasistrato die bando nei podagrosi, temen-
do non T umore recandosi nelle parti inferio-
ri ne rimanessero gravati i piedi , mentrechè
egli è cosa evidente che qualsiasi purgamento
non solamente le parli superiori, ma anche le
inferiori disgombra.
caput xxv. — De ref&ctìone convale-
scentium a morbo .
Cap. xxxii. — Delle restaurazioni dei
convalescenti.
Ex quocumque aulem morbo quis con-
valescit, si tarde confirmatur, vigilare prima
luce debet ; nihilominus in lecto conquiesce-
re : circa tertiam horam leniter unctis mani-
bus corpus permulcere : deinde delectationis
caussa, quantum juvat, ambulare, circumcisa
omni negotiosa actione : tura gestari diu :
multa friclione uti: loca, coelum, cibos saepe
mutare : ubi triduo quatriduove vinum bibit,
uno aut etiam altero die interponere aquam.
Per haec enim fiet, ne in vitia tabero inferen-
tia incidat, et ut mature vires suas recipiat.
Cum vero ex toto convaluerit, periculose vi-
tae cenus subito mutabit, et inordinate aget.
Paolatim ergo debebit, omissis his legibus,
co transire, ut arbitrio suo vivat.
Da quantunque male poi altri risani, se
lentamente si va rimettendo, deve sul far del
dì, svegliarsi ; e tuttavia trattenersi in letto a
riposo : attorno l'ora quarta con le mani unte
mollemente stropicciarsi il corpo : dipoi fin-
ché gli aggrada, o camminare a diporto, mes-
sa da banda e via cacciata ogni pensierosa sol-
lecitudine o lavoro. Indi farsi portare per lun-
go spazio di tempo: usar molto le freghe;
luogo, aria, alimenti spesso cangiare: dopo
aver bevuto vino per tre o quatto dì inter-
porvi l'acqua per un giorno od anche per due.
Imperocché per queste cose avverrà che non
s1 incorra in vizi apportatori di tabe, e che al
più tosto il convalescente ricuperi le usate
forze. Quando poi altri si sia al tutto rimesso,
non potrà che a suo rischio e cangiare ad un
tratto questo tenor di vita, e condursi srego-
latamente. Per lo che dovrà poco a poco, da
queste regole discostandosi , aggiugnere al
punto di vivere a suo senno.
A, CORN. CELSI
DELLA MEDICINA
DE MEDICINA
DI AULO CORN. CELSO
PRAEFATIO
PREFAZIONE
Disi de iis rualis corporis, quibus victus
ratio maxime subvenit: nunc transeundum
est ad eam medicinae partem , quae magis
medicamentis pugnat . His multum antiqui
auctores tribuerunt, et Erasistratus, et ii qui
se i[xirzi?ix.ou<; nominaverunt ; praecipue ta-
roen Herophilus, duductique ab ilio viri ; adeo
ut nullum morbi genus sine his curarent.
Multaque etiam de facultatibus medicamen-
torum memoriae prodiderunt , qualia sunt
vel Zenonis, vel Àndreae, vel Apollonii, qui
Mys cognorainatus est. Horum antera usum
ex magna parte Asclepiades non sine caussa
sustulit ; et , cura omnia fere medicamenla
sto ma eli uni laedant, malique succi sint, ad
ipsius victus rationem potius oranem curam
suam transtulit. Veruni, ut illud in plerisque
morbis utilius est, sic multa admodum cor-
poribus nostris incidere eonsuerunt; quae si-
ne medicnmentis ad sanitatem pervenire non
possunt. Illud ante omnia scire convenit, quod
omnes medicinae partes ita innexae sunt, ut
ex loto separarinon possili!; sed ab eo nomen
trahant, a quo plurimum petunt. Ergo et iJ la,
quae victu curat, aliquando medicamentum
adhibet, et illa, quae praecipue medicamentis
pugnat, adhibere etiam rationem victus de-
bet; quae multum admodum in omnibus raa-
lis corporjs proficit. Sed cum omnia medica-
menta propria* facultates habeant, ac saepe
simplicia opitulenlur, saepe mixta; non alie-
nuni videlur ante proponere et nomina, et
vires, et mixturas eorum ; quo minor ipsas
curafiones exsequenlibus mora sit.
Fin qui io trattai di quelle malattie del
corpo, alle quali principalmente sovviene la
ragion del vivere; ora si vuol passare a quel-
la parte di medicina che più adopera i me-
dicamenti. Grande virtù attribuirono ad es-
si gli autori antfehi, fra i quali Erasitrato,
e coloro che a sé il nome donarono di em-
pirici: specialmente però Erofilo, e i segua-
ci suoi in tanto che ninna condizione di ma-
lattia curassero senza di quelli. E molte o-
pere ancora dettarono intorno alle facoltà
dei medicamenti, quali sono quelle di Zeno-
ne, di Andrea e di quell'Apollonio che è so-
prachiamato Mys. Ma Asclepiade levò in gran
parte non senza cagione, Fuso di essi; e po-
sciachè quasi tuU' i medicamenti offendo-
no lo stomaco, ed ingenerano malvagi succhi,
trasferì tutta la cura piuttosto alla jragion
del vivere istesso. Ma come questo nella più
parte delle malattie è più giovatilo , così so-
gliono tal fiala insorgere assaissime infermi-
tà ne1 corpi nostri, le quali senza medica-
menti rimuovere non si possono. E innanzi
tutto si convien sapere essere tutte le parli
della medicina così tra sé congiunte e lega-
te che al tutto disgiugnere non si possono,
ma da quel fonte il nome derivano, donde
ritraggano il più. Per la qual cosa come quella
parte che col tenor del vivere cura, alcuna
volta le medicine adopera, intanto che con
esse in ispecial modo le infermità combatte,
così deve pure anche mettere in uso la nor-
ma del vivere, la quale è in tutte le malattie
del corpo maravigliosamente profìcua. Ma
conciossiaché tutti quanti i medicinali abbia-
no speciali virtù, e che spesse fiate giovino
i semplici, spesse fiate i composti, egli npn
pare ìncovencvole di esporre anzi ogni cosa
e i loro nomi e le virtudi e le mescolanze,
onde minore ritardo incontrino quei chi de-
vono le cure istessc intraprendere.
Celso.
LIBER QUINTUS
Caput i. — D§ simplicibus facullatibus Cap. I. — Delle facoltà scmpliciidelle cb$»,
quarumcumque rerum, ex quibus me- delle quali si fanno i medicamenti:
dicamenta sunt : et primo de his quae e prima di quelli ch§ stagnano il
sanguinem supprimunt. sangue.
Sanguinerà supprimunt, atramentum su-
toriura , quod Graeci ^eéAxayfoy appellant ,
chalcitis, acacia, et ex aqua lyciura, thus, aloe,
gummi, plumbura corabustum, porrum, ner-
ba sauguinalis, creta Tel cimolia vel figularis,
misy, frigida aqua, vinum, acelutn, aluraen,
melinum, squama et ferri et aeris; atque hujus
quoque duae species sunt, alia tantum aerisi
alia rubri aeris.
Caput 11. — Quae vulnus glutinent.
Glutinant vulnus, rayrrha, thus, gummi,
praecipuequa acanthinum, psyllium, traga-
cantha, cardamomum, bulbi, lini scmen, na-
sturtium, ovi album, gluten, ichthyocolla, vi-
tis a!ba,contusae cura testis suis cocbleae, mei
coctum, sparagi* Tel ex tqaa frigida, vel ex
vino, Tel ex. aceto expressa ; ex iisdem lana
succida; si levis plaga est, eliam arauea.
Heprimunt, alumen et scissile, quod v^i-
trròv Tocatur , et liquidimi, indimmi, auripig-
mmtuin, acrugo, chalcitis, atramentiuu sulo-
riiiu).
Caput ih. — Quae concoquant^ et ruo-
vea/it pus.
Concoquunt Ci movcnt pus, nardum ,
ìrivrrha, costimi, bilvinium, galbanum, pro-
poli!, sl\rax, thurìl et l'ulivo el coil.x. I>i-
liirncn, pix, inlpbur
oleum.
resina, scruni.
, adeps,
Caput jv. — Quae aperiant vulnera.
Aperiunl tamquara ora iti corporibus,
quod Tréfja -.'iure dici tur, cinnamomo m ,
Oilstnan, panacea, juncui quadratus. pule-
giuni, Boa albae riolàe, bdcllium, galbanum,
i i<:m biothia i 1 1 piaci pi opolis, oleum
fi) Collo o disciolto. Pliri. lib. i/j, cap.
i \. Wufmi frkmmm tjrlv§strisj radice de-
<""■' '" ' ' • 1 " i t fit iiiciluumc/itwn. '/inni
¥o<:ant Ijt.tum
Arrestano il sangue il Tetriolo detto
pe' Greci calcanto, il falciti, l'acacia, e il
licio nell'acqua (i ), l' incenso, V aloe, la gom-
ma, il piombo bruciato, il porro, l'erba san-
guinella, l'argilla sia la cimolia (i), sia quel-
la dei pignatta], il misi, l'acqua fredda, il
vino, l'aceto, l'allume, il melino, la squama
e del ferro e del rame ; ma di questo anco-
ra avvene due specie, 1' una del rame co-
mune, V altra del rame rosso.
Cap. ii. — Dei cicatrizzanti.
Conglutinano le ferite la mirra, l'incen-
so, la gomma e in ispczial modo 1' acantino,
il psillio, 1' adraganti, il cardamomo, le cipol-
le, il seme di lino, il nasturzio, l'albume dcl-
I'uoto, il glutine, la colla di pesce, la vitalba,
le chiocciole peste co' loro gusci, il mete cot-
to, la spongia bagnata e nell' acqua fresca, o
nel vino, o nell' aceto : la lana sporca ugual-
mente nelle medesime cose intinta ; o se lie-
ve è h ferita anche la tela del ragno.
Coartano e 1' allume scagliole che schi-
sto chiamasi, e il liquido, il melino, l'orpi-
mento, la ruggine , la calciti, il Tetriolo.
Cip. ni. — Dei suppurativi.
Digeriscono, e provocano la sopportatane
il nardo, la mirra, il costo, il balsamo, il gai-
Inno, il propoli, lo stirane, la fuliggine dello
incenso (^5) e sua corteccia, il bitume, la \>rcr,
Io solfo, la resina, il sevo, il grasso, l'olio.
Cap. iv. — Degli aperitivi Ir ferite.
Aprono quasi .i modo di bocche ne1 cor-
ali, il che alla greci dicesi stoma, la cannella,
il baiai il pan ace, il giunco quadrato, il
pllleffgio, il fior della violi bianca, il bdclio.
il -libano, la nsina di terebinto e di pino, il
(-•) forra di quei che annotano le col-
tella.
(.1) Ter fuliggine s' intende la parte di
«l( Olio
vctus,
taminia
DELLA MEDICINA l63
pipe*, pyrebhrum, charoaepitys, uva propoli, V olio vecchio, il pepe, il piretro, la
ia, sulphur, alunien, rutae semen. iva, l'uva taminia, lo zolfo, l'allume, il seme
di ruta.
Caput v. — Quae purgene.
Cap> v. — DJ mondificativi.
Purgant, aerugo, auripigmentum, quoti
df9èviK.6v a Graecis nominatur ( huic autem
et sandarachae in omnia eadem vis, sed vali-
dior est) ; squama aeris, puinex, iris, balsa-
mura, styrax, thus, thuris cortex, resina, et
pinea, et terebinthina liquida, oenanthe, la-
certi stercus, sanguis columbae, et palumbi,
et hirundinis, ammoniacum, bdellium ( quod
in omnia idem, quod ammoniacum, potest;
sed valentius est); abrotonum, ficus arida,
coccum gnidium, scobis eboris, ompbaciurn,
radicula, coagulum, sed maxime leporinum
(cui eadem, quae ceteris coagulis, facultas,
sed utique validior est); fel, vitellus crudus,
cornu cervinum, gluten taurinum, mei cru-
dum, misy, chalcitis, crocum, uva taminia,
spuma argenti, galla, squama aeris, lapis hae-
matites, minium, coslum, sulphur, pix cruda,
sevum, adeps, oleum, ruta, porrum, lenticula,
ervum.
Capdt vi. — Quae rodant.
Rodunt, alumen liquidum, sed magis
rotundum, aerugo, chalcitis ; misy, squama
aeris, sed magis rubri, aes combustum, san-
daracha, minium sinopi cum, galla, balsamura,
myrrba, thus, thuris cortex, galbanum, resi-
na terebenthina huraida, piper utrumque, sed
rotundum magis, cardamomum, auripigmen-
tum, calx, nilrum, et spuma ejus, apii setnen,
narcissi radix, umphacium, alcyonium, oleum
ex amaris nucibus, allium, mei crudum, vi-
num, lentiscus, squama ferri, fel taurinum,
scamraonia, uva taminia, cinnamonum, styrax,
cicutae semen, resina, narcissi semen, fel, nu-
ces amarae, oleumque earum , atramentum
sutorium chrysocolla, veratrum, cinis.
Hanno virtù raondificativa il verderame,
l'orpimento, che nel parlar greco è detto ar-
senico, ( e questo ha in tutto la stessa forza
della sandracca, ma un po'più forte), la schiu-
ma del rame, la pomice, 1' iride, il balsamo,
lo slirace, l'incenso, la scorza di esso, la ragia
liquida, sì del pino che del terebinto, renan-
te, lo sterco di lucerta, il sangue di colomba,
del palombo, e della rondine, l'ammoniaco,
il bdelio ( che possiede affatto la slessa forza
dell'ammoniaco, ma è più forte), l'abrotano, il
fico secco, il cocco gnidio, la limatura dell'a-
vorio, T agresto, la radichetta, il caglio, ma
quel di lepre principalmente (al quale compe-
tesi la medesima facoltà che agli altri coaguli,
ma sì più forte f, il fiele del toro, il giallo di
uovo crudo, il corno di cervo, il glutine, il
mele crudo, il misi, la calciti, il zafferano, l'u-
va taminia, la schiuma d'argento, e del rame,
la galla, la pietra ematite, il minio, il costo, lo
zolfo, la pece cruda, il sevo, Sgrasso , "l'olio, la
ruta, il porro, la lenticchia, l'ervo.
Cap. vi. — De corrosivi.
Corrodono l'allume liquido, ma più il
rotondo, il ver/derame, la calcili* la spuma del
rame, ma più quella del rosso, il rame calci-
nato, la sandracca, il minio sinopino, la galla,
il balsamo, la mirra, la scorza d'incenso, il
galbano, la ragia umida di terebinto, l'una e
1' altra sorte di pepe, ma più il rotondo, il
cardamomo, 1' orpimento, la calce, il nitro, e
la spuma di esso, il seme dell'appio, la radice
del narciso, 1' agresto, 1' alcionio, l'olio delle
noci amare, l'aglio, il mele crudo, il vino, il
lentisco, la squama del ferro, il fiele di toro, la
scamonea, l'uva taminia. il cinnamomo, lo
stirace, il seme di cicuta e del narciso, la ra-
gia, il sale, le noci amare, il vetriolo, ia cri-
socolla, l'elleboro, la cenere.
Caput vii. — Quae exedant corpus. Cap. vii. — Di quei che consumano il corpo.
Exedunt corpus, acaciae succus, hebe-
nus, .aerugo, squama aeris, chrysocolla, cinis
cyprius, nitrurn, cadmia, spuma argenti,
hypocistis , diphryges, sai, auripigmenlum ,
sulplmr, cimla. sandaraclia, salamandra, al-
cyonium, aeris flos, chalcitis, Htramenlum su-
torium, oclira. calx ( acetum ), galla, alumen,
lac caprifici,''vel lactucac marinae quae riBu-
fua\ìo; a Graecis nominai, urfel, thuris Alligo,
spodium, lenticula, mei, oleae folia, mar$u-
Consumano le carni il sugo di acacia, l'e-
bano, la ruggine, la schiuma di rame, la cri-
socolla, la cenere cipria, il nitro, la cadmia,
la schiuma d'argento, l' ipocisti, la difrige,
il s;de, l'orpimento, il zolfo, la ruchetta, la
sandracca, la salamandra, l'alcionio, il fior
di rame, la calcili, il vetriolo, l'ocra, la cal-
ce, la galla, V allume, il latte di caprifico,
o di lattuga marina, la quale pei Greci det-
ta è titimalloi il fiele, la fuliggine d'inccn-
lG'| CELSO
bium, lapis haematites. et phrygius. et asius, so, lo spodio, la lenticchia, il mele, le foglie
et seissilis. misy. vinura. acetum. di olivo, il marrubio, la pietra ematite e la
frigia e l1 asiana e la scissile, il misi, il vino,
1' aceto.
Caput vhi. — Quae adurant.
Adurunt, auripigmentum, atramentum
sutorium, chalcitis, rnisy, aerago, calx, charta
combusta, sai, squama aeris, faex combusta,
myrrha, stercus et lacerti, et columbi et hi-
rundinis, piper, coccum gnidium, allium ,
diphryges, lac utrumque, quod proximo ca-
pite supra comprehensum est, veratrum et
album et nigrum, canlhar'ules , corallium ,
pyrethrum, thus, salamandra, eruca, sanda-
racba, uva taminia, chrysocolla, ochra, alu-
men scissile, ovillum stercus, oenanthe.
Caput ix.
Quae crustas ulcerìbus.
inducane.
Cap. vin. — Dei caustici.
Bruciano l'orpimento, il vetriolo, la cal-
citi, il misi, la ruggine, la calce, la carta
bruciata, il sale, la schiuma del rame, la fec-
cia bruciata, la mirra, lo sterco e della lu-
certa e della colomba e del palombo e del-
la rondine, il pepe, il cocco gnidio. Taglio,
la difiige, ambedue i latti, che nell1 antece-
dente capitolo si sono sposti, l'elleboro co-
sì bianco come il nero, le cantaridi, il coral-
lo , il piretro, l'incenso, la salamandra , la
ruchetta, la sandracca, V uva taminia, la cri-
socolla, T ocra, l'allume scagliolo , lo sterco
pecorino, V enante.
Cap. ix. — Degli escarotici .
Kadem fere crustas ulceribus tamquam
igne adostis inducunt; sed praecipuc chalci-
tis, utique si cocta est, flos aeris. acrugo,
auripigmentum. misy, et id quoque magis
coctum.
Caput x.
Quae c.rustai ulceribuS re-
tohant.
Le medesime cose valgono pressappoco
a generare la crosla -Mille ulcere, come da
fuoco brucialo, ma in ispezial maniera la
calciti, principalmente se sia cotta, il fior del
carne, la ruggine, l'orpimento, il misi ed
esso ancora vieppiù se cotto.
Cap. x. — Di quei che fanno cadere
le croste alle ulcere.
Crustas vero has resolvit farina triticea Vale poi o distaccar queste croste la fa-
com ruta, vel porro, aut lcnlicula. cuna meliis rina di frumento mista colla rata, O col por-
aliquid ■djectum est. io, o colla lenticchia, a cui sia aggiunto al-
quanto di mele.
Capiti Ki. — Quae discutant ea, qune in
uliquu parte corporis coierunt.
Ail diecotlehda vero c;i. quae In oorporia
ti tana i oi n ani, maxime possuot, •beo-'
tonino, nèleniura, amaracua, alba riola, mei,
liliun:. | impifl( lins r\ |»iin>. lai "'i Ini i I un
pana lerpyflum, capretto*, cedrai, iris, viola
purpnrea1 narciatui, rota, crocum, paisum^
■ un "li lina . ni n! ti in . riimainoiiiiiiii ,
immoni i< Dm, < ei i, retta i, «i\ ■ taminia,
•poma argenti, ityrax, fieni ■rida1 tragoriga-
iiim. lini et narcisti ic nen, bitutaen, aodea ea
Hrmnaiio, pyritei lapiav, ani moralit, erudui
1 ilcllils . 1 1 • i il Ifl luitvs. suljiliiii .
Cap. xi. — Di quelle rose che dissipano gli
umori che si guastarono in alcune
parte.
\ distaccare poi ciò che si è formato in
aleuna parte dftl corpo, Valgono sommamen-
te I1 abrotano. P elenio, l'amaraeo, l« a ì < > 1 .t
bianca, il mele, il ^i:!li<>- il sansogo ciprio,
il lille, la aertola campana, il serpillo, il ei-
preteo, il cederno. l'iride, la viola purpurea,
il narciso, la rosa, il ■. raogo, il passo, il
giunco quadrato, il nardo, 'la cannella, la cai-
sia. Pataraoniaco, la cera, la resina, Pura
■minia', la sebi urna <r argento, lo siiracc, il
Reo ioobo< il tragorigano, il seme «li lino «;
di narciso, il bitume, le immonéofcac del
ginnasio (i), la piètra pirite <> molare, il ros-
so d'ttOfO CffQQO, Ifl non amare, lo zollò.
(i) i*> i prono Mi min hi Gret ì t Homi
In ico do?€ li < scremavano i lottatori.
DELLA MEDICINA
iC5
Caput xit. — Quae evocent et educant.
Cap. xii. — Degli attrattivi.
Evocai et educit ladanum , alturieri ro- Richiama, e trae fuori l'allume rifondo,
tundum, hehenus, lini semen, omphacium, il ladano, l'ebano, il seme di lino, Fajjre-
fel, chalcitis, hdellium, resina terebinthina et
pinea, propolis, ficus arida decocla, stercus
columbae, pumox, farina lolii, grossi in aqua
cocti, elaterium. lauri baccae, nilrum, sai.
sto, il fiele, la calcili, il bdellio, là ragia di
terebinto e ili [ino, il propoli, il fico secco
cotto, lo sterco della colomba, la pomice, la
farina di loglio, i fichi immaturi colti in acqua,
V elaterio, le bacche di lauro, il nitro, il
sale.
Caput xiii. — Quae exasperata laevent.
Laevat id, quod exasperatum est, «po-
dium, hebenus. guarirò i, ovi album, lac, tra-
gaeanlhum.
Caput xiv. — Quae carnem nutriant, et
ulcus impleant.
Cameni alil et nlcus implet resina pinea,
ochra attice, vel aslerace, cera, butyrura.
Cap. xiii. — Dì quelle cose che cessano le
asprezze.
Mitiga ciò che è irritato lo spodio, l'e-
bano, la gomma, l'albume dell'uovo, il lat-
te, il dragante.
Cap. xiv. — Di quelle cose che nutriscono
la carne, e riempiono le ulcere.
t
Alimenta la carne, e riempie l'ulcera la
ragia di pino, l'ocra degli aliici, il mele,
F asteriaca, la cera, il butirro.
Caput, xv. — Quae molliant.
Molliunt, aes combustimi, terra eretria,
nilrum , papaveris lacryma, ammoniacum ,
bdellium, cera, se v unì, adeps, oleum, ficus
arida, sesamum. sertula campana, narcissi et
radix et semen, losae folia. coagulum, vitel-
1-us crudus, amarae nuoes. medulla omnis, sti-
bi. pix. coclea cotta, cicutae semen, plumbi
rerrementum (a-xa^t'av (joìrffiJou Graeci vo-
cant ), panaces. cardamomi) ih. galhanum, re-
sina, uva taminia, stvrax, iris, balsamum, sor-
des ex gymnasio, sulphur, bulyrum, ruta.
Cap.
Degli ammollienti.
Ammolliscono il rame bruciato, la terra
rossa, il nitro, la lagrima del papavero, l'am-
moniaco, il bdellio, la cera, il sevo, l'adipe,
l'olio, il fico secco, il sesamo, la sertula cam-
pana, la radice e il seme di narciso, le fo-
glie di rosa, il caglio, il tuorlo d' uovo cru-
do, le noci amare, la midolla d' ogni sorta,
lo slibio. la pece, le chiocciole cotte, il se-
me di cicuta, la feccia del piombo, il pana-
re, il cardamomo, il galbano, la resina, l'uva
taminia, lo stilare, l'iride, il balsamo, le
sozzure del ginnasio, lo zolfo, il butirro, la
ruta.
Caput xvi. — Quae cutem purgent. Cap. xvi. — Di quei che mondano la cute.
Cutcm purga» mei. sed magis, si est curo
galla, vel ervo, \e\ lenticella, vel marrubio,
vel iride, vel ruta, vel nitro, vel aertginc.
Caput xvii. — De mixturìs sìniplicium
rerum, et de ratione ponderum.
1. Expositis siinplirilms faeullatibus, di-
cendum «st quernadmodnn, misceantur. quae-
que ex bis Ratti. iMiscenlur auleru varie, nc-
que liujus ullus modus est; cum ex simpli-
cibus alia dermmtnr. alia adjicianiur : iisdem-
que servatis, ponderimi ratio niutetur. Ilaoue,
curn fac.ultatum materia non ila mulliplex sit,
innurnerabilia mix lui anim genera suri» : quae.
< omprthendi si possciil, tamen essct suptrva-
Purga la pelle il mele, ma più se è mi-
schiato con galla, o con ervo, o con lentic-
chia, o con marrubio, o con iride, o con ni-
tro, o con ruggine.
Cap; xvn. — Della mescolanza delle cose
semplici e della ragion dei pesi.
i. l' sposto le virtù semplici si convien di-
re come si mescolano e quali «Jose si com-
pongono da os<u* Si mescolano pòi in più
maniere, né di ciò avvi termine alcuno: men-
tre delle cose semplici altre si tolgono, al-
tre si aggiungono, e conservate le stesse, si
cambia il peso. Non essendo pertanto così
varia la materia delle facoltà, nulladimeno
innumcrabili sono le misture, le quali se pur
l6G CELSO
cuura. Nam et iidem effectus intra paucas
compositiones sunt, et mutare eas cuilibet,
cognitis facultatibus, facile est. Itaque con-
tentus iis ero, quas accedi veliti nobilissinias.
In hoc autem volumine eas explicabo, quae
vel desiderar! in prioribus potuerunt, vel ad
eas curationes perlinet, quas protinus hic
coraprehendara ; sic, ut tamen, quae raagis
communia sunt, simul jungam. Si qua singu-
lis, vel etiara paucis accornruodata sunt, in
ipsarurn locuni ditferam. Sed et ante sciri vo-
lo, in uncia pondus denariorum septem esse:
unius deinde denarii pon<Ius divi<Ìi a me in
sex partes, id est, sextantes : ut idem in sex-
tante denarii habeam, quod Graeci babent
in eo, quem òfioXòv appellant. Id ad nostra
pondera relatura paulo plus dimidio scripu-
lo faeit.
Quid mala^ma, et amplastrum, et
pastillus inter se diflTerant.
2. Malagmata vero, atque emplastra, pa-
stilhque, quos T?oXi<rxouf Graeci vocant, cum
plurima eadem habeant, difìferunt eo, quod
malagmata maxime ex odoribus eorumque
etiam surculis, emplastra pastillique magis
ex quibusdam rnetallicis fiunt. Deinde mala-
gmata contusa abunde mollescunt: nam su-
per integrarci culem injiciuntur: laboriose ve-
ro conteruntur ea, ex quibus emplastra pa-
atilliqae fiunt, ne bedani vulnera, rum HD-
ponta toot Inter emplaslrum autem et pa-
stillam hoc interest, quod emplastrum utique
UqatU ■liqaid accipit : in pastillo tantum a-
" "■«"«menta aliquo humore junguntur.
lum eaupltstrvai hoc modo fit: irida me-
dicaraenta per se terantar; deinde mixiis
'•«s loitillatar iat ■cetani, lai li qaii ■lini
»<>n Dtagail humoraccessorus est. et ea rur-
RM ex eo terun'.ur : ea vero, quae lifjn.iri pos-
simi, ad ignem simili liqu intuì- : et si quid
oiei miaeeri debet, tnm infondi tari loterdnm
«wni ■ridaai iliqaod n oleo prioi ooqaflar.
1,1 ,,r,a IMI, quae separatini fieri ilehuo-
r"»*i in unum Oranti miscentur. At pastilli
'"''• r;""> 'si: .,;,! , medicamenti contrita
bOOlOre non piagai, ut vino vel ardo, co-
gnntur, et riirsos eoeet i, inareteant, Btque,
nw ateodam est. ejaiden ireaerii baroore
ailaaotar. Tom emplastram imponi tar, post
•H'M illinitur, lai Alleai molliori, ut cerato,
mnectur.
esporre si potessero, tuttavia egli saria cosa
superflua. Imperocché i medesimi effetti ot-
tengonsi con poche composizioni, e mutarle
poi a chicchessia è agevole, conosciutene le
facoltà- Per lo che io mi contenterò di quel-
le che ritengo per le più efficaci e celebrate.
In questo volume poi quelle esporrò che o
potrebbono desiderarsi negli antecedenti, ov-
vero che spettano a quelle cure, delle quali
parlerò quanto prima in questo, e così ver-
rò a riunire in un sol luogo quelle che più
comuni sono ed usitate. Se per sorte qual-
cuna v'è adattata a cure particolari, e que-
ste anche in picciol numero, io la differirò
al luogo, ove tratterò di esse. Ma prima di
proceder oltre devo far sapere che in una
oncia v'è il peso di sette denari. Quindi che
il peso di un denaro io il divido in sei par-
ti, il che è un sestante; intanto ohe per me
si ritenga nel restante di un denaro quclPi-
stesso che pe1 Greci hassi in ciò che chiama-
no obolo. Questo rapportato ai nostri pesi
fa poco più d1 un mezzo scrupolo.
Differenza tra i malammi, i cerotti
ed i pastelli.
2. I malanimi poi e i cerotti ed i pastelli
che dai Greci trocisci dimandatisi, comechè
abbiano per lo più ì medesimi ingredienti,
differiscono perciò che i malanimi si com-
pongono principalmente di fiori ed anche
de' loro steli, e i cerotti all' incontro e le pa-
stiglie più spesso di rose metalliche. Oltrac-
ciò i malammi battendoli si fanno a suffi-
cienza molli, perocché si sogliono ispalmare
sulla pelle non rotta : sottilissimamente poi
si polverizzavano quelle sostanze, onde com-
pongooii i cerotti e le pastiglie, affinchè non
rechino danno alle ulcere, sulle quali si ap-
plicano. Fra il cerotto poi e la pastiglia que-
sta differenza vi passa che il cerotto riceve
in sé alcuna cosa di liquefatto , nella pasti-
glia solamente cose aride Ira sé onifCOnii
con qualche umore. Finalmente Olili in que-
sto modo il cerotto: li pestano separatamen-
te gl'ingredienti asciutti, dipoi mescolali in-
sieme vi si versa o BOetO. ovvero alcun altro
umore non crasso, clic debba aggiugnervisi,
e di nuovo codesti si pestano con esso: quelli
poi (die liquefar li possono, insieme al fuo-
co si struggono, e se vi si deve mescolar
dell1 olio, ••Mora vi si getta: alenila folla au-
rora si cu'. ce prima alcun medicamento Bri*
do neir <>li<.. Fomite quelle cose che far se-
paratamente doveansi, mischiasi tutto insie-
me. Del pastello poi questa è la composi-
zione: i medicamenti secchi polverizzati si
incorporano con umore non grasso, come vi-
no od aceto: e cos'i riuniti di nuovo si sec-
< ano : ed allorché le ne deve far uso, si stoni-
DBLLA MBDICIITA 167
perano con umore della medesima spezie.
Così il cerotto si appone, la pastiglia si usa
per linimento, ovvero si mescola ad un me-
dicamento più molle come il cerotto.
Capii iviii. — De malagmatis.
Malagma adversus calidas podagras.
1. His cognitis, primum malagmata sub-
jiciam, quae fere non sunt refrigerando sed
calefaciendi caussa reperta. Est tamen, quod
refrigerare possit, ad calidas podagras aptum.
Habet gallae et immaturae et alterius, corian-
dri seminis, cicutae, lacrymae aridae, gummi,
singulordm plenum acelabulum, cerati eloti,
quod 'rri'rrXufJiivov Graeci vocant.selibram.Re-
liqua ferecalefaciunt : sed quaedam digerunt
materiam, quaedam extrahunt, quae irnomok-
o-rixd vocantur ;' pleraque certi» magis parti-
bus membrorum accomodata sunt.
Malagma ad materiam extrahendum.
2. Si materia extrabenda est, ut in hy-
dropico, in lateris dolore, in incipiente ab-
scessu, in suppuratione quoque mediocri, a-
ptura est id, quod babet resinae aridae, nitri,
ammoniaci, galbani, singulorum pondo, cerae
pondo. Aut in quo baec sunt: aeruginis ra-
sae, tburis, singulorum p. * ir; ammoniaci sa-
lis p*. vi; squamae aeris, cerae, singulorum
p.*. vm; resinae aridae p.*. xn; aceti cyatbus.
Idem praestat cumini farina cura struthio,
et melle.
CAt.xvm.— Dei ca taplasmi^ossia malammi.
Malanimi contro le calde podagre.
1. Premesse queste cose, esporròin prima
i malammi cbe sono per lo più stati ritro-
vati non a rinfrescare, ma sì a riscaldare.
Tuttavia uno avvene, il quale potrà rinfresca-
re, acconcio alle caldefpodagre. Ha galla e del-
l'acerba e di quell'altra, semi di curiando-
dolo, cicuta, lagrima arida di papavero, gom-
ma, ciascuno un pieno accettabulo, cerotto
lavato, cui dai Greci dassi il nome di pe-
plimenon mezza libbra. Gli altri malammi
per lo più riscaldano, ma certi digeriscono
la materia, altri la traggono fuori, e questi
diconsi epispast^ci : i più di questi sono ac-
conci meglio a certe parti del corpo.
Malammi per estrarre materia.
2. Se accade di estrarre della materia,
siccome nell' idropisia, nel dolor di costa,
neir incipiente ascesso, nelle suppurazioni an-
che mediocri, vale quello cbe componesi di
trementina secca, nitro, ammoniaco, galbano
ciascuno un peso, di cera un peso. Ovvero
quello nel quale v' ha ruggine raschiata, in-
censo ciascuno p. * 11 sale ammoniaco, p. *
m\ schiuma di rame, cera ciascuno p. * vm;
resina prosciugata p. * xn; aceto un bicchie-
re. Lo stesso adopera la farina di cumino
con struzio e mele.
Malagma ad jecur dolens.
3. Si jecur dolef, id in quo est balsami
lacrymae p.* xn; costi, cinnamomi, casiae cor-
ticis, myrrhae, croci, junci rutundi, balsami
seminis, iridis illyricne, cardamomi, arnoroi,
nardi, singulorum p.* xvi ; quibus adjicitur
nardiuum unguentimi, donec cerati crassitu-
do sit. Et hujus qujdem recentis usus est;
si vero servandum est, resinae terebinthinae
p.* \vi; cerae p.* x, ex vino leni contudun-
tur, tum eo misccntur.
Malagma ad lienem.
4. At si lflmis lorquet, glandis, quam fici-
X&vov (jupz-lr/.nvGrnecj voeant.cortex et nitrum
paribui porlioniboi contonduntor, resper»un-
1 11 rrj ne aceto quam acerrimo : ubi cerali cras-
■itadinejn habet, linleo, ante in arpia frigida
madefacto, illiniliir, ci sic irnponitur, supra-
Malamma pel dolore di fegato
3. Se il fegato duole, quello in cui en-
tra lagrima di balsamo, p. * xn; costo, can-
nella, scorza di cassia, mirra, zafferano, giun-
co rotondo, seme di balsamo, iride illirica,
cardamomo, amomo, nardo di ognuno p. *
xvi; alle quali si aggiunge unguento Tardi-
no, finché esso abbia la consilenza del cerot-
to. E questo usisi preparato di fresco: se
poi vuol conservarsi, si pestano in vino dol-
ce, e con ej>so si mescolano resina trementi-
na p. * xn, e cera p. * x.
Malamma pel dolor di milza.
I\. Che se la milza patisce dolore, la
corteccia della ghianda, detta pe' Greci la-
lanos mirepsic/u'a.e nitro, pestinsi in pari
porzioni, e di acelo fortissimo si aspergano:
lotto che ha la consistenza del cerotto, si
distende in pczzolina bagnata innanzi in
iGo C E L
que farina hordeacea injieitur : secl mancre
ibi non «ìmjilius sex boria debet, ne lienem
consurnat , satiusque est id bis, ani ter fieri.
Malagma coi/unum pluribus.
5. Co m ni un e antera et jocinori, et I i e—
ni. et abscessibus, et stimane, parotidibus,
arliculis, calcibus quoque supputantibus, aut
aliter dolentibns. eliam eoncoclioiii ventri*,
Lysias composuil ex bis: opopanaci*, istyra-
cis, «albani, resiaae, singulorum p.* u ; am-
inoniaei, bdellii, cerae, sevi taurini, iridis a-
ridae p.*iv; cachrsos ace tabulo, piperis gra-
nis quadraginl a : quae contrita irino uugiieii-
to teraperantur.
Malagma ad la te rum dolo rem.
6. Ad (a te rulli autem dolores composi-
ti) est àpollophanis : in qua sunt resiuae te-
rebinthinae, tlmris fuliginis, singulorum p.*
iv; bdelii, ammoniaci, indis, sevi vitulini. aut
caprini a renibus, visci, singulorum p.* tv.
acqua fresca: e così si pone: e sopra s,i po-
ne farina d1 orzo, ma non deve rimanervi
più di sei ore, acciocché esso non consumi
la milza, ed è a sufficienza far questo due
o tre volte.
Mala m ma ad usi varii.
5. Altro poi comune al fegato e alla
milza e agli ascessi e alla struma, alle paro-
tidi, alle giunture e anebe alle calcagna sup-
puranti, o altramente dolenti . anche alla
concozione del ventre il compose Lisia del-
le seguenti: oppoponace, storace, galbano,
resina di ciascuno p. * u; ammoniaco, bdel-
lio, cera, sevo di toro, iride disseccata p. *
iv; cacri un accetta nulo, pepe grani quaran-
ta, le quali sostanze polverizzale si confet-
tano con olio d1 inde.
Mala mina pe^ dolori ai lombi.
G. IV dolori laterali poi v1 e la com-
posizione di Ap ollofaoe, nella quale sono re-
sina di terebinto, fuliggine d'incenso, di
ciascuno p. * iv ; bdellio , ammoniaco, iri-
de, sevo u vitellino, o caprino «Ielle reni ,
llaec antem e. idem omnem dolorem levant, vischio di ciascuno p. * ìv. Queste medesi-
dura eniolliunt, medioeriter calefaciunt. me cose poi mitigano qualsivoglia dolore,
ammolliscono le durezze , e mediocremente
riscaldano.
Ad idem Andreae.
7. Ad idem Andreae quoque malagma est;
quod eliam resolvit, humorem edueil, pus
maturai; ubi il maturimi est. culem rum-
pit, et al cicatrìcem perducit. l'rodest impo-
sitmn minutis majoribusque abscessibus : item
articulia, ideoq'àe et coxis, et pedibna dolen-
til»iis: itera, si quid in corpore collisimi esl,
refi ci t, pràecordia quoque darà et indila e-
mollit ; ossa extrahit ; ad omnia daniq.ua va,-
Ict, qme adjovare calor poWest. l'I lialiet ce,-
rae p' u; risei, ircamrai, quam alias iyco-
tnorum v>nt, lacrvraae, ringoio rom p.* i;
1 eJ rotondi, el loogi, min! tei thy.
miara ili >. hi -iiii. i ri <| 1 s. 1 1 1 n rie ie, card im 1 nj,
.i'ij 1 ni. \\ |ob iKauii. tlmris mas oli. n»\ i ili i '.
Nftìoae .nili-, lingalorura p»**ì pjrrelhri,
.'li In, . j m in 1 ■ nitri, viiis ammoniaci,
arislota hiae 1 rette te, rtdioii 91 cneon*
ntbiii ic liqoidae, singu-
lorum p.* w. qaibui ed) tei tur oog uanti iri-
111. - 1 ■ * 1 , 1 .,1 ,:.i. o li .'i 1 te
rogmda.
Malamma di Andrea per lo stesso uso.
A rvi anebe ali1 isti
uso il ma-
lamma di Andrea, che di più risolve, trae
fuora l'umore, matura gli ascessi, e quando
maturi sono, rompe !» ente, e conduce .1 ci-
catrice. Giova posto ai piccioli ed ai grandi
ascessi, alle giunture altresì, e perciò ai Man-
chi e ai piedi compresi da doglie : parimen-
ti se alcuna parte del corpo è pesta, la re-
staura : i precordi pur anche duri ed enfia-
ti mollifica, estrae le ossa e finalmente a tut-
ti quei mali esso vale, cui può recar giova-
mento il calore. Esso In COI i |>. * m : visco,
sioamino, che chiamasi altrimenti sicomoro,
di Ciascuno p. * 1. pepe e rotondo C lungo,
aunu ini ico limiamt, b Icilio, iride illirica,
( 11. limonio, amoiuo. legno di balsamo, in-
censo maschio, mura, resina secca, di eia-
s uno p ■ w. pireti 1 coccognidio, spuma
di nitro, i*le immoniac », srisl ilochu di cce-
1 1 . radica 'lì cocoanero lalva.tico-, resina li-
qui fi di ter. hinto, ciascuno p. * m; ai qua-
li «.i aggi ug ne quanto basta a' unguento d'i-
nde a mollificarli ed unirli.
Malagmata ad resohenda quae adstricta
sunt , et mollienda quae dura sunt,
et digerenda quae coeunt.
8. Praecipium vero est ad resolvenda quae
adstricta sunt, mollienda quae dura sunt, di-
gerenda quae coeunt, id, quod ad Polyar-
churn auctorem refertur. Habet junci qua-
drati, cardamomi, thuris fuliginis, amomi,
cerae, resinae Kquidae pares portiones.
Aliud malagma JSilei ad eadem.
9. Aliud ad eadem ISilei : crocomagmatis,
quod quasi recrementum ejus est, p. * iv ;
ammoniaci thymiamatis, cerae, singulorum p *
xx ; ex quibus duo priora ex aceto teruntur,
cera cum rosa liquatur, et tum omnia jun-
guntur.
Malagma Moschi ad molliendum.
io. Proprie etiam dura emollit id, quod
Moschi esse dicitur. Habet galbani unciam,
thuris fuliginis p. ZI ; cerae, ammoniaci thy-
miamatis trientes, picis aridae p. 11; aceti he-
minas tres.
DELLA MEDICINA x6q
Malamma per risolver le materie costi-
pate, mollificare Vindurite e risolvere
le ristagnanti.
8. Egli è in ispecial modo acconcio a
risolvere le materie costipate, mollificare le
indurite, digerire le ristagnanti, quello che
si attribuisce a Poliarco. Ha giunco quadra-
to, cardamomo, fuliggine d'incenso, amo-
mo, cera, resina liquida, pari porzioni.
Altro di ISileo allo stesso effetto.
9. Altro di ISileo allo stesso effetto :
crocomagma che è come la feccia del croco
p. * iv ; ammoniaco, timiama, cera, di cia-
scuno p. * xx. Le due prime delle quali si
pestano in aceto , la cera si liquefa in olio
rosato, e quindi uniscesi il tutto insieme.
Malamma *di Mosco ad ammollire.
10. Egli è proprio ancora di quel ma-
lamma che dicesi essere di Mosco, di am-
morbidare le parli indurite. Ha galbano una,
oncia, fuliggine d'incenso p. *i; cera, am-
moniaco, timiama di ciascuno un triante (1),
pece arida p. * 11, aceto emine tre.
Malagma Medi ad digerenda quae coeunt. Malamma di un Medo a digerir materie.
11. Fertur etiam ad digerenda, quae coe-
unt sub auctore Medio , quod habet cerae
p. ~; panacis p.* s. squamae aeris, aluminis
rotundi, item sissilis, singulorum p.* 1 ; plum-
Li combusti p. * 1 s.
Malagma Panthemi ad eadem.
11. Vien recato attorno a digerir ma-
terie fra sé coerenti un malamma di un Me-
do. Contiene cera p. ~ in; panace p. s; squa-
ma di rame, allume ritondo, e parimente
dello scissile ana p. * 1 ; piombo bruciato
p. * 1 s.
Malamma di Fantemo allo stesso uso.
12. Ad eadem Panthemus utebatur, cai- 12. Al medesimo scopo Pan temo usa-
cis p. s ; sinapis contriti , item foeni graeci, va calce p. * 11; senape pesta, e simigliante-
aluminis, singulorum p. * 1 ; sevi bubuli p.* mente fien greco, allume ciascuno p. * 1 ;
n s. sevo bovino p. * 11 e ss.
Malagma ad strumas.
i3, ) \. Ad strumam multa malagmata in-
verno. Credo autem, quo pejus id maluin
est, minusque facile discutitur, eo pi tira es-
se tentata, quae in persunis varie res'ponde-
runt. Andreas auctor est, ut haec miscean-
tnr : urlicae scminis p.* 1 ; piperis rotundi,
bdcllii. galbani, ammoniaci, thymiamatis, re-
sinae aridae. singulorum p.* iv; resinae liqui-
dar, cerae. pirethri, piperis longi, lactucac
Malamma per le strume.
i3, i/f Per le strume assai malani-
mi ritrovo. Tengo per fermo, che come più
cattivo è il male, e che vieppiù malagevol-
mente risanasi, così tanti medicamenti sieno
stati provati, e questi ne' vari soggetti va-
riamente corrisposero. Andrea propone mi-
schiare le seguenti cose: semente di ortica
p. *i; pepe rotondo, bdellio, galbano, am-
moniaco in lagrima, resina secca ciascuno
(1) Sorla di peso, vcd. lihod. de ponderib.
Celso.
i;o e k L s o
nurìone seminis, sulphuris igneru non exper-
ti, quod airuqov voeatur, feois aridae aceti,
Spuinae nitri, salis ammoniaci, sinapis car-
damomi, radicis ex cucumere silvestri, re-
sinae, singulorum p.* vni, quae ex leni vino
contunduntur.
Aliud malagma ad idem valens.
i5. Expeditius ad idem fit, quod habet
visci seminis, stercoris, resinae, sulphuris i-
gnem non experti pare* portiones. Et in quo
est sulphuris p.* i; lapìdis, quem nrvyirrw vo-
cant, p.* iv; cumini acelabulum. Item in quo
pst lapidis ejusdem pars una, sulphuris duae
nartes, resinae tereKinlhinae partes tres.
p. * iv , resina liquide, cera , piretro , pepe
lungo, semente di lattuga marina, zolfo ver-
gine, che vien ohiamato apiron, feccia di
aceto secca, spuma di nitro, sale ammonia-
co, senape, cardamomo, radice di cocomero
salvatico, resina, ciascuno p. * vili. Le quali
cose si pestano in vino dolce.
Altro malamma allo stesso scopo,
t5. Più speditamente al medesimo og-
getto tassi quel che ha visco simino, sterco,
resina, solfo vergiue, parti eguali. E quello
in cui v'ha solfo p. * i; pietra chiamata
pirite p. * iv; cornino un accettatilo. E quel-
lo medesimamente, nel quale v1 ha una par-
te della medesima pietra, due zolfo e tre re-
sina di terebinto.
Malo oma ad strumam et pìiymata.
Malamma per le strume e pe' fimi.
16. Arabis autem cujusdam est ad stru- 1G. Avvene uno d'un certo Arabo per
mam, et orientia tubercula, quae <pu(uara vo- le strume, e per que1 tu moretti nascenti, che
cautur, quod haec digerit. Habet inyirhae, fimi son detti, il quale li discioglie. Con-
salis ammoniaci, thuris, resinae et liquidae tiene mirra, sale ammoniaco , incenso, rcsi-
et aridae, crocomagmatis, cerae singulorum na e liquida e secca, croconiagma, cera ana
p.* 1; lapidis ejus, quem iropirnv vocant, p.* p. * 1 ; quella pietra nomata pirite p. * iv;
ivj quibus quidam adjiciunt sulphuris p.* 11. alle quali alcuni aggiungono solfo p. * 11.
Malagma ad strumam, et tuberà, et
xapxivuJn.
17. Est eliam proficicns in sfruma, et in
iis tuberibus, quae difficiliter concoquunlur,
et in iis, quae x.ctfx.ivtóJ'» vocantur, quod ex
bis constat: sulphuris p.* li; nitri p.* iv;
invrrhae p,*vi; fuliginis thuris p. s; salis am-
moniaci [>. ZI ; cerae p. 1.
Mulugma Protarchi ad parotìdas,
i'iim, et mula ulcera.
et fa-
iH. ProUrchm intatti ad Trrt^oJTt^ac ea-
qué liibrrc.iil.i, quae fUlXJXa'fttO, il est, favi ,
ncI ptfftetrct nominantne, item mali ulcera .
pò mici ■•. resinae pine. ir liquidae, Ihurii fu*
liginis, spini) .11: dì Cri, iridis. lingulorum p. *
niii 1 "in ceree p.* ix; miscebat, hisque olei
cjathum et dimidi om tdjiciabat.
Mfalagmc adversus panum tt ph/m*ta.
i'(. Ai idrersui |>ii)inn. Inni priraum o-
rientem, qood pdyt9\oi Grata 1 1 ini, ci 0-
inno tubcrculnra, qnod pufjta Dominai ur ,
un 1 > lui 04 li r 1, qnac itti< e nominai nr cura
dna bui parti bui limilae, hiiqoe, dum con-
Inndnntnr, lubinde mei instili. iiur. >\ >n< 1 ma-
lagma lii crassitudo lii
Malanimo contro la strunia, i tubercoli
ed i carcìnodi.
17. Egli è pur giovativo nella strinila
e ne1 tubercoli che malagevolmente risolvon-
si, e in quei che carcìnodi iddiaandsnsi
quel che si compone di solfo p. * 11; nitro
mirra p. * vi} fuliggine d'incenso
le ammoniaco d. ~ : cera p. ' 1.
P
p. Si
sale ammoniaco p. ZI
Malamma di Protarco per le parotidi\ i
favi, e le prave ulcere.
18 Protarco poi allo parolidi e 1 qoei
tubercoli che melit -rridi. ci oè fari <> fimi ai
appellano, e iiteuaroente alle uberi; prave,
mescolava resina di pino liquida, fuliggine
d* incenso, icbinma <li nitro, iride son p- *
vin; con le quali mischiava p. * ix cera, e a
queste univa un bicchiere e mezzo di olio.
MahimiiKi pel panereccio ed i /imi,
io, Ma contri il pa nericcio qua od1 è
sul suo cominciare, < he da1 Greci nomasi
fìgetlon, e contri ciascun toberooloi che
luna iddi Inai, si mescola ocra, che è del
la ileoiese, con due parli fior di farina, e
in qneite nell'atto del pestarle 1 v> versa
pur.. 1 poco mele tanto che piemia la con-
liitem 1 'li malamma.
DELLA MEDICINA
171
Malagma adversus phymata.
so. Discutit etiam omne tuberculum, quod
QÓpa vocatur, id, quod habet calcis, nitri
spumae, piperis rotundi, singulorum p. * 1 ;
galbani p.* 11; salis p. * iv; qaae excipiuntur
cerato ex rosa facto.
Malamma p e? fimi.
20. Risolve ancora ogni tumorettc, che
fima si appella, quel che ha schiuma di ni-
tro, calce , pepe rotondo , ciascuno p. * 1 ;
galbano p. * li; sale p. * ìv; le quali cose
s1 impastano con cerotto fatto d1 olio ro»
sato.
Malagma ad supprimendum omne quod
abscedit.
Malamma ad arrestar la suppurazione.
21. Supprimitque omne quod abscedit, id,
in quo est galbani, fabae fressae singulo-
rum p.* 1. myrrhae, thuris, ex radice capparis
corticis, singulorum p.* iv. Satisque omnia
abscedentia digerii murex combustus, et be-
ne contritus, aceto subinde adjecto.
Malagma ad sanguìnem supprimendum.
22. At si satis sanguis subit, recte im-
ponitur, quod adversus phymata quoque po-
test. Constat ex his : bdellii, styracis, ammo-
niaci, galbani, resinae et aridae et liquidae
pineae, item ex lentisco, thuris, iridis> singu-
lorum p. * 11.
Malagma ad carcinomata et phymata le-
ni end a.
23. KapxivcóJn vero phymata commode his
leniunkir: galbani, visci, ammoniaci, resinae
terebinthinae, singulorum p.* 1; sevi tauri-
ni p. s; faecis combustae quam maxima por-
tione, dum id siccius non faciat, quam esse
malagma oportet.
ai. Ed arresta la suppurazione quello,
in cui entra galbano, fava franta di ciascu-
no p. * 1.5 mirra, incenso, corteccia della ra-
dice di capperi, ciascuno p. * iv. E bastan-
temente discioglie ogni ascesso il murice (1)
bruciato, e sottilissimamente polverizzato,
giuntovi appoco appoco dell1 aceto.
Malamma per ristagnare il sangue.
22. Ma se uscì del sangue a sufficien-
za, vi si pone lodevolmente quello che è
malevole pure contra i fimi. Consta di bdel-
lio, stirace, ammoniaco , galbano , resina di
pino e liquida e secca, e parimenti lentisco,
incenso, iride, ciascuno p. * n.
Malamma per lenificare i carcinomi ed
i fimi.
23. Si lenificano ottimamente i carci-
nomi e i fimi con queste sostanze : galbano,
visco , ammoniaco , resina di terebinto , di
ognuno p.* \ ; sevo di toro p. s; feccia bru-
ciata la maggior porzione, purché essa non
faccia più asciutto di quel che si convenga
ad un malamma.
Malagma ad faciem contusam ejusque li-
vorem.
2^. Quod si facie conlusa livor subcruen-
tus est. haec compositio nocte et die impo-
sita tollit. Aristolochiae, thapsiae, singulorum
p.* 11 ; bdellii, styracis, ammoniaci thymiama-
tis, galbani, resinae aridae. et ex lentisco li-
quidae, thuris masculi, iridis illyricae, cerae,
singulorum p.* iv. Idem faba quoque imposita
proficjt.
Malagmata a-ro(uojrtx.à ad aperiendum.
Malamma contro la contusione ed il livi-
dore della faccia.
i(\. Che se contusa la faccia sanguino-
so è il lividore, questa composizione notte
e dì lasciatavi sopra il toglie. Aristolochia, tap-
sia, ana p. * 11 ; bdellio, stirace, ammoniaco
ili lagrima, galbano, resina arida, e la liqui-
da di lentisco, incenso maschio, iride illiri-
ca, cera, ciascuno p. * iv. Fa prò del pari
anche il porvi la fava.
Malanimi stomatici apertivi.
25. Sunt etiam quaedam malagmata, quac s5. Sonovi ancora certi malanimi, ai
&ToutoTix.à. Greci vocant, quoniam aperiendi quali i Greci danno il nome di stomatici ^
(1) L il murice la scorza della porpora.
i;2
e r, l s o
vim habent. Quale est, quoti ex his constai:
piperis longi, spumati nitri, imgulorum p.*
ìi'; crysimi p.* iv; quae cum melle miscen-
tur. l'Ioneaque etiara strumae aperiendae
sunt. bqus generis, vehementiusque'ex his
est i<l, quod hal)et calcis p.* iv; piperis gra-
na sex, nitri, cerae, singulorum p.* x; raellis
p. ZZ ; olei heminara.
perocché hanno virtù di aprire. Tale è quello
che è composto 'li queste cose : pepo lungo,
schiuma di nitro ani p. * n ; erisimo p.* iv ;
Le quali cose si mischiano con racle. E so-
no buoni pur ad aprir le strume. Della qual
sorta, ed ancor più galiardo tra questi è
quello, che ha calce p. * iv; pepe grani sci ;
nitro, cera ciascuno p. * x; mele p. ~; olio
un'emina.
Miconis malagma, ad resohendum ape- Maìamma di Mìcone per risolvere, apri-
riendumque ac purgandum. re e detergere.
sG. Miconis quoque est. quod resolvit, a- of,. V1 ha anche quel di Nicone che
pccit, purgat. Habet aleyonium, sulphur. ni- risolve, apre, deterge. Si compone di alcio-
trum, pumicem, paribus portionibns ; quibus nio, solfo, nitro, pomice in pari quantità ;
tintimi picis et cerae adjicitur, ut fiat cera- a cui tanto di pece e di cera si aggiunge
ti crassitudo. che facciasi la consistenza del cerotto.
Malagma ad ossa.
27. Ad ossa autem Arislogenis, fit ex his :
snlphuris p.* 1 ; resinae terebinthinae, nitri
spumae, et ex Scilla partis interioris, plumbi
eloti, singulorum p.* 11 ; thuris fulginis p.*
vin; ficus aridae quam pinguissimae, sevi tau-
rini, singulorum p.* vili; cerae p.* xn : iridis
macedonicae p.* vi; sesami fricti acetabulum.
Malamma pegli ossi.
27. Il malamma poi di Aristofane per
le ossa si fa di queste : zolfo p. * 1; resina
di terebinto, spuma di nitro, piombo lava-
to, e la parte dentro della squilla ana p.*
11 ; fuliggine d* incenso p. * vili; fico serro
grassissimo, sevo di toro, ciascuno p.* vin ;
cera p.* xu; iride macedonica p.* vi; se-
samo fritto un acccttabulo.
Malagma EutJiyclei ad articulos et ad
omnern dolo rem.
28. Maximeque nervi* et articulis mala-
gma convenit. Hitur Euthyclei est, et ad arti-
culos, et ad nmnem dolorerà, et ad veseicae,
et ad recenti cicatrice contractos artieulos,
qws ékyaiXat Graed nominant, conTénieni,
CjHod habet fuligtois thuris acetabulum, reti»
BM ' ritiimli'in, galbani sine surculis seseun-
eiam, ammoniaci, h'Iellii. siogulorura p. ~ ;
ceraa p, r. ad eosdea digitot: 'ridis. animo-
Diaci, ((albani, nitri, singulornm p. * \iv; rc-
lioac liquidac p.* vi; ccrje p.* \vi.
Malagma Sosagorae ad dolores
articulorum.
I 1 \ 1 dolores articulorum Sol
plumbi combatti eorti"
<-is broeej .lini, ityracis, peucedani, ieri
Chrysippi malaqma. ci i.lr-u vilrns.
3o. Chryaippl : 1 1 tic mj li qui in.
raobiM il >ram p.* xn; quiba 1 •«•-
1 IC p mini ini :.'ljl< itili.
Malamma di Eaticlèo per le giunture, e
per qualunque doglia.
28. V. massimamente ai nervi ed alle
giunture conviene :l malamma. V'ha pertan-
to epici di Enticleo conrenerole e alle giun-
ture e a qualunque doglia, ed fella vescica 0
alle articol.r/ioni attratte da novella cicatri-
ce, il eui vizio i Greci denominano ankylos.
Ha questo foli sigine d'incenso un accetta-
buio; ragia altrettanto; galhano netto una
oncia e mezzo, ammoniaco, bdelHo, ciascuno
p.* zìi: cera p * s. \\\ alno se ne fa <li iride,
ammoniaco, ealbano, nitro, ciascuno p.
mv; resina liquida p." vi; «cic.ip.* \\i.
Malamma di Sotagora pc dolori artico-
lari.
29. Po* dolori articolari quel di Sosa-
gort : piombo bruciato, lagrima «li papaye-
1 , orti -li jusquianiOj sii race, peucedano,
SefO, et ra parli eguali.
Malamma dì Crìsippo all'uso ttttto,
30. Di Crisippo: retini liquida, rt*n-
p. * mi ; a cui li ag-
glugne «ni poco di cera.
DELLA MEDICINA
i,5
Ctesiphontis malagma ad idem valens, et Malanimo, dì Ctesifonte allo stesso uso,
ad parotidas, et pliymala et strumam. per parotidi.fi/ni e strume.
3i. Ctesiphontis : cerae creticae, resinae
terebinlhinae, nitri quam ruberrimi, singu-
lorum p. s; olei cyalhi tres. Sed id nitrura
ante per triduum, instillata aqua, teritur, et
cum sextario ejus incoquitur, donec oranis
humor consumatili*. Potest -vero ea compo-
sitio etiam ad parotidas, phymata, strumam,
omn emque coitum humoris emolliendura.
3i. Di Clesifonte: si fa di cera eretica,
resila di terebinto, nitro del più rosso, di
ciascuno p. * i ; olio tre bicchieri. Ma que-
sto nitro devesi prima per tre dì pestare con
istillar?! dell'acqua, e si fa bollire in un se-
stario di essa per insino a che tutta l'acqua
siasi consumata. Questa composizione poi
vale anche per le parotidi , fimi , strume e
per mollificale qualsivoglia raunanza di ti-
mori.
Malagma ad articulos.
32. Ad articulos, fici quoque aridi par-
tem nepetae mixtam ; vel uvam taminiam si-
ne seminibus cum pulegio recte aliquis im-
ponit.
Malagma Aristonis'adversus podagras et
recentia phymata., et omnes dolores.
33. Eadem podagrae praesidio sunt. Sed
ad eam fi t Aristonis quoque, quod habet nar-
di, cinnamomi, casiae, chamaeleontis, junci
rotundi, singulorum p.* fin; sevi caprini ex
irino liquati p.* xx; iridis p.* ì; quae in ace-
to quam acerrimo jacere per xx dies debet.
Idem autem eliam recentia phymata dolores-
que omnes discutit.
Altro per le giunture,
32. Altri ancora convenevolmente pone
alle giunture una parte di fico secco mi-
schiato a della niepilella ; ovvero uva tami-
sia senza semente col puleggio.
t
Malanimo di ArLtone per la podagra, i
fimi novelli, ed ogni qualità di dolore.
33. Le medesime cose sono rimedio al-
la podagra. Ma per essa fassi anche un ma-
lamma di Aristone di spigo, cannella, cas-
sia, camaleonte, giunco rotondo, ciascuno p.*
vili ; sevo caprino squagliato in olio d'iri-
de p. * xx ; iride p. * i; la quale devesi
macerare per Tenti dì in aceto del più po-
tente che si trovi. Questo medesimo poi
dissipa i fimi novelli e ogni qualità di
dolore.
Theoxeni malagma ad pedum dolores. Malanimo di Teosseno pe" dolori dei piedi.
34. At Theoxenus ad pedum dolores, se-
vi a renibus parlerà tertiam, salis partes duas
miscebat, hisque membranulam, illitam im-
ponebat; tum superinjiciebat ammoniacum
ihymiama in acelo liquatum.
Numenii malagma ad podagram, caete-
rosque articulos induratos.
35. M Numenius podagram, ceterosque
articulos induratos hoc molliebat : abrotoni,
rosae aridae, papaveris lacrymae. singulorum
p.* 111 ; resinae terebinthinae p.* iv ; thuris,
spumne nitri, singulorum p.* vm; iriilis, ari-
slolochiae. singulorum p* xn; cerae p. 111; qui-
bus adjicilur cedri cyallms unus, olei laurei
cyatbi tres, olei acerbi sextarius.
34. Ma Teosseno pe' dolori de1 piedi
mischiava una terza parte sevo delle reni,
due di sale, e con questi impiastrata una
pellicina l' applicava, indi vi sovrapponeva
l'ammoniaco in lagrima disfatto in aceto.
Malamma di Numenio per la podagra, e
gli altri articoli indurati.
35. Numenio poi ammolliva la gotla
delle mani e gli altri articoli indurati con
questo : abrotano, rose secche, lagrima di
papavero arni p.* 111 ; resina' di terebinto
p. * iv; incenso, spuma di nitro ana p. *
vni; iride, aristolochia ana p. * zìi; alle qua-
li aggiupneva un bicchiere d' olio di cedro,
tre d' olio laurino ed un sestario d' olio
acerbo.
Dexii malagma si quandi callus in Molammo di Dezio pe calli delle giunture,
articulos increvit.
?,(). Si quando atitem in articulis callus
'M). Quando pòi si va formando il cai-
Ij4 CELSO
'ncievit, Dexius docuit imponere, calcis p*
iv; cerussae p.* vm ; resinae pineae p,* xx;
piperis grana xxx; cerae p.* rr; quibus, dura
coutunduntur, hemina vini lenis inslillalur.
lo nelle giunture, Dezio ne insegna di por-
vi calce p. * ìv; cerussa p. * vili ; ragia di
pino p. * xx; pepe grani xxx; cera p. * n ;
sulle quali in pestand^e vassi versando uua
emina di vino dolce.
Caput xix. — De emplastris.
Ex emplastris autera nulla majorem u-
sum praestant. quaru quae crnentis protinas
vulneribus injieiuntur: ivaiua Graeci vocant.
Haec enim reprimunt inilaminationetn, nisi
magna vis eara cogit, atque i l li li s quoque im-
petum minuunt; tum glutinant vulnera, quae
id patiuntur, cicatricem iisdem inducunt. Con-
stant autera ex medicamenti* non pinguibus,
ideoque àXeircttvn nomiuantur.
Barbarum empìastrum nigrum , quoti
cruentis protinus vulneribus injicitur.
i. Optimum ex his est, quod barbarum
vocatur. Habet aerujinis rasae p.* xu; spumae
argenti p * xx; aluminis, picis aridae, resinae
pineae aridae, singulornm p.* i ; quibus ad-
jiciuntur olei et aceti singulae bemiiiae.
Cap. xix. — Dei cerotti.
Niuno poi infra i cerotti maggior pro-
fitto presta di quei, con che subitamente si
medicano le recenti ferite. I Greci enema
gli appellano. Imperocché questi Y infiam-
mazione attutano, salvo che la cagione di es-
sa non sia a dismisura grave; e ancora ne
sminuiscono la violenza : inoltre conglutina-
no le ferite che ciò comportano, e ne favo-
riscono la cicatrice (i). Si compongono poi
di medicamenti non grassi ; il perchè essi
hanno nel parlar greco il nome di alipena.
Cerotto barbaro nero per le ferite
sanguinolenti.
i. Miglior tra questi è quello che di-
cesi barbaro. Ha ruggine rasa p. * xn; schiu-
ma d'argento p. * xx; allume, pece secca,
ragia di pino secca, di ciascuno p. * i ; alle
quali si aggiugne una emina d1 olio ed una
di aceto.
Cìioacon empìastrum nigrum, od idem
valens.
2. Alterimi ad idem, quod Choaeon vo-
mii!, habet spumae ardenti p.* CJ Tesinae ari-
li e tantundem: sed ipnma orina ex tribm
olei beminii coquitor. His daobas emplastris
color niger est, qui fere talis fit ex pice al-
que retina : ai ex bitumine nigerrimni ; ex
eerngine/aut aerii squama, viridis; ex minio
ruber; ex cerussa albus.
Altro, detto coacon, al medesimo
effetto.
2. Un altro al medesimo effetto, che
■ddimandasi coacon, ha spuma d'argento
p. * e; resina seni altrettanto: ma la spu-
ma fessi cuocere per innanzi in tre ornine
d'olio: questi due cerotti hanno un color
nero, il quale in gran parte proviene dalla
pece e dalla resina : dal bitume poi lassi
nerissimo : colla raggine e colla squama di
rame, verde : col minio, rosso : colla cerus-
sa, bianco.
lìasiliron empìastrum nigrum ad idem. /litro, detto basilicon , allo stesso effetto.
3. Paocae admodoni compositiones snnt^
in quiliiM aliquid mixliltae varietas novat.
Ergo id quoqoe nigrnm est* qnod /3a7i\ixìv
nomioator, Habel panacii p." i : galbani p * n;
pigia, et resio "■. lingolorum p.* \ ; ofei dimi-
«bum cyjtliuiii.
!{. Pochissime sono le composizioni ,
nelle quali rechi qualche cambiamento la va-
rietà della mi, ini. i. Nero pertanto egli è an-
cor anello che batilicon vien'ebiamato. Con-
ti.ne opoponace p. * ': galbano p. * li « pe-
ce e usili.) ani p. * x ; <P olio un mezzo
bicchiei e.
(i) Da questo paflO SI 'ledure che gli
antichi chirurghi usavano già riunire le te-
lile recenti p'T mezzo di cerotti congluti-
nativi.
DEHt,A MEDICINA
.,5
Smaragdinum emplastrum ad idem. Altro, detto smaraddino , allo stesso uso.
4- At quod perviride est, smaragdinum
appella tur : in quo sunt resinae pineae p.*m ;
cerae p.* 1 ; aeruginis p. s ; thuris fuliginis p.
ss ; olei tantumdem, aceti quo fuligo et aeru-
go in unum cogantur.
Emplastrum rufum ad idem.
5. Est etiam coloris fere rufi, quod ce-
leriter ad cicatricem vulnera perducere vide-
tur. Habet ihuris p.* 1; resinae p.* 11; squamae
aeris p.* iv; spumae argenti p.* xx; cerae p.*.
g ; olei heminam.
4. Ma perchè è verdissimo, smaraddi-
no vien detto : in esso entravi ragia di pi-
no p. * 111; cera p. * 1; ruggine p. ss; fu-
liggine d'incenso p. ZZ ; olio altrettanto ed
aceto tanto che serva a riunire in una mas-
sa la ruggine e la fuliggine.
Altro, rosso, allo stesso uso.
5. Avvene ancora uno di color rosso
che sembra trarre con prestezza a cicatrice
le ulcere. Ha d' incenso p. * 1 ; ragia p. * 11 ;
squama di rame p. * iv ; schiuma d' argen-
to p. * xx ; cera p. *c; olio un'emina.
ITafaxGXXwT/xo»' emplastrum ad idem. Altro, detto raptusa, allo stesso effetto.
6. Praeterea est, quam <7rafaxoXX«T/>cov a
glutinando vocant. Constat ex his: bituminis,
aluminis scissilis, p. * ìv; spumae argenti p*
xl ; olei veteris hemina.
Cephalicum emplastrum Philotae
capiti conveniens.
7. Praeterea sunt quaedam generis ejus-
dem,quae, quia capitibus fractis maxime con-
veniunt, xe<pa\/xa a Graecis nominantur. Phi-
lotae corapositio habet terrae Eretriae, chalci-
tidis, singulorum p.* ìv; myrrhae, aeris com-
busti, singulorum p.* x; ichthyocollae p.* vi.
aeruginis rasae, aluminis rotundi, misy crudi,
aristolochiae, singulorum p.* vm ; squamae
aeris p.* x ; thuris masculi p.* 11 ; cerae p. 1 ;
rosae, et olei acerbi , ternos cyathos, aceti
quantum satis est, dum arida ex eo conte-
runtur.
6. V ha oltracciò quello che dal con-
glutinare chiamasi raptum. Componesi di
bitume, allume scagliolo p. * ìv; litargirio
d'argento p.* xl; e un'emina d'olio vecchio.
Cerotto cefalico di Filota per le ferite del
capo.
7. Sonvi inoltre certi cerotti della i-
stessa fatta, i quali poiché principalmente alle
ferite del capo convengono, dai Greci furono
denominati cefalici. La composizione di Fi-
lota contiene lena eretria, calciti ana p. *
ìv ; mirra, rame bruciato ana p. * x ; col-
la di pesce p. * vi ; ruggine raschiata, al-
lume rotondo, misio crudo, aristolochia
ana p. * vm; scoria di rame p. * x ; incen-
so maschio p. * 11 ; cera p. * 1 ; olio rosato
ed acerbo bicchieri tre ; aceto quanto basta,
mentre si vanno con esso pestando le cose
aride.
Emplastrum viride ad idem valens.
8. Aliùd ad idem viride : aeris combusti,
squamae aeris, myrrhae, ichthyocollae, singu-
lorum p.* vi ; misy crudi, aeruginis rasae, ari-
slolochiae, aluminis rotundi, singulorum p.*
vm; cerae p. 1; olei hemina, aceti quod satis sit.
Tttrapharmacum viride ad pus
movendum.
Altro verde allo stesso effetto.
8. Altro verde allo slesso : rame bru-
ciato , mirra, ittiocolla ana p. * vi; misio
crudo, ruggine rasa, aristolochia, allume ro-
tondo di ciascuno p. * vili; cera p. * 1;
olio un'emina; aceto quanto basti.
Tetmfarmaco verde suppurativo.
(). Pini aiilcm movendo non aliud me- o,. A provocare la suppurazione non av-
lius, quam quod expeditissimum est : tétp«- vi di meglio di quello che è di spacciatissi-
<paf{j?x.ov a Graecis nominatur. Habet pares ma preparazione: dai Greci vien detto te-
porliones cerae, picis, resinae, sevi taurini ; si trafarwaco (1). Contiene a parti eguali
ld non est, vitulini. cera, pece, ragia, sevo di toro, e, se questo
non evvi, di vitello.
(1) Dicesi teliafarraaco [perchè consta di 4 droghe.
,,0
CELSO
Enneapharmacum emplastrum. ad pus
movendun. et ad purgandum valens.
io. Allerum ad idem, ivv-a<pà?uay.ov no-
minatur : quod magis pargat. Const.it ex no-
velli rebus, cera, inelle, sevo, resina, mvrrha,
rosa, medulla vel cervina vel vitnlina vel bu-
btila, oesypo, butyro : quorum ipsorum quo-
que pondera paria miscentnr.
Emplastra^ quibus utriusque rei
facultas est.
i f. Sunt autem quaedam emplastra ,
quibus utriusque rei facultas est : quae si
siogala habenda sunt, meliora sunt; sed in
copia rcjicienda sunt. iis pollai adhibitis, quae
propria id, quo 1 co tempore opus esl, conse-
quuulur. Exempli caussa duo proponam.
Attalam emplastrum ad vulnera.
Est igi tur ad vulnera Attalum ; quod
habet ipomae eerit p. * xvi ; thuris fuliginis
p. * xv; ammoniaci t anlumdem, resinae tere-
binthinac liquidae p. xxv; sevi taurini tan-
luradcm, aceti heminai tres, olei sextariurn.
Judaei emplastrum, fracto capiti
accommodatum.
At inler ea, quae fracto capili accom-
mol.uitur. li iltent quidam id, quo l ad aueto-
rem Jiilinn refertur. Constai ex bis: salis
p. * iv; tquamae leni rubri, aeris combusti,
tiognlorura [>. * x\\ ; ammoaiaci thrmiamatts,
tharii t « 1 1 1 •_: 1 1 1 1 s . reeinae ariane, lingulorura
]>. * w r : r -,io ii- col tphooìacae, i "i mc. wi \ i-
tulini cur .*ti. iingulornra |>. * w. aceti tei |ui-
• .oiri iniiins cyatho.Ti0ifaTla>ttt<yfli Grae-
(i appetì ani. qoaa coni i rooant; cuoi ti aero
pnia omoei meinbr annlae diligenter esempi te
sunt. aut <-\ alio medicamento.
Enneafarmaco suppurativo e purgativo.
io. Altro al medesimo ufficio denomi-
nalo enneafarmaco (i)-> perocché esso mag-
giormente deterge. Componesi di nove in-
gredienti: cera, mele, sevo, resina, mirra,
olio rosato, midolla di cervo o di vitello o
di bue, esipo, buttiro , le quali cose ancora
in pari quantità si meschiano.
Cerotti suppurativi e purgativi.
il. Sonovi alcuni cerotti, i quali han-
no facoltà di fare l'uno e l'altro effetto:
che se non si può avere acconcio all'elicilo
particolare, se non un cerotto solo, meglio
è avere alcuno di quelli, a cui l1 una e Tal-
Ira virtù competesi : ma se ve n'ha, queslo
si deve ricettare; adoperando quelli piutto-
sto, i quali elfeltuano ciò che a quel tempo
propriamente fa d'uopo. Per oagton d'esem-
pio ne riporterò due.
Cerotto attalo per le ferite.
Avvi pertanto per le ferite V attalo :
contiene scoria di rame p. • xvi ; fuliggine
d'incenso, p. * xv ; ammoniaco altrettanto ;
trementina liquida p. * xxv; sevo di loro
altrettanto; aceto tre emine ; olio un seslario.
Cerotto di un (riwleo per le fratture
del capo.
Fra i cerniti che si convengano alle
fratture ilei capo, alcuni ripongono quello
che si attribuisce ad un Giudeo. Conila del»
le tegnenti : sale p. * iv; iquaaa di rame
rossi», rame bruciato ani p. ' mi ; ammonia-
co in lagrima, fuliggine d'Incenso, maina
lecca ana |». * wi; resina «li colofonio, cera,
sevo vitellino preparato bah p. * w, ■ggiu-
fftlesi di aceto uni vesti pule d" un (iato, e
dì olio iijcii di un cialo. 'l'eferupeu mena
intendeai neir idioma greco quel che nel
nostro diciamo prò panate, allorché dal sevo,
per aito d* etempio, latte de membranette
sono diligentemente fia tolte, oppnf >\^ al-
tro medi* inale,
Empì li ira c't/7T7tt;x" '.
i ■-. Sunt ctiam qoaedam emplattra no-
bili! ad •■xlrali-n Inni ; quie q^i quoque
Ci mtti epiipaticit
hr .ti
. Sonori in ìora
I attrari <•. i qu ili
il, ini! cerotti cele
ancor essi .si chia-
u C ■ i i ' ■ parchi composto di nove droghe*
DELLA
inTteirotarixà, nominantur : quale est, quod
quia lauri baccas habet, &ià àot<pvt'£w appel-
latur. In eo est, resinae terebinthinae p. * x;
nitri, cerae, picis aridae, baccarum lauri sin-
gulorum p. * xx; olei paulura. Quoties aut
baccani, aut nucera, aut simile aliquid posue-
ro, scire oportebit, antequara expandatur,
ei suramam pelliculam esse demendam.
MEDICINA 177
mano epìspastìci: tale è quello il quale pe-
rocché bacche di lauro contiene, nomasi dia
defridon. Havvi in esso resina di terebinto
p. * x; nitro, cera, pece arida, bacche di
lauro ana p. * xx, e un poco d1 olio. Egli
è da sapere che ogni qualfiata riporterò o
noce , o bacca o altra siroil cosa anzi di
usarle , vuoisi levar loro la esteriore pelli-
cella.
Aliud, àid Jotipviiw, ad extrahendum
et pus movendum.
Altro simile attraente e suppurativo
1 3. Aliudeodem nomine, quod puri quo- 13. Havvene un altro di questo nome,
que movendo est. Sevi vitulini, ammoniaci il quale è inoltre valevole a far suppurare:
thymiaraatis, picis, cerae; nitri, baccarum sevo di vitello, ammoniaco in lagrima, pe-
lauri, resinae aridae, aristolochiae, pyrethri, Ce, cera, nitro, bacche di lauro, resina ari-
pares portiones. da, aristolochia e piretro in parti eguali.
Philocratis emplastrum ad extrahen-
dum et pus movendum.
14. Praeter haec, est Philocratis: quod
habet salis ammoniaci p. * vii ; aristolochiae
p. * vni; cerae, resinae terebinthinae, fuliginis
thuris, singulorum p. * xv; spumae argenti
p. * xxxii ; Quibus, ut pus quoque moveant,
iridis p. * ìv; et galbani p. * vi adjiciuntur.
'PwTrùJes emplastrum, ad extrahendnm.
i5. Optimum tamen ad extrahendum
est id, quod a similitudine sordium fum-còdés
Graeci appellant. Habet myrrhae, croci, iri-
dis, propolis, bdellii, capitulorum punici ma-
li, aluminis et scissilis et rotundi, inisy, chal-
citidis, atramenti sutorii cocti, panacis, salis
ammoniaci, visci, singulorum p. * ìv; aristo-
lochiae p.*vm ; squamae aerisp. *xvi; resinae
terebinthinae p. * lxxv; cerae, et sevi vel
taurini vel hircini, singulorum p. * e.
Emplastrum J/ecataei, ad extrahendum.
16. Hecataeo quoque auctore emplaslrum
generis ejusdem fit ex his: galbani p. * li;
fuliginis thuris p. * iv; picis p. * vi ; cerae, et
resinae terebinthinae, singulorum p. * vili ;
quibus paulum irini unguenti miscetur.
' Alexandrinum emplastrum viride ad
extrahendum.
Cerotto di Filocrate attraente e suppu-
rativo.
14. Oltra questi jV è quel di Filocrate,
il quale contiene sale ammoniaco p. * vn ;
aristolochia p. * vili ; cera, trementina, fu-
liggine d1 incenso ana p. * xv; litargio p. *
xxvi. A questi onde promuovano anche la
suppurazione si aggiungono p. * in d'iride,
e p. * vi di galbano.
Cerotto ripode attraente.
i5. Ottimo tuttavia per estrarre egli
è quello che dalla similitudine delle sordi-
dezze i Greci V appellan ripode. Ila mirra,
zafferano, iride, propoli , panace, sale am-
moniaco, visco p. * iv; aristolochia p. * vili ;
schiuma di rame p. * xvi; trementina p. *
lxxv; cera e sevo di toro o di becco ana
Cerotto di Ecateo attraente.
16. Si fa anche un cerotto della" me-
desima virtù proposto da Ecateo di queste
cose : galbano p. * 11 ; fuliggine d1 incenso
p. * iv; pece p. * vi ; cera e trementina ana
p. * vili ; con cui si mescola un poco d'un-
guento d1 iride.
Cerotto verde Alessandrino attraente.
17. Valensque ad idem emplastrum vi-
ride alexandrinum esi. Habet aluminis scis-
silis p.*vm ; salis ammoniaci p. * viu ss ; squa-
raae aeris p. * xvi ; myrrhae, thuris, singulo-
rum p. * x nn; cerae p. *. cl; resinae colopho-
Celso.
17. Ed è valevole al medesimo fine il
cerotto verd<; alessandrino: esso ha allume
scagliuolo p. * vfii ; sale ammoniaco p. * vm:
squama di rame p. * xvi ; nv'rra, incenso
ana p. * xvni; cera p. *clj resina di colo*
23
i;8 cblso
niacae aut pineae p. * ce; olei herainam. aceti ionio o di pino p. * ce; olio un'emina; ace-
sextarium. to un sestario.
De emplastris exedentibus.
18. Quaedam autem suut, emplastra exe-
denlia, quae ^mr-ra Greci vocant: quale est
iti, quod habet resinae terebinthinae, l'uligi-
uis thuris. smgulorum p- =: ; squamai* aeris
p. * i ; ladani p. * n ; aluminis tautumdem,
spumae ardenti p. * ìv.
Emplastrum, quod exest corpus, ossa resol-
vit, et supercrtscentem carne/n coercet.
iq. Exest ctiam vehetnenter corpus, at-
que ossa quoque resolvit, et supererescenlem
<;arneiu coercet id, quod habet spumae argen-
ti, s |uamae aeris, uncias singulas nitri igneui
non experti, lapidis asii , aristolochiae p.
sexlantes, cerae, resinae terebinthinae, thu-
ris, olei veteris. atramenti sutorii, salis am-
moniaci p s. aeruginis rasae p. bessem, aceli
scillitici heruinara, vini aminaei tantu.ndem.
Cerotti corrosivi.
18. Sonovi poi alcuni cerotti corrosi-
vi, che i Gneci dicono sipta : tale è quello
che contiene trementina, fuliggine d' incen-
so ana p. * n; squama di rame p. * 1 ; la-
dano p. * 11 ; allume altrettanto, lilargirio
p. * IV.
Cerotto che rode il corpo, risolve le ossa
e constarla le carni fungose .
19. Anche rode fortemente il corpo, e
le ossa pure risolve , e la superfluità della
carne raffrena quello che contiene lilargirio,
scoria di rame ana oncie una, nitro verdi-
ne, pietra asia, aristolochia p. sestanti, cera,
trementina, incenso, olio vecchio, vetriolo,
sale ammoniaco p. s. , e ruggine r,is;i otto
once, aceto seillitico un'emina, vino aminco
altrettanto.
Emplastra adversus morsus